Caterina, Lettere 45

45

A Francesco di missere Vanni Malavolti.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e sopracarissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di ritrovare te pecorella smarrita - ònne grandissimo desiderio! - e di rimettarti nell'ovile co' compagni tuoi.

Parmi che 'l dimonio t'abbi sì imbolato, che non ti lassa ritrovare: io, miserabile madre, vo cercando e mandando per te, perché mi ti vorrei ponere in su la spalla (Lc 15,5) dell'amaritudine e della compassione che ò all'anima tua. Apre l'occhio - figliuolo carissimo - dell'intelletto; levalo da la tenebre e ricognosce la colpa tua, non con confusione di mente ma con cognoscimento di te e con sperare nella bontà di Dio. Vede che la sustanzia de la grazia che 'l padre tuo celestiale ti dié tu l'ài spesa miserabilemente; fa' sì come fece quello figliuolo che spese la sustanzia sua, el quale, sentendosi venuto a necessità, ricognobbe el suo difetto e ricorse al padre per misericordia (Lc 15,11-21). Così fa' tu: ché tu se' impovarito e ài bisogno, e l'anima tua muore di fame. Ricorre dunque al Padre, per misericordia, che ti soverrà e non sarà spregiatore del tuo desiderio fondato in amaritudine del peccato commesso; anco l'adempirà dolcemente.

Oimé oimé, dove sono i dolci desiderii tuoi? O disaventurata me, ò trovato che 'l dimonio à imbolata l'anima e 'l desiderio santo tuo, e 'l mondo e' servi suoi ànno tesi i laccioli co' disordenati piaceri e diletti suoi. Orsù a pigliare el remedio, e non dormire più! Consola l'anima mia; non essere tanto crudele, per salute di te, di fare caro d'una tua venuta. Non ti lassare ingannare, per timore e vergogna, al dimonio: rompe questo nodo; vienne, vienne, figliuolo mio carissimo. Io ti posso bene chiamare caro, tanto mi costi di lagrime e di sudori e di molta amaritudine; or vienne, e ricovera nel tuo ovile. Io mi scuso dinanzi a Dio che io non posso più. E col venire e con lo stare, non richeggio altro da te se non che tu facci la volontà di Dio.

Permane ne la santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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A Neri di Landoccio.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti essercitare el lume che Dio t'à dato a ciò che cresca in te, però che senza il perfetto lume non potremmo cognoscere né amare né vestirci della verità; e se noi non ce ne vestissimo, a tenebre ci tornarebbe quello lume: e però è bisogno di giognare al perfetto lume, ché a questo ci à Dio eletti.

Voglio dunque che con ogni sollicitudine ponga e fermi l'occhio dell'intelletto tuo ne la verità e nello abisso della carità di Dio, e per questo modo giognerai al perfetto lume sopranaturale, e giognerai a perfettissimo amore del tuo Creatore e dilezione del prossimo; e così si compirà in te la voluntà di Dio e 'l desiderio mio. Non dico più.

Permane nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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A Pietro di Giovanni Venture da Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con disiderio di vederti perseverare in ogni virtù, però che senza la perseveranzia non riceveresti la corona della gloria (1P 5,4) che si dà a' veri combatitori. Ma tu mi dirai: «Unde posso acquistare questa perseveranza?». Rispondoti che tanto serve la persona la creatura quanto l'ama, e più no; e tanto manca nel servire, quanto manca l'amare; e tanto ama, quanto si vede amare. Adunque vedi che dal vedersi amare viene l'amore, e l'amore ti fa perseverare. Quanto tu aprirai l'occhio de lo 'nteletto a riguardare il fuoco e l'abisso della inestimabile carità di Dio inverso di te - el quale amore t'à mostrato col mezzo del Verbo del Figliuolo suo -, tanto sarai costretto dall'amore ad amarlo in verità con tutto 'l cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze tue (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27), tutto libero schiettamente e puramente, senza neuno rispetto di propia utilità tua. Tu vedi che Dio t'ama per tuo bene e non per suo, però ch'egli è lo Dio nostro, che non à bisogno di noi: e così tu, e ogni creatura ragionevole, debi amare Dio per Dio - in quanto egli è somma ed eterna bontà - e non per propia utilità, e il prossimo per lui. Poi che tu ài fatto il principio e il fondamento nell'affetto della carità, subito el cominci a servire co' lo strumento de le virtù, sì che col lume e con l'amore acquistarai la virtù, e persevererai in essa.

