Caterina, Dialogo 89

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CAPITOLO LXXXIX.

Io voglio che tu sappi che ogni lagrima procede dal cuore, però che nullo membro è nel corpo che voglia satisfare al cuore quanto l'occhio. Se egli à dolore, l'occhio il manifesta; e se egli è sensitivo dolore, gitta lagrime (77v) cordiali che generano morte, perché procedevano dal cuore, perché l'amore era disordinato, fuore di me. E perché egli è disordinato, però è con offesa di me e riceve mortale dolore e lagrime. è vero che la gravezza della colpa e del pianto è più e meno, secondo la misura del disordinato amore. Questi sono quelli primi che ànno lagrime di morte, dei quali Io t'ò detto e dirò.

Ora comincia a vedere le lagrime che cominciano a dare vita, cioè di coloro che cognoscendo le colpe loro, per timore della pena cominciano ad piagnere.

Queste sono lagrime cordiali e sensitive, cioè che non essendo ancora al perfettissimo odio della colpa commessa per l'offesa fatta a me, levansi con uno cordiale dolore per la pena che lo' seguita dopo il peccato commesso; e però l'occhio piagne perché vuole satisfare al dolore del cuore.

Ed esercitandosi l'anima alla virtù, comincia a perdere il timore, perché cognosce che solo il timore non è sufficiente a dargli vita eterna, sì come nel secondo stato dell'anima Io ti narrai. § 59 ; § 63 E però si leva con amore a cognoscere se medesima e la mia bontà in sé, e comincia a pigliare speranza nella misericordia mia, nella quale il cuore sente allegrezza, mescolato il dolore della colpa con la speranza della divina mia misericordia.

L'occhio allora comincia a piangere, la quale lagrima esce della fontana del cuore. Ma perché ancora non è giunta alla grande perfezione, spesse volte gitta lagrime sensuali. Se tu mi dimandi per che modo, rispondoti: per la radice dell'amore proprio di sé. Non d'amore sensitivo, ché già n'è levato per lo modo detto, ma è uno amore spirituale, quando l'anima appetisce le spirituali consolazioni delle quali distesamente ti dissi la imperfezione loro, o mentali con mezzo d'alcuna creatura amata di spirituale amore § 67 ; § 71 (78r). Quando è privata di quella cosa che ama, cioè delle consolazioni o dentro o di fuore - dentro, per consolazione che abbi tratta da me, o di fuore, della consolazione che aveva per mezzo della creatura - e sopravenendole tentazioni o persecuzioni dagli uomini, il cuore à dolore, e subito l'occhio, che sente la pena del cuore e il dolore, comincia a piagnere d'uno pianto tenero e compassionevole a se medesima, d'una compassione di proprio amore spirituale, perché non è ancora conculcata né annegata la propria voluntà in tutto. Per questo modo gitta lagrime sensuali, cioè di spirituale passione.

Ma crescendo ed esercitandosi nel lume del cognoscimento di sé, concipe uno dispiacimento in se medesima unde trae un cognoscimento della mia bontà con un fuoco d'amore, e comincia ad unirsi e conformare la volontà sua con la mia. § 60 -LXI; § 75 E così comincia a sentire gaudio e compassione: gaudio in sé per l'affetto dell'amore, e compassione al prossimo, sì come nel terzo stato ti narrai. Subito l'occhio, che vuole satisfare al cuore, geme nella carità mia e del prossimo suo con cordiale amore, dolendosi solo dell'offesa mia e del danno del prossimo, e non di pena né danno proprio di sé; perché non pensa di sé, ma solo pensa di potere rendere gloria e loda al nome mio, e con spasimato desiderio si diletta di prendere il cibo in su la mensa della santissima croce, cioè conformandosi con l'umile, paziente e immaculato Agnello unigenito mio Figliuolo, del quale feci ponte come detto è. § 86 Poi che così dolcemente è ita per lo ponte seguitando la dottrina della dolce mia Verità, e passata per questo Verbo sostenendo con vera e dolce pazienzia ogni pena e molestia, secondo che Io ò permesso per la sua salute, ella virilmente l'à ricevute, non elegendole a suo modo ma a mio; e non tanto che porti con pazienzia, come Io ti dissi, ma con allegrezza sostiene. E recasi in una gloria d'essere perseguitata per lo nome mio, pure che abbia (78v) di che patire. § 78 , 1466ss.; § 84 , 1942ss.) Allora viene l'anima a tanto diletto e tranquillità di mente, che non è lingua sufficiente a poterlo narrare. § 76 , 1327ss.; § 88 -LXXIX) Passata per questo mezzo, cioè della dottrina de l'unigenito mio Figliuolo, fermato l'occhio de l'intelletto in me, dolce prima Verità, veduta la cognosce e cognoscendola l'ama. Tratto l'affetto dietro all'intelletto, gusta la Deità mia eterna nella quale cognosce e vede essa natura divina unita con la vostra umanità.

