Caterina, Dialogo 142

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CAPITOLO CXLII.

Sai tu come Io provego, carissima figliuola, questi miei servi che sperano in me? In due modi: cioè che tutta la providenzia che Io uso (151r) alle mie creature che ànno in loro ragione, è sopra l'anima e sopra il corpo. E ciò ch'Io aduopero in providenzia nel corpo è fatto in servizio de l'anima per farla crescere nel lume della fede, farla sperare in me e perdere la speranza di sé, e perché vegga e cognosca che Io so' colui che so', che posso e voglio e so subvenire al suo bisogno e salute.

Tu vedi che ne l'anima, per la vita sua, Io l'ò dati i sacramenti della santa Chiesa, perché sono suo cibo: non il pane, che è cibo grosso e corporale e dato al corpo, ma perch'ella è incorporea vive della parola mia. Però disse la mia Verità nel santo Evangelio che di solo pane non viveva l'uomo, ma d'ogni parola che procede da me, (Mt 4,4 Lc 4,4) cioè di seguitare con espirituale intenzione la dottrina di questa mia Parola incarnata. La quale parola in virtù del sangue suo e santi sacramenti vi dànno vita.

Sì che i sacramenti spirituali sono dati a l'anima. Poniamo che si pongano e si diano con lo strumento del corpo, solamente quello atto non darebbe a l'anima vita di grazia se essa anima non gli ricevesse con disposizione di spirituale, santo e vero desiderio, il quale desiderio è nell'anima e non nel corpo. E però ti dissi che egli erano spirituali, che si davano a l'anima perché è cosa incorporea: non ostante che siano porti per lo mezzo del corpo, come detto è, al desiderio de l'anima è dato che'l riceva.

Alcuna volta, per crescerla in fame e santo desiderio, glie le farò desiderare e non potrà averli; non potendoli avere cresce la fame, e nella fame il cognoscimento di sé, reputandosene indegna per umilità. E Io alora la fo degna, provedendo spesse volte in diversi modi sopra questo sacramento.

E tu sai che egli è così, se ben ti ricorda d'averlo udito e provato in te medesima. Perché la clemenzia mia dello Spirito santo gli à presi a servire - datolo' da me per la mia bontà - spirarà la mente d'alcuno ministro che l'à a dare questo cibo, costretto dal fuoco della mia carità d'esso Spirito santo, il quale gli dà stimolo di coscienzia, unde per coscienzia si muove a pascere la fame e compiere il desiderio di quella (151v) anima. Farò indugiare alcuna volta in su la estremità: quando in tutto ella n'à perduta la speranza, ed ella à quello che desidera.

E non poteva Io provedere al principio come a l'ultimo? Sì bene: ma follo per crescerla nel lume della fede, acciò che mai non manchi che ella non speri nella mia bontà, per farla cauta e prudente, che imprudentemente non volti il capo a dietro allentando la fame del santo desiderio, e però la indugio.

Sì come ti ricorda di quella anima che, giognendo nella santa chiesa con grande fame della comunione, e giognendo il ministro a l'altare, dimandando ella il corpo di Cristo, tutto Dio e uomo, egli rispose che non voleva. In lei crebbe il pianto e'l desiderio, ed in lui, quando venne ad offerire il calice, crebbe lo stimolo della coscienzia, costretto dal servidore dello Spirito santo che provedeva a quella anima. E come provedeva e lavorava in quello cuore dentro, così el mostrò di fuore, dicendo a quel che'l serviva: «Dimanda se ella si vuole comunicare, ch'io li'l darò volentieri». E se ella aveva una sprizza di fede e d'amore crebbe in grandissima abondanzia, in tanto desiderio che la vita pareva che si volesse partire dal corpo. E però l'aveva Io permesso, per farla crescere e farle diseccare ogni amore proprio infidelità e speranza che avesse in sé.

Alora providi col mezzo della creatura. Un'altra volta provederà solo, senza questo mezzo, il servitore dello Spirito santo, sì come più volte a molte persone è divenuto, e diviene tutto dì a' servi miei. Ma tra l'altre due ammirabili, sì come tu sai, te ne narrarò per farti dilatare in fede e a commendazione della mia providenzia. Ricordati e rammentati in te medesima d'aver udito di quella anima che stando nel tempio mio della santa chiesa il dì della conversione del glorioso apostolo Pauolo, mio dolce banditore, con tanto desiderio di giognere a questo sacramento, pane di vita, cibo degli angeli dato a voi uomini, che ella provò quasi a quanti ministri vennero a celebrare e da tutti le fu dinegato per mia dispensazione, perché volsi che ella cognoscesse che, (152r) mancandole gli uomini, non le mancavo Io suo Creatore. E però a l'ultima messa Io tenni questo modo ch'Io ti dirò, e usai uno dolce inganno per farla innebbriare della providenzia mia.

Lo inganno fu questo: che avendo ella detto di volersi comunicare, quel che serviva no'l volse dire al ministro. Vedendo che egli non rispondeva del no, aspettava con grande desiderio di potersi comunicare.

Detta la messa e trovandosi del no, crebbe in tanta fame e in tanto desiderio, con vera umilità reputandosene indegna, riprendendo la sua presunzione, parendole avere presunto di giognere a tanto misterio. Io, che esalto gli umili, trassi a me il desiderio e l'affetto di quella anima, dandole cognoscimento ne l'abisso della Trinità, me Dio etterno, illuminando l'occhio de l'intelletto suo nella potenzia di me Padre, nella sapienzia de l'unigenito mio Figliuolo, e nella clemenzia dello Spirito santo, i quali siamo una medesima cosa. In tanta perfezione s'unì quella anima, ch'el corpo si sospendeva da la terra perché, come nello stato unitivo de l'anima Io ti narrai, era più perfetta l'unione che l'anima aveva fatta per affetto d'amore in me, che nel corpo suo. § 79 In questo abisso grande ricevette da me, per satisfare al desiderio suo, la santa comunione. E in segno di ciò che in verità l'avevo satisfatto, per più dì sentiva per amirabile modo nel gusto corporale il sapore e odore del sangue e del corpo di Cristo crocifisso mia Verità. Unde ella si rinnovellò nel lume della mia providenzia, avendola gustata così dolcemente. Tutto questo fu visibile a lei, ma invisibile agli occhi delle creature.

Ma il secondo fu visibile al ministro a cui venne il caso. Che essendo quella anima con grande desiderio di udire la messa e della comunione, per passione corporale non era potuta andare a quella ora che bisognava, pure gionse, essendo l'ora tardi alla consecrazione, cioè gionse in su quel'ora che'l ministro consecrava. Essendo egli (152v) da l'uno capo della chiesa, ed ella si pose da l'altro, però che l'obbedienzia non le concedeva che ella stesse ine. Ella si pose con grandissimo pianto, dicendo: «O miserabile anima mia, e non vedi tu quanto di grazia tu ài ricevuto? ché tu se' nel tempio santo di Dio e ài veduto il ministro, che se' degna d'abitare ne lo'nferno per li tuoi peccati». Il desiderio però non si quietava ma quanto più si profondava nella valle de l'umilità, tanto più era levata in su, dandole a cognoscere con fede e speranza la mia bontà, confidandosi che'l servidore dello Spirito santo notricasse la fame sua. Io allora le diei quello che ella in quel modo non sapeva desiderare.

Il modo fu questo: che, venendo il sacerdote a dividere l'ostia per comunicarsi, nel dividere ne cadde uno pezzuolo il quale, per mia dispensazione e virtù - il moccolino de l'ostia, cioè quella particella che se n'era levata - si partì da l'altare e andò ne l'altro capo della chiesa dove ella era. E credendosi ella che non fusse cosa visibile ma invisibile, sentendosi comunicata, pensossi con grande e affocato desiderio che, come più volte l'era adivenuto, Io avesse satisfatto invisibilemente. Ma e' non pareva così al ministro, che sentiva, non trovandola, intollerabile dolore. Se non che'l servidore della mia clemenzia gli manifestò nella mente sua chi l'aveva avuta, sempre però dubbitando, infino che dichiarato si fu con lei.

E non poteva Io tollerle lo impedimento del difetto corporale e farla andare a ora, da ciò che ella avesse potuto ricevere il sacramento dal ministro? Sì, ma volevo farle provare che, col mezzo della creatura e senza il mezzo della creatura, in qualunque stato e in qualunque tempo si sia, in qualunque modo sa desiderare e più che non sa desiderare, Io la posso, so e voglio satisfare, come detto è, con maravigliosi modi.

Questo ti basti, carissima figliuola, averti narrato della providenzia mia. la quale Io uso con l'anime affamate di questo dolce sacramento. E così in tutti gli altri, secondo (153r) che lo' bisogna, uso questa dolce providenzia.

Ora ti dirò alcuna cosellina come Io l'uso dentro ne l'anima, la quale uso senza il mezzo del corpo, cioè con strumenti di fuore. Ben che contandoti gli stati de l'anima Io te ne parlasse, § 60 ; § 63 ; § 64 ; § 68 ; § 70 ; § 78 non di meno anco te ne dirò.



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CAPITOLO CXLIII.

L'anima, o ella è in stato di peccato mortale, o ella è imperfetta in grazia, o ella è perfetta. In ogni uno uso e dilargo e do la mia providenzia, ma in diversi modi con grande sapienzia, secondo che veggo che gli bisogna.

Agli uomini del mondo, che giacciono nella morte del peccato mortale, gli destarò con lo stimolo della coscienza, o con fadighe che sentirà nel mezzo del cuore per nuovi e diversi modi. E sono tanti questi modi, che la lingua tua non sarebbe sufficiente a narrarlo. Unde spesse volte si partono, per questa importunità delle pene e stimolo di coscienzia che è dentro ne l'anima, da la colpa del peccato mortale.

Ed alcuna volta, perché Io delle spine vostre sempre traggo la rosa, conciependo il cuore de l'uomo amore al peccato mortale o alla creatura fuore della mia volontà, Io gli torrò el luogo e 'l tempo che non potrà compire le volontà sue, in tanto che con la stanchezza della pena del cuore, che egli à acquistata per lo suo difetto, non potendo compire le sue disordinate volontà, torna a se medesimo con compunzione di cuore e stimolo di coscienzia, e con essa gitta a terra il farnetico suo. Il quale drittamente si può chiamare «farnetico»: ché, credendosi ponere l'affetto suo in alcuna cosa, quando viene a vedere non truova cavelle.

Era bene ed è alcuna cosa la creatura che egli amava di miserabile amore, ma quello che ne pigliava era non cavelle, però che 'l peccato non è (153v) cavelle. Di questo non cavelle della colpa, che è una spina che pugne l'anima, Io ne traggo questa rosa, come detto è, per provedere a la salute sua.

Chi mi costrigne a farlo? Non egli, che non mi cerca né domanda l'aiutorio e providenzia mia se non in colpa di peccato, in delizie, ricchezze e stati del mondo. Ma l'amore mi costrigne, perché v'amai prima che voi fuste. Senza essere amato da voi, Io v'amai ineffabilemente. Esso mi costrigne a farlo, e l'orazioni dei servi miei, i quali - il servidore dello Spirito santo, clemenzia mia, ministrandolo' l'amore di me e la dilezione del prossimo loro - cercano con inestimabile carità la salute loro, studiandosi di placare l'ira mia e di legare le mani della divina mia giustizia, la quale merita lo iniquo che Io usi contra lui. Esso mi costregne con le lagrime umili e continue orazioni. Chi gli fa gridare? La mia providenzia che proveggo alla necessità di quello morto, perché detto è ch' Io non voglio la morte del peccatore ma che si converta e viva. (Ez 33,11; § 29 Inamorati, figliuola, della mia providenzia. Se tu apri l'occhio della mente tua e del corpo, tu vedi che gli sciellerati uomini che giacciono in tanta miseria i quali sono fatti puzza di morte, oscuri e tenebrosi per la privazione del lume, egli vanno cantando e ridendo, spendendo il tempo loro in vanità, delizie e in grandi disonestà; tutti lascivi bevitori e mangiatori, in tanto che del ventre loro se ne fanno dio, (Ph 3,19) con odio con rancore e con superbia e con ogni miseria - delle quali miserie più distintamente sai ch'Io te ne narrai - e non cognoscono lo stato loro. Vanno per la via da giognere alla morte etternale, se non si correggono nella vita loro, e vanno cantando! E non sarebbe reputato grande stoltìa e pazzia se colui che è condennato a la morte e va alla giustizia andasse cantando e ballando, mostrando segni d'allegrezza? Certo sì. In questa stoltizia stanno questi miseri, e tanto più senza (154r) comparazione veruna, quanto essi ricevono maggiore danno e pena della morte dell'anima che di quella del corpo. Questi perdono la vita della grazia e quegli la vita corporale, riceve pena finita e costoro pena infinita, morendo in stato di dannazione. E vanno cantando! Ciechi sopra ciechi, stolti e matti sopra ogni stoltizia! E i servi miei stanno in pianto, in afflizione di corpo e in contrizione di cuore, in vigilia e continua orazione, con sospiri e lamenti, macerando la carne loro per procurare a la loro salute, ed egli si fanno beffe di loro! Ma elle caggiono sopra i loro capi, tornando la pena della colpa in cui ella debba tornare, e il frutto delle fadighe portate per amore di me si dà in cui la bontà mia gli à fatti meritare, però che Io so' lo Dio vostro giusto, che a ogni uno renderò secondo che avarà meritato. (Ps 61,13) Ma i veri servi miei non allentano i passi per le beffe, persecuzione e ingratitudine loro, anco crescono in maggiore sollicitudine e desiderio. Questo chi el fa, che con tanta fame bussino alla porta della mia misericordia? La providenzia mia, che proveggo e procuro insiememente la salute di questi miseri e aumento la virtù e cresco il frutto per la dilezione della carità nei servi miei.

Infiniti sono questi modi di providenzia ch'Io uso ne l'anima del peccatore per trarlo della colpa del peccato mortale.

Ora ti parlarò di quello che fa la mia providenzia in coloro che sono levati dalla colpa, e sono ancora imperfetti; non ricapitolando gli stati de l'anima, perché già ordinatamente te gli ò narrati, ma breve breve alcuna cosa ti dirò.



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CAPITOLO CXLIV.

Sai tu carissima figliuola, che modo Io tengo per levare l'anima dalla sua imperfezione? Che alcuna volta Io la proveggo con molestie di molte e diverse cogitazioni, e con la mente sterile. Parrà che sia tutta (154v) abandonata da me senza veruno sentimento: né nel mondo gli pare essere, ché non v'è; né in me gli pare essere, ché non à sentimento veruno, fuore che sente che la volontà sua non vuole offendere.

Questa porta della volontà, che è libera, non do Io licenzia ai nemici che ella s'uopra, ma do bene licenzia alle dimonia e agli altri nemici de l'uomo che percuotano l'altre porte; ma questa che è la principale no, ché conserva la città de l'anima. è vero che la guardia che sta a questa porta, del libero arbitrio, gli l'ò dato libero, che dica sì e no secondo che gli piace.

Molte sono le porte che à questa città. Le principali sono tre, che l'una è quella che sempre si tiene, se ella vuole, ed è guardia de l'altre, cioè la memoria, lo 'ntelletto e la volontà. Unde se la volontà consente v'entra il nemico de l'amore proprio e tutti gli altri nemici che seguitano dopo lui. Subito lo 'ntelletto riceve la tenebre che è nemico della luce, e la memoria riceve l'odio per lo ricordamento della ingiuria, che è nemico della dilezione della carità del prossimo suo; ritiene il ricordamento de' diletti e piaceri del mondo, in diversi modi come sono diversi i peccati, i quali sono contrari alle virtù.

Subito che sono aperte le porti, s'uoprono gli sportelli de' sentimenti del corpo, i quali sono tutti stormenti che rispondono a l'anima. Unde tu vedi che l'affetto disordinato de l'uomo, che à uperte le porti sue, risponde con questi organi: unde tutti i suoni sono guasti e contaminati, cioè le sue operazioni.

L'occhio non porge altro che morte, perché è posto a vedere cosa morta con disordinato guardare colà dove non debba; con vanità di cuore, con leggerezza, con modi e guardature disoneste è cagione di dare morte a sé e ad altrui. O misero a te! quello ch' Io t'ò dato perché tu raguardi il cielo e tutte l'altre cose e la bellezza della creatura per me, e perché tu raguardi i misteri miei, e tu raguardi in loto (155r) e in miseria, e così n'acquisti la morte.

Così l'orecchia si diletta in cose disoneste o in udire i fatti del prossimo suo per giudicio; dove Io glili diei perché udisse la parola mia e la necessità del prossimo suo.

La lingua ò data perché annunzi la parola mia e perché confessi i difetti suoi, e perché l'aduopari in salute de l'anime, ed egli l'aduopera in bastemmiare me, che so' suo Creatore, in ruina del prossimo, notricandosi delle carni sue, mormorando e giudicando l'operazioni buone in male e le gattive in buone; bastemmiando, dando falsa testimonianza. Con parole lascive pericola sé e altrui; gitta parole d'ingiuria che trapassano nei cuori dei prossimi come coltella, le quali parole il provocano ad ira. O quanti sono i mali e omicidii, quante disonestà, quanta ira, odio e perdimento di tempo esce per questo membro! (Jc 3,6) Se egli è l'odorato, né più né meno offende ne l'essere suo con disordinato piacere nel suo odorato. E s'egli è il gusto, con golosità insaziabile, con disordinato appetito volendo le molte e variate vivande, non mira se non d'empire il ventre suo; non raguardando, la misera anima che aperse la porta, che per lo disordinato prendere de' cibi viene a riscaldamento la fragile carne sua, e con disordinato desiderio corrompe se medesimo.

Le mani in tollere le cose del prossimo suo, e con laidi e miserabili toccamenti, le quagli sono fatte per servire al prossimo quando il vede nella infermità, sovenendolo con la elemosina nella necessità sua. I piei gli so' dati perché servino e portino il corpo in luoghi santi e utili a sé e al prossimo suo per gloria e loda del nome mio, ed egli gli spende e porta il corpo in luoghi vitoperosi, in molti e diversi modi, novellando e spiacevoleggiando, corrompendo con le loro miserie l'altre creature in molti modi, secondo che piace a la miserabile e disordinata volontà.

Tutto questo t'ò detto (155v), carissima figliuola, per darti materia di pianto, di vedere gionta a tanta miseria la nobile città de l'anima, e perché tu vegga quanto male esce della principale porta della volontà, alla quale Io non do licenzia che i nemici de l'anima entrino, come detto è.

Ma, come Io ti dicevo, do bene licenzia ne l'altre che i nemici le percuotino. Unde Io sostengo che lo 'ntelletto sia percosso da una tenebre di mente, e la memoria quando pare che sia privata del ricordamento di me. E alcuna volta tutti gli altri sentimenti del corpo parrà che sieno mossi in diverse battaglie. Nel guardare le cose sante, e toccandole e udendole e odorandole e andandovi, parrà che ogni cosa gli dia mutazione, disonestà e corrompimento.

Ma tutto questo non è a morte, perché Io non voglio la morte sua, guarda che egli non fusse sì stolto che egli aprisse la porta della volontà: Io permetto che eglino stiano di fuore, ma non che eglino entrino dentro. Dentro non possono intrare se non quando la propria volontà vuole.

E perché tengo Io in tanta pena e afflizione questa anima attorniata da tanti nemici? Non perché ella sia presa e perda la ricchezza della grazia, ma follo per mostrarle la mia providenzia, acciò che ella si fidi di me e non in sé, levisi dalla negligenzia e con sollicitudine rifuga a me che so' suo difenditore, so' padre benigno che procuro la salute sua; acciò che ella stia umile, vegga sé non essere, ma l'essere e ogni grazia che è posta sopra l'essere ricognosca da me che so' sua vita, come ella cognosce questa vita e providenzia mia in queste battaglie ricevendo la grande liberazione, ché non la lasso permanere continuamente in questo tempo, ma vanno e vengono secondo ch'Io veggo che l'è di bisogno. Talora gli parrà essere ne lo 'nferno, che senza veruno suo esercizio che allora faccia ne sarà privato, e gustarà vita etterna. L'anima rimane serena: ciò che vede le pare che gridi Dio (156r); tutto infiammato d'amoroso fuoco, per la considerazione che fa allora l'anima nella mia providenzia, perché si vede essere escita di sì grande pelago non con suo esercizio, ché il lume venne improviso, non esercitandosi ma solo per la mia inestimabile carità, che volsi provedere alla sua necessità nel tempo del bisogno, che quasi non poteva più.

Perché ne l'esercizio, quando s'esercitava a l'orazione e a l'altre cose che bisognano, non le risposi col lume tollendole la tenebre? Perché, essendo ancora imperfetta, non reputasse in suo esercizio quello che non era suo.

Sì che vedi che lo imperfetto nelle battaglie viene esercitandosi a perfezione, perché in esse battaglie pruova la divina mia providenzia, provando quello che innanzi che provasse credeva. L'ò certificato con la pruova, unde egli à conceputo amore perfetto perché à cognosciuta a mia bontà nella divina providenzia, unde s'è levato da l'amore imperfetto.