Ma atende che, col vedere te essere amato da Dio, ti conviene vedere la colpa e la ingratitudine tua, e agravare la colpa nel conoscimento santo di te, acciò tu non ti scordi da la virtù piciola della vera umilità, e acciò che tu non presumi di te, né cadessi nel propio piacere. Sai quanto c'è necessario il conosciare e agravare le colpe nostre, per conservare e cresciare la vita della grazia nell'anima? Quanto egli ci è bisogno el cibo corporale per conservare la vita nel corpo. Adunque leva via la nuvila dell'amore propio di te acciò che non t'impedisca el lume unde tu arai questo perfetto conoscimento, e col conoscimento l'amore e l'odio. E nell'amore trovarai la virtù della perseveranza, e così compirai la volontà di Dio e il disiderio mio in te; la quale volontà e desiderio è di vederti cresciare e perseverare infino alla morte nelle vere e reali virtù. E guarda che mai tu non ti fidassi di te medesimo - il quale fidare è uno vento sotile di riputazione, ch'esce dell'amore propio -, però che subito verresti meno, e voltaresti il capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62). Ché, come l'amore di Dio, acquistato nel conoscimento di te con vera umilità, ti fa perseverare nella virtù, così l'amore propio, colla reputazione che ti fa fidare di te medesimo, come detto è, ti tolle la virtù, e fatti cadere nel vizio e perseverarvi dentro. Fuge, figliuolo, fuge questo vento sotile del propio piacere; e vatene, tutto nascoso in te medesimo, nel costato di Cristo crocifisso, e ine pone lo 'nteletto tuo a riguardare il segreto del cuore.

Ine s'acenda l'afetto, vedendo ch'egli à fatta caverna del corpo suo, acciò che tu abia luogo dove rifugire dalle mani de' tuoi nemici (1R 24,4), e possiti riposare e pacificare la mente tua ne l'afetto della sua carità. Ine trovarai el cibo, però che tu vedi bene ch'egli t'à data la carne in cibo, e il sangue in beveragio (Jn 6,55): arrostita in su la croce al fuoco della carità, e ministrato in su la mensa de l'altare, tutto Dio e tutto Uomo. Disolvasi oggimai la durezza de' cuori nostri; amolisi la mente a ricevare la dotrina di Cristo crocifisso.

Voglio che cominciate ora, tu e gli altri negligenti figliuoli, a conformarvi con questo Parvolo, el quale ora ci rapresenta la santa Chiesa, Verbo incarnato. E che più potiamo vedere a confusione della nostra superbia, che vedere Dio umiliato a l'uomo, l'altezza della deità discesa a tanta bassezza quanta è la nostra umanità? Chi n'è cagione? L'amore: l'amore il fa abitare ne la stalla in mezzo degli animali; l'amore il fa satolare d'obrobi, vestirlo di pene, e sostenere fame e sete; l'amore il fa corrire con pronta obedienzia infino a l'obrobiosa morte de la croce; l'amore il fa andare a lo 'nferno e spogliare il limbo per dare piena rimunerazione a quelli che in verità l'aveano servito, e longo tempo aveano aspetato la redenzione loro; l'amore il fece lassare a noi in cibo; l'amore dopo l'Ascensione mandò il fuoco dello Spirito santo (Ac 2,3-4), il quale ci alluminò de la dotrina sua, la quale è quella via fondata in verità che ci dà vita, tra'ci della tenebre, e dacci lume nell'eterna visione di Dio. Ogni cosa, dunque, à fatto l'amore.

Bene sì deba adunque l'uomo vergognarsi e confondarsi in sé medesimo, ché non ama né risponde a tanto abisso d'amore. Assai è tristo colui che, potendo avere il fuoco, si lassa morire di freddo; avendo il cibo dinanzi, si lassa morire di fame. Prendete, prendete il cibo vostro, Cristo dolce Gesù crocifisso, e non in altro modo: ché se in altro modo il voleste, non sareste costanti né perseveranti; e la perseveranzia è quella ch'è coronata, come dicemo, e senza essa ricevarebe l'anima confusione, e non gloria. Considerando me questo, dissi ch'io desideravo di vederti costante e perseverante ne la virtù. Non dico più qui etc.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore, Maria.