Riposasi allora in me, mare pacifico. Il cuore è unito per affetto d'amore in me, sì come nel quarto unitivo stato ti dissi. § 78 , 1503ss.) Nel sentimento di me, Deità eterna, l'occhio comincia a versare lagrime di dolcezza che drittamente sono un latte che nutrica l'anima in vera pazienzia. Queste lagrime sono uno unguento odorifero che gittano odore di grande soavità.

O dilettissima figliuola, quanto è gloriosa quella anima che così realmente à saputo trapassare dal mare tempestoso a me, mare pacifico, e empito il vasello del cuore suo nel mare di me, somma eterna Deità! E però l'occhio, che è condotto, s'ingegna come egli à tratto del cuore di satisfargli, e così versa lagrime.

Questo è quello ultimo stato dove l'anima sta beata e dolorosa; § 78 , 1567ss.) beata sta per l'unione che à fatta meco per sentimento gustando l'amore divino; dolorosa sta per l'offesa che vede fare alla bontà e grandezza mia, la quale à veduta e gustata nel cognoscimento di sé, per lo quale cognoscimento di sé e di me giunse all'ultimo stato. E non è però impedito lo stato unitivo, che dà lagrime di grande dolcezza, per lo cognoscimento di sé nella carità del prossimo, nella quale trovò pianto d'amore della divina mia misericordia e dolore dell'offesa del prossimo, piangendo con coloro che piangono e godendo con coloro che godono. (Rm 12,15) Ciò sono quelli che vivono in carità, de' quali l'anima gode vedendo rendere gloria e loda a me da' servi miei.

Sì che il pianto secondo, cioè il terzo, non impedisce l'ultimo, cioè il quarto: l'unitivo secondo (79r); anco condisce l'uno l'altro.

Che se l'ultimo pianto, dove l'anima à trovata tanta unione, non avesse tratto dal secondo, cioè dal terzo stato della carità del prossimo, non sarebbe perfetto. Sì che è di bisogno che si condisca l'uno con l'altro; altrimenti verrebbe a presunzione, nella quale intrarebbe uno vento sottile d'una propria reputazione, e cadrebbe dall'altezza infino alla bassezza del primo vomito.

E però è bisogno di portare e tenere continuo la carità del prossimo con vero cognoscimento di sé. Per questo modo nutricarà il fuoco della mia carità in sé, perché la carità del prossimo è tratta della carità mia, ciò è di quello cognoscimento che l'anima ebbe cognoscendo sé e la bontà mia in sé, unde egli si vide amare da me ineffabilemente. E però con questo medesimo amore che vide in sé essere amato, ama ogni creatura che à in sé ragione; e questa è la ragione che l'anima si stende, subito che cognosce me, ad amare il prossimo suo. Unde perché vide l'ama ineffabilemente, sì che ama quella cosa che vide che Io più amavo.

Poi cognobbe che a me non poteva fare utilità, né rendermi quello puro amore con che si sente essere amato da me, e però si pone a rendermi amore con quel mezzo che Io v'ò posto, cioè il prossimo vostro, che è quel mezo a cui dovete fare utilità - sì come Io ti dissi che ogni virtù si faceva col mezo del prossimo - ad ogni creatura in comune e in particulare, secondo le diverse grazie ricevute da me, dandovele a ministrare. § 6 -VIII) Amare dovete di quel puro amore che Io amo voi: (Jn 15,12; § 64 ,411ss.) questo non si può fare verso di me, perché Io v'amai senza essere amato e senza veruno rispetto. E però che Io v'ò amati senza essere amato da voi prima che voi foste - anco l'amore mi mosse a crearvi alla imagine e similitudine mia - no'l potete rendere a me, ma dovetelo rendere alla creatura che à in sé ragione, amandoli sanza essere amati da loro; e amare sanza alcuno rispetto di propria utilità spirituale o temporale, ma solo amare ad gloria e loda del (79v) nome mio, perché è amata da me. Così adempirete il comandamento della legge d'amare me sopra ogni cosa e 'l prossimo come voi medesimi.

