Discorsi 2005-13 21150

AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE Sala Clementina Venerdì 21 maggio 2010

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Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

Siate i benvenuti! Rivolgo il mio cordiale saluto al Cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che ringrazio per le cordiali parole, al Segretario Mons. Robert Sarah, al Segretario Aggiunto Mons. Piergiuseppe Vacchelli, Presidente delle Pontificie Opere Missionarie, a tutti i collaboratori del Dicastero, e in modo particolare ai Direttori Nazionali delle Pontificie Opere Missionarie, convenuti a Roma da tutte le Chiese per l’annuale Assemblea Ordinaria del Consiglio Superiore.

Sono particolarmente grato a questa Congregazione, alla quale il Concilio Ecumenico Vaticano II, in linea con l’atto costitutivo con cui veniva fondata nel 1622, ha confermato il compito di “regolare e coordinare, in tutto il mondo, sia l'opera missionaria sia la cooperazione missionaria” (Decr. Ad gentes
AGD 29). E’ una missione immensa, quella dell’evangelizzazione, specialmente in questo nostro tempo, in cui l’umanità soffre una certa mancanza di pensiero riflessivo e sapienziale (cfr Caritas in veritate Caritas in veritate, 19. 31) e si diffonde un umanesimo che esclude Dio (cfr ibid. 78). Per questo è ancora più urgente e necessario illuminare i nuovi problemi che emergono con la luce del Vangelo che non muta. Siamo infatti convinti che il Signore Gesù Cristo, testimone fedele dell'amore del Padre, “con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera” (ibid. 1). All’inizio del mio ministero come Successore dell’Apostolo Pietro ho affermato con forza: “noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita… Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui” (Omelia all’inizio del ministero petrino, 24 aprile 2005). La predicazione del Vangelo è un inestimabile servizio che la Chiesa può offrire all’umanità intera che cammina nella storia. Provenienti dalle Diocesi di tutto il mondo, voi siete un segno eloquente e vivo della cattolicità della Chiesa, che si concretizza nel respiro universale della missione apostolica, “fino agli ultimi confini della terra” (Ac 1,8), “sino alla fine del mondo” (Mt 28,20), perché nessun popolo o ambiente siano privati della luce e della grazia di Cristo. Questo è il senso, la traiettoria storica, la missione e la speranza della Chiesa.

La missione di annunziare il Vangelo a tutte le genti è giudizio critico sulle trasformazioni planetarie che stanno cambiando sostanzialmente la cultura dell'umanità. La Chiesa, presente e operante sulle frontiere geografiche e antropologiche, è portatrice di un messaggio che si cala nella storia, dove proclama i valori inalienabili della persona, con l’annuncio e la testimonianza del piano salvifico di Dio, reso visibile e operante in Cristo. La predicazione del Vangelo è la chiamata alla libertà dei figli di Dio, per la costruzione di una società più giusta e solidale. Chi partecipa alla missione di Cristo deve inevitabilmente affrontare tribolazioni, contrasti e sofferenze, perché si scontra con le resistenze e i poteri di questo mondo. E noi, come l’apostolo Paolo, non abbiamo come armi che la parola di Cristo e della sua Croce (cfr 1Co 1,22-25). La missione ad gentes richiede alla Chiesa e ai missionari di accettare le conseguenze del loro ministero: la povertà evangelica, che conferisce loro la libertà di predicare il Vangelo con coraggio e franchezza; la non-violenza, per la quale essi rispondono al male con il bene (cfr Mt 5,38-42 Rm 12,17-21); la disponibilità a dare la propria vita per il nome di Cristo e per amore degli uomini.

Come l’apostolo Paolo dimostrava l’autenticità del suo apostolato con le persecuzioni, le ferite e i tormenti subiti (cfr 2Co 6-7), così la persecuzione è prova anche dell’autenticità della nostra missione apostolica. Ma è importante ricordare che il Vangelo “prende corpo nelle coscienze e nei cuori umani e si espande nella storia solo nella potenza dello Spirito Santo” (GIOVANNI PAOLO II, Enc. Dominum et vivificantem DEV 64) e la Chiesa e i missionari sono da Lui resi idonei a compiere la missione loro affidata (cfr ibid. 25). E’ lo Spirito Santo (cfr 1Co 14) che unisce e preserva la Chiesa, dandole la forza di espandersi, colmando i discepoli di Cristo con una ricchezza traboccante di carismi. E’ dallo Spirito Santo che la Chiesa riceve l’autorevolezza dell’annuncio e del ministero apostolico. Perciò, desidero riaffermare con forza quanto già ho detto a proposito dello sviluppo (cfr Caritas in veritate ), che cioè l’evangelizzazione ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che la conversione del mondo a Cristo non è da noi prodotta, ma ci viene donata. La celebrazione dell'Anno Sacerdotale, in verità, ci ha aiutato a prendere maggiore consapevolezza che l’opera missionaria richiede un’unione sempre più profonda con Colui che è l’Inviato di Dio Padre per la salvezza di tutti; richiede la condivisione di quel “nuovo stile di vita” che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli (cfr Discorso ai partecipanti alla Plenaria della Congregazione per il Clero, 16 marzo 2009).