Anco uso uno santo inganno, solo per levarli da la imperfezione: ch'Io lo' farò concipere amore alle creature in particolare, oltre a l'amore generale, spiritualmente. Unde con questo mezzo s'esercita alla virtù, leva la sua imperfezione, fallo spogliare il cuore d'ogni altra creatura che egli amasse sensualmente, e di padre madre suoro e fratelli ne traie ogni propria passione, e amagli per me. E con questo amore ordinato del mezzo ch'Io gli ò posto caccia il disordinato, col quale in prima amava le creature. Adunque vedi che tolle questa imperfezione.

Ma attende che un'altra cosa fa questo amore di questo mezzo: ché egli fa provare se perfettamente egli ama me e il mezzo ch'Io gli ò dato, o sì o no. E però glili diei Io, perché egli el provasse, acciò che avesse materia di cognoscerlo (156v); ché non cognoscendolo, né a se medesimo dispiacerebbe, né piacerebbe quello che avesse in sé che fusse mio. Per questo modo il cognosce, e già t'ò detto che ella è ancora imperfetta. E non è dubbio veruno che, essendo imperfetto l'amore che à a me, egli è imperfetto quello che à alla creatura che à in sé ragione, però che la carità perfetta del prossimo dipende da la perfetta carità mia. Sì che con quella misura perfetta e imperfetta che ama me, con quella ama la creatura. Come il cognosce per questo mezzo? In molte cose. Anco, quasi, se vorrà aprire l'occhio de l'intelletto, non passarà tempo che egli no'l vegga e pruovi. Ma perché in un altro luogo Io te'l manifestai, poco te ne narrarò.

Quando la creatura che ama di singulare amore, come detto è, ed egli si vede diminuire il diletto, la consolazione o conversazioni usate dove trovava grandissima consolazione, o di molte altre cose, o che vedesse che avesse più conversazioni con altrui che con lui, sente pena; la quale pena il fa entrare a cognoscimento di sé. Se vuole andare con lume e con prudenzia, come debba, con più perfetto amore amarà quel mezzo perché, col cognoscimento di se medesimo e odio che avarà conceputo al proprio sentimento, si tolle la imperfezione e viene ad perfezione. Essendo più perfetto, seguita più perfetto e maggiore amore nella creatura generale, e particulare mezzo posto da la mia bontà, che ò proveduto a farla speronare con odio di sé e amore delle virtù in questa vita della peregrinazione, pure che ella non sia ignorante a recarsi nel tempo delle pene ad confusione e a tedio di mente, a tristizia di cuore e senza esercizio. Questa sarebbe cosa pericolosa: verrebbeli a ruina e a morte quello che Io gli ò dato per vita.

Non die fare così, ma con buona (157r) sollicitudine e con umilità, reputandosi indegno di quello che desidera, cioè non avendo la consolazione la quale egli voleva; ma con lume vegga che la virtù, per la quale principalmente la debba amare, non è diminuita in lui, con fame e desiderio di volere portare ogni pena, da qualunque lato elle vengano, per gloria e loda del nome mio. Per questo modo adempirà la volontà mia in sé, ricevendo il frutto della perfezione, per lo quale Io ò permesso e le battaglie e il mezzo e ogni altra cosa perché ella venga a lume di perfezione. § 60 In questo modo negli imperfetti uso la providenzia mia, e in tanti altri che la lingua non sarebbe sufficiente a narrargli.



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CAPITOLO CXLV.

Ora ti dico de' perfetti, che Io gli provego per conservargli e provare la loro perfezione e farli crescere continuamente. Però che veruno è in questa vita, sia perfetto quanto vuole, che non possa crescere a maggiore perfezione. E però tengo questo modo tra gli altri, sì come vi disse la mia Verità quando disse: «Io so' vite vera; e il Padre mio è lavoratore e voi sete i tralci». (Jn 15,1 Jn 15,5) Chi sta in Lui che è vite vera perché procede da me Padre, seguitando la dottrina sua fa frutto. E acciò che'l frutto vostro cresca e sia perfetto, Io vi poto (Jn 15,2) con le molte tribolazioni, infamie, ingiurie, scherni e villanie e rimproverio; con fame e sete, in detti e in fatti, secondo che piace alla mia bontà di concederle a ogni uno, secondo ch'egli è atto a portare. Però che la tribulazione è uno segno dimostrativo, che dimostra la perfetta carità de l'anima, e la imperfezione, colà dove ella è.

Nella ingiuria e fadighe che Io permetto a' servi miei si pruova la pazienzia, e cresce il fuoco della carità in quella anima per compassione che à a l'anima di colui che gli fa ingiuria; ché più si (157v) duole de l'offesa che fa a me e danno suo, che della sua ingiuria. Questo fanno quegli che sono nella grande perfezione, sì che crescono, e però Io le'l permetto, questo e ogni altra cosa. Io lo' lasso uno stimolo di fame della salute de l'anime, che dì e notte bussano alla porta della mia misericordia, in tanto che dimenticano loro medesimi, sì come nello stato dei perfetti Io ti narrai. § 76 ; § 78 E quanto più abandonano loro più truovano me.

E dove mi cercano? Nella mia Verità, andando con perfezione per la dolce dottrina sua. Ànno letto in questo dolce e glorioso libro, e leggendo ànno trovato che, volendo compire l'obbedienzia mia e mostrare quanto egli amava il mio onore e l'umana generazione, corse con pena e obrobrio alla mensa della santissima croce, dove con sua pena mangiò il cibo de l'umana generazione. Sì che, col sostenere e con mezzo de l'uomo, mostrò a me quanto amasse il mio onore.

Dico che questi diletti figliuoli, i quali sono gionti a perfettissimo stato con perseveranzia e con vigilie, umili e continue orazioni, mi dimostrano che in verità essi m'amino e che egli ànno bene studiato, seguitando questa santa dottrina della mia Verità, con loro pena, e fadiga che portano per la salute del prossimo loro, perché altro mezzo non ànno trovato in cui dimostrare l'amore che egli ànno a me che questo. Anco ogni altro mezzo che ci fusse a potere dimostrare che amano, sì è posto sopra questo principale mezzo della creatura che à in sé ragione, sì come in uno altro luogo Io ti dissi, che ogni bene si faceva col mezzo del prossimo tuo e ogni operazione. § 6 -VII; § 12 -XIV; § 64 ; § 69 Perché veruno bene può essere fatto se non nella carità mia e del prossimo, e se non è fatto in questa carità, non può essere veruno bene, poniamo (1Co 13,1-3) che gli atti suoi fussero virtuosi. E così il male anco si fa con questo mezzo, per la privazione della carità. Sì che vedi che in questo mezzo che Io v'ò posto dimostrano la loro perfezione e l'amore schietto che egli ànno a me, (158r) procurando sempre la salute loro con molto sostenere. Adunque Io gli purgo perché faccino migliore e più soave frutto con le molte tribulazioni. Grande odore gitta a me la pazienzia loro.

O quanto è soave e dolce questo frutto e di quanta utilità a l'anima che sostiene senza colpa! Che se ella il vedesse, non sarebbe veruna che con grande sollicitudine e allegrezza non cercasse di portare. Io, per darlo' questo grande tesoro, gli proveggo di ponerlo' il peso delle molte fadighe, acciò che la virtù della pazienzia non irrugginisca in loro; sì che, venendo poi il tempo che ella bisogna provare, non la trovasse rugginosa, trovandovi, per non averla abituata, la ruggine della impazienzia la quale rode l'anima.

Alcuna volta uso uno piacevole inganno con loro per conservarli nella virtù de l'umilità: che Io lo' farò adormentare il sentimento loro, che non parrà che né nella volontà né nel sentimento essi sentano veruna cosa, se non come persone adormentate, non dico morte. Però che 'l sentimento sensitivo dorme ne l'anima perfetta ma non muore; però che subito che egli allentasse l'esercizio e 'l fuoco del santo desiderio, si destarebbe più forte che mai. E però non sia veruno che se ne fidi: sia perfetto quanto si vuole, e' gli bisogna stare nel santo timore di me; ché molti per lo fidarsi caggiono miserabilmente, ché in altro modo non cadrebbero eglino. Sì che dico che pare che dormano i sentimenti: sostenendo e portando i grandi pesi non pare che sentano. A mano a mano, in una piccola cosellina che sarà non cavelle, che ella stessa poi se ne farà beffe, si sentirà per sì fatto modo in se medesima che vi diventarà stupefatta. Questo fa la providenzia mia perché ella cresca e vada nella valle de l'umilità, però che ella allora come prudente si leva sé sopra di sé non perdonandosi, ma con l'odio e rimproverio gastiga il sentimento suo, il quale gastigare è uno farlo adormentare più perfettamente.

