Discorsi 2005-13 22118

AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO DELL’ARCIDIOCESI DI AMALFI-CAVA DE’ TIRRENI (ITALIA) Sabato, 22 novembre 2008

22118

Cari fratelli e sorelle!

Benvenuti nella casa del Successore di Pietro: vi accolgo con affetto e a tutti rivolgo il mio cordiale saluto. In primo luogo va al Pastore della vostra comunità ecclesiale, l’Arcivescovo Mons. Orazio Soricelli, al quale sono grato anche per le parole che mi ha rivolto a vostro nome. Saluto poi i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi, i religiosi e le religiose, i laici impegnati nelle varie attività pastorali, i giovani, la corale e gli ammalati con i volontari dell’UNITALSI. Saluto le Autorità civili, i Sindaci dei Comuni della Diocesi con i gonfaloni. Estendo infine il mio pensiero all’intera Arcidiocesi di Amalfi–Cava de’ Tirreni, venuta a Roma in pellegrinaggio presso la tomba dell’apostolo Pietro con le venerate reliquie di sant’Andrea, vostro augusto Patrono, conservate sin dal secolo IV nella cripta della vostra Cattedrale. Anzi, questo pellegrinaggio si compie proprio nel nome dell’apostolo Andrea, in occasione dell’VIII Centenario della traslazione delle sue reliquie dalla grande Costantinopoli alla vostra città di Amalfi, piccola per dimensione ma grande anch’essa per la sua storia civile e religiosa, come ha ricordato poc’anzi il vostro Arcivescovo. Dinanzi a questo prezioso reliquiario ho potuto sostare in preghiera anch’io in occasione della festa di Sant’Andrea del 30 novembre 1996, e di quella visita conservo ancora grata memoria.

In tale ricorrenza ormai imminente, si concluderà questo anno giubilare con la Santa Messa celebrata nella vostra Cattedrale dal Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato. E’ stato un anno singolare, che ha avuto il suo culmine nel solenne atto commemorativo dell’8 maggio scorso, presieduto dal Cardinale Walter Kasper quale mio Inviato speciale. Guardando all’esempio e ricorrendo all’intercessione di sant’Andrea, voi volete infatti ridare nuovo slancio alla vostra vocazione apostolica e missionaria, allargando le prospettive del vostro cuore alle attese di pace tra i popoli, intensificando la preghiera per l’unità tra tutti i cristiani. Vocazione, missione ed ecumenismo sono pertanto le tre parole-chiave che vi hanno orientato in questo impegno spirituale e pastorale, che oggi riceve dal Papa un incoraggiamento a proseguire con generosità ed entusiasmo. Sant’Andrea, il primo degli Apostoli ad essere chiamato da Gesù sulle rive del fiume Giordano (cfr
Jn 1,35-40), vi aiuti a riscoprire sempre più l’importanza e l’urgenza di testimoniare il Vangelo in ogni ambito della società. Possa l’intera vostra comunità diocesana, ad imitazione della Chiesa delle origini, crescere nella fede e comunicare a tutti la speranza cristiana.

Cari fratelli e sorelle, questo nostro incontro avviene proprio alla vigilia della solennità di Cristo Re. Pertanto, vi invito a volgere lo sguardo del cuore al nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’universo. Nel volto del Pantocrator, noi riconosciamo, come affermava mirabilmente il Papa Paolo VI durante il Concilio Vaticano II, "Cristo, nostro principio! Cristo, nostra via e nostra guida! Cristo, nostra speranza e nostro termine!" (Discorso di apertura del II periodo, 29.9.1963). La Parola di Dio, che domani ascolteremo, ci ripeterà che il suo volto, rivelazione del mistero invisibile del Padre, è quello del Pastore buono, pronto a prendersi cura delle sue pecore disperse, a radunarle per farle pascolare e poi riposare al sicuro. Egli va in cerca con pazienza della pecora smarrita e cura quella malata (cfr Ez 34,11-12 Ez 34,15-17). Solo in Lui possiamo trovare quella pace che Egli ci ha acquistato a prezzo del suo sangue, prendendo su di sé i peccati del mondo e ottenendoci la riconciliazione.

La Parola di Dio ci ricorderà anche che il volto di Cristo, Re universale, è quello del giudice, perché Dio è al tempo stesso Pastore buono e misericordioso e Giudice giusto. In particolare, la pagina evangelica (Mt 25,31-46) ci presenterà il grande quadro del giudizio finale. In tale parabola il Figlio dell’uomo nella sua gloria, circondato dai suoi angeli, si comporta come il pastore, che separa le pecore dalle capre e pone i giusti alla sua destra e i reprobi alla sinistra. I giusti li invita ad entrare nell’eredità preparata da sempre per loro, mentre i reprobi li condanna al fuoco eterno, preparato per il diavolo e per gli altri angeli ribelli. Decisivo è il Cristo, nostro principio! Cristo, nostra via e nostra guida! Cristo, nostra speranza e nostro termine!. Questo criterio è l’amore, la carità concreta nei confronti del prossimo, in particolare dei "piccoli", delle persone in maggiore difficoltà: affamati, assetati, stranieri, nudi, malati, carcerati. Il re dichiara solennemente a tutti che ciò che hanno fatto, o non hanno fatto nei loro confronti, l’hanno fatto o non fatto a Lui stesso. Cioè Cristo si identifica con i suoi "fratelli più piccoli", e il giudizio finale sarà il rendiconto di quanto è già avvenuto nella vita terrena.

