Discorsi 2005-13 62110

CERIMONIA DI BENVENUTO Aeroporto di Santiago de Compostela Sabato, 6 novembre 2010

62110

Altezze Reali,
Distinte Autorità Nazionali, Regionali e Locali,
Signor Arcivescovo di Santiago di Compostela,
Signor Cardinale Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola,
Signori Cardinali e Fratelli nell’Episcopato,
Cari fratelli e sorelle,
Amici tutti.

Grazie, Altezza, per le deferenti parole che mi ha rivolto a nome di tutti, e che sono l’eco profondo dei sentimenti di affetto verso il Successore di Pietro dei figli e delle figlie di queste nobili terre.

Saluto cordialmente coloro che sono qui presenti e tutti quelli che si uniscono a noi attraverso i mezzi di comunicazione sociale, ringraziando anche quanti hanno collaborato generosamente, ai diversi livelli ecclesiale e civile, perché questo breve ma intenso viaggio a Santiago di Compostela e Barcellona sia molto fruttuoso.

Nel più profondo del suo essere, l’uomo è sempre in cammino, è alla ricerca della verità. La Chiesa partecipa a questo anelito profondo dell’essere umano e si pone essa stessa in cammino, accompagnando l’uomo che anela alla pienezza del proprio essere. Allo stesso tempo, la Chiesa compie il proprio cammino interiore, quello che la conduce attraverso la fede, la speranza e l’amore, a farsi trasparenza di Cristo per il mondo. Questa è la sua missione e questo è il suo cammino: essere sempre più, in mezzo agli uomini, presenza di Cristo, “il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione” (
1Co 1,30). Perciò, anch’io mi sono messo in cammino per confermare nella fede i miei fratelli (cfr Lc 22,32).

Vengo come pellegrino in questo Anno Santo Compostelano e porto nel cuore lo stesso amore a Cristo che spingeva l’Apostolo Paolo a intraprendere i suoi viaggi, con l’anelito di giungere anche in Spagna (cfr Rm 15,22-29). Desidero unirmi così alla grande schiera di uomini e donne che, lungo i secoli, sono venuti a Compostela da tutti gli angoli della Penisola Iberica e d’Europa, e anzi del mondo intero, per mettersi ai piedi di san Giacomo e lasciarsi trasformare dalla testimonianza della sua fede. Essi, con le orme dei loro passi e pieni di speranza, andarono creando una via di cultura, di preghiera, di misericordia e di conversione, che si è concretizzata in chiese e ospedali, in ostelli, ponti e monasteri. In questa maniera, la Spagna e l’Europa svilupparono una fisionomia spirituale marcata in modo indelebile dal Vangelo.

Proprio come messaggero e testimone del Vangelo, andrò anche a Barcellona, per rinvigorire la fede del suo popolo accogliente e dinamico. Una fede seminata già agli albori del cristianesimo, e che germinò e crebbe al calore di innumerevoli esempi di santità, dando origine a tante istituzioni di beneficienza, cultura ed educazione. Fede che ispirò il geniale architetto Antoni Gaudí a intraprendere in quella città, con il fervore e la collaborazione di molti, quella meraviglia che è la chiesa della Sacra Famiglia. Avrò la gioia di dedicare quella chiesa, nella quale si riflette tutta la grandezza dello spirito umano che si apre a Dio.

Provo una gioia profonda nell’essere di nuovo in Spagna, che ha dato al mondo una moltitudine di grandi Santi, fondatori e poeti, come Ignazio di Loyola, Teresa di Gesù, Giovanni della Croce, Francesco Saverio, fra tanti altri; Spagna che nel secolo XX ha suscitato nuove istituzioni, gruppi e comunità di vita cristiana e di azione apostolica e, negli ultimi decenni, cammina in concordia e unità, in libertà e pace, guardando al futuro con speranza e responsabilità. Mossa dal suo ricco patrimonio di valori umani e spirituali, cerca pure di progredire in mezzo alle difficoltà e offrire la sua solidarietà alla comunità internazionale.

Questi apporti e iniziative della vostra lunga storia, e anche di oggi, insieme al significato di questi due luoghi della vostra bella geografia che visiterò in questa occasione, mi spronano ad allargare il mio pensiero a tutti i popoli di Spagna e d’Europa. Come il Servo di Dio Giovanni Paolo II, che da Compostela esortò il Vecchio Continente a dare nuovo vigore alle sue radici cristiane, anch’io vorrei esortare la Spagna e l’Europa a edificare il loro presente e a progettare il loro futuro a partire dalla verità autentica dell’uomo, dalla libertà che rispetta questa verità e mai la ferisce, e dalla giustizia per tutti, iniziando dai più poveri e derelitti. Una Spagna e un’Europa non solo preoccupate delle necessità materiali degli uomini, ma anche di quelle morali e sociali, di quelle spirituali e religiose, perché tutte queste sono esigenze autentiche dell’unico uomo e solo così si opera in modo efficace, integro e fecondo per il suo bene.

Cari amici, vi ripeto la mia gratitudine per il vostro cordiale benvenuto e la vostra presenza in questo aeroporto. Rinnovo il mio affetto e la mia vicinanza agli amatissimi figli di Galizia, di Catalogna e degli altri popoli della Spagna. Nell’affidare all’intercessione di san Giacomo Apostolo la mia presenza tra voi, supplico Dio che giunga a tutti la sua benedizione. Molte grazie.



VISITA ALLA CATTEDRALE DI SANTIAGO DE COMPOSTELA Santiago de Compostela Sabato, 6 novembre 2010

63110

Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell’Episcopato,
Distinte Autorità,
Cari sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose,
Cari fratelli e sorelle,
Amici tutti.

Ringrazio Monsignor Julián Barrio Barrio, Arcivescovo di Santiago di Compostela, per le cortesi parole che mi ha appena rivolto e alle quali rispondo con piacere, salutando tutti con affetto nel Signore e ringraziandovi per la vostra presenza in questo luogo così significativo.

Andare in pellegrinaggio non è semplicemente visitare un luogo qualsiasi per ammirare i suoi tesori di natura, arte o storia. Andare in pellegrinaggio significa, piuttosto, uscire da noi stessi per andare incontro a Dio là dove Egli si è manifestato, là dove la grazia divina si è mostrata con particolare splendore e ha prodotto abbondanti frutti di conversione e santità tra i credenti. I cristiani andarono in pellegrinaggio, anzitutto, nei luoghi legati alla passione, morte e resurrezione del Signore, in Terra Santa. Poi a Roma, città del martirio di Pietro e Paolo, e anche a Compostela, che, unita alla memoria di san Giacomo, ha accolto pellegrini di tutto il mondo, desiderosi di rafforzare il loro spirito con la testimonianza di fede e amore dell’Apostolo.

In questo Anno Santo Compostelano, come Successore di Pietro, ho voluto anch’io venire in pellegrinaggio alla Casa del “Señor Santiago” [san Giacomo ndt.], che si appresta a celebrare l’anniversario degli ottocento anni dalla sua consacrazione, per confermare la vostra fede e ravvivare la vostra speranza, e per affidare all’intercessione dell’Apostolo i vostri aneliti, fatiche e opere per il Vangelo. Nell’abbracciare la sua venerata immagine, ho pregato anche per tutti i figli della Chiesa, che ha la sua origine nel mistero di comunione che è Dio. Mediante la fede, siamo introdotti nel mistero di amore che è la Santissima Trinità. Siamo, in un certo modo, abbracciati da Dio, trasformati dal suo amore. La Chiesa è questo abbraccio di Dio nel quale gli uomini imparano anche ad abbracciare i propri fratelli, scoprendo in essi l’immagine e somiglianza divina, che costituisce la verità più profonda del loro essere, e che è origine della vera libertà.

Tra verità e libertà vi è una relazione stretta e necessaria. La ricerca onesta della verità, l’aspirazione ad essa, è la condizione per un’autentica libertà. Non si può vivere l’una senza l’altra. La Chiesa, che desidera servire con tutte le sue forze la persona umana e la sua dignità, è al servizio di entrambe, della verità e della libertà. Non può rinunciare ad esse, perché è in gioco l’essere umano, perché la spinge l’amore all’uomo, “il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa” (Gaudium et spes
GS 24), e perché senza tale aspirazione alla verità, alla giustizia e alla libertà, l’uomo si perderebbe esso stesso.

Permettetemi che da Compostela, cuore spirituale della Galizia e, allo stesso tempo, scuola di universalità senza confini, esorti tutti i fedeli di questa cara Arcidiocesi, e tutti quelli della Chiesa in Spagna, a vivere illuminati dalla verità di Cristo, professando la fede con gioia, coerenza e semplicità, in casa, nel lavoro e nell’impegno come cittadini.

Che la gioia di sentirvi figli amati di Dio vi spinga anche ad una amore sempre più profondo per la Chiesa, collaborando con essa nella sua opera di portare Cristo a tutti gli uomini. Pregate il Padrone della messe, perché molti giovani si consacrino a questa missione nel ministero sacerdotale e nella vita consacrata: oggi, come sempre, vale la pena dedicarsi per tutta la vita a proporre la novità del Vangelo.

Non voglio concludere senza prima esprimere felicitazione e ringraziamento a tutti i cattolici spagnoli per la generosità con la quale sostengono tante istituzioni di carità e di promozione umana. Non stancatevi di mantenere queste opere, che apportano beneficio a tutta la società, e la cui efficacia si è manifestata in modo speciale nell’attuale crisi economica, così come in occasione delle gravi calamità naturali che hanno colpito vari Paesi.

Con questi sentimenti, prego l’Altissimo che conceda a tutta l’audacia che ebbe san Giacomo per essere testimone di Cristo Risorto, e così rimaniate fedeli nei cammini della santità e vi spendiate per la gloria di Dio e il bene dei fratelli più abbandonati. Molte grazie.




VISITA ALL’OPERA BENEFICO-SOCIALE DEL "NEN DÉU" Barcelona Domenica, 7 novembre 2010

7110

Signor Cardinale Arcivescovo di Barcellona,
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
Cari sacerdoti, diaconi, religiose e religiosi,
Distinte Autorità,
Cari amici,

Provo grande gioia nel poter essere qui con tutti voi, che formate questa più che centenaria Opera Benefico-Sociale del Nen Déu [Divino Infante]. Ringrazio, per il cordiale benvenuto che mi hanno offerto, il Cardinale Lluís Martínez Sistach, Arcivescovo di Barcellona, Suor Rosario, Superiora della Comunità, i bambini Antonio e Maria del Mar, che hanno preso la parola e tutti quelli che hanno così meravigliosamente cantato.

Esprimo la mia gratitudine anche ai presenti, in particolare ai membri del Patronato dell’Opera, alla Madre Generale e alle Religiose Francescane dei Sacri Cuori, ai bambini, giovani e adulti accolti in questa istituzione, ai loro genitori e agli altri famigliari, così come al personale e ai volontari che qui esercitano il loro benemerito lavoro.

Vorrei, allo stesso tempo, manifestare la mia riconoscenza alle Autorità, invitandole a prodigarsi perché i più svantaggiati siano sempre raggiunti dai servizi sociali, e a coloro che sostengono con il loro generoso aiuto entità assistenziali di iniziativa privata, come questa Scuola di Educazione Speciale del Nen Déu. In questi momenti, in cui molte famiglie sperimentano serie difficoltà economiche, dobbiamo moltiplicare, come discepoli di Cristo, i gesti concreti di solidarietà, tangibile e continua, mostrando così che la carità è il distintivo del nostro essere cristiani.

Con la dedicazione della Basilica della Sacra Famiglia, si è posto in rilievo questa mattina che l’edificio sacro è segno del vero santuario di Dio tra gli uomini. Ora voglio sottolineare come, con lo sforzo di questa e altre analoghe istituzioni ecclesiali – a cui si aggiungerà la nuova Residenza che avete desiderato portasse il nome del Papa – si mostra chiaramente che, per il cristiano, ogni uomo è un vero santuario di Dio, che deve essere trattato con sommo rispetto e affetto, soprattutto quando si trova nel bisogno. La Chiesa vuole così realizzare le parole del Signore nel Vangelo: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (
Mt 25,40). In questa terra, queste parole di Cristo hanno spinto molti figli della Chiesa a dedicare la propria vita all’insegnamento, alla beneficienza o alla cura dei malati e dei diversamente abili. Ispirati dal loro esempio, vi chiedo di continuare a soccorrere i più piccoli e bisognosi, dando loro il meglio di voi stessi.

Nella cura dei più deboli, molto hanno contribuito i formidabili progressi della sanità negli ultimi decenni, che sono stati accompagnati dalla crescente convinzione dell’importanza che ha, per il buon risultato del processo terapeutico, un rapporto umano attento. Perciò, è esigenza dell’essere umano che i nuovi sviluppi tecnologici nel campo medico non vadano mai a detrimento del rispetto per la vita e la dignità umana, in modo che coloro che soffrono malattie o disabilità psichiche o fisiche possano ricevere sempre quell’amore e quelle attenzioni che permettano loro di sentirsi valorizzati come persone nelle loro necessità concrete.

Cari bambini e giovani, mi congedo da voi rendendo grazie a Dio per le vostre vite, così preziose ai suoi occhi, e assicurandovi che occupate un posto molto importante nel cuore del Papa. Prego per voi tutti i giorni e vi chiedo di aiutarmi con la vostra preghiera a compiere con fedeltà la missione che Cristo mi ha affidato. Non tralascio inoltre di pregare per coloro che sono al servizio di chi soffre, lavorando instancabilmente perché le persone con disabilità possano occupare il loro giusto posto nella società e non siano emarginate a causa delle loro limitazioni. A questo proposito, vorrei riconoscere, in modo speciale, la testimonianza fedele dei sacerdoti e di coloro che visitano i malati nelle loro case, negli ospedali e in altre istituzioni specializzate. Essi incarnano l’importante ministero della consolazione di fronte alle fragilità della nostra condizione, che la Chiesa cerca di compiere con gli stessi sentimenti del Buon Samaritano (cfr Lc 10,29-37).

Per intercessione di Nostra Signora della Mercede e della Beata Madre Carmen di Gesù Bambino, Dio benedica tutti voi che formate la grande famiglia di questa splendida Opera, come anche i vostri cari e coloro che cooperano con questa o con simili istituzioni. Di ciò sia pegno la Benedizione Apostolica, che cordialmente imparto a tutti voi.


CERIMONIA DI CONGEDO Aeroporto Internazionale di Barcelona (El Prat) Domenica, 7 novembre 2010

7310

Maestà,
Signor Cardinale Arcivescovo di Barcellona,
Signor Cardinale Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola,
Signori Cardinali e Fratelli nell’Episcopato,
Signor Presidente del Governo,
Distinte Autorità Nazionali, Regionali e Locali,
Cari fratelli e sorelle,
Amici tutti.

Moltissime grazie. Desidererei che queste brevi parole potessero racchiudere i sentimenti di gratitudine che porto nel cuore nel concludere la mia visita a Santiago di Compostela e a Barcellona. Moltissime grazie, Maestà, per aver voluto essere qui presenti. Sono riconoscente per le cortesi parole che Vostra Maestà ha avuto la gentilezza di rivolgermi e che sono espressione dell’affetto di questo nobile popolo verso il Successore di Pietro. Insieme, voglio manifestare la mia cordiale gratitudine alle Autorità che ci accompagnano, ai Signori Arcivescovi di Santiago di Compostela e di Barcellona, all’Episcopato spagnolo e a tante persone che, senza risparmiare sacrifici, hanno collaborato perché questo viaggio riuscisse felicemente. Ringrazio vivamente per tutte le continue e delicate attenzioni che avete riservato in questi giorni al Papa, e che mettono in rilievo l’ospitalità e l’accoglienza delle genti di queste terre, tanto vicine al mio cuore.

A Compostela ho voluto unirmi, come un pellegrino tra gli altri, alle tante persone della Spagna, dell’Europa e di altri luoghi del mondo che giungono alla tomba dell’Apostolo per rafforzare la propria fede e ricevere il perdono e la pace. Come successore di Pietro, sono inoltre venuto per confermare i miei fratelli nella fede. Quella fede che agli albori del cristianesimo giunse a queste terre e si radicò tanto profondamente che è venuta forgiando lo spirito, le usanze, l’arte e il carattere delle genti che vi abitano. Preservare e accrescere questo ricco patrimonio spirituale, è segno non solo dell’amore di un Paese verso la propria storia e cultura, ma è anche una via privilegiata per trasmettere alle giovani generazioni quei valori fondamentali tanto necessari per edificare un futuro di convivenza armoniosa e solidale.

Le strade che attraversavano l’Europa per raggiungere Santiago erano molto diverse tra loro, ciascuna con la propria lingua e le proprie peculiarità, ma la fede era la stessa. C’era un linguaggio comune, il Vangelo di Cristo. In qualsiasi luogo, il pellegrino poteva sentirsi come a casa sua. Al di là delle differenze nazionali, era consapevole di essere membro di una grande famiglia, alla quale appartenevano gli altri pellegrini e abitanti che incontrava sul suo cammino. Che questa fede trovi nuovo vigore in questo Continente, e si trasformi in fonte di ispirazione, facendo crescere la solidarietà e il servizio verso tutti, specialmente i gruppi umani e le Nazioni più bisognose.

A Barcellona, ho avuto l’immensa gioia di dedicare la Basilica della Sacra Famiglia, che Gaudí concepì come una lode in pietra a Dio, e ho visitato anche una significativa istituzione ecclesiale di carattere benefico e sociale. Sono come due simboli, nella Barcellona di oggi, della fecondità di quella stessa fede, che segnò anche le profondità di questo popolo e che, attraverso la carità e la bellezza del mistero di Dio, contribuisce a creare una società più degna dell’uomo. In effetti, la bellezza, la santità e l’amore di Dio portano l’uomo a vivere nel mondo con speranza.

Rientro a Roma dopo aver visitato solo due luoghi della vostra meravigliosa terra. Ciò nonostante, con la preghiera e il pensiero ho desiderato abbracciare tutti gli spagnoli, senza eccezione alcuna, e tanti altri che vivono in mezzo a voi senza essere nati qui. Porto tutti nel mio cuore e prego per tutti, in particolare per coloro che soffrono, e li metto sotto la protezione materna di Maria Santissima, tanto venerata e invocata in Galizia, in Catalogna e nelle altre regioni della Spagna. A Lei chiedo anche che vi ottenga dall’Altissimo copiosi doni celesti, che vi aiutino a vivere come una sola famiglia, guidati dalla luce della fede. Vi benedico nel nome del Signore. Con il suo aiuto, ci rivedremo a Madrid il prossimo anno, per celebrare la Giornata Mondiale della Gioventù. Arrivederci.




AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO COMITATO PER I CONGRESSI EUCARISTICI INTERNAZIONALI Sala Clementina Giovedì, 11 novembre 2010

1110

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di accogliervi a conclusione dei lavori dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali. Saluto cordialmente ciascuno di voi, in particolare il Presidente, l’Arcivescovo Mons. Piero Marini, che ringrazio per le cortesi espressioni con cui ha introdotto il nostro incontro. Saluto i Delegati Nazionali delle Conferenze Episcopali e, in modo speciale, la Delegazione Irlandese, guidata da Mons. Diarmuid Martin, Arcivescovo di Dublino, città nella quale avrà luogo il prossimo Congresso Eucaristico Internazionale, nel giugno 2012. La vostra Assemblea ha dedicato grande attenzione a tale evento, che si inserisce anche nel programma di rinnovamento della Chiesa in Irlanda. Il tema, “L’Eucaristia, comunione con Cristo e tra noi”, ricorda la centralità del Mistero eucaristico per la crescita della vita di fede e per ogni autentico cammino di rinnovamento ecclesiale. La Chiesa, mentre è pellegrinante in terra, è sacramento di unità degli uomini con Dio e tra di loro (cfr Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium
LG 1). Per questo fine, essa ha ricevuto la Parola e i Sacramenti, soprattutto l’Eucaristia, della quale “continuamente vive e cresce” (ibid., 26) e nella quale in pari tempo esprime se stessa.

Il dono di Cristo e del suo Spirito, che riceviamo nell’Eucaristia, compie con sovrabbondante pienezza gli aneliti di unità fraterna che albergano nel cuore umano, e insieme li innalza ben al di sopra della semplice esperienza conviviale umana. Mediante la comunione al Corpo di Cristo la Chiesa diventa sempre più se stessa: mistero di unità “verticale” e “orizzontale” per l’intero genere umano. Ai germi di disgregazione, che l’esperienza quotidiana mostra tanto radicati nell’umanità a causa del peccato, si contrappone la forza generatrice di unità del Corpo di Cristo. L’Eucaristia, formando continuamente la Chiesa, crea anche comunione tra gli uomini.

Carissimi, alcune felici circostanze rendono maggiormente significativi i lavori da voi svolti in questi giorni e gli eventi futuri. La presente Assemblea cade - come ha già detto Mons. Marini - nel 50° anniversario del Congresso Eucaristico di Monaco di Baviera, che segnò una svolta nella comprensione di questi eventi ecclesiali elaborando l’idea di “statio orbis”, che sarà ripresa più tardi dal Rituale romano De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam. A quell’Assise, come ha ricordato ancora Mons. Marini, ebbi la gioia di partecipare personalmente, e anche di vedere crescere tale concetto, da giovane professore di teologia. Inoltre, il Congresso di Dublino del 2012 avrà un carattere giubilare, infatti sarà il 50°, e si terrà altresì a 50 anni dall’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, a cui il tema fa esplicito riferimento richiamando il capitolo 7 della Costituzione dogmatica Lumen gentium.

I Congressi Eucaristici Internazionali hanno ormai una lunga storia nella Chiesa. Mediante la forma caratteristica della “statio orbis”, essi mettono in risalto la dimensione universale della celebrazione: infatti, si tratta sempre di una festa di fede attorno a Cristo Eucaristico, il Cristo del sacrificio supremo per l’umanità, alla quale partecipano fedeli non solo di una Chiesa particolare o di una nazione, ma, per quanto possibile, di varie parti dell’Orbe. E’ la Chiesa che si raccoglie attorno al suo Signore e suo Dio. A tale riguardo, importante è il ruolo dei Delegati nazionali. Essi sono chiamati a sensibilizzare le rispettive Chiese all’avvenimento del Congresso, soprattutto nel periodo della sua preparazione, affinché da esso rifluiscano frutti di vita e di comunione.

Compito dei Congressi Eucaristici, soprattutto nel contesto attuale, è anche quello di dare un peculiare contributo alla nuova evangelizzazione, promuovendo l’evangelizzazione mistagogica (cfr Esort. ap. postsinod. Sacramentum caritatis, 64), che si compie alla scuola della Chiesa in preghiera, a partire dalla liturgia e attraverso la liturgia. Ma ogni Congresso porta in sé anche un afflato evangelizzatore in senso più strettamente missionario, tanto che il binomio Eucaristia-missione è entrato a far parte delle linee guida proposte dalla Santa Sede. La Mensa eucaristica, mensa del sacrificio e della comunione, viene così a rappresentare il centro diffusore del fermento del Vangelo, forza propulsiva per la costruzione della società umana e pegno del Regno che viene. La missione della Chiesa è in continuità con quella di Cristo: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (Jn 20,21). E l’Eucaristia è il principale tramite di questa continuità missionaria tra Dio Padre, il Figlio incarnato, e la Chiesa che cammina nella storia, guidata dallo Spirito Santo.

Infine, un’indicazione liturgico-pastorale. Poiché la celebrazione eucaristica è il centro e il culmine di tutte le varie manifestazioni e forme di pietà, è importante che ogni Congresso eucaristico sappia coinvolgere ed integrare, secondo lo spirito della riforma conciliare, tutte le espressioni del culto eucaristico “extra missam” che affondano le loro radici nella devozione popolare, come pure le associazioni di fedeli che a vario titolo dall’Eucaristia traggono ispirazione. Tutte le devozioni eucaristiche, raccomandate ed incoraggiate anche dall’Enciclica Ecclesia de Eucharistia (nn. 10; 47-52) e dall’Esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis, vanno armonizzate secondo una ecclesiologia eucaristica orientata verso la comunione. Anche in questo senso i Congressi eucaristici sono un aiuto al rinnovamento permanente della vita eucaristica della Chiesa.

Cari fratelli e sorelle, l’apostolato eucaristico a cui dedicate i vostri sforzi è assai prezioso. Perseverate in esso con impegno e passione, animando e diffondendo la devozione eucaristica in tutte le sue espressioni. Nell’Eucaristia è racchiuso il tesoro della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, che sulla Croce si è immolato per la salvezza dell’umanità. Accompagno il vostro apprezzato servizio con l’assicurazione della mia preghiera, per intercessione di Maria Santissima, e con la Benedizione Apostolica, che di cuore imparto a voi, ai vostri cari e ai vostri collaboratori.


AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA Sala Clementina Sabato, 13 novembre 2010

13110

Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di incontrarvi al termine dell’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, nel corso della quale avete approfondito il tema: “Cultura della comunicazione e nuovi linguaggi”. Ringrazio il Presidente, Mons. Gianfranco Ravasi, per le belle parole, e saluto tutti i partecipanti, grato per il contributo offerto allo studio di tale tematica, assai rilevante per la missione della Chiesa. Parlare di comunicazione e di linguaggio significa, infatti, non solo toccare uno dei nodi cruciali del nostro mondo e delle sue culture, ma, per noi credenti, significa avvicinarsi al mistero stesso di Dio che, nella sua bontà e sapienza, ha voluto rivelarsi e manifestare la sua volontà agli uomini (Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei Verbum
DV 2). In Cristo, infatti, Dio si è rivelato a noi come Logos, che si comunica e ci interpella, allacciando la relazione che fonda la nostra identità e dignità di persone umane, amate come figli dall’unico Padre (cfr Es. ap. postsinodale Verbum Domini, 6.22.23). Comunicazione e linguaggio sono anche dimensioni essenziali della cultura umana, costituita da informazioni e nozioni, da credenze e stili di vita, ma anche da regole, senza le quali difficilmente le persone potrebbero progredire nell’umanità e nella socialità. Ho apprezzato l’originale scelta di inaugurare la Plenaria nella Sala della Protomoteca al Campidoglio, cuore civile e istituzionale di Roma, con una tavola-rotonda sul tema: “Nella Città in ascolto dei linguaggi dell’anima”. In tale modo, il Dicastero ha inteso esprimere uno dei suoi compiti essenziali: mettersi in ascolto degli uomini e delle donne del nostro tempo, per promuovere nuove occasioni di annuncio del Vangelo. Ascoltando, dunque, le voci del mondo globalizzato, ci accorgiamo che è in atto una profonda trasformazione culturale, con nuovi linguaggi e nuove forme di comunicazione, che favoriscono anche nuovi e problematici modelli antropologici.

In questo contesto, i Pastori e i fedeli avvertono con preoccupazione alcune difficoltà nella comunicazione del messaggio evangelico e nella trasmissione della fede, all’interno della stessa comunità ecclesiale. Come ho scritto nell’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini: “tanti cristiani hanno bisogno che sia loro riannunciata in modo persuasivo la Parola di Dio, così da poter sperimentare concretamente la forza del Vangelo” (n. 96). I problemi sembrano talora aumentare quando la Chiesa si rivolge agli uomini e alle donne lontani o indifferenti ad una esperienza di fede, ai quali il messaggio evangelico giunge in maniera poco efficace e coinvolgente. In un mondo che fa della comunicazione la strategia vincente, la Chiesa, depositaria della missione di comunicare a tutte le genti il Vangelo di salvezza, non rimane indifferente ed estranea; cerca, al contrario, di avvalersi con rinnovato impegno creativo, ma anche con senso critico e attento discernimento, dei nuovi linguaggi e delle nuove modalità comunicative.

L’incapacità del linguaggio di comunicare il senso profondo e la bellezza dell’esperienza di fede può contribuire all’indifferenza di tanti, soprattutto giovani; può diventare motivo di allontanamento, come affermava già la Costituzione Gaudium et spes, rilevando che una presentazione inadeguata del messaggio nasconde più che manifestare il genuino volto di Dio e della religione (cfr n. 19). La Chiesa vuole dialogare con tutti, nella ricerca della verità; ma perché il dialogo e la comunicazione siano efficaci e fecondi è necessario sintonizzarsi su una medesima frequenza, in ambiti di incontro amichevole e sincero, in quell’ideale “Cortile dei Gentili” che ho proposto parlando alla Curia Romana un anno fa e che il Dicastero sta realizzando in diversi luoghi emblematici della cultura europea. Oggi non pochi giovani, storditi dalle infinite possibilità offerte dalle reti informatiche o da altre tecnologie, stabiliscono forme di comunicazione che non contribuiscono alla crescita in umanità, ma rischiano anzi di aumentare il senso di solitudine e di spaesamento. Dinanzi a tali fenomeni, ho parlato più volte di emergenza educativa, una sfida a cui si può e si deve rispondere con intelligenza creativa, impegnandosi a promuovere una comunicazione umanizzante, che stimoli il senso critico e la capacità di valutazione e di discernimento.

Anche nell’odierna cultura tecnologica, è il paradigma permanente dell’inculturazione del Vangelo a fare da guida, purificando, sanando ed elevando gli elementi migliori dei nuovi linguaggi e delle nuove forme di comunicazione. Per questo compito, difficile e affascinante, la Chiesa può attingere allo straordinario patrimonio di simboli, immagini, riti e gesti della sua tradizione. In particolare il ricco e denso simbolismo della liturgia deve splendere in tutta la sua forza come elemento comunicativo, fino a toccare profondamente la coscienza umana, il cuore e l’intelletto. La tradizione cristiana, poi, ha sempre strettamente collegato alla liturgia il linguaggio dell’arte, la cui bellezza ha una sua particolare forza comunicativa. Lo abbiamo sperimentato anche domenica scorsa, a Barcellona, nella Basilica della Sagrada Familia, opera di Antoni Gaudí, che ha coniugato genialmente il senso del sacro e della liturgia con forme artistiche tanto moderne quanto in sintonia con le migliori tradizioni architettoniche. Tuttavia, più incisiva ancora dell’arte e dell’immagine nella comunicazione del messaggio evangelico è la bellezza della vita cristiana. Alla fine, solo l’amore è degno di fede e risulta credibile. La vita dei santi, dei martiri, mostra una singolare bellezza che affascina e attira, perché una vita cristiana vissuta in pienezza parla senza parole. Abbiamo bisogno di uomini e donne che parlino con la loro vita, che sappiano comunicare il Vangelo, con chiarezza e coraggio, con la trasparenza delle azioni, con la passione gioiosa della carità.

Dopo essere stato pellegrino a Santiago de Compostela ed aver ammirato in migliaia di persone, soprattutto giovani, la forza coinvolgente della testimonianza, la gioia di mettersi in cammino verso la verità e la bellezza, auspico che tanti nostri contemporanei possano dire, riascoltando la voce del Signore, come i discepoli di Emmaus: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via?” (Lc 24,32). Cari amici, vi ringrazio per quanto quotidianamente fate con competenza e dedizione e, mentre vi affido alla materna protezione di Maria Santissima, di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.


AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL BRASILE (REGIONE CENTRO OESTE) IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM» Lunedì, 15 novembre 2010

15110

Cari Fratelli Vescovi,

Sono lieto di darvi il benvenuto in occasione della vostra visita ad limina. Siete venuti nella città dove Pietro compì infine la sua missione di evangelizzazione e rese testimonianza di Cristo fino all'effusione del proprio sangue; siete venuti qui per vedere e salutare il Successore di Pietro. In tal modo rafforzate i fondamenti apostolici della Chiesa nel vostro Paese ed esprimete visibilmente la vostra comunione con tutti gli altri membri del collegio episcopale e con lo stesso Pontefice romano (cfr. Pastores gregis ). Di questo tenore sono state le cordiali parole che il signor arcivescovo di Brasilia, monsignor João Braz, mi ha rivolto a nome vostro e per le quali lo ringrazio, mentre vi assicuro del mio cordiale affetto e delle mie preghiere per voi e per tutte le persone affidate alle vostre cure pastorali.

Con la visita del regionale Centro Oeste si chiude il ciclo d'incontri dei prelati brasiliani con il Papa iniziato più di un anno fa. Per una felice coincidenza, la data del discorso che ho rivolto al primo gruppo di vescovi era quella della vostra festa nazionale dell'indipendenza, mentre l'ultimo discorso che oggi pronuncio ha luogo proprio nel giorno in cui si ricorda la proclamazione della repubblica in Brasile. Ne approfitto per sottolineare ancora una volta l'importanza dell'azione evangelizzatrice della Chiesa nella costruzione dell'identità brasiliana. Come ben sapete, l'attuale società secolarizzata esige dai cristiani una rinnovata testimonianza di vita affinché l'annuncio del Vangelo venga accolto per quello che è: la buona novella dell'azione salvifica di Dio che va incontro all'uomo.

In tal senso, da quasi sessant'anni, la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile è un punto di riferimento per la società brasiliana, proponendosi sempre più e prima di tutto come un luogo dove si vive la carità. In effetti, la prima testimonianza che ci si aspetta da quanti annunciano la Parola di Dio è quella della carità reciproca: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (
Jn 13,35). La vostra, come d'altronde le altre Conferenze episcopali, è nata come concreta applicazione dell'affetto collegiale dei vescovi in comunione gerarchica con il Successore di Pietro, per essere uno strumento di comunione affettiva ed effettiva fra tutti i membri, e di efficace collaborazione con il Pastore di ogni Chiesa particolare nella triplice funzione di insegnare, santificare e governare le pecore del proprio gregge.

Dunque la Conferenza episcopale si presenta come una delle forme, sotto la guida dello Spirito Santo, che consentono di esercitare in modo congiunto e armonioso alcune funzioni pastorali per il bene dei fedeli e di tutti i cittadini di un determinato territorio (cfr. Codice di Diritto Canonico CIC 447). Di fatto, una cooperazione sempre più stretta e concorde con i propri fratelli nel ministero aiuta i vescovi a compiere meglio il loro mandato (cfr. Christus Dominus CD 37), senza abdicare alla responsabilità principale di pascere come pastore proprio, ordinario e immediato la sua Chiesa particolare, (cfr. Motu proprio Apostolos suos, n. 10), facendo udire la voce di Gesù Cristo che "è lo stesso ieri e oggi e per sempre" (He 13,8).

La Conferenza episcopale promuove quindi l'unione di sforzi e di intenzioni dei vescovi, divenendo uno strumento che permette loro di condividere gli oneri; deve però evitare di collocarsi come una realtà parallela o sostitutiva del ministero di ognuno dei vescovi, vale a dire che non deve mutare il suo rapporto con la rispettiva Chiesa particolare e con il collegio episcopale né costituire un intermediario fra il vescovo e la Sede di Pietro.

Allo stesso tempo, nel fedele esercizio della funzione dottrinale che vi corrisponde, quando vi riunite nelle vostre assemblee, cari vescovi, dovete soprattutto studiare i mezzi più efficaci per far giungere in modo adeguato il magistero universale al popolo che vi è stato affidato. Questa funzione dottrinale sarà svolta nei termini indicati dal mio venerato predecessore, Papa Giovanni Paolo II, nel Motu Proprio Apostolos suos, anche nell'affrontare le nuove questioni emergenti, per poi poter orientare la coscienza degli uomini al fine di trovare la retta soluzione per i nuovi problemi suscitati dai cambiamenti sociali e culturali.

Alcuni temi in particolare richiedono oggi un'azione congiunta da parte dei vescovi: la promozione e la tutela della fede e della morale, la traduzione dei libri liturgici, la promozione e la formazione delle vocazioni di speciale consacrazione, l'elaborazione di sussidi per la catechesi, l'impegno ecumenico, i rapporti con le autorità civili, la difesa della vita umana, dal concepimento fino alla morte naturale, la santità della famiglia e del matrimonio fra un uomo e una donna, il diritto dei genitori di educare i propri figli, la libertà religiosa, gli altri diritti umani, la pace e la giustizia sociale.

Allo stesso tempo, è necessario ricordare che i consulenti e le strutture della Conferenza episcopale esistono per il servizio ai vescovi e non per sostituirli. Si tratta, in definitiva, di far sì che la Conferenza episcopale, con i suoi organismi, funzioni sempre più come organo propulsore della sollecitudine pastorale dei vescovi, la cui preoccupazione principale deve essere la salvezza delle anime, che è, d'altra parte, la missione fondamentale della Chiesa.

Cari fratelli, al temine del nostro incontro, vorrei invitarvi a guardare al futuro con gli occhi di Cristo, riponendo in Lui la vostra speranza, poiché "la speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei vostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5).

Ribadendo il mio profondo affetto per il popolo brasiliano, affido il Brasile all'intercessione materna della Vergine Maria, Nossa Senhora Aparecida, modello di tutti i discepoli: Ella vi conduca lungo i cammini di suo Figlio. E, ricordando tutti i prelati brasiliani che, in questi ultimi quattordici mesi, sono venuti qui in visita ad limina e anche quelli che non sono potuti venire per problemi di salute, imparto di tutto cuore a voi, come pure ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, ai catechisti e a tutti i vostri diocesani, la benedizione apostolica.



Discorsi 2005-13 62110