Alcuna volta proveggo nei (158v) grandi servi miei di lassarlo' uno stimolo, sì come feci al dolce apostolo Pauolo vasello d'elezione, avendo ricevuta la dottrina della mia Verità ne l'abisso di me, Padre etterno; e nondimeno gli lassai lo stimolo e impugnazione della carne sua. (2Co 12,7) E non poteva Io fare e posso - a Pauolo e agli altri in cui Io lasso lo stimolo in diversi modi - fare che non l'avessero? Sì. Perché il fa la mia providenzia? Per farli meritare, per conservarli nel cognoscimento di loro, unde traggono la vera umilità; per farli pietosi e non crudeli verso del prossimo loro, che sieno compassionevoli a le loro fadighe. Però che molta più compassione ànno a' passionati, sentendo eglino passione, che se non l'avessero. (He 4,15 He 5,2) Crescono in maggiore amore, corrono a me tutti unti di umilità e arsi nella fornace della mia carità. E con questi mezzi e con altri infiniti giongono a perfetta unione, sì com'Io ti dissi: in tanta unione e cognoscimento della mia bontà che, essendo nel corpo mortale, gusta il bene degli immortali, stando nella carcere del corpo ne gli pare essere di fuore, e perché molto à cognosciuto di me molto m'ama. E chi molto ama molto si duole, unde a cui cresce amore cresce dolore. § 5 In su che dolore e pene rimangono? Non in ingiurie che lo' fussero fatte, né per pene corporali, né per molestie di dimonio, né per veruna altra cosa che le potesse adivenire propriamente a lei, che l'avesse a dare pena. Ma solo si duole de l'offese fatte a me, vedendo e cognoscendo ch'Io so' degno d'essere amato e servito, e del danno de l'anime, vedendoli andare per le tenebre del mondo e stare in tanta ciechità. Perché ne l'unione che l'anima à fatta in me per affetto d'amore raguardò e cognobbe in me quanto Io amo ineffabilemente la mia creatura; vedendola rapresentare la imagine mia, s'inamorò della bellezza sua per amore di me, unde sente intollerabile dolore quando gli vede dilongare da la mia bontà. E sono sì grandi queste (159r) pene, che ogni altra pena fanno diminuire e venire meno in loro, ché niente l'apprezza se non come non fusse egli che ricevesse. § 78 ,1582ss.) Io gli proveggo. Con che? Con la manifestazione di me medesimo a loro, facendolo' in me vedere, con grande amaritudine, le iniquità e miserie del mondo e la dannazione de l'anime in comune e in particulare secondo che piace alla mia bontà, per farli crescere in amore e in pena acciò che, stimolati dal fuoco del desiderio, gridino a me con esperanza ferma e col lume della santissima fede, a chiedere l'aiutorio mio che sovenga a tante loro necessità. Sì che insiememente proveggo con divina providenzia per sovenire al mondo, lassandomi costrignere da' penosi, dolci e ansietati desideri de' servi miei, e a loro notricandoli e crescendoli, per questo, in maggiore e più perfetta unione in me e cognoscimento.

Adunque vedi che Io proveggo questi perfetti per molte vie e diversi modi, perché mentre che voi vivete sempre sete atti a crescere lo stato della perfezione e a meritare. E però Io gli purgo d'ogni proprio e disordinato amore spirituale e temporale, e potogli con le molte tribolazioni, acciò che faccino maggiore e più perfetto frutto, come detto è. E con la grande tribolazione che sostengono, vedendo offendere me e privare l'anime della grazia, spegne ogni sentimento di questa minore, in tanto che tutte le fadighe loro che in questa vita potessero sostenere, le riputano meno che non cavelle. E per questo si curano tanto della tribolazione, sì com' Io ti dissi, quanto de la consolazione perché non cercano le loro consolazioni; e non m'amano d'amore mercennaio per proprio diletto ma cercano l'onore la gloria e loda del nome mio.

Adunque vedi, carissima figliuola, che in ogni creatura che à in sé ragione Io distendo e uso la providenzia mia in molti e infiniti luoghi, con modi ammirabili non cognosciuti dagli uomini tenebrosi, perché la tenebre non può comprendere la luce. Solo da (159v) quegli che ànno lume sono cognosciute, perfettamente e imperfettamente, secondo la perfezione del lume che egli ànno. Il quale lume s'acquista nel cognoscimento che l'anima à di sé, unde si leva con perfettissimo odio della tenebre.




Caterina, Dialogo 142