Cari amici, il mio ringraziamento è ancora per tutti voi delle Pontificie Opere Missionarie, che in diversi modi siete impegnati a tenere desta la coscienza missionaria delle Chiese particolari, spingendole ad una più attiva partecipazione alla missio ad gentes, con la formazione e l’invio di missionari e missionarie e l’aiuto solidale alle giovani Chiese. Un vivo grazie anche per l’accoglienza e la formazione di presbiteri, di religiose, di seminaristi e di laici nei Collegi Pontifici della Congregazione. Mentre affido il vostro servizio ecclesiale alla protezione di Maria Santissima, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli, di cuore tutti vi benedico.




ALLA DELEGAZIONE DELLA REPUBBLICA DI BULGARIA NELLA MEMORIA DEI SANTI CIRILLO E METODIO Sabato 22 maggio 2010

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Signor Primo Ministro,
Onorevoli Membri del Governo e distinte Autorità,
Venerati Fratelli della Chiesa Ortodossa e della Chiesa Cattolica!

Sono lieto di poter porgere un cordiale benvenuto a ciascuno di voi, onorevoli Membri della Delegazione Ufficiale, venuti a Roma nella felice circostanza della memoria liturgica dei Santi Cirillo e Metodio. La vostra presenza, che testimonia le radici cristiane del Popolo bulgaro, offre l’occasione propizia per confermare la mia stima verso codesta cara Nazione e ci permette di rinsaldare la nostra amicizia, avvalorata dalla devozione per i due santi Fratelli di Tessalonica.

Attraverso un’infaticabile opera di evangelizzazione, attuata con vero ardore apostolico, i santi Cirillo e Metodio hanno provvidenzialmente radicato il cristianesimo nell’animo del Popolo bulgaro, così che esso è ancorato a quei valori evangelici, che sempre rafforzano l’identità e arricchiscono la cultura di una nazione. Il Vangelo, infatti, non indebolisce quanto di autentico si trova nelle diverse tradizioni culturali; al contrario, proprio perché la fede in Gesù ci mostra lo splendore della Verità, essa dà all’uomo la capacità di riconoscere il vero bene e lo aiuta a realizzarlo nella propria vita e nel contesto sociale. Perciò, a ragione si può sostenere che i santi Cirillo e Metodio hanno significativamente contribuito a modellare l’umanità e la fisionomia spirituale del Popolo bulgaro, inserendolo nella comune tradizione culturale cristiana.

Nel cammino di piena integrazione con le altre Nazioni europee, la Bulgaria è dunque chiamata a promuovere e testimoniare quelle radici cristiane che discendono dagli insegnamenti dei santi Cirillo e Metodio, ancor oggi quanto mai attuali e necessari; è chiamata, cioè, a mantenersi fedele e custodire il prezioso patrimonio che unisce tra loro quanti, sia Ortodossi che Cattolici, professano la stessa fede degli Apostoli e sono uniti dal comune Battesimo. Come Cristiani, abbiamo il dovere di conservare e rinsaldare l’intrinseco legame che esiste tra il Vangelo e le nostre rispettive identità culturali; come discepoli del Signore, nel reciproco rispetto delle diverse tradizioni ecclesiali, siamo chiamati alla comune testimonianza della nostra fede in Gesù, nel nome del quale otteniamo la salvezza.

Auspico di cuore che questo nostro incontro possa essere per voi tutti, qui presenti, e per le realtà ecclesiali e civili che rappresentate, motivo di sempre più intensi rapporti fraterni e solidali. Con questi sentimenti, incoraggio il Popolo bulgaro a perseverare nel proposito di edificare una società fondata sulla giustizia e sulla pace; per questo assicuro la mia preghiera e la mia vicinanza spirituale. Rinnovo a Lei, Signor Primo Ministro, e a ciascuno di voi, il mio benedicente saluto, con il quale intendo anche raggiungere tutti i cittadini del vostro amato Paese.