48

A Mateo di Giovanni Colombini da Siena.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello e figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e perfettissimo lume, nel quale lume conosciate e vediate la verità, la quale verità è quella cosa che ci libera (Jn 8,32): cioè che conoscendola l'amiamo, e amandola ci libera da la servitudine del peccato mortale.

Che verità è questa la quale ci conviene conosciare? è una verità parturita dall'amore innefabile di Dio, a la quale verità dobiamo rendare il debito de l'amore e de l'odio. In che modo? In questo: che noi conosciamo il sommo ed eterno bene, e l'amore innefabile col quale Dio ci creò alla immagine e similitudine sua. E creocci per questa verità, perché noi gustassimo el suo sommo ed eterno bene, e a ciò che rendessimo gloria e lode al nome suo; e per compire questa verità in noi, ci donò el Verbo del suo Figliuolo, e nel sangue suo ci ricreò a grazia. A questo conoscimento dobiamo venire esercitandolo con grandissima solecitudine; ma a questo non potiamo venire senza e.lume, e lume non potiamo avere co.la nuvila de l'amore propio di noi.

El quale amore ofusca l'occhio de l'inteletto, che no.lo lassa conoscere né discernare la verità; ma la bugia vede in verità, e la verità in bugia; le cose transitorie riputa ferme e di grande consolazione, ed elle vengono tutte meno, sì come el fiore, il quale, poi che è colto, subito perde la bellezza sua. Onore, richezze, stato e dilizie, tutte passano come 'l vento: ogni cosa ci è mutabile, unde dalla sanità veniamo a la infermità, dalla richezza alla povertà, e dalla vita a la morte. E l'uomo, matto amatore di sé medesimo, come cieco giudica tutto il contrario, e così tiene. E chi manifesta ch'egli il tenga? Il disordinato amore e affetto ch'egli à a sé e al mondo. Tutto gli adiviene perch'egli à perduto e.lume, ché s'egli avesse lume in verità, terrebe che Dio è sommamente buono: uno bene incomprensibile e innestimabile che neuno è che 'l possa stimare, ma solo esso medesimo si comprende e stima. Egli è somma ed eterna richezza, egli è giusto e pietoso medico, che dà a noi le medicine necessarie a le nostre infermità (così dice el glorioso Paolo: «Quando l'umana generazione giacea inferma, venne il grande medico nel mondo, e sanò le nostre infirmità» (Rm 5,6 He 4,15 He 5,9)), sì che a ognuno le dà sicondo che bisogna a le piaghe nostre, col fuoco della divina carità. Alcuna volta ci trae sangue, cioè levandoci quelle cose che sonno nocive a la nostra salute, e sonno uno mezzo tra Dio e noi: unde ad alcuni tolle i figliuoli, ad altri la sustanzia temporale, ad altri la sanità, e ad alcuni lo stato del mondo, percotendoci con le molte tribulazioni. E questo non fa per odio, ma per singulare amore: privaci de' diletti vani della terra, per darci pienamente i beni del cielo. Egli è benigno ed eterno giudice, e, sì come giudice e giusto signore, ad ognuno rende il debito suo, unde ogni bene è rimunerato e ogni colpa punita.

E con la forza santa che faremo a la nostra perversa volontà, e co.la violenzia, acquistaremo le vere e reali virtù; e sarà rimunerata la fatica nostra di beni immortali. Con questo lume si conosce la verità inverso del mondo, el quale non à in sé fermezza né stabilità veruna. Invano s'afatica colui che tutto 'l suo tempo à speso e spende nel mondo, facendosi Dio de' figliuoli e delle richezze, e non s'avede che tutte li danno morte, privandolo della vita della grazia; e non pare che sappi che Dio à permesso che 'l disordinato animo sia incomportabile a sé medesimo: unde in questa vita gusta l'arra de lo 'nferno, solo perché non à conosciuto la verità per la privazione del lume.

Adunque voglio, carissimo figliuolo, che non dormiamo più, ma con grande solecitudine ci destiamo dal sonno, levando la nuvila de l'amore propio di noi da l'occhio de l'intelletto nostro. E facendo così, compirete in voi la volontà di Dio e il disiderio mio, ché, considerando io che senza il lume non potiamo conosciare la verità, ò desiderio di vedere in voi lume vero, a ciò che perfettamente conosciate la verità: el quale lume e verità vi faranno costante e perseverante in quello che avete cominciato con uno santo e vero desiderio. Non mi ci mettete spazio di tempo, però che non sete sicuro d'averne, ma in tutto senza timore servile, con vera e perfetta speranza, confidandovi nel vostro Creatore, ordinate la vita vostra e regolatevi in tutte le cose, satisfacendo a la coscienzia, ponendo fine e termine a ogni disordinato vivare, con vera perseveranzia. Tollendo via la tristizia del cuore vostro, e con massima alegrezza, riconoscete l'amore inefabile e la plenitudine della divina misericordia ch'è traboccata sopra di voi.

Mettetevi ogimai el mondo sotto e' piei, e rispondete a Dio, che vi chiama, con uno cuore gentile e non mercennaio, sì come vero e legittimo figliuolo, dilettandovi di purificare spesso la coscienzia vostra con la santa confessione; e usate la comunione al luogo e al tempo suo. La conversazione vostra sia con quelli che temeno Dio in verità, vacando el tempo vostro a la vigilia e a l'orazione, quanto v'è possibile. L'udire il divino ofizio non vi scordi. La fantasia e memoria vostra sempre sia piena di Cristo crocifisso, volendo investigare non le cose secrete di Dio né gli occulti misteri suoi, ma solo la volontà sua e la dolcezza della sua carità, che ci ama tanto inestimabilmente, e non cerca né vuole altro che la nostra santificazione. E conosciamo e' difetti nostri, umiliandoci sotto la dolce potente mano di Dio (1P 5,6). Lo stato nel quale voi sete, del matrimonio, pregovi che v'ingegniate d'usarlo come sagramento, avendo in debita riverenzia i dì comandati dalla santa Chiesa. Ingegnatevi omai di tenere, voi e la donna vostra, uno stato angelico, sentendo l'odore della continenzia, acciò che gustiate il frutto suo. Or così dolcemente regolate e ordinate la vita vostra, senza aspettare più tempo: ché, come detto è, il tempo non aspetta noi.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso; nascondetevi ne le piaghe dolcissime e sopradolcissime sue, e ine si dilarghi e consumi el cuore vostro. Guardate che non voltaste il capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62), ché io mi chiamarei di voi a l'umile Agnello, e voi non areste a cui appellare. Fatemi de' figliuoli de le virtù, e mai non restate di concipere per amore nel cuore vostro. Altro non vi dico.

Permanete etc. Gesù etc.



49

A monna Alessa.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, io indegna miserabile tua madre desiderando che tu giunga a quella perfezione che Dio t'à eletta, parmi che, a volervi giognere, si convenga andare con modo, e non senza modo.

E senza modo e con modo si vuole fare ogni nostra operazione: senza modo si conviene amare Dio, e non ponervi nell'amare né modo né misura né regola, ma smisuratamente amare. E a volere venire alla perfezione dell'amore, ti conviene ordinare la vita tua. El primo ordine sia fuggire la conversazione d'ogni creatura, per conversazione, se non secondo che richiede l'atto della carità; ma amarne assai, e conversarne pochi.

E eziandio con quelli che ami di spirituale amore sappi conversare con modo; e se tu nol facessi, pensa che a quello amore che tu debbi portare a Dio senza modo, vi porresti modo che non te ne avederesti, ponendovi mezzo la creatura finita, però che l'amore che dovaresti portare a Dio porresti a la creatura, amandola senza modo. E questo t'impedirebbe la tua perfezione, unde con modo ordenato la debbi amare spiritualmente. Sia uno vasello el quale tu empia nella fonte, e nella fonte el beia; che poniamo che tu avessi tratto l'amore da Dio, che è fonte d'acqua viva, se tu nol beiessi continuamente in lui, rimarrebbe vòto. E questo ti sarà el segno che tu nol beia a pieno in Dio: che quando della cosa che tu ami tu ne sostieni pena - o per conversazione che avesse, o perché fussi privata d'alcuna consolazione la quale solevi ricevere, o di qualunque altra cosa che avenisse -, se tu sostieni allora pena di questo, o d'altro che dell'offesa di Dio, t'è segno manifesto che questo amore è ancora imperfetto, e tratto fuore della fonte.

Che modo ci à dunque a fare perfetto quello che è imperfetto? Questo è el modo: di correggere e gastigare e' movimenti del cuore con vero cognoscimento di te, e con odio e dispiacimento della tua imperfezione - cioè d'essere tanto villana che quello amore che si debba dare tutto a Dio, si dia alla creatura, cioè d'amare la creatura senza modo e Dio con modo -. Però che l'amore verso di Dio vuole essere senza misura, e quello della creatura debba essere misurato con quella di Dio, e non con la misura delle proprie consolazioni né spirituali né temporali. Adunque fa' che tu ogni cosa ami in Dio, e che tu corregga con odio ogni disordenato affetto.

Fa', figliuola mia, due abitazioni: una abitazione attuale della cella, che tu non vada discorrendo e' molti luoghi se non per necessità o per obedienzia della priora o per carità. E un'altra abitazione fa' spiritualmente, la quale porti continuamente teco; e questa è la cella del vero cognoscimento di te, dove trovarai el cognoscimento della bontà di Dio in te: che sono due celle in una, e stando nell'una, ti conviene stare nell'altra, però che in altro modo verrebbe l'anima a confusione o a presunzione. Ché se tu stessi nel cognoscimento di te, verrebbe la confusione della mente; e stando solo nel cognoscimento di Dio, verresti a presunzione. Conviene dunque che sieno conditi l'uno con l'altro, e faccine una medesima cosa; e facendolo verrai a perfezione, però che del cognoscimento di te acquistarai l'odio della propria sensualità; e per l'odio sarai uno giudice, e sarrai sopra la sedia della coscienzia tua e terra'ti ragione, e non lassarai passare el difetto che tu non ne facci giustizia.

Di questo cognoscimento esce la vena de l'umilità, la quale non piglia mai alcuna reputazione, e non si scandalizza di neuna cosa che sia, e, paziente, con gaudio sostiene ogni ingiuria, ogni perdimento di consolazione e ogni pena, da qualunque lato elle vengano. Le vergogne paiono una gloria, e le grandi persecuzioni refrigerio; e di tutte gode, vedendosi punita di quella legge perversa della propria volontà sensitiva che sempre ribella a Dio, e vedersi conformare con Cristo crocifisso, che è via e dottrina della verità.

Nel cognoscimento di Dio trovarai el fuoco della divina carità. Dove tu ti dilettarai? In su la croce con lo immaculato Agnello, cercando el suo onore e la salute dell'anime, per continua e umile orazione. Or qui sta tutta la nostra perfezione. Molte cose ci sono anco, ma questa è la principale, dove riceviamo tanto lume che non potiamo errare nelle minori operazioni che seguitano: dilettati, figliuola mia, di conformarti con gli obbrobii di Cristo.

E guarda el sentimento della lingua, sì che la lingua non risponda alcuna volta al sentimento del cuore; ma smaltisce quello che è nel cuore, con odio e dispiacimento di te. Fa' che tu sia la minima delle minime, subietta per umilità e pazienzia a ogni creatura per Dio, non con scusa, ma con dire «mia colpa». E così si vencono e' vizii nell'anima tua e ne l'anima di cui tu el dicessi: per la virtù de l'umilità.

Ordina el tempo tuo: la notte alla vigilia - dato che tu ài el debito del sonno al corpo tuo -, e la mattina alla chiesa con la dolce orazione; e non spendarlo in favellare infine all'ora debita. Di questo e d'ogni cosa non ti ritragga altro che o la necessità o l'obedienzia o la carità, come detto è. Doppo l'ora del mangiare, ricoglieti un poco a te; e poi fa' manualmente alcuna cosa, secondo che t'è di bisogno. All'ora del vespro e tu va' e fa' cavelle, e quanto lo Spirito santo ti fa fare, tanto sta'. E poi ritorna e governa l'antica tua madre senza negligenzia, e provedela di quello che è di bisogno; e sia tuo questo peso di qui alla mia tornata. Fa' che tu facci sì che tu adempia el desiderio mio. Altro non dico.

Permane nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




50

A Caterina di Ghetto mantellata di santo Domenico.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce Carissima suoro e figliuola mia in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti vera serva e sposa di Cristo crocifisso.

Serve dobiamo essere perché siamo ricomprate del sangue suo; ma non vego che del nostro servire potiamo fare utilità a lui: dobianlo dunque fare al prossimo nostro, però ch'egli è quel mezzo dove noi proviamo e acquistiamo la virtù. Sappi che ogni virtù riceve vita da l'amore; e l'amore s'acquista nell'amore, cioè levando l'occhio de lo 'ntelletto nostro a raguardare quanto siamo amati da Dio.

Vedendoci amare, non potiamo fare che non amiamo; amando, abracciamo le virtù per affetto d'amore, e con l'odio spregiamo el vizio, sì che vedi che in Dio concepiamo le virtù, e nel prossimo si parturiscono.

Sai bene che ne la necessità del prossimo tu partorisci el figliuolo della carità, ch'è dentro ne l'anima; e nella ingiuria che tu ricevi da lui, la pazienzia. Tu li doni l'orazione, singularmente a coloro che ti fanno ingiuria, e così dobiamo fare: se essi sonno a noi infedeli, e noi dobiamo a loro essere fedeli, e fedelmente cercare la loro salute; amarli di grazia, e non di debito: cioè, che tu ti guardi di non amare el prossimo tuo per propria utilità, perché non sarebbe amore fedele, e non rispondaresti a l'amore che Dio ti porta. Ché come Dio t'à amata di grazia così vuole che, non potendoli tu rendare questo amore, tu el renda al prossimo tuo, amandolo di grazia, e non di debito, come detto è. Né per ingiuria, né perché tu vedessi diminuire l'amore verso di te, o il diletto, o la propria utilità, non debbi tu minuire né scemare l'amore verso lui ma amarlo caritativamente, portando e sopportando e' difetti suoi: con gran consolazione e riverenzia raguardare e' servi di Dio.

Guarda che tu non facessi come le matte che si vogliono porre a investigare e giudicare gli atti e modi de' servi di Dio: troppo è degno di grande riprensione chi il fa. Sappi che non sarebbe altro che ponere regola e legge a lo Spirito santo, volendo fare andare e' servi di Dio a nostro modo, la quale cosa non si de' fare; e pensi quella anima che giogne a questo giudizio che la barba della superbia non è anco fuore, né la vera carità del prossimo non v'è anco dentro: cioè d'amarlo di grazia, e non di debito. Adunque amiamo e non giudichiamo e' servi di Dio; anco ci conviene amare generalmente ogni creatura che à in sé ragione: coloro che sonno fuore de la grazia amarli con dolore e amaritudine de la colpa loro, perché offendono Dio e l'anima loro. E così t'acordarai col dolce e inamorato di Paolo, che piange con coloro che piangono e gode con coloro che godono (Rm 13,15): così tu piangerai con coloro che sonno in istato di pianto, per desiderio de l'onore di Dio e salute loro; e goderai co' servi di Dio, che godono gustando Dio per affetto d'amore. Vedi dunque che nella carità concepiamo le virtù, e nella carità del prossimo si parturiscono.

Facendo così - che tu realmente, senza neuno amore o cuore fittivo, libero, senza veruno rispetto di propria utilità o spirituale o temporale, ami el prossimo tuo -, sarai vera serva e risponderai col mezzo del prossimo a l'amore che ti porta el tuo Creatore; e sarai sposa fedele e non infedele. Allora manca la fede la sposa a lo sposo suo, quando l'amore che debba dare a lui el dà ad altra creatura. Tu se' sposa (vedi bene che 'l Figliuolo di Dio tutti ci sposò nella circuncisione (Lc 2,21), quando si tagliò la carne sua, donandoci tanto quanto è una stremità d'anello, in segno che voleva sposare l'umana generazione): tu, raguardando tanto amore, el debbi amare senza neuno mezzo.

Come tu l'ami senza mezzo che sia fuore di Dio, così se' fatta serva del prossimo tuo, servendolo in ogni cosa secondo la tua possibilità: sì che di Cristo se' sposa, e del prossimo debbi essere serva, se tu se' sposa fedele. Perché de l'amore che noi portiamo a Dio non potiamo fare utilità né servizio a lui, adunque - come è detto - dobiamo servire al prossimo nostro con vero e cordiale amore: in altro modo né in altra forma nol potiamo servire. E però ti dissi ch'io desideravo di vederti vera serva e sposa di Cristo crocifisso.

Or ti bagna, carissima suoro e figliuola, nel sangue dolce di Cristo crocifisso. Altro non dico.

Permane etc. Gesù amore Gesù dolce etc.



51

A frate Felice da Massa dell'ordine di santo Agustino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo con desiderio di vedervi fondato in vera e perfetta umilità, però che colui che è umile sì è paziente a portare ogni fadiga per amore della verità; e perché l'umilità è balia e nutrice della carità, non può essere umilità senza carità. E colui che arde nella fornace della carità non è negligente, anco à perfetta sollicitudine, però che la carità non sta mai oziosa, ma sempre aduopera.

Ma amore né umilità, la quale consuma la negligenzia e spegne la superbia, non si può avere senza el lume e che l'occhio alluminato non abbi qualche obiecto in che elli possi guardare; però che, perché l'occhio vegga e abbi el lume in sé, ed elli non stia aperto, quello vedere non gli farebbe alcuna utilità.

L'occhio vero dell'anima nostra è lo intelletto, el quale à el lume della santissima fede, colà dove el panno dell'amore proprio non l'avesse ricuperto. Levato via l'amore proprio di noi medesimi, l'occhio rimane chiaro e vede: sì conviene che l'affetto si desti e voglia amare el suo benefattore. Allora, sentendo l'occhio de l'intelletto muovarsi da l'affetto, subbito s'apre e ponsi ne l'obiecto suo, Cristo crocifisso, in cui cognosce - e massimamente nel sangue suo - l'abisso della inestimabile sua carità.

Ma dove el debba vedere e ponere questo obiecto? Ne la casa del cognoscimento di sé, nel quale cognoscimento cognosce la miseria sua, però che à veduto con l'occhio dell'intelletto e' suoi defetti, e sé non essere, e àllo veduto in verità. In verità è quando l'uomo cognosce sé, e cognosce la bontà di Dio in sé.

Però che se cognoscesse solamente sé, o volesse cognoscere Dio senza sé, non sarebbe cognoscimento fondato nella verità, né trarrebbe anco el frutto che si debba trare del cognoscimento di sé, ma più tosto ne perdarebbe che non ne guadagnarebbe, però che trarrebbe solo - del cognoscimento di sé - tedio e confusione, unde diseccarebbe l'anima; e perseverandovi dentro senza altro remedio giognarebbe alla disperazione. E se volesse cognoscere Dio senza sé, ne trarrebbe frutto fetido di grande presunzione, la quale presunzione è nutricata dalla superbia; e l'una notrica l'altra. Conviensi dunque che el lume vegga e cognosca in verità, e condisca el cognoscimento di sé col cognoscimento di Dio, e 'l cognoscimento di Dio col cognoscimento di sé.

Allora l'anima non viene né a presunzione né a disperazione; ma del cognoscimento trae el frutto della vita, quando è l'uno con l'altro insieme. Però che del cognoscimento di sé riceve el frutto della vera umilità - unde germina odio e dispiacimento della colpa e della legge perversa che sempre è atta a impugnare contra allo spirito (Rm 7,23): de l'odio parturisce el figliuolo della pazienzia, la quale è el mirollo della carità -; e del cognoscimento della grande bontà di Dio, che truova in sé, riceve el frutto dell'abisso dell'affocata carità di Dio e del prossimo suo.

Però che col lume vede e cognosce che dell'amore che elli porta al suo Creatore non gli può fare utilità alcuna, e però subbito quella utilità che non può fare a lui la fa al prossimo suo per amore di Dio - però che ama la creatura perché vede che el Creatore sommamente l'ama -; e condizione è dell'amore d'amare tutte quelle cose che sono amate dalla persona amata. Or con questo lume, carissimo figliuolo, acquistaremo la virtù della umilità e della carità, e con vera e santa pazienzia portaremo e sopportaremo e' difetti del prossimo nostro; e consumaremo la negligenzia con la perfetta sollicitudine acquistata nel fuoco della divina carità; e spegnarassi la superbