Caterina, Dialogo 164

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CAPITOLO CLXIV.

Egli ve la lassò per regola e per dottrina, dandovela come chiave con la quale poteste aprire per giognere al fine vostro. Egli ve la lassò per comandamento nella generale obedienzia. Egli ve ne consiglia, consigliandovi se voi volete andare alla grande perfezione e passare per lo sportello stretto dell'ordine, come detto è. E anco di quelli che non ànno ordine e non di meno sono nella navicella (190r) della perfezione: ciò sono quelli che osservano la perfezione de' consigli fuore dell'ordine; ànno rifiutate le ricchezze e le pompe del mondo attuali e mentali e osservano la continenzia, chi in stato verginale e chi nell'odore della continenzia, essendo privato della virginità. Essi osservano l'obedienzia, siccome in un altro luogo ti dissi, sottomettendosi ad alcuna creatura alla quale s'ingegnano d'obedire con perfetta obedienza infino alla morte.

E se tu mi dimandassi quale è di maggiore merito, o quelli che stanno nell'ordine o questi, Io ti rispondo che il merito dell'obedienzia non è misurato nell'atto, né in luogo né in cui, cioè più in buono che in gattivo, più in secolare che in religioso, ma secondo la misura dell'amore che à l'obediente: con questa misura gli è misurato. § 131 ,2672; § 41 ,475) Ché al vero obediente la imperfezione del prelato gattivo non gli nuoce, anco alcuna volta gli giova, perché con la persecuzione e co' pesi indiscreti della grave obedienzia acquista la virtù dell'obedienzia e della pazienzia sua sorella. Né il luogo imperfetto non gli nuoce: imperfetto, dico, perché più perfetta, più ferma e più stabile cosa è la religione che veruno altro stato. E però ti pongo imperfetto il luogo di questi che ànno la chiave piccola de l'obedienzia, osservando i consigli fuore de l'ordine, ma non ti pongo imperfetto né di meno merito la loro obedienzia, perché ogni obedienzia, come detto è, ed ogni altra virtù, è misurata con la misura de l'amore.

è bene vero che in molte altre cose l'obedienzia della santa religione è di più merito, sì per lo voto che egli fa nelle mani del prelato suo e sì perché sostiene più, e più e meglio gli è provata la obedienzia nell'ordine che fuore dell'ordine, però che ogni atto corporale gli è legato a questo giogo, e non si può sciogliere quando egli vuole senza colpa di peccato mortale, perché è approvato dalla santa Chiesa e fatto voto.

Ma questi non è così: egli s'è legato voluntariamente per amore che egli à all'obbedienzia, ma non con voto solenne; unde sanza colpa di peccato mortale si potrebbe partire dall'obedienzia di (190v) quella creatura, avendo ligitime cagioni, che per suo proprio difetto egli non si partisse. Ma se si partisse per suo proprio difetto non sarebbe sanza gravissima colpa, non però obligato a peccato mortale propriamente per quel partire.

Sai tu quanto à da l'uno all'altro? Quanto à da colui che tolle l'altrui a quello che à prestato e poi ritolle quello che per amore avea donato, con intenzione però di non richiederlo, ma carta non ne fa affermativamente. Ma quelli à donato e trattane la carta nella professione, onde nelle mani del prelato renunzia a se medesimo e promette d'osservare obedienzia continenzia e povertà voluntaria. E il prelato promette a lui, se egli l'osserva infino alla morte, di dargli vita eterna.

Sì che in osservanzia in luogo e in modo, quella è più perfetta e questa è meno perfetta. Quella è più sicura e, cadendo, il suddito è più atto a rilevarsi perché à più aiuto e questa è più dubiosa e meno sicura; più atto, se gli viene caduto, a voltare il capo a dietro, perché non si sente legato per voto fatto in professione, come sta il religioso innanzi che sia professo, che infino alla professione si può partire, ma poi no.

Ma il merito t'ò detto e dico che egli è dato secondo la misura dell'amore del vero obediente, acciò che ogni uno, in qualunque stato si sia, possa perfettamente avere il merito, avendolo posto solo ne l'amore.

Cui chiamo in uno stato e cui in un altro, secondo che ciascuno è atto a ricevere, ma ogni uno s'empie con questa misura de l'amore detta. Se il secolare ama più che il religioso più riceve, e così il religioso più che 'l secolare. E così di tutti gli altri. § 47 ; § 55 ,309ss.)

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CAPITOLO CLXV.