ALLA DELEGAZIONE DELLA EX-REPUBBLICA JUGOSLAVA DI MACEDONIA, IN OCCASIONE DELLE CELEBRAZIONI IN ONORE DEI SANTI CIRILLO E METODIO Sabato 22 maggio 2010

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Signor Presidente del Parlamento,
Onorevoli Membri del Governo e distinte Autorità,
Venerati Fratelli della Chiesa Ortodossa e della Chiesa Cattolica!

Sono lieto di accogliervi e di esprimere al Signore, datore di ogni grazia, la gioia e la riconoscenza per questo momento che ci vede uniti nell’invocarLo per intercessione dei santi Cirillo e Metodio, celesti patroni del vostro popolo e dell’intera Europa, nell’annuale pellegrinaggio che realizzate a Roma per venerare le reliquie di san Cirillo.

Il mio amato predecessore, il venerabile Giovanni Paolo II, nell’Enciclica Slavorum Apostoli, volle ricordare a tutti che, grazie all’insegnamento e ai frutti del Concilio Vaticano II, noi oggi possiamo guardare in modo nuovo l’opera dei due Santi Fratelli di Tessalonica, “dai quali ci separano ormai undici secoli, e leggere, altresì, nella loro vita e attività apostolica i contenuti che la sapiente Provvidenza divina vi inscrisse, affinché si svelassero in una nuova pienezza nella nostra epoca e portassero nuovi frutti” (n. 3). Davvero abbondanti furono, al loro tempo, i frutti dell’evangelizzazione di Cirillo e Metodio. Essi conobbero sofferenze, privazioni e ostilità, ma sopportarono tutto con incrollabile fede ed invincibile speranza in Dio. Fu con questa forza che si spesero per i popoli loro affidati, custodendo i testi della Scrittura, indispensabili alla celebrazione della sacra Liturgia, tradotti da loro in lingua paleoslava, scritti in un nuovo alfabeto e successivamente approvati dall’autorità della Chiesa. Nelle prove e nelle gioie, essi si sentirono sempre accompagnati da Dio e sperimentarono quotidianamente il suo amore e quello dei fratelli. Anche noi sempre più comprendiamo che quando ci sentiamo amati dal Signore e sappiamo corrispondere a questo amore, siamo avvolti e guidati dalla sua grazia in ogni nostra attività e in ogni nostra azione. Secondo l’effusione dei molteplici doni dello Spirito Santo, quanto più sappiamo amare e ci doniamo agli altri, tanto più lo stesso Spirito può venire in aiuto alla nostra debolezza, indicandoci vie nuove per il nostro agire.

Secondo la tradizione, Metodio rimase fino alla fine fedele alle parole che il fratello Cirillo gli aveva detto prima di morire: “Ecco, fratello, condividevamo la stessa sorte, premendo l’aratro sullo stesso solco; io ora cado sul campo al concludersi della mia giornata. Tu… non abbandonare la tua azione di insegnamento…” (ibid., n. 6). Cari fratelli e sorelle, insieme poniamo mano all’aratro e continuiamo a lavorare sullo stesso solco che Dio nella sua provvidenza ha indicato ai santi Cirillo e Metodio. Il Signore benedica il vostro lavoro al servizio del bene comune e dell’intera vostra Nazione, ed effonda con abbondanza su di essa i doni del suo Spirito di unità e di pace.






AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DALLA FONDAZIONE "CENTESIMUS ANNUS - PRO PONTIFICE" Sala Clementina Sabato 22 maggio 2010

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Signor Cardinale,
venerati Fratelli nell’Episcopato e Sacerdozio,
illustri e cari amici,

sono lieto di salutarvi in occasione del Convegno di studio promosso dalla Fondazione Centesimus Annus – Pro Pontifice. Saluto il Cardinale Attilio Nicora, Mons. Claudio Maria Celli e gli altri Presuli e Sacerdoti presenti. Un particolare pensiero al Presidente, Dottor Domingo Sugranyes Bickel, che ringrazio per le cortesi parole, e a voi, cari Consiglieri e Soci della Fondazione, che avete voluto rendermi visita con i vostri familiari.