Bene è dunque vero che a quella altezza non si può giugnere sanza questo secondo stato, cioè che viene il terzo stato e secondo all'unione. Né, poi che è gionto, si può conservare se si partisse da quello affetto unde pervenne alle seconde lagrime dette ; sì come non si può adempire la legge di me, Dio eterno, senza quella del prossimo vostro, perché sono due piei dell'affetto per li quali s'osservano e comandamenti e consigli, sì come Io ti dissi, che vi dié la mia Verità, Cristo crocifisso.

Così questi due stati, de' quali è fatto uno, § 74 ,1132ss.) nutricano l'anima nelle virtù e nell'unitivo stato. Non che muti altro stato gionto che è a questo; ma questo medesimo cresce la ricchezza della grazia in nuovi e diversi doni e amirabili elevazioni di mente, sì come Io ti dissi, § 79 ; § 85 con uno cognoscimento di verità che essendo mortale pare quasi immortale, perché il sentimento della propria sensualità è mortificato, e la voluntà è morta per l'unione che à fatta in me.

O quanto è dolce questa unione all'anima che la gusta! ché, gustandola, vede le segrete cose mie; unde spesse volte ne riceve spirito di profezia in sapere le cose future. Questo fa la mia bontà, benché l'anima umile sempre le debba spregiare: non l'effetto della mia carità che do, ma l'appetito delle proprie consolazioni, reputandosi indegna della pace e quiete della mente, per nutricare la virtù dentro nell'anima sua. E non sta nel secondo stato, ma torna alla valle del cognoscimento di sé. Questo le permetto per grazia, di darle questo lume, acciò che sempre cresca, perché l'anima non è tanto perfetta in questa vita che non possa crescere a maggiore perfezione, ciò è a perfezione d'amore.

Solo il dilettissimo mio Figliuolo, capo vostro, fu quegli a cui non poté crescere alcuna perfezione, perché egli era una cosa con meco e Io con lui: l'anima sua era beata per l'unione della natura mia divina. Ma voi, peregrini membri, sempre sete atti a crescere in maggiore perfezione. Non però ad altro stato, come detto è, poi che sete giunti all'ultimo; ma potete crescere quello ultimo medesimo con quella perfezione che sarà di vostro piacere, mediante la grazia mia (80r).



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CAPITOLO XC.

Ora ài veduti gli stati delle lagrime e la differenzia loro, secondo che è piaciuto alla mia verità di satisfare al desiderio tuo.

Delle prime, di coloro che sono in stato di morte di colpa di peccato mortale, che 'l pianto loro procede dal cuore generalmente, perché il principio dell'affetto unde venne la lagrima era corrotto, e però n'uscì corrotto e miserabile pianto e ogni loro operazione.

El secondo è di coloro che cominciano a cognoscere i loro mali per la propria pena che lo' seguita dopo la colpa. Questo è uno comincio generale, buonamente dato da me ai fragili che, come ignoranti, s'annegano giù per lo fiume, schifando la dottrina della mia Verità. Ma molti e molti sono quelli che cognoscono sé.

Senza timore servile, cioè di propria pena, vannosene: chi di subito con uno grande odio di sé, per lo quale odio si reputano degni della pena; alcuni con una buona simplicità si dànno a servire me loro Creatore, dolendosi dell'offesa che ànno fatta a me. è vero che egli è più atto a giognere allo stato perfetto colui che va con grandissimo odio che gli altri, benché, esercitandosi, l'uno e l'altro vi giogne, ma questo giogne prima. Debba guardare l'uno di non rimanere nel timore servile, e l'altro nella tepidezza sua, cioè con quella simplicità, non esercitandola, che non vi s'intepidisse dentro. Sì che questo è uno chiamare comune.

El terzo e'l quarto è di coloro che, levati dal timore, sono giunti all'amore e a speranza, gustando la divina mia misericordia, ricevendo molti doni e consolazioni da me; per le quali l'occhio, che satisfa al sentimento del cuore, piagne, ma perché ancora è imperfetto, mescolato col pianto sensitivo spirituale, come detto è. Giogne, esercitandosi in virtù, al quarto, dove l'anima, cresciuta in desiderio, uniscesi e conformasi con la mia volontà, in tanto che non può desiderare se non quello che Io voglio, vestito della carità del prossimo, unde trae uno pianto d'amore in sé, e dolore dell'offesa mia e danno del prossimo suo.

Questa è unita con la quinta ed ultima perfezione, dove egli s'unisce in verità, dove è cresciuto il fuoco del santo desiderio; dal quale desiderio il dimonio fugge e non può percuotere l'anima, né per ingiuria (80v) che le fosse fatta, perché ella è fatta paziente nella carità del prossimo; non per consolazione spirituale né temporale, però che per odio e vera umilità le spregia.

Egli è bene vero che'l dimonio dalla parte sua non dorme mai, ma insegna a voi negligenti che nel tempo del guadagno state a dormire. Ma la sua vigilia a questi cotali non può nuocere, perché non può sostenere il calore della carità loro né l'odore de l'unione che l'anima à fatta in me, mare pacifico, dove l'anima non può essere ingannata mentre che starà unita in me, Sì che fugge come fa la mosca dalla pignatta che bolle, per paura che à del fuoco. Se fusse tiepida non temerebbe, ma anderebbevi dentro; ben che spesse volte egli vi perisce, trovandovi più caldo che non si imaginava. (Let 128; Let 172; Let 287;) E così diviene dell'anima, che prima che ella venga allo stato perfetto el dimonio v'entra dentro, perché gli pare tiepida, con diverse tentazioni; ma essendovi punto di cognoscimento e di calore e dispiacimento della colpa, resiste, legando la voluntà che non consenta, col legame dell'odio del peccato e amore della virtù.

Rallegrisi ogni anima che sente le molte molestie, però che quella è la via da giognere a questo dolce e glorioso stato; per che già dissi che per lo cognoscimento e odio di voi e per lo cognoscimento della mia bontà voi venite ad perfezione. (Let66; Let76; Let78; Let81; Let 169; Let 187; Let 201; Let 211; Let 221; Let 249; Let 257) Niuno tempo è che sì cognosca tanto bene l'anima se Io sono in lei quanto nel tempo delle molte battaglie. In che modo? Dicotelo. Sé cognosce bene, vedendosi nelle battaglie e non si può liberare né resistere che non l'abbi: può bene resistere con la volontà a non consentire, ma in altro no.

Allora può cognoscere sé non essere, che se ella fusse alcuna cosa per se medesima, si leverebbe quelle che ella non volesse. Così per questo modo s'aumilia con vero cognoscimento di sé e col lume della santissima fede corre a me Dio eterno, per la cui bontà si truova conservare la buona e santa voluntà che non consente, al tempo (81r) delle molte battaglie, ad andare dietro alle miserie nelle quali si sente molestare. (Let 189; Let 245)

Bene avete dunque, ed à ragione l'anima, di confortarsi con la dottrina del dolce e amoroso Verbo unigenito mio Figliuolo, nel tempo delle molte molestie e pene, avversità e tentazioni dagli uomini e dal dimonio, poi che aumentano la virtù a farvi giognere a la grande perfezione.



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CAPITOLO XCI.

Detto t'ò delle lagrime perfette e imperfette, e come tutte escono del cuore. E di questo vasello esce ogni lagrima di qualunque ragione si sia, e però tutte si possono chiamare «lagrime cordiali»: solo sta la differenzia nell'ordinato o disordinato amore e ne l'amore perfetto o imperfetto, secondo che detto è di sopra.

Restoti ora a dire, a satisfazione del desiderio tuo che m'ài adimandato, d'alcuni che vorrebbono la perfezione delle lagrime e non pare che la possino avere: àcci altro modo che lagrima d'occhio? Sì: ècci uno pianto di fuoco, cioè di vero e santo desiderio, il quale si consuma per affetto d'amore. Vorrebbe dissolvere la vita sua in pianto per odio di sé e salute dell'anime, e non pare che possa.

Dico che costoro ànno lagrima di fuoco, in cui piagne lo Spirito santo dinanzi a me per loro e per lo prossimo loro, cioè dico che la divina mia carità accende con la sua fiamma l'anima che offera ansietati desideri dinanzi a me, senza lagrima d'occhio. Dico che queste sono lagrime di fuoco: per questo modo dicevo che lo Spirito santo piagne. Questo non potendo fare con lagrime, offera desideri di volontà che à del pianto, per amore di me. Benché, se aprono l'occhio de l'intelletto, vedranno che ogni servo mio che gitta odore di santo desiderio ed umili e continue orazioni dinanzi da me, piagne lo Spirito santo per mezzo di lui. A questo modo parbe che volesse dire il glorioso apostolo Paulo, quando disse che lo Spirito santo piagneva dinanzi a me, Padre, con gemito inenarrabile per voi. (Rm 8,26)

Adunque vedi (81v) che non è di meno il frutto della lagrima del fuoco che di quella dell'acqua, anco spesse volte di maggiore, secondo la misura dell'amore. E però non debba venire questa anima ad confusione di mente, né debbale parere essere privata di me, che desidera lagrime e non le può avere per lo modo che desidera; ma debbale desiderare con la voluntà accordata con la mia e umiliata al sì e al no, secondo che piace alla divina mia bontà. Alcuna volta io permetto di non darle lagrime corporalmente, per farla continuamente stare dinanzi da me umiliata, e con continua orazione e desiderio gustando me; ché, avendo quello che adimanda non le sarebbe quella utilità che essa si crede, ma starebbesi contenta ad avere quello che essa à desiderato, e allentarebbe l'affetto e'l desiderio col quale ella me l'adimandava. Sì che Io per accrescimento, e non perché diminuisca, sottraggo a me di non darle le attuali lagrime d'occhio, ma dolle le mentali, solamente di cuore, piene di fuoco della divina mia carità. Sì che in ogni stato e in ogni tempo saranno piacevoli a me, pure che l'occhio de l'intelletto non si serri mai, col lume della fede, dall'obietto della mia Verità eterna, con affetto d'amore. Però che Io so' medico e voi infermi, e do a tutti quello che è di necessità e di bisogno alla vostra salute, e a crescere la perfezione nell'anima vostra. § 142 -CXLV)

Questa è la verità, e la dichiarazione dei cinque stati delle dette lagrime dichiarate da me, Verità eterna, a te dolcissima figliuola mia. Annegati dunque nel sangue di Cristo crocifisso, umile, crociato e immaculato Agnello unigenito mio Figliuolo, crescendo in continua virtù, acciò che si nutrichi il fuoco della divina mia carità in te.



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CAPITOLO XCII.

Questi cinque stati predetti sono come cinque principali canali de' quali i quattro dànno abondanzia e infinite varietadi di lagrime, che tutte dànno vita se sono esercitate in virtù, come detto Io t'ò (82r). Come infinite? Non dico che in questa vita siate infiniti in pianto, ma infinite le chiamo per lo infinito desiderio dell'anima. § 3 -V) Ora t'ò detto come la lagrima procede dal cuore: il cuore la porge all'occhio avendola ricolta dall'affocato desiderio; sì come il legno verde che sta nel fuoco, che per lo caldo geme l'acqua, perché egli è verde, che se fosse secco già non gemerebbe. Così el cuore, rinverdito per la rinnovazione della grazia, trattone la secchezza dell'amore proprio che disecca l'anima. Sì che sono unite fuoco e lagrime, cioè desiderio affocato. E perché il desiderio non fìnisce mai non si sazia in questa vita, ma quanto più ama meno gli pare amare, e così esercita il desiderio santo che è fondato in carità, col quale desiderio l'occhio piagne.

Ma separata che l'anima è dal corpo e gionta a me, fine suo, non abbandona però il desiderio, che non desideri me e la carità del prossimo suo; imperò che la carità è intrata dentro come donna, portandosene il frutto di tutte l'altre virtù. è vero che termina e finisce la pena, sì come Io ti dissi, imperò che se egli desidera me egli m'à in verità; sanza alcuno timore di potere perdere quello che tanto tempo à desiderato. E in questo modo nutrica la fame; cioè che avendo fame sono saziati e saziati ànno fame; e di longa è il fastidio dalla sazietà e di longa è la fame dalla pena, perché ine non manca alcuna perfezione. § 41 ,476ss.) Sì che il desiderio vostro è infinito, ché altrimenti non varrebbe né avarebbe vita alcuna virtù se Io fossi servito solamente con cosa finita; perché Io, che so' Dio infinito, voglio essere servito da voi con cosa infinita, e infinito altro non avete se non l'affetto e il desiderio vostro dell'anima. § 3 ,17ss.) E per questo modo dicevo che sono infinite varietadi di lagrime, e così è la verità, per lo modo che detto t'ò, per lo infinito desiderio che è unito con la lagrima. § 4 La lagrima (82v), partita che l'anima è dal corpo, rimane di fuore, ma l'affetto della carità à tratto ad sé il frutto della lagrima e consumatala, sì come l'acqua nella fornace. Non è che l'acqua sia fuore della fornace, ma il calore del fuoco l'à consumata e tratta in sé. Così l'anima giunta a gustare il fuoco de la divina mia carità, e passata di questa vita con l'affetto della carità di me e del prossimo suo, e con l'amore unitivo col quale gittava la lagrima. E non restano mai di continuamente offerire loro desideri beati e lagrimosi sanza pena: non con lagrime d'occhio, ché ella è diseccata nella fornace come detto è, ma lagrima di fuoco di Spirito santo.

Veduto ài dunque come sono infinite, che pure in questa vita medesima non è lingua sufficiente a narrare quanti diversi pianti si fanno in questo stato detto. Ma òtti detto la differenzia de' quattro stati delle lagrime.

Restoti a dire del frutto che dà la lagrima giunta con desiderio, e quello che adopera nell'anima.



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CAPITOLO XCIII.

Prima ti comincerò dalla quinta, della quale al principio ti feci menzione, cioè di coloro che miserabilemente vivono nel mondo, facendosi Dio delle creature e delle cose create, e della propria loro sensualità unde viene ogni danno dell'anima e del corpo.

Io ti dissi che ogni lagrima procedeva dal cuore, e così è la verità, perché tanto si duole il cuore quanto egli ama. Gli uomini del mondo piangono quando il cuore sente dolore, cioè quando è privato di quella cosa che egli amava, ma molto sono diversi i pianti loro. Sai quanto? Quanto è differente e diverso l'amore. E perché la radice è corrotta del proprio amore sensitivo, ogni cosa n'esce corrotta.

Egli è uno arbolo § 10 che non germina altro che frutti di morte, fiori putridi, foglie macchiate; rami inchinati infine a terra, percossi da diversi venti: questo è l'arbolo dell'anima, perché tutti sete arboli d'amore, e però senza amore non potete vivere, perché sete fatti da (83r) me per amore.

L'anima che virtuosamente vive pone la radice dell'arbolo suo nella valle della vera umilità, ma costoro che vivono miserabilemente l'ànno posta nel monte della superbia. Unde, perché egli è male piantato, non produce frutto di vita ma di morte. (Mt 7,17) E frutti sono le loro operazioni, e quali sono tutti avelenati di molti diversi peccati; e se niuno frutto di buona operazione essi fanno, perché è corrotta la radice ogni cosa n'esce guasta, § 31 -XXXV)ciò è che l'anima la quale è in peccato mortale, niuna buona operazione che facci le vale a vita eterna, perché non sono fatte in grazia.

Per che niuno debba lassare però la buona operazione, perché ogni bene è remunerato e ogni colpa punita.

El bene che è fatto fuore della grazia non è sufficiente né gli vale a vita eterna, come detto è; ma la divina bontà e giustizia mia dà remunerazione imperfetta. Alcuna volta l'è remunerato in cose temporali, alcuna volta ne gli presto el tempo, sì come in uno altro luogo sopra questa materia ti narrai, dandogli spazio pure perché egli si possa correggere. Questo anco alcuna volta gli farò, che gli darò vita di grazia con alcuno mezzo de' servi miei i quali sono piacevoli e accetti a me, sì come Io feci al glorioso apostolo Paulo, che per l'orazioni di santo Stefano si levò dalla infedelità e persecuzioni che faceva a' cristiani. Sì che vedi bene che, in qualunque stato egli si sia, non debbe mai lassare di bene fare.

Dicevoti che i fiori sono putridi, e così è la verità. I fiori sono le puzzolenti cogitazioni del cuore, le quali sono spiacevoli a me, e odio e dispiacimento verso il prossimo loro. Sì come ladro l'onore à furato di me suo Creatore, e datolo a sé.

Questo fiore mena puzza di falso e miserabile giudicio, il quale giudicio è in due modi: l'uno verso di me, giudicando gli occulti miei giudicii e ogni mio misterio iniquamente, e in odio quello che Io gli ò fatto per amore, e in bugia quello che Io gli ò fatto per verità, e in morte quello che Io do per vita. Ogni cosa condanano e giudicano secondo il loro infermo parere, perché si sono accecati col proprio (83v) amore sensitivo l'occhio de l'intelletto e ricuperta la pupilla della santissima fede che non lo' lassa vedere né cognoscere la verità.

L'altro giudicio ultimo è in verso del prossimo suo, unde spesse volte n'esce molto male; ché il misero uomo non cognosce sé, e vuolsi ponere a cognoscere il cuore e l'affetto della creatura che à in sé ragione, e per una operazione che vedrà o parole che oda, vorrà giudicare l'affetto del cuore. Ma i servi miei sempre giudicano in bene, perché sono fondati in me, sommo bene. Ma questi cotali sempre giudicano in male, perché sono fondati nel miserabile male. Dei quali giudicii molte volte ne viene odio omicidii e dispiacimento verso il prossimo, e dilungamento dall'amore della virtù de' servi miei.

Così a mano a mano seguitano le foglie, ciò sono le parole che escono della bocca in vituperio di me e del sangue de l'unigenito mio Figliuolo, e in danno del prossimo suo. E non si curano d'altro che di maledire e condennare l'opere mie, o di bastemmiare e dire male d'ogni creatura che à in sé ragione, come fatto lo' viene secondo che il loro giudicio porta. E non tengono a mente - disaventurati a loro! - che la lingua è fatta solo per rendere onore a me, per confessare i difetti loro, e aoperare per amore della virtù e in salute del prossimo. Queste sono le foglie macchiate della miserabile colpa, perché il cuore unde elle sono procedute non era schietto ma molto maculato di doppiezza e di molta miseria.

Quanto pericolo, oltre al danno spirituale della privazione de la grazia che à fatta nell'anima, n'esce in danno temporale! Che per le parole avete veduto e udito venire mutazioni di stati, disfacimento delle città e molti altri mali e omicidii perché la parola entrò nel mezzo del cuore a colui a cui fu detta: intrò dove non sarebbe passato il coltello.

Dico che l'arbolo à sette rami che chinano infino a terra, de' quali escono i fiori e le foglie per lo modo che detto t'ò. Questi sono i sette peccati mortali, i quali sono pieni di diversi (84r) e molti peccati legati nella radice e gambone de l'amore proprio di sé e della superbia, la quale prima à fatti i rami e i fiori delle molte cogitazioni; poi procede la foglia delle parole e il frutto di gattive operazioni. Stanno chinati infino a terra, ciò è che i rami de' peccati mortali non si voltano altro che alla terra d'ogni fragile e disordinata sustanzia del mondo; ed in altro non mira se non in che modo si possa nutricare della terra, insaziabilemente, ché mai non si sazia. Insaziabili sono e incomportabili a loro medesimi, e cosa convenevole è che essi sieno sempre inquieti ponendosi a desiderare e volere quella cosa che lo' dà sempre insazietà, sì come Io ti dissi.

Questa è la cagione perché non si possono saziare: però che sempre appetiscono cosa finita, ed essi sono infiniti quanto ad essere, ché l'essere loro non finisce mai, perché finisca quanto a grazia per la colpa del peccato mortale. E perché l'uomo è posto sopra tutte le cose create, e non le cose create sopra lui, e però non si può saziare né stare quieto se non in cosa maggiore di sé. Maggiore di sé non ci è altro che Io, Dio eterno, e però solo Io gli posso saziare. E perché egli è privato di me per la colpa commessa, sta in continuo tormento e pena. Dopo la pena gli seguita il pianto; e giognendo i venti, § 36 ,276ss.) percuotono l'arbolo dell'amore della propria sensualità dove egli à fatto ogni suo principio.



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CAPITOLO XCIV.

O egli è vento di prosperità, o d'aversità, o di timore, o di coscienzia, che sono quattro venti.

Il vento della prosperità nutrica la superbia con molta presunzione, con grandezza di sé e avilimento del prossimo suo. Se egli è signore, signoreggia con molta ingiustizia e con vanità di cuore, e con immundizia di corpo e di mente, e con la propria reputazione, e con molti altri difetti che seguitano dopo questi, i quali la lingua tua non potrebbe narrare. Questo vento della prosperità è egli corrotto in sé? No, né questo né veruno; ma è corrotta la principale radice de l'arbolo, unde ogni cosa corrompe. Perché Io che mando e dono ogni cosa che à essere so' sommamente buono e però è buono ciò che è in questo vento prospero. § 47 Ma seguitanegli pianto perché il suo cuore non è saziato; ché desidera quello che non (84v) può avere, e non potendolo avere à pena, e nella pena piagne. Ché già ti dissi che l'occhio vuole satisfare al cuore.

Dopo questo viene un vento di timore servile, nel quale gli fa paura l'ombra sua, temendo di perdere la cosa che egli ama. O egli teme di perdere la vita sua medesima, o quella de' figliuoli o d'altre creature; o teme di perdere lo stato suo o d'altri per amore proprio di sé, o onore o ricchezza. Questo timore non gli lassa possedere il diletto suo in pace, perché ordinatamente secondo la mia volontà non le possede, e però gli seguita timore servile e pauroso, fatto servo miserabile del peccato, e tale si può reputare quale è quella cosa a cui egli serve. (Rm 6,16 Rm 6,23) Il peccato è non cavelle, adunque egli è venuto a non cavelle.

Mentre che il vento del timore l'à percosso, ed e' gli giogne quello della tribolazione e avversità, della quale egli temeva, e privalo di quello che egli aveva, alcuna volta particulare e alcuna volta generale.

Generale è quando è privato della vita, che per forza della morte è privato d'ogni cosa. Alcuna volta è particulare, che quando leva una cosa e quando un'altra: o della sanità, o de' figliuoli, o ricchezze, o stato, o onori, secondo che Io, dolce medico, veggo che v'è di necessità alla vostra salute, e però ve l'ò date. Ma perché la fragilità vostra è tutta corrotta e senza veruno cognoscimento, guasta il frutto della pazienzia. E però germina impazienzia, scandalo e mormorazione, odio e dispiacimento verso me e verso le mie creature. E quello che Io l'ò dato per vita l'à ricevuto in morte con quella misura del dolore che egli aveva l'amore.

Ora è condotto al pianto affligitivo d'impazienzia che disecca l'anima e uccidela tollendole la vita della grazia; e disecca e consuma il corpo e acciecalo spiritualmente e corporalmente, e privalo d'ogni diletto e tollegli la speranza, perché è privato di quella cosa della quale aveva diletto, nella quale avea (85r) posto l'affetto e la speranza e la fede sua, sì che piagne. E non solamente la lagrima fa venire tanti inconvenienti, ma il disordinato affetto e dolore del cuore unde è proceduta la lagrima. Ché non la lagrima dell'occhio in sé dà morte e pena, ma la radice unde ella procede, cioè l'amore proprio disordinato del cuore. (Mt 15,19 Mc 7,21) Che se il cuore fusse ordinato e avesse vita di grazia, la lagrima sarebbe ordinata e costrignerebbe me, Dio eterno, a fargli misericordia. Ma perché dicevo che questa lagrima dà morte? Perché ella è il messo che vi manifesta la morte o vita che fosse nel cuore.

Dicevo che veniva un vento di coscienzia: questo fa la divina mia Bontà che, avendo provato con la prosperità per trarli per amore, e col timore che per importunità dirizzassero il cuore ad amare con virtù e non senza virtù; provato con la tribolazione data perché cognoscano la fragilità e poca fermezza del mondo, ad alcuni altri, poi che questo non giova, perché v'amo ineffabilemente, do uno stimolo di coscienzia perché si levino ad aprire la bocca vomicando e fracidumi de' peccati per la santa confessione.

Ma essi, come ostinati, e drittamente riprovati da me per le iniquità loro - ché non ànno voluto ricevere la grazia mia in veruno modo - fuggono lo stimolo della coscienzia e vannola spassando con miserabili diletti in dispiacere mio e del prossimo loro. Tutto l'adiviene perché è corrotta la radice con tutto l'arbolo e ogni cosa l'è in morte: stanno in continue pene, pianti e amaritudini, come detto è.

E se non si correggono mentre che ànno il tempo di potere usare il libero arbitrio, passano da questo pianto dato in tempo finito e con esso giungono a pianto infinito. Sì che il finito lo' torna ad infinito, perché ella fu gittata con infinito odio della virtù, cioè col desiderio dell'anima fondato in odio, che è infinito.

Vero è che se avessero voluto ne sarebbeno esciti mediante la mia divina grazia nel tempo (85v) che essi erano liberi, non ostante che Io dicessi essere infinito: infinito è in quanto l'affetto e essere dell'anima, ma non l'odio e l'amore che fosse nell'anima; ché mentre che siete in questa vita potete odiare e amare secondo che è di vostro piacere.

Ma se finisce in amore di virtù riceve infinito bene, e se finisce in odio sta in infinito odio, ricevendo l'eterna dannazione, sì come Io ti dissi quando ti contai che s'anegavano per lo fiume; in tanto che non possono desiderare bene, privati della misericordia mia e della carità fraterna, la quale gustano i santi l'uno con l'altro, e della carità di voi peregrini viandanti in questa vita, posti qui da me perché giugnate al termine vostro di me, Vita eterna.

Né orazioni né limosine né veruna altra operazione lo' vale; essi sono membri tagliati dal corpo della divina mia carità, perché mentre che vissero non volsero essere uniti all'obedienzia de' santi comandamenti miei, nel corpo mistico della santa Chiesa e nella dolce sua obedienzia unde traete il sangue dello immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo. E però ricevono il frutto dell'eterna dannazione con pianto e stridore di denti. (Mt 24,51 Mt 25,30) Questi sono quelli martiri del demonio dei quali Io ti dissi; sì che il dimonio lo' dà di quelli frutti che egli à per sé. Adunque vedi che questo pianto dà frutto di pene in questo tempo finito, e ne l'ultimo lo' dà la infinita conversazione delle dimonia.




Caterina, Dialogo 89