Cari fratelli e sorelle, è questo ciò che interessa a Dio. A Lui non importa la regalità storica, ma vuole regnare nei cuori delle persone, e da lì sul mondo: Egli è re dell’universo intero, ma il punto critico, la zona dove il suo regno è a rischio, è il nostro cuore, perché lì Dio si incontra con la nostra libertà. Noi, e solo noi, possiamo impedirgli di regnare su noi stessi, e quindi possiamo porre ostacolo alla sua regalità sul mondo: sulla famiglia, sulla società, sulla storia. Noi uomini e donne abbiamo la facoltà di scegliere con chi vogliamo allearci: se con Cristo e con i suoi angeli oppure con il diavolo e con i suoi adepti, per usare lo stesso linguaggio del Vangelo. Sta a noi decidere se praticare la giustizia o l’iniquità, se abbracciare l’amore e il perdono o la vendetta e l’odio omicida. Da questo dipende la nostra salvezza personale, ma anche la salvezza del mondo. Ecco perché Gesù vuole associarci alla sua regalità; ecco perchè ci invita a collaborare all’avvento del suo Regno di amore, di giustizia e di pace. Sta a noi rispondergli, non con le parole, ma con i fatti: scegliendo la via dell’amore fattivo e generoso verso il prossimo, noi permettiamo a Lui di estendere la sua signoria nel tempo e nello spazio. Vi aiuti sant’Andrea a rinnovare con coraggio la vostra decisione di appartenere a Cristo e di porvi al servizio del suo Regno di giustizia, di pace e di amore, e la Vergine Maria, Madre di Gesù nostro Re, protegga sempre le vostre comunità. Da parte mia, vi assicuro il ricordo nella preghiera mentre, ringraziandovi ancora per la vostra visita, di cuore tutti vi benedico.



CELEBRAZIONE ECUMENICA PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE E DAL CATHOLICOS DI CILICIA DEGLI ARMENI, SUA SANTITÀ ARAM I Lunedì, 24 novembre 2008

24118

SALUTO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI A SUA SANTITÀ ARAM I, CATHOLICOS DELLA CHIESA ARMENA APOSTOLICA DI CILICIA Cappella "Redemptoris Mater" - Palazzo Apostolico Vaticano



Santità,

con sincero affetto nel Signore saluto Lei e i distinti membri della sua delegazione in occasione della sua visita alla Chiesa di Roma. Il nostro incontro di oggi è il proseguimento della visita che Lei ha reso al mio amato predecessore Papa Giovanni Paolo II nel gennaio del 1997, dei numerosi altri contatti e delle visite reciproche che, per grazia di Dio, hanno condotto negli ultimi anni a rapporti più stretti fra la Chiesa cattolica e la Chiesa apostolica armena.

In questo Anno Paolino, visiterà la tomba dell'Apostolo delle Genti e pregherà con la comunità monastica presso la basilica eretta in sua memoria. In quella preghiera, si unirà alla grande schiera di santi e martiri, insegnanti e teologi, la cui eredità di dottrina, santità e risultati missionari sono parte del patrimonio di tutta la Chiesa. Pensiamo ai santi Nerses Shnorkhali e Nerses di Lambon che, quale Vescovo di Tarso, era noto come "secondo Paolo di Tarso". Quella testimonianza ebbe il suo culmine nel XX secolo, un tempo di indicibile sofferenza per il suo popolo. La fede e la devozione del popolo armeno sono state sostenute costantemente dal ricordo dei numerosi martiri che hanno testimoniato il Vangelo nel corso dei secoli. Che la grazia di quella testimonianza continui a plasmare la cultura della sua nazione e a ispirare ai seguaci di Cristo una fiducia sempre maggiore nella forza salvifica e donatrice di vita della Croce.

Da molto tempo la Sede di Cilicia partecipa a positivi contatti ecumenici fra le Chiese. Infatti, il dialogo fra le Chiese ortodosse orientali e la Chiesa cattolica ha beneficiato in maniera significativa della presenza dei suoi delegati armeni. Dobbiamo sperare che questo dialogo prosegua poiché promette di chiarire questioni teologiche che ci hanno diviso in passato, ma che ora sembrano aperte a un maggiore consenso. Confido nel fatto che l'opera attuale della Commissione Internazionale sul tema "La Natura, la costituzione e la missione della Chiesa" permetta a molte specifiche questioni del nostro dialogo teologico di trovare il proprio contesto e la propria soluzione.