Ho apprezzato che il vostro incontro ponga al centro della riflessione la relazione tra “sviluppo, progresso, bene comune”. In effetti, oggi più che mai, la famiglia umana può crescere come società libera di popoli liberi quando la globalizzazione viene guidata dalla solidarietà e dal bene comune, come pure dalla relativa giustizia sociale, che trovano nel messaggio di Cristo e della Chiesa una sorgente preziosa. La crisi e le difficoltà di cui al presente soffrono le relazioni internazionali, gli Stati, la s?cietà e l'economia, infatti, sono in larga misura dovute alla carenza di fiducia e di un’adeguata ispirazione solidaristica creativa e dinamica orientata al bene comune, che porti a rapporti autenticamente umani di amicizia, di solidarietà e di reciprocità anche “dentro” l’attività economica. Il bene comune è la finalità che dà senso al progresso e allo sviluppo, i quali diversamente si limiterebbero alla sola produzione di beni materiali; essi sono necessari, ma senza l'orientamento al bene comune finiscono per prevalere consumismo, spreco, povertà e squilibri; fattori negativi per il progresso e lo sviluppo.

Come rilevavo nell’enciclica Caritas in veritate, uno dei maggiori rischi nel mondo attuale è quello che “all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano” (n. 9). Una tale interazione, ad esempio, appare essere troppo debole presso quei governanti che, a fronte di rinnovati episodi di speculazioni irresponsabili nei confronti dei Paesi più deboli, non reagiscono con adeguate decisioni di governo della finanza. La politica deve avere il primato sulla finanza e l’etica deve orientare ogni attività.

Senza il punto di riferimento rappresentato dal bene comune universale non si può dire che esista un vero ethos mondiale e la corrispettiva volontà di viverlo, con adeguate istituzioni. È allora decisivo che siano identificati quei beni a cui tutti i popoli debbono accedere in vista del loro compimento umano. E questo non in qualsiasi maniera, ma in una maniera ordinata ed armonica. Infatti, il bene comune è composto da più beni: da beni materiali, cognitivi, istituzionali e da beni morali e spirituali, quest’ultimi superiori a cui i primi vanno subordinati. L’impegno per il bene comune della famiglia dei popoli, come per ogni società, comporta, dunque, il prendersi cura e l’avvalersi di un complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale mondiale, in modo tale che prenda forma di pólis, di città dell’uomo (cfr ibid., 7). Pertanto, si deve assicurare che l’ordine economico-produttivo sia socialmente responsabile e a misura d’uomo, con un’azione congiunta e unitaria su più piani, anche quello internazionale (cfr ibid., 57.67). Parimenti, si dovrà sostenere il consolidamento di sistemi costituzionali, giuridici e amministrativi nei Paesi che non ne godono ancora in modo pieno. Accanto agli aiuti economici, devono esserci, quindi, quelli finalizzati a rafforzare le garanzie proprie dello Stato di diritto, un sistema di ordine pubblico giusto ed efficiente, nel pieno rispetto dei diritti umani, come pure istituzioni veramente democratiche e partecipative (cfr ibid., 41).

Ciò che, però, è fondamentale e prioritario, in vista dello sviluppo dell’intera famiglia dei popoli, è l’adoperarsi per riconoscere la vera scala dei beni-valori. Solo grazie ad una corretta gerarchia dei beni umani è possibile comprendere quale tipo di sviluppo dev’essere promosso. Lo sviluppo integrale dei popoli, obiettivo centrale del bene comune universale, non è dato solo dalla diffusione dell’imprenditorialità (cfr ibidem), dei beni materiali e cognitivi come la casa e l’istruzione, delle scelte disponibili. Esso è dato specialmente dall’incremento di quelle scelte buone che sono possibili quando esista la nozione di un bene umano integrale, quando ci sia un telos, un fine, alla cui luce viene pensato e voluto lo sviluppo. La nozione di sviluppo umano integrale presuppone coordinate precise, quali la sussidiarietà e la solidarietà, nonché l’interdipendenza tra Stato, società e mercato. In una società mondiale, composta da molti popoli e da religioni diverse, il bene comune e lo sviluppo integrale vanno conseguiti con il contributo di tutti. In questo, le religioni sono decisive, specie quando insegnano la fraternità e la pace, perché educano a dare spazio a Dio e ad essere aperti al trascendente, nelle nostre società segnate dalla secolarizzazione. L’esclusione delle religioni dall’ambito pubblico, come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l’incontro tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità; la vita della società si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente ed aggressivo (cfr ibid. 56).

Cari amici, la visione cristiana dello sviluppo, del progresso e del bene comune, come emerge nella Dottrina Sociale della Chiesa, risponde alle attese più profonde dell’uomo e il vostro impegno di approfondirla e diffonderla è un valido apporto per edificare la “civiltà dell’amore”. Per questo vi esprimo la mia riconoscenza e il mio augurio, e di cuore Vi benedico tutti.




ALL'ASSEMBLEA GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA (C.E.I.) Aula del Sinodo Giovedì 27 maggio 2010

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Venerati e cari Fratelli,

nel Vangelo proclamato domenica scorsa, Solennità di Pentecoste, Gesù ci ha promesso: “Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (
Jn 14,26). Lo Spirito Santo guida la Chiesa nel mondo e nella storia. Grazie a questo dono del Risorto, il Signore resta presente nello scorrere degli eventi; è nello Spirito che possiamo riconoscere in Cristo il senso delle vicende umane. Lo Spirito Santo ci fa Chiesa, comunione e comunità incessantemente convocata, rinnovata e rilanciata verso il compimento del Regno di Dio. È nella comunione ecclesiale la radice e la ragione fondamentale del vostro convenire e del mio essere ancora una volta con voi, con gioia, in occasione di questo appuntamento annuale; è la prospettiva con la quale vi esorto ad affrontare i temi del vostro lavoro, nel quale siete chiamati a riflettere sulla vita e sul rinnovamento dell’azione pastorale della Chiesa in Italia. Sono grato al Cardinale Angelo Bagnasco per le cortesi e intense parole che mi ha rivolto, facendosi interprete dei vostri sentimenti: il Papa sa di poter contare sempre sui Vescovi italiani. In voi saluto le comunità diocesane affidate alle vostre cure, mentre estendo il mio pensiero e la mia vicinanza spirituale all’intero popolo italiano.

Corroborati dallo Spirito, in continuità con il cammino indicato dal Concilio Vaticano II, e in particolare con gli orientamenti pastorali del decennio appena concluso, avete scelto di assumere l’educazione quale tema portante per i prossimi dieci anni. Tale orizzonte temporale è proporzionato alla radicalità e all’ampiezza della domanda educativa. E mi sembra necessario andare fino alle radici profonde di questa emergenza per trovare anche le risposte adeguate a questa sfida. Io ne vedo soprattutto due. Una radice essenziale consiste - mi sembra - in un falso concetto di autonomia dell’uomo: l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo. In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’“io” diventa se stesso solo dal “tu” e dal “voi”, è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il “tu” e con il “noi” apre l’“io” a se stesso. Perciò la cosiddetta educazione antiautoritaria non è educazione, ma rinuncia all’educazione: così non viene dato quanto noi siamo debitori di dare agli altri, cioè questo “tu” e “noi” nel quale si apre l’“io” a se stesso. Quindi un primo punto mi sembra questo: superare questa falsa idea di autonomia dell’uomo, come un “io” completo in se stesso, mentre diventa “io” anche nell’incontro collettivo con il “tu” e con il “noi”.

L’altra radice dell’emergenza educativa io la vedo nello scetticismo e nel relativismo o, con parole più semplici e chiare, nell’esclusione delle due fonti che orientano il cammino umano. La prima fonte dovrebbe essere la natura, la seconda la Rivelazione. Ma la natura viene considerata oggi come una cosa puramente meccanica, quindi che non contiene in sé alcun imperativo morale, alcun orientamento valoriale: è una cosa puramente meccanica, e quindi non viene alcun orientamento dall’essere stesso. La Rivelazione viene considerata o come un momento dello sviluppo storico, quindi relativo come tutto lo sviluppo storico e culturale, o - si dice - forse c’è rivelazione, ma non comprende contenuti, solo motivazioni. E se tacciono queste due fonti, la natura e la Rivelazione, anche la terza fonte, la storia, non parla più, perché anche la storia diventa solo un agglomerato di decisioni culturali, occasionali, arbitrarie, che non valgono per il presente e per il futuro. Fondamentale è quindi ritrovare un concetto vero della natura come creazione di Dio che parla a noi; il Creatore, tramite il libro della creazione, parla a noi e ci mostra i valori veri. E poi così anche ritrovare la Rivelazione: riconoscere che il libro della creazione, nel quale Dio ci dà gli orientamenti fondamentali, è decifrato nella Rivelazione, è applicato e fatto proprio nella storia culturale e religiosa, non senza errori, ma in una maniera sostanzialmente valida, sempre di nuovo da sviluppare e da purificare. Così, in questo “concerto” – per così dire – tra creazione decifrata nella Rivelazione, concretizzata nella storia culturale che sempre va avanti e nella quale noi ritroviamo sempre più il linguaggio di Dio, si aprono anche le indicazioni per un’educazione che non è imposizione, ma realmente apertura dell’“io” al “tu”, al “noi” e al “Tu” di Dio.

Quindi le difficoltà sono grandi: ritrovare le fonti, il linguaggio delle fonti, ma, pur consapevoli del peso di queste difficoltà, non possiamo cedere alla sfiducia e alla rassegnazione. Educare non è mai stato facile, ma non dobbiamo arrenderci: verremmo meno al mandato che il Signore stesso ci ha affidato, chiamandoci a pascere con amore il suo gregge. Risvegliamo piuttosto nelle nostre comunità quella passione educativa, che è una passione dell’“io” per il “tu”, per il “noi”, per Dio, e che non si risolve in una didattica, in un insieme di tecniche e nemmeno nella trasmissione di principi aridi. Educare è formare le nuove generazioni, perché sappiano entrare in rapporto con il mondo, forti di una memoria significativa che non è solo occasionale, ma accresciuta dal linguaggio di Dio che troviamo nella natura e nella Rivelazione, di un patrimonio interiore condiviso, della vera sapienza che, mentre riconosce il fine trascendente della vita, orienta il pensiero, gli affetti e il giudizio.

I giovani portano una sete nel loro cuore, e questa sete è una domanda di significato e di rapporti umani autentici, che aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide della vita. È desiderio di un futuro, reso meno incerto da una compagnia sicura e affidabile, che si accosta a ciascuno con delicatezza e rispetto, proponendo valori saldi a partire dai quali crescere verso traguardi alti, ma raggiungibili. La nostra risposta è l’annuncio del Dio amico dell’uomo, che in Gesù si è fatto prossimo a ciascuno. La trasmissione della fede è parte irrinunciabile della formazione integrale della persona, perché in Gesù Cristo si realizza il progetto di una vita riuscita: come insegna il Concilio Vaticano II, “chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (Gaudium et spes GS 41). L’incontro personale con Gesù è la chiave per intuire la rilevanza di Dio nell’esistenza quotidiana, il segreto per spenderla nella carità fraterna, la condizione per rialzarsi sempre dalle cadute e muoversi a costante conversione.

Il compito educativo, che avete assunto come prioritario, valorizza segni e tradizioni, di cui l’Italia è così ricca. Necessita di luoghi credibili: anzitutto la famiglia, con il suo ruolo peculiare e irrinunciabile; la scuola, orizzonte comune al di là delle opzioni ideologiche; la parrocchia, “fontana del villaggio”, luogo ed esperienza che inizia alla fede nel tessuto delle relazioni quotidiane. In ognuno di questi ambiti resta decisiva la qualità della testimonianza, via privilegiata della missione ecclesiale. L’accoglienza della proposta cristiana passa, infatti, attraverso relazioni di vicinanza, lealtà e fiducia. In un tempo nel quale la grande tradizione del passato rischia di rimanere lettera morta, siamo chiamati ad affiancarci a ciascuno con disponibilità sempre nuova, accompagnandolo nel cammino di scoperta e assimilazione personale della verità. E facendo questo anche noi possiamo riscoprire in modo nuovo le realtà fondamentali.

La volontà di promuovere una rinnovata stagione di evangelizzazione non nasconde le ferite da cui la comunità ecclesiale è segnata, per la debolezza e il peccato di alcuni suoi membri. Questa umile e dolorosa ammissione non deve, però, far dimenticare il servizio gratuito e appassionato di tanti credenti, a partire dai sacerdoti. L’anno speciale a loro dedicato ha voluto costituire un’opportunità per promuoverne il rinnovamento interiore, quale condizione per un più incisivo impegno evangelico e ministeriale. Nel contempo, ci aiuta anche a riconoscere la testimonianza di santità di quanti – sull’esempio del Curato d’Ars – si spendono senza riserve per educare alla speranza, alla fede e alla carità. In questa luce, ciò che è motivo di scandalo, deve tradursi per noi in richiamo a un “profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, ma anche la necessità della giustizia” (Benedetto XVI, Intervista ai giornalisti durante il volo verso il Portogallo, 11 maggio 2010).

Cari Fratelli, vi incoraggio a percorrere senza esitazioni la strada dell’impegno educativo. Lo Spirito Santo vi aiuti a non perdere mai la fiducia nei giovani, vi spinga ad andare loro incontro, vi porti a frequentarne gli ambienti di vita, compreso quello costituito dalle nuove tecnologie di comunicazione, che ormai permeano la cultura in ogni sua espressione. Non si tratta di adeguare il Vangelo al mondo, ma di attingere dal Vangelo quella perenne novità, che consente in ogni tempo di trovare le forme adatte per annunciare la Parola che non passa, fecondando e servendo l’umana esistenza. Torniamo, dunque, a proporre ai giovani la misura alta e trascendente della vita, intesa come vocazione: chiamati alla vita consacrata, al sacerdozio, al matrimonio, sappiano rispondere con generosità all’appello del Signore, perché solo così potranno cogliere ciò che è essenziale per ciascuno. La frontiera educativa costituisce il luogo per un’ampia convergenza di intenti: la formazione delle nuove generazioni non può, infatti, che stare a cuore a tutti gli uomini di buona volontà, interpellando la capacità della società intera di assicurare riferimenti affidabili per lo sviluppo armonico delle persone.

Anche in Italia la presente stagione è marcata da un’incertezza sui valori, evidente nella fatica di tanti adulti a tener fede agli impegni assunti: ciò è indice di una crisi culturale e spirituale, altrettanto seria di quella economica. Sarebbe illusorio – questo vorrei sottolinearlo – pensare di contrastare l’una, ignorando l’altra. Per questa ragione, mentre rinnovo l’appello ai responsabili della cosa pubblica e agli imprenditori a fare quanto è nelle loro possibilità per attutire gli effetti della crisi occupazionale, esorto tutti a riflettere sui presupposti di una vita buona e significativa, che fondano quell’autorevolezza che sola educa e ritorna alle vere fonti dei valori. Alla Chiesa, infatti, sta a cuore il bene comune, che ci impegna a condividere risorse economiche e intellettuali, morali e spirituali, imparando ad affrontare insieme, in un contesto di reciprocità, i problemi e le sfide del Paese. Questa prospettiva, ampiamente sviluppata nel vostro recente documento su Chiesa e Mezzogiorno, troverà ulteriore approfondimento nella prossima Settimana Sociale dei cattolici italiani, prevista in ottobre a Reggio Calabria, dove, insieme alle forze migliori del laicato cattolico, vi impegnerete a declinare un’agenda di speranza per l’Italia, perché “le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili” (Enc. Deus caritas est ). Il vostro ministero, cari Confratelli, e la vivacità delle comunità diocesane alla cui guida siete posti, sono la migliore assicurazione che la Chiesa continuerà responsabilmente ad offrire il suo contributo alla crescita sociale e morale dell’Italia.

Chiamato per grazia ad essere Pastore della Chiesa universale e della splendida Città di Roma, porto costantemente con me le vostre preoccupazioni e le vostre attese, che nei giorni scorsi ho deposto – con quelle dell’intera umanità – ai piedi della Madonna di Fatima. A Lei va la nostra preghiera: “Vergine Madre di Dio e nostra Madre carissima, la tua presenza faccia rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità, faccia tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù, riflesso nei nostri cuori, per sempre uniti al tuo! Così sia!” (Fatima, 12 maggio 2010). Di cuore vi ringrazio e vi benedico.






A S.E. IL SIG. COMLANVI THÉODORE LOKO, NUOVO AMBASCIATORE DEL BENIN PRESSO LA SANTA SEDE Venerdì, 28 maggio 2010

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Signor Ambasciatore,

È con piacere che la ricevo all'inizio della sua missione presso la Santa Sede e la ringrazio per le cortesi parole che mi ha appena rivolto. Le sarei grato se potesse trasmettere in cambio a Sua Eccellenza il Signor Thomas Boni Yayi, la cui visita non dimentico, i voti che formulo per la sua persona e per il compimento della sua alta missione al servizio del popolo del Benin. Lo ringrazi anche per aver voluto che il Benin avesse un Ambasciatore presso la Santa Sede residente a Roma. Apprezzo questo gesto che sottolinea le eccellenti relazioni che esistono fra la Repubblica del Benin e la Santa Sede e la grande considerazione in cui il suo popolo tiene la Chiesa Cattolica. I miei voti vanno anche al Governo e alle altre Autorità del suo Paese e a tutti i suoi abitanti.

Nel suo discorso lei ha ricordato il compianto Cardinale Bernardin Gantin. Scomparso già da due anni, questo importante uomo di Chiesa non è stato solo un nobile figlio della sua nazione, ma anche un autentico costruttore di ponti fra le culture e fra i continenti. Sono certo che la sua figura sarà un esempio per molti abitanti del Benin, in particolare per i più giovani. Il suo ministero ecclesiale stimolerà gli uomini e le donne di Chiesa a svolgere un servizio generoso e sempre più competente per il bene più grande del suo amato Paese, che il prossimo anno festeggerà il centocinquentesimo anniversario della sua evangelizzazione.

Venti anni fa, nel febbraio 1990, si riuniva la Conferenza delle Forze vive della Nazione. Questo importante evento - che non era solo politico, ma che testimoniava anche la relazione intima fra la fede e la sua espressione nella vita pubblica del Benin - ha determinato il vostro futuro e continua a ispirare il vostro presente. Chiedo a Dio di benedire gli sforzi di tutti coloro che lavorano all'edificazione di una società fondata sulla giustizia e sulla pace, nel riconoscimento dei diritti di tutte le componenti della nazione. Per la realizzazione di un simile ideale occorrono unione fraterna, amore per la giustizia e valorizzazione del lavoro.

Protagonisti del loro destino, gli abitanti del Benin sono invitati a promuovere un'autentica fratellanza. Quest'ultima è una condizione fondamentale per la pace sociale e un fattore di promozione umana integrale. È una perla preziosa che bisogna saper conservare e coltivare bandendo le divisioni che possono costituire una minaccia per l'unità della nazione e per l'armonia all'interno stesso delle famiglie. Dinanzi a tali possibili fattori di destabilizzazione, i valori attinti dal vostro patrimonio culturale saranno un aiuto prezioso per affermare la loro identità e la loro vocazione. Fra questi valori, vorrei sottolineare in particolare il rispetto del carattere sacro della vita, di cui è necessario tener conto dinanzi a tutto ciò che lo minaccia, in particolare nell'ambito delle legislazioni. Espressione concreta dell'uguale dignità di tutti i cittadini, la fratellanza è un principio fondamentale e una virtù basilare per costruire una società realmente sviluppata, poiché permette di valorizzare tutte le potenzialità umane e spirituali. La fratellanza deve anche condurre alla ricerca della giustizia, la cui assenza è sempre causa di tensioni sociali e comporta numerose conseguenze nefaste. "La pace è in pericolo quando all'uomo non è riconosciuto ciò che gli è dovuto in quanto uomo, quando non viene rispettata la sua dignità e quando la convivenza non è orientata verso il bene comune" (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 494).

La ricerca dell'interesse personale a detrimento del bene comune è un male che corrode lentamente le istituzioni, frenando così lo sviluppo integrale dell'essere umano. Gli attori politici, economici e sociali di una nazione sono la sua "coscienza che vigila", che garantisce la trasparenza nelle sue strutture e l'etica che anima la vita di ogni società. Essi devono essere giusti. La giustizia accompagna sempre la fratellanza. Costituisce un fattore di efficacia e di equilibrio sociale che permette agli abitanti del Benin di prendere parte alle risorse umane e naturali, di vivere degnamente e di assicurare il futuro dei propri figli.

Nello sviluppo di una società, il lavoro occupa un posto di prim'ordine. In effetti, è coesistenziale alla condizione umana (cfr. Ibidem, n. 256), poiché l'essere umano si realizza pienamente attraverso il lavoro. L'amore per il lavoro lo nobilita e crea una vera simbiosi fra le persone, come pure fra l'essere umano e gli altri elementi del creato. Valorizzando il lavoro, l'uomo può provvedere ai suoi bisogni vitali e può contribuire alla costruzione di una società prospera, giusta e fraterna. Il motto del Benin Fraternità - Giustizia - Lavoro, è dunque un vero compendio della carta di una nazione dagli alti ideali umani. La loro attuazione contribuisce anche ad estendere la solidarietà alle altre nazioni. A tale proposito, desidero porgere il mio ringraziamento a tutti gli abitanti del Benin per la fraternità attiva che hanno dimostrato per il popolo haitiano in occasione del recente terremoto.

Desidero salutare calorosamente, per mezzo di lei, la comunità cattolica del Benin e i suoi pastori. Li incoraggio a essere sempre più testimoni autentici della fede e dell'amore fraterno che Cristo ci insegna. Vorrei anche rendere omaggio agli sforzi di tutti, in particolare delle Autorità, per consolidare le relazioni di rispetto e di stima reciproche fra le confessioni religiose del vostro Paese. La libertà religiosa non può che contribuire ad arricchire la democrazia e a favorire lo sviluppo.

Nel momento in cui inizia la sua funzione di primo Capo Missione del Benin residente a Roma, accreditato presso la Santa Sede, formulo per lei, signor Ambasciatore, i miei voti migliori, assicurandola della piena disponibilità dei miei collaboratori a fornirle tutto l'aiuto di cui potrà aver bisogno nello svolgimento della sua funzione. Chiedo a Dio di sostenere il popolo del Benin e, di cuore, imparto la Benedizione Apostolica a lei, a suoi collaboratori e ai suoi familiari.







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