Tutti v'ò messi nella vigna dell'obedienzia a lavorare in diversi modi. § 23 -XXIV) A ogni uno sarà dato il prezzo secondo la misura de l'amore e non secondo l'operazione né misura del tempo; cioè che quello che viene per tempo abbi più che quello che viene tardi, sì come si contiene nel santo Evangelio, ponendovi la mia Verità l'esemplo di quelli che stavano oziosi e furono messi dal Signore a lavorare nella vigna sua. E tanto dié (191r) a quelli che andarono all'aurora quanto a quelli della prima, e tanto a quelli della sesta e a quelli che andarono a terza e a nona e a vespero quanto a quelli della prima, mostrandovi la mia Verità che voi sete remunerati, non secondo il tempo né opera, ma secondo la misura dell'amore. (Mt 20,1-16) Molto sono messi nella puerizia loro a lavorare in questa vigna; chi v'entra più tardi, e chi nella sua vecchiezza. Questo anderà alcuna volta con tanto fuoco d'amore perché si vedrà la brevità del tempo, che rigiugne quelli che intrarono nella loro puerizia, perché sono andati co' passi lenti. Adunque ne l'amore dell'obedienzia riceve l'anima il merito suo: ine empie il suo vasello in me, mare pacifico.

Molti sono che tanto ànno pronta questa obedienzia e tanto l'ànno incarnata dentro nell'anima loro che non tanto che si ponghino a volere vedere ragioni il perché è loro comandato da colui che lo' comanda, ma apena che essi aspettino tanto che la parola gli esca della bocca: con lume della fede comprendono la intenzione del prelato loro.

Unde il vero obediente obedisce più alla intenzione che alla parola, giudicando che la voluntà del prelato sia nella voluntà mia, e per mia dispensazione e voluntà comandi a lui. E però ti dissi che obediva più alla intenzione che alla parola. Però obedisce egli alla parola, perché prima obedì con l'affetto alla voluntà sua, vedendo col lume della fede e giudicando la voluntà sua in me.

Bene il mostrò quello che si legge in "Vita Patrum" che prima obediva con l'affetto, ché essendogli comandato dal prelato suo una obedienzia, avendo egli cominciato uno " O ", che è così piccola cosa, non dié tanto spazio a se medesimo che elli el volesse compire, ma subito corse pronto a l'obedienzia. Unde per mostrare quanto m'era piacevole, vi feci il segno, e compì l'altra metà, scritto d'oro, la clemenzia mia.

Questa gloriosa virtù è tanto piacevole a me che in niuna virtù è in che tanti segni e testimoni di (191v) miracoli sieno dati da me quanti a lei, perché ella procede dal lume della fede.

Per dimostrare quanto ella m'è piacevole, la terra è obediente a questa virtù, gli animali le sono obedienti: L'acqua sostiene l'obediente, e se tu ti volli alla terra, all'obediente obedisce, sì come vedesti - se bene ti ricorda d'avere letto in "Vita Patrum" - di quello discepolo che, essendogli dato uno legno secco dal suo abbate ponendogli per obedienzia che 'l dovesse piantare nella terra e inaffiarlo ogni dì, egli obediente col lume della fede non si pose a dire: Come sarebbe possibile? Ma senza volere sapere la possibilità compié l'obedienzia sua, in tanto che in virtù dell'obedienzia e della fede il legno secco rinverdì e fece frutto, in segno che quella anima era levata dalla secchezza della disobedienzia, e rinverdita germinava il frutto dell'obedienzia. Unde il pomo di quello legno era chiamato per li santi padri «il frutto dell'obedienzia».

E se tu raguardi negli animali senza ragione, medesimamente. Unde quello discepolo, mandato dall'obedienzia, per la purità e obedienzia sua prese uno dragone e menollo a l'abbate suo. Ma l'abbate, come vero medico, perché egli non venisse a vento di vanagloria e per provarlo nella pazienzia, el cacciò da sé con rimproverio dicendo: «Tu, bestia, ài menata legata la bestia». § 89 E se tu raguardi il fuoco, medesimamente. Unde tu ài nella santa Scrittura che molti, per non trapassare l'obedienzia mia o per obedire a me prontamente, essendo messi nel fuoco, il fuoco non lo' noceva, sì come quegli tre fanciulli che stavano nella fornace e di molti altri i quali si potrebbono contare. (Da 3,12-24) L'acqua sostenne Mauro, essendo mandato dall'obedienzia a campare quello discepolo che se n'andava giù per l'acqua. Egli non pensò di sé, ma pensò col lume della fede di compire l'obedienzia del prelato suo.

Vassene su per l'acqua come andasse su per la terra, e campa il discepolo.

In tutte quante le cose, se tu apri l'occhio de l'intelletto, trovarai che t'è (192r) mostrata l'eccellenzia di questa virtù.

Ogni altra cosa si debba lassare per l'obedienzia. Se tu fossi levata in tanta contemplazione e unione di mente in me, che 'l corpo tuo fosse sospeso dalla terra, essendoti imposta l'obedienzia - parlandoti generalmente e non cosa particulare, che non pone legge - potendo, tu ti debbi sforzare di levarti per compire l'obedienzia posta. Pensa che da l'orazione tu non ti debbi levare, quando egli è l'ora, se non per carità e per obedienzia. Questo ti dico perché tu vegga quanto Io voglio che ella sia pronta ne' servi miei e quanto ella è piacevole.

Ciò che fa l'obediente, sì merita: se egli mangia mangia la obedienzia; se dorme, l'obedienzia; se va, se sta, se digiuna o se vegghia, tutto fa l'obedienzia; se egli serve il prossimo, l'obedienzia; se egli è in coro o in refettorio o sta in cella, chi vel guida e fa stare? L'obedienzia, col lume della santissima fede. Col quale lume si gittò, morto ad ogni sua propria voluntà, umiliato e con odio, nelle braccia de l'ordine e del prelato suo. Con questa obedienzia riposandosi nella nave, lassatosi guidare al prelato suo, à navicato nel mare tempestoso di questa vita con grande bonaccia, con mente serena e tranquillità di cuore, perché l'obedienzia, con la fede, ne trasse ogni tenebre. Egli sta forte e sicuro perché s'à tolto la debilezza e timore tollendosi la propria voluntà, dalla quale viene ogni debilezza e disordinato timore.

E che mangia e beie questa sposa dell'obedienzia? Mangia cognoscimento di sé e di me, cognoscendo sé non essere e il difetto suo, e me che so' colui che so', in cui gusta e mangia la mia verità, cognosciutala nella mia Verità, Verbo incarnato. E che bee? Sangue: nel quale sangue il Verbo gli à mostrata la verità mia e l'amore ineffabile che Io gli ò. In esso sangue mostra l'obedienzia sua posta a lui per voi da me, suo Padre eterno, e però s'innebria; e poi che è ebbra del sangue e dell'obedienzia del Verbo, perde sé e ogni suo parere e sapere, e possede (192v) me per grazia, gustandomi per affetto d'amore col lume della fede nella santa obedienzia.

Tutta la vita sua grida pace, (Col 3,15) e nella morte riceve quello che nella professione gli fu promesso dal prelato suo, ciò è vita eterna, visione di pace e di somma ed eterna tranquillità e riposo: uno bene inestimabile, ché niuno è che 'l possa estimare né comprendere quanto egli è, perché egli è infinito. Unde da cosa minore non può essere compreso questo infinito bene, se non come il vasello che è messo nel mare, che non comprende tutto il mare, ma quella quantità che egli à in se medesimo. Il mare è quello che si comprende; e così Io, mare pacifico, so' solo colui che mi comprendo e mi stimo, e del mio stimare e comprendere godo in me medesimo. Il quale godere e bene che Io ò in me participo a voi, a ogni uno secondo la misura. Io l'empio e non la tengo vòta. Dandole perfetta beatitudine, comprende e cognosce della mia bontà tanto quanto ne l'è dato a cognoscere da me.

L'obediente dunque, col lume della fede nella verità, arso nella fornace della carità, unto d'umilità, inebriato di sangue, con la sorella della pazienzia e con la viltà avilendo se medesimo, con fortezza e longa perseveranzia e con tutte l'altre virtù, cioè col frutto delle virtù, à ricevuto il fine suo da me suo Creatore.



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CAPITOLO CLXVI.

Ora t'ò, dilettissima e carissima figliuola, satisfatto dal principio infino all'ultimo dell'obedienzia. Se bene ti ricorda, nel principio mi dimandasti con ansietato desiderio, sì come Io ti feci dimandare per farti crescere il fuoco della mia carità nell'anima tua. Tu dimandasti quattro petizioni.

L'una per te, alla quale Io ò satisfatto alluminandoti della mia verità, mostrandoti in che modo tu cognosca questa verità la quale desideravi di cognoscere, mostrandoti che col cognoscimento di te e di me e col lume della fede, spianandoti in che (193r) modo, tu venivi ad cognoscimento della verità. § 98 ,CVIII) La seconda, che tu dimandasti, fu che Io facesse misericordia al mondo.

La terza per lo corpo mistico della santa Chiesa, pregandomi che Io le tollesse la tenebre e la persecuzione, volendo tu che Io punisse le iniquità loro sopra di te. In questo ti dichiarai che niuna pena che sia data in tempo finito può satisfare alla colpa commessa contro a me, Bene infinito, puramente pur pena. Ma satisfa se la pena è unita col desiderio dell'anima e contrizione del cuore: il modo dichiarato te l'ò. Anco t'ò risposto che Io voglio fare misericordia al mondo, mostrandoti che la misericordia m'è propria unde per misericordia e amore inestimabile che Io ebbi a l'uomo, mandai il Verbo de l'unigenito mio Figliuolo. Il quale, per mostrartelo bene chiaramente, te'l posi in similitudine d'uno ponte che tiene dal cielo alla terra, per l'unione della natura mia divina nella natura vostra umana.

Anco ti mostrai, per alluminarti più della mia Verità, come il ponte si saliva con tre scaloni, cioè con le tre potenzie dell'anima. E di questo Verbo, ponte mostrato a te, anco questi tre scaloni figurai nel corpo suo, sì come tu sai, per li piei, per lo costato e per la bocca, ne' quali puosi tre stati dell'anima: lo stato imperfetto, e lo stato perfetto, e lo stato perfettissimo dove l'anima giogne alla eccellenzia de l'unitivo amore. In ogni uno t'ò mostrato chiaramente quella cosa che le tolle la imperfezione e falla giognere alla perfezione, e per che via si va, e degli occulti inganni del dimonio e del proprio amore spirituale. E parlatoti, in questi stati, di tre reprensioni che fa la mia clemenzia, l'una ti posi fatta nella vita, l'altra nella morte in quelli che sanza speranza muoiono in peccato mortale - de' quali io ti posi che andavano di sotto al ponte per la via del dimonio, contandoti delle miserie loro - e il terzo dell'ultimo giudicio generale. E parla'ti alcuna cosa della pena de' dannati, e della gloria (193v) de' beati, quando avrà riavuto ogni uno la dota del corpo suo.

Anco ti promisi e prometto che col molto sostenere de' servi miei riformerò la sposa mia, invitandovi a sostenere, lamentandomi teco delle iniquità loro e mostrandoti l'eccellenzia de' ministri, nella quale Io gli ò posti, e la reverenzia che Io richieggo che i secolari abbino ad essi, mostrandoti la cagione per che, per loro difetto, non debba diminuire la reverenzia in loro; e quanto m'è spiacevole il contrario. E dissiti della virtù di quelli che vivevano come angeli, toccandoti, insieme con questo, della eccellenzia del sacramento.

Anco sopra i detti stati, volendo tu sapere degli stati delle lagrime e unde elle procedono, te'l narrai, e accorda'tegli con questi. E detto t'ò che tutte le lagrime escono della fontana del cuore, e ordinatamente t'ò assegnato perché. Di quattro stati di lagrime, e della quinta che germina morte, anco ti contai.

Òtti risposto alla quarta petizione di quello che mi pregasti: che Io provedesse al caso particulare avenuto.

Io providi, sì come tu sai. Sopra questo t'ò dichiarata la providenzia mia in generale e in particulare, facendoti dal principio della creazione del mondo infino a l'ultimo, come ogni cosa ò fatto e fo con divina providenzia, dando e permettendo ciò che Io do, tribolazioni e consolazioni spirituali e temporali. Ogni cosa è data per vostro bene, perché siate santificati in me e la verità mia si compi in voi. La quale verità fu questa: che Io vi creai perché aveste vita eterna; la quale verità v'è fatta manifesta col sangue del Verbo unigenito mio Figliuolo.

Anco t'ò, ne l'ultimo, satisfatto al tuo desiderio, e a quello che Io ti promisi, di narrare della perfezione dell'obedienzia e della imperfezione della disobedienzia, e unde ella viene e che ve la tolle. Òttela posta per una chiave generale, e così è. E detto t'ò della particulare, e de' perfetti e degli imperfetti, di quelli dell'ordine e di quelli fuore dell'ordine, d'ogni uno distintamente; della pace che dà l'obedienzia e della guerra (194r) che dà la disobedienzia, e quanto s'inganna il disobediente, ponendoti che la morte venne nel mondo per la disobedienzia d'Adam.

Ora Io Padre eterno, somma ed eterna Verità, ti conchiudo che nell'obedienzia del Verbo unigenito mio Figliuolo avete la vita. E come tutti, dal primo uomo vecchio tutti contraeste la morte, così tutti, chi vuole portare la chiave dell'obedienzia, avete contratta la vita da l'uomo nuovo, Cristo dolce Iesu, di cui Io v'ò fatto ponte perché era rotta la strada del cielo. Passando voi per questa dolce e diritta via, che è una verità lucida, con la chiave dell'obedienzia, voi passate per le tenebre del mondo e non vi offendono. E nell'ultimo con la chiave del Verbo diserrate il cielo.

Ora Io t'invito ad pianto, te e gli altri servi miei, e col pianto, con l'umile e continua orazione, voglio fare misericordia al mondo. Corre per questa strada della verità, morta, acciò che non sia poi ripresa andando tu lentamente; ché più ti sarà richiesto da me ora che prima, perché ò manifestato me medesimo a te nella verità mia. Guarda che tu non esca della cella del cognoscimento di te, ma in questa cella conserva e spende il tesoro che Io t'ò dato. Il quale è una dottrina di verità, fondata in su la viva pietra, Cristo dolce Iesu, vestita di luce che discerne la tenebre. Di questa ti veste, dilettissima e dolcissima figliuola, in verità.



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CAPITOLO CLXVII.

Allora quella anima, avendo veduto con l'occhio de l'intelletto, e col lume della santissima fede cognosciuta la verità e l'eccellenzia dell'obedienzia, uditala con sentimento e gustatala per affetto, con spasimato desiderio specolandosi nella divina maiestà, rendeva grazie a lui dicendo: - Grazia, grazia sia a te, Padre eterno, ché tu non ài spregiata me, fattura tua, né voltata la faccia tua da me, (Ps 87,15 Ps 21,25) né spregiati i miei desideri. Tu, luce, non ài raguardato alla mia tenebre; tu, vita, non ài raguardato a me che so' morte, né tu, medico per le mie gravi infermità; tu, purità eterna, a me che so' piena di loto di molte miserie; tu che se' infinito, a me che so' finita; tu sapienzia, a me che so' (194v) stoltizia.

Per tutti quanti questi ed altri infiniti mali e difetti che sono in me, la tua sapienzia, la tua bontà, la tua clemenzia e il tuo infinito bene non m'à spregiata, ma nel tuo lume m'ài dato lume. (Ps 35,10) Nella tua sapienzia ò cognosciuta la verità, nella tua clemenzia ò trovata la carità tua e dilezione del prossimo. Chi t'à costretto? Non le mie virtù, ma solo la carità tua. Questo medesimo amore ti costringa ad illuminare l'occhio de l'intelletto mio del lume della fede acciò che io cognosca la verità tua manifestata a me. Dammi che la memoria sia capace a ritenere i benefici tuoi, e la voluntà arda nel fuoco della tua carità; il quale fuoco facci germinare e gittare al corpo mio sangue, § 19 e con esso sangue dato per amore del sangue, e con la chiave dell'obedienzia io diserri la porta del cielo.

Questo medesimo t'adimando cordialmente per ogni creatura che à in sé ragione, in comune e in particulare, e per lo corpo mistico della santa Chiesa. Io confesso, e non lo niego, che tu m'amasti prima che io fosse e che tu m'ami ineffabilemente, come pazzo della tua creatura.

O Trinità eterna, o deità! La quale deità, natura tua divina, fece valere il prezzo del sangue del tuo Figliuolo. Tu, Trinità eterna se' uno mare profondo, che quanto più c'entro più truovo, e quanto più truovo più cerco di te. Tu se' insaziabile, ché saziandosi l'anima nell'abisso tuo non si sazia, perché sempre permane nella fame di te, assetisce di te Trinità eterna, desiderando di vederti col lume nel tuo lume. Sì come desidera il cervo la fonte dell'acqua viva, così desidera l'anima mia d'escire della carcere del corpo tenebroso e vedere te in verità. O quanto tempo starà nascosta la faccia tua agli occhi miei? (Ps 41,2-3) O Trinità eterna, fuoco e abisso di carità, dissolvi oggimai la nuvila del corpo mio! Il cognoscimento che tu ài dato di te a me nella verità tua mi costrigne a desiderare di lassare la gravezza del corpo mio e dare la vita per gloria e loda del nome tuo. Però che io ò gustato e veduto, col lume de l'intelletto, nel lume tuo l'abisso tuo, Trinità eterna, e la bellezza della creatura tua. Unde, raguardando me in te, (195r) vidi me essere imagine tua, donandomi della potenzia di te, Padre eterno, e della sapienzia tua ne l'intelletto, la quale sapienzia è apropriata all'unigenito tuo Figliuolo; lo Spirito santo, che procede da te e dal Figliuolo tuo, m'à data la voluntà, ché so' atta ad amare.

Tu Trinità eterna se' fattore ed io, tua fattura, ò cognosciuto, nella recreazione che mi facesti nel sangue del tuo Figliuolo, che tu se' inamorato della bellezza della tua fattura.

O abisso, o deità eterna, o mare profondo! E che più potevi dare a me che dare te medesimo? Tu se' fuoco che sempre ardi e non consumi; tu se' fuoco che consumi nel calore tuo ogni amore proprio dell'anima, (He 12,29) tu se' fuoco che tolli ogni freddezza; tu allumini. Col lume tuo m'ài fatto cognoscere la tua verità: tu se' quello lume sopra ogni lume che (Jn 8,12) dài lume sopranaturale all'occhio de l'intelletto, in tanta abondanzia e perfezione che tu chiarifichi il lume della fede. Nella quale fede veggo che l'anima mia à vita, e in questo lume riceve te, lume.

Nel lume della fede acquisto la sapienzia, nella sapienzia del Verbo del tuo Figliuolo; nel lume della fede so' forte, costante e perseverante; nel lume della fede spero: non mi lassa venire meno nel cammino.

Questo lume m'insegna la via, e sanza questo lume andarei in tenebre, e però ti dissi, Padre eterno, che tu m'alluminassi del lume della santissima fede.

Veramente questo lume è uno mare, perché nutrica l'anima in te, mare pacifico, Trinità eterna. L'acqua non è torbida, e però non à timore, perché cognosce la verità; ella è stillata, che manifesta le cose occulte, unde, dove abonda l'abondantissimo lume della fede tua, quasi certifica l'anima di quello che crede. Ella è uno specchio, secondo che tu, Trinità eterna, mi fai cognoscere; ché, raguardando in questo specchio, tenendolo con la mano dell'amore, mi rappresenta me in te, che so' creatura tua, e te in me, per l'unione che facesti della deità ne l'umanità nostra.

In questo lume (195v) cognosco e rappresentami te, sommo e infinito bene: bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile e bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza, sapienzia sopra ogni sapienzia, anco, tu se' essa sapienzia. Tu cibo degli angeli con fuoco d'amore ti se' dato agli uomini. Tu vestimento che ricuopri ogni nudità, pasci gli affamati nella dolcezza tua. Dolce se' senza niuno amaro.

O Trinità eterna, nel lume tuo il quale desti a me, ricevendolo col lume della santissima fede ò cognosciuto, per molte e ammirabili dichiarazioni spianandomi, la via della grande perfezione, acciò che con lume e non con tenebre io serva a te, sia specchio di buona e santa vita, e levimi dalla miserabile vita mia, ché sempre per lo mio difetto t'ò servito in tenebre. Non ò cognosciuta la tua verità e però non l'ò amata. Perché non ti cognobbi? Perché io non ti vidi col glorioso lume della santissima fede, però che la nuvila de l'amore proprio offuscò l'occhio de l'intelletto mio. E tu, Trinità eterna, col lume tuo dissolvesti la tenebre.

E chi potrà agiognere all'altezza tua e renderti grazia di tanto smisurato dono e larghi benefizi quanti tu ài dati a me, della dottrina della verità che tu m'ài data? Che è una grazia particulare, oltre alla generale che tu dài all'altre creature. Volesti conscendere alla mia necessità e dell'altre creature che dentro ci si specchieranno.

Tu rispondi Signore: tu medesimo ài dato e tu medesimo rispondi e satisfa, infondendo uno lume di grazia in me, acciò che con esso lume io ti renda grazie. Veste, veste me di te, Verità eterna, sì che io corra questa vita mortale con vera obedienzia e col lume della santissima fede, del quale lume pare che di nuovo inebri l'anima mia. "Deo gratias." Amen. -

Caterina, Dialogo 164