Di certo l'aumento di comprensione, rispetto e cooperazione che è emerso dal dialogo ecumenico è molto promettente per l'annuncio del Vangelo del nostro tempo. Nel mondo gli armeni vivono fianco a fianco con fedeli della Chiesa cattolica. Una comprensione e un apprezzamento maggiori della nostra comune tradizione apostolica contribuirà a una testimonianza ancora più efficace dei valori spirituali e morali senza i quali non può esistere un ordine sociale autenticamente giusto e umano. Per questo motivo, confido nell'elaborazione di strumenti nuovi e concreti che esprimano le dichiarazioni comuni che abbiamo già firmato.

Santità, non posso non assicurarla delle mie preghiere quotidiane e della profonda preoccupazione che nutro per il popolo del Libano e del Medio Oriente. Come possiamo non essere rattristati dalle tensioni e dai conflitti che continuano a frustrare tutti gli sforzi per promuovere la riconciliazione e la pace a ogni livello della vita civile e politica nella regione? Recentemente siamo stati tutti rattristati dall'intensificarsi della persecuzione e della violenza contro i cristiani in aree del Medio Oriente e altrove. Solo quando i Paesi coinvolti potranno determinare il proprio destino e i vari gruppi etnici e le varie comunità religiose si accetteranno e si rispetteranno reciprocamente, si potrà edificare la pace su solide basi di solidarietà, giustizia e rispetto per i diritti legittimi degli individui e dei popoli.

Con questi sentimenti e con affetto nel Signore, La ringrazio, Santità, ed esprimo la speranza che questi giorni trascorsi a Roma saranno fonte di numerose grazie per Lei e per quanti sono affidati alla sua sollecitudine pastorale. Su di Lei e su tutti i fedeli della Chiesa apostolica armena invoco gioia e pace in abbondanza nel Signore.




ALLE COMUNITÀ DEI PONTIFICI SEMINARI REGIONALI MARCHIGIANO, PUGLIESE E ABRUZZESE-MOLISANO Sala Clementina Sabato, 29 novembre 2008

29118

Cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari amici dei Seminari Regionali Marchigiano, Pugliese e Abruzzese-Molisano!

Sono particolarmente lieto di accogliervi in occasione del centenario di fondazione dei vostri rispettivi Seminari Regionali, sorti a seguito dell’incoraggiamento del Papa san Pio X, che sollecitò i Vescovi italiani, specialmente del centro-sud della Penisola, ad accordarsi per concentrare i Seminari, al fine di provvedere più efficacemente alla formazione degli aspiranti al sacerdozio. Vi saluto tutti con affetto, ad iniziare dagli Arcivescovi Mons. Edoardo Menichelli, Mons. Carlo Ghidelli e Mons. Francesco Cacucci, che ringrazio per le parole con le quali hanno voluto interpretare i comuni sentimenti. Saluto i rettori, i formatori, i professori e gli alunni e quanti quotidianamente vivono e lavorano in queste vostre istituzioni. In così significativa ricorrenza desidero unirmi a voi nel rendere lode al Signore, che in questo secolo ha accompagnato con la sua grazia la vita di tanti sacerdoti, formati in tali importanti realtà educative. Molti di loro sono impegnati oggi nelle varie articolazioni delle vostre Chiese locali, nella missione ad gentes e in altri servizi alla Chiesa universale; alcuni sono stati chiamati a ricoprire incarichi di alta responsabilità ecclesiale.

Vorrei rivolgermi ora particolarmente a voi, cari Seminaristi, che vi state preparando per essere operai nella vigna del Signore. Come ha ricordato anche la recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi, tra i compiti prioritari del presbitero c’è quello di spargere a larghe mani nel campo del mondo la Parola di Dio che, come il seme della parabola evangelica, sembra in realtà assai piccolo, ma, una volta germinato, diventa un grande arbusto e porta abbondanti frutti (cfr
Mt 13,31-32). La Parola di Dio che voi sarete chiamati a seminare a larghe mani e che porta in sé la vita eterna, è Cristo stesso, il solo che possa cambiare il cuore umano e rinnovare il mondo. Ma potremmo domandarci: l’uomo contemporaneo sente ancora bisogno di Cristo e del suo messaggio di salvezza?

Nell’attuale contesto sociale, una certa cultura pare mostrarci il volto di una umanità autosufficiente, desiderosa di realizzare i propri progetti da sola, che sceglie di essere unica artefice dei propri destini, e che, di conseguenza, ritiene ininfluente la presenza di Dio e perciò la esclude di fatto dalle sue scelte e decisioni. In un clima segnato talora da un razionalismo chiuso in sé stesso, che considera quello delle scienze pratiche l'unico modello di conoscenza, il resto diventa tutto soggettivo e di conseguenza anche l’esperienza religiosa rischia di essere vista come una scelta soggettiva, non essenziale e determinante per la vita. Certamente oggi, per queste ed altre ragioni, è diventato sicuramente più difficile credere, sempre più difficile accogliere la Verità che è Cristo, sempre più difficile spendere la propria esistenza per la causa del Vangelo. Tuttavia, come la cronaca quotidianamente registra, l’uomo contemporaneo appare spesso smarrito e preoccupato per il suo futuro, in cerca di certezze e desideroso di punti di riferimento sicuri. L’uomo del terzo millennio, come del resto in ogni epoca, ha bisogno di Dio e lo cerca talora anche senza rendersene conto. Compito dei cristiani, in modo speciale, dei sacerdoti è raccogliere quest’anelito profondo del cuore umano ed offrire a tutti, con mezzi e modi rispondenti alle esigenze dei tempi, l’immutabile e perciò sempre viva e attuale Parola di vita eterna che è Cristo, Speranza del mondo.

In vista di questa importante missione, che sarete chiamati a svolgere nella Chiesa, assumono grande valore gli anni di seminario, tempo destinato alla formazione e al discernimento; anni nei quali al primo posto deve esserci la costante ricerca di un rapporto personale con Gesù, una esperienza intima del suo amore, che si acquisisce attraverso la preghiera innanzitutto e il contatto con la Sacre Scritture, lette, interpretate e meditate nella fede della comunità ecclesiale. In questo Anno Paolino come non proporvi l’apostolo Paolo, quale modello a cui ispirarvi per la vostra preparazione al ministero apostolico? L’esperienza straordinaria sulla via di Damasco lo trasformò, da persecutore dei cristiani, in testimone della risurrezione del Signore, pronto a dare la vita per il Vangelo. Egli era un fedele osservante di tutte le prescrizioni della Torah e delle tradizioni ebraiche, ma, dopo aver incontrato Gesù, "queste cose che per me erano guadagni – scrive nella Lettera ai Filippesi – io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo". "Per lui – aggiunge – ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui" (cfr 3,7-9). La conversione non ha eliminato quanto c'era di bene e di vero nella sua vita, ma gli ha permesso di interpretare in modo nuovo la saggezza e la verità della legge e dei profeti e di divenire così capace di dialogare con tutti, seguendo l’esempio del divino Maestro.

Ad imitazione di san Paolo, cari Seminaristi, non stancatevi di incontrare Cristo nell’ascolto, nella lettura e nello studio della Sacra Scrittura, nella preghiera e nella meditazione personale, nella liturgia e in ogni altra attività quotidiana. Importante è, al riguardo, il vostro ruolo, cari responsabili della formazione, chiamati ad essere per i vostri allievi testimoni ancor prima che maestri di vita evangelica. I Seminari Regionali, per le loro tipiche caratteristiche, possono essere luoghi privilegiati per formare i seminaristi alla spiritualità diocesana, iscrivendo con saggezza ed equilibrio tale formazione nel più ampio contesto ecclesiale e regionale. Le vostre istituzioni siano pure "case" di accoglienza vocazionale per imprimere ancor maggiore impulso alla pastorale vocazionale, curando specialmente il mondo giovanile ed educando i giovani ai grandi ideali evangelici e missionari.

Cari amici, mentre vi ringrazio per la vostra visita, invoco su ciascuno di voi la materna protezione della Vergine Madre di Cristo, che la liturgia dell’Avvento ci presenta come modello di chi veglia nell’attesa del ritorno glorioso del suo divin Figlio. A Lei affidatevi con fiducia, ricorrete sovente alla sua intercessione, perché vi aiuti a restare desti e vigilanti. Da parte mia vi assicuro il mio affetto e la mia preghiera quotidiana, mentre di cuore tutti vi benedico.




AI DOCENTI E AGLI STUDENTI DELL'UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA Aula della Benedizione Lunedì, 1° dicembre 2008

11208

Signor Rettore,
illustri Professori,
cari studenti e membri del personale amministrativo e tecnico!

Sono lieto di accogliervi in questo incontro che avete voluto per commemorare le antiche radici dell’Ateneo di Parma. E sono particolarmente contento che, riferendovi proprio a quel periodo originario, abbiate scelto quale figura rappresentativa san Pier Damiani, di cui abbiamo appena celebrato il millenario della nascita e che nelle scuole parmensi fu dapprima studente e poi maestro. Saluto cordialmente il Rettore, Prof. Gino Ferretti, e lo ringrazio per le cortesi parole con cui si è fatto interprete dei sentimenti di tutti i presenti. Sono lieto di vedere insieme con voi il Vescovo di Parma, Mons. Enrico Solmi, come pure altre Autorità politiche e militari. A tutti voi, Professori, studenti e membri del personale amministrativo e tecnico rivolgo il mio sincero benvenuto.

Come sapete, l’attività universitaria è stata il mio ambito di lavoro per tanti anni, e anche dopo averla lasciata non ho mai smesso di seguirla e di sentirmi spiritualmente legato ad essa. Molte volte ho avuto la possibilità di parlare in diversi Atenei, e ricordo bene di essere venuto anche a Parma, nel 1990, dove svolsi una riflessione sulle “vie della fede” in mezzo ai mutamenti del tempo presente (cfr Svolta per l’Europa?, Edizioni Paoline 1991, PP 65-89). Oggi vorrei soffermarmi brevemente a considerare con voi la “lezione” che ci ha lasciato san Pier Damiani, cogliendone alcuni spunti di particolare attualità per l’ambiente universitario dei nostri giorni.

Lo scorso anno, in occasione della memoria liturgica del grande Eremita, il 20 febbraio, ho indirizzato una lettera all’Ordine dei monaci Camaldolesi, nella quale ho messo in luce come sia particolarmente valida per il nostro tempo la caratteristica centrale della sua personalità, vale a dire la felice sintesi tra la vita eremitica e l’attività ecclesiale, l’armonica tensione tra i due poli fondamentali dell’esistenza umana: la solitudine e la comunione (cfr Lettera all’Ordine dei Camaldolesi, 20 febbraio 2007). Quanti, come voi, si dedicano agli studi a livello superiore – per l’intera vita oppure nell’età giovanile – non possono non essere sensibili a questa eredità spirituale di san Pier Damiani. Le nuove generazioni sono oggi fortemente esposte a un duplice rischio, dovuto prevalentemente alla diffusione delle nuove tecnologie informatiche: da una parte, il pericolo di vedere sempre più ridursi la capacità di concentrazione e di applicazione mentale sul piano personale; dall’altra, quello di isolarsi individualmente in una realtà sempre più virtuale. Così la dimensione sociale si disperde in mille frammenti, mentre quella personale si ripiega su se stessa e tende a chiudersi a costruttive relazioni con l’altro e il diverso da sé. L’Università, invece, per sua natura vive proprio del virtuoso equilibrio tra il momento individuale e quello comunitario, tra la ricerca e la riflessione di ciascuno e la condivisione e il confronto aperti agli altri, in un orizzonte tendenzialmente universale.

Anche la nostra epoca, come quella di Pier Damiani, è segnata da particolarismi e incertezze, per carenza di principi unificanti (cfr ibid.). Gli studi accademici dovrebbero senz’altro contribuire a qualificare il livello formativo della società, non solo sul piano della ricerca scientifica strettamente intesa, ma anche, più in generale, nell’offerta ai giovani della possibilità di maturare intellettualmente, moralmente e civilmente, confrontandosi con i grandi interrogativi che interpellano la coscienza dell’uomo contemporaneo.

La storia annovera Pier Damiani tra i grandi “riformatori” della Chiesa dopo l’anno Mille. Lo possiamo definire l’anima di quella riforma che va sotto il nome del Papa san Gregorio VII, Ildebrando di Soana, del quale Pier Damiani fu stretto collaboratore da quando, prima di essere eletto Vescovo di Roma, era Arcidiacono di questa Chiesa (cfr Lettera all’Ordine dei Camaldolesi, 20 febbraio 2007). Ma qual è il genuino concetto di riforma? Un aspetto fondamentale che possiamo ricavare dagli scritti e più ancora dalla testimonianza personale di Pier Damiani è che ogni autentica riforma dev’essere anzitutto spirituale e morale, deve cioè partire dalle coscienze. Spesso oggi, anche in Italia, si parla di riforma universitaria. Penso che, fatte le debite proporzioni, rimanga sempre valido questo insegnamento: le modifiche strutturali e tecniche sono effettivamente efficaci se accompagnate da un serio esame di coscienza da parte dei responsabili a tutti i livelli, ma più in generale di ciascun docente, di ogni studente, di ogni impiegato tecnico e amministrativo. Sappiamo che Pier Damiani era molto rigoroso con se stesso e con i suoi monaci, molto esigente nella disciplina. Se si vuole che un ambiente umano migliori in qualità ed efficienza, occorre prima di tutto che ciascuno cominci col riformare se stesso, correggendo ciò che può nuocere al bene comune o in qualche modo ostacolarlo.

Collegato al concetto di riforma, vorrei porre in risalto anche quello di libertà. In effetti, il fine dell’opera riformatrice di san Pier Damiani e degli altri suoi contemporanei era far sì che la Chiesa diventasse più libera, prima di tutto sul piano spirituale, ma poi anche su quello storico. Analogamente, la validità di una riforma dell’Università non può che avere come riscontro la sua libertà: libertà di insegnamento, libertà di ricerca, libertà dell’istituzione accademica nei confronti dei poteri economici e politici. Questo non significa isolamento dell’Università dalla società, né autoreferenzialità, né tanto meno perseguimento di interessi privati approfittando di risorse pubbliche. Non è di certo questa la libertà cristiana! Veramente libera, secondo il Vangelo e la tradizione della Chiesa, è quella persona, quella comunità o quella istituzione che risponde pienamente alla propria natura e al proprio fine, e la vocazione dell’Università è la formazione scientifica e culturale delle persone per lo sviluppo dell’intera comunità sociale e civile.

Cari amici, vi ringrazio perché con la vostra visita, oltre che il piacere di incontrarvi, mi avete dato l’opportunità di riflettere sull’attualità di san Pier Damiani, al termine delle celebrazioni millenarie in suo onore. Auguro ogni bene per l’attività scientifica e didattica del vostro Ateneo, e prego perché esso, malgrado le dimensioni ormai notevoli, tenda sempre a costituire una universitas studiorum, in cui ognuno possa riconoscersi ed esprimersi come persona, partecipando alla ricerca “sinfonica” della verità. A questo scopo incoraggio le iniziative di pastorale universitaria in atto, che risultano essere un prezioso servizio alla formazione umana e spirituale dei giovani. E in tale contesto auspico anche che la storica chiesa di san Francesco al Prato possa essere presto riaperta al culto, a beneficio dell’Università e della Città intera. Per tutto questo intercedano san Pier Damiani e la Beata Vergine Maria, e vi accompagni anche la mia Benedizione, che imparto volentieri a voi, a tutti i colleghi ed ai vostri cari.




AI VESCOVI DEL CILE IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM" Giovedì, 4 dicembre 2008

41208

Signor cardinale,
Cari fratelli nell'episcopato,

1. Vi porgo il mio più cordiale benvenuto in questo incontro nel quale culmina la vostra visita ad limina e che mi ha permesso di condividere, come Successore di Pietro, gli impegni apostolici che affrontate nell'amata terra cilena.

Desidero innanzitutto ringraziare vivamente monsignor Alejandro Goic Karmelic, vescovo di Rancagua e presidente della Conferenza episcopale, per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Esprimo anche il mio affetto e la mia riconoscenza alle vostre rispettive diocesi e a tutti i figli della Chiesa in Cile.

2. Il Signore Gesù, dopo aver trascorso la notte in preghiera, "chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli" (
Lc 6,12). Egli ha scelto anche voi, cari fratelli successori degli apostoli, e rendendovi partecipi del suo amore, vi ha affidato il compito di diffondere nel mondo il suo messaggio di salvezza (cfr. Jn 15,15).

Per questo vi invito a coltivare un'intensa vita interiore e di fede profonda, poiché nel contatto intimo con il Maestro nella preghiera maturano le iniziative pastorali migliori per rispondere ai bisogni spirituali dei fedeli e così, partendo da Dio, potremo giungere ai nostri fratelli con una parola efficace di speranza. Indubbiamente le difficoltà e gli ostacoli sono molti, ma sostenuti dalla promessa di nostro Signore, che ci assicura della sua presenza fra noi tutti i giorni fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20), e dal potere del suo Spirito Santo, potremo dedicarci con gioia ed entusiasmo al grande compito di portare Cristo a tutti gli uomini con lo stesso ardore degli apostoli.

3. Quale frutto di un vasto sforzo di discernimento ecclesiale, e in sintonia con il documento conclusivo della V conferenza generale dell'episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, tenutasi ad Aparecida, avete elaborato alcuni validi orientamenti pastorali per i prossimi quattro anni. Con essi intendete suscitare in tutti i fedeli la gioia di seguire Cristo, e anche una maggiore coscienza missionaria che permetta a tutta la comunità ecclesiale cilena di affrontare con vero impulso apostolico le sfide del momento presente.

Questa grande impresa evangelizzatrice, nella quale vi siete risolutamente impegnati, esige da tutti uno sforzo particolare di purificazione e di carità. Sapete bene che l'uomo di oggi sente l'urgente bisogno di esempi di vita veramente evangelici e coerenti. Per questo la santità di tutti i membri della Chiesa, e soprattutto dei suoi pastori, è uno dei doni più preziosi che potete offrire ai vostri fratelli. Ricordando numerosi santi e beati della vostra terra che, con la loro meravigliosa testimonianza di fede e di dedizione al servizio dei fratelli (cfr. Orientaciones Pastorales, n. 3), sono un patrimonio non solo della Chiesa cattolica ma di tutta la società cilena, continuate a proporre instancabilmente la chiamata universale alla santità (cfr. Lumen gentium LG 39-42).

4. Desidero anche affidarvi in modo particolare i sacerdoti, vostri più vicini collaboratori, e vi chiedo di trasmettere loro la mia riconoscenza per la loro fedeltà al ministero ricevuto e per il lavoro costante e generoso che svolgono. Mostratevi molto vicini alle loro difficoltà e aiutateli affinché, fra le molteplici attività che riempiono la loro giornata, sappiano dare la priorità alla preghiera e alla celebrazione dell'Eucaristia, che li conforma a Gesù Cristo, sommo ed eterno sacerdote.

A tale proposito, vi incoraggio affinché non desistiate dai vostri sforzi per migliorare la qualità della formazione umana, intellettuale e spirituale dei seminaristi. È inoltre necessario potenziare la dimensione vocazionale della vita cristiana nella pastorale con i giovani, mediante un adeguato accompagnamento spirituale che permetta loro di rispondere con generosità alla chiamata di Gesù nella loro vita.

5. Conosco anche la grande opera che avete realizzato affinché i laici accettino con responsabilità e maturità le esigenze del loro battesimo, partecipando secondo la propria condizione laicale alla missione di tutta la Chiesa. Continuate a offrire loro un'adeguata educazione alla fede, come pure un contatto più assiduo con la Parola di Dio, che li porti a un maggiore impegno missionario nella loro vita. Essi hanno ricevuto come vocazione specifica la santificazione del mondo, trasformandolo dal di dentro secondo il progetto di Dio (cfr. ibidem, n. 31). Tutti i settori della società possono essere illuminati dalla luce della fede. Penso, fra le altre cose, al mondo della cultura, della scienza e della politica, alla promozione della famiglia, fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, alla creazione di condizioni di lavoro più giuste e all'aiuto ai più bisognosi, alla tutela dell'ambiente, alla difesa della vita umana in tutte le fasi della sua esistenza e all'obbligo e al diritto dei genitori all'educazione morale e spirituale dei figli.

Un altro aspetto importante del vostro ministero che desidero raccomandarvi vivamente è l'attività caritativa delle vostre diocesi a favore dei poveri. In effetti, sull'esempio della prima comunità di discepoli (cfr. At Ac 2,42-44), dobbiamo cercare di far sì che la Chiesa, come famiglia di Dio, sia un luogo di aiuto reciproco (cfr. Deus caritas est ).

6. Infine, vi incoraggio a continuare a coltivare lo spirito di comunione con il Romano Pontefice e con gli altri fratelli vescovi, soprattutto all'interno della stessa Conferenza episcopale e della stessa provincia ecclesiastica. Cari fratelli, siete stati conformati "a Cristo per amare la Chiesa con l'amore di Cristo sposo" (Pastores gregis ) e per vegliare sull'unità e proteggerla. Siate dunque per tutti veri modelli e strumenti di comunione.

Nel congedarmi da voi, vi chiedo di portare ai vescovi emeriti, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi, e anche a tutti i fedeli, il saluto del Papa e di assicurarli della sua preghiera per loro. Pongo nelle mani materne della Vergine del Carmen le vostre persone, affinché Ella vi guidi e vi aiuti a condurre a buon fine i vostri impegni apostolici, e vi imparto la Benedizione Apostolica, che estendo a tutti i vostri amati fedeli diocesani.




A S.E. IL SIGNOR JUAN PABLO CAFIERO, AMBASCIATORE DI ARGENTINA PRESSO LA SANTA SEDE Venerdì, 5 dicembre 2008

51208
Signor Ambasciatore,

1. Questa cerimonia di inizio della sua alta responsabilità, nella quale lei, eccellenza, presenta le lettere che l'accreditano quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica Argentina presso la Santa Sede, rappresenta un momento particolarmente importante nel cammino delle relazioni bilaterali fra la Sede Apostolica e il suo nobile Paese, che confidiamo siano sempre più fluide e fruttuose.

Desidero contraccambiare con viva gratitudine le sue attente parole e i deferenti saluti che mi ha trasmesso a nome della dottoressa Cristina Fernández de Kirchner, presidente della Nazione Argentina, mentre accompagno con la mia preghiera ogni iniziativa che incoraggi la concordia, la giustizia e il conseguimento del bene comune in questa amata terra. Gli argentini sanno bene di occupare un posto di particolare rilievo nel cuore del Papa. Penso a essi e presento a Dio i loro progetti, le loro gioie e anche le loro preoccupazioni, affinché si schiudano per tutti orizzonti di prosperità, di un presente ricco di feconde realizzazioni e di un futuro luminoso e sereno.

2. Sono lieto, in modo particolare, di riceverla, eccellenza, come Ambasciatore di un Paese dalle profonde tradizioni cristiane che hanno seminato e coltivato usanze significative, plasmando in tal modo l'identità culturale e la religiosità di popoli che anelano a superarsi ogni giorno e a offrire alla comunità internazionale il meglio di sé, come hanno già dimostrato in diverse occasioni, dando prova della loro generosità e dei loro alti obiettivi. Questo prezioso patrimonio spirituale illumina e potenzia le aspirazioni fondamentali dell'uomo. Per questo è importante considerarlo, oltre che come un'eredità che bisogna conservare, anche come un tesoro dal quale si può continuamente trarre forza per affrontare il presente, offrendolo quale dono prezioso alle nuove generazioni.

3. Il messaggio evangelico si è radicato profondamente in questa nazione recando numerosi frutti, specialmente in illustri modelli di condotta che hanno arricchito gli altri con la testimonianza esemplare delle loro virtù umane e cristiane. Fra di essi, ricordo con piacere l'insigne figura di Ceferino Numuncurá, la cui beatificazione alla fine dello scorso anno è stata una gioia per tutto il popolo di Dio. Questo giovane mapuche, figlio spirituale di san Giovanni Bosco, è un segno splendido di come "Cristo, essendo realmente il Logos incarnato, "l'amore fino alla fine", non è estraneo a alcuna cultura né ad alcuna persona; al contrario, la risposta desiderata nel cuore delle culture è quella che dà a esse la loro identità ultima, unendo l'umanità e rispettando contemporaneamente la ricchezza della diversità, aprendo tutti alla crescita nella vera umanizzazione, nell'autentico progresso" (Discorso nella sessione inaugurale della v Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano e dei Caraibi, Aparecida, 13 maggio 2007, n. 1).

4. La Chiesa, nell'esercizio della missione che le è propria, cerca in ogni momento di promuovere la dignità della persona e di elevarla in modo integrale a beneficio di tutti. In questo contesto, la fede in Cristo ha dato impulso in Argentina a numerose iniziative benefiche e assistenziali, sia nelle diocesi sia attraverso istituti religiosi e associazioni laicali. La sollecitudine e l'attività ecclesiali, concentrandosi in particolare nel campo spirituale e morale, si sono irradiate anche, e con peculiare intensità, ad ambiti sanitari, culturali, educativi, lavorativi e di attenzione verso i bisognosi.

Con le sue opere, la comunità cattolica intende unicamente rendere una testimonianza di carità e proiettare sulle coscienze la luce del Vangelo, affinché l'uomo raggiunga una pienezza di vita che si riveli in una degna condotta individuale e in una convivenza responsabile e armoniosa, di reciproca comprensione e perdono. Bisogna segnalare a tale riguardo l'importanza che ha l'evitare quegli atteggiamenti che deteriorano la fraternità e la mutua comprensione, dando vigore, al contrario, a quanto favorisce il senso di responsabilità civile per il bene di tutta la società.
In questa prospettiva, la Chiesa, senza voler divenire un soggetto politico, aspira, con l'indipendenza della sua autorità morale, a cooperare in modo leale e aperto con tutti i responsabili dell'ordine temporale nel nobile disegno di instaurare una civiltà di giustizia, di pace, di riconciliazione e di solidarietà, e di quelle altre norme che non si potranno mai abolire né lasciare alla mercé di consensi di parte, poiché sono incise nel cuore umano e rispondono alla verità. In tal senso, la presenza di Dio sia nella coscienza di ogni uomo sia nell'ambito pubblico, è un sostegno saldo per il rispetto dei diritti fondamentali della persona e l'edificazione di una società fondata su di essi. Desidero per questo formulare i miei migliori auspici affinché il dialogo e la collaborazione fra le autorità argentine e l'episcopato di questa nazione si rafforzino per il bene comune di tutta la popolazione.

5. Il XXI secolo sta mostrando in modo sempre più nitido la necessità di forgiare la vita personale, familiare e sociale secondo questi valori irrinunciabili che nobilitano la persona e tutta la comunità. Fra di essi, bisogna sottolineare il sostegno alla famiglia basata sul matrimonio fra un uomo e una donna, l'orientamento da parte di una morale le cui note principali sono inscritte nel più intimo dell'animo umano, lo spirito di sacrificio e la solidarietà generosa, che si manifesti specialmente quando le circostanze sono particolarmente avverse, la difesa della vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale, lo sradicamento della povertà, l'onestà, la lotta contro la corruzione, l'adozione di misure per assistere i genitori nel loro diritto inalienabile di educare i figli nelle proprie convinzioni etiche e religiose, come pure la promozione dei giovani, affinché siano uomini e donne di pace e di riconciliazione.

6. In tal senso, proprio oggi, alla presenza di una delegazione di questa Sede Apostolica, s'incontreranno i presidenti di Argentina e Cile per commemorare il trentesimo anniversario della mediazione compiuta dal mio venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, nella soluzione della controversia nata fra le due nazioni circa la definizione dei loro confini nella zona australe del continente. Il monumento che verrà costruito nella località di Monte Aymond sarà una testimonianza eloquente e servirà a rafforzare ancora di più i vincoli di fratellanza e la volontà di intesa fra i due Paesi, i quali, grazie agli sforzi dei loro governanti e istituzioni, come pure ai loro comuni ideali culturali, sociali e religiosi, seppero abbandonare la via dello scontro per dimostrare che, con il dialogo e la grandezza di cuore, si può raggiungere una pace degna, stabile e salda, come è proprio di popoli civilizzati e saggi.

7. Al termine di questo incontro, formulo i miei voti migliori per lei, eccellenza, la sua famiglia e il personale di questa missione diplomatica e le esprimo la disponibilità e il sostegno dei miei collaboratori in tutto ciò che può contribuire al buon svolgimento del suo lavoro come Ambasciatore. Le chiedo di farsi portatore dinanzi a tutti i suoi connazionali, e in particolare dinanzi al signor presidente della Repubblica Argentina e il suo Governo, del saluto cordiale del Papa, e supplico il Signore, per materna intercessione di Nuestra Señora de Luján, di colmare di copiosi doni tutti i figli e le figlie di questo amato Paese, ai quali imparto con piacere la Benedizione Apostolica.





Discorsi 2005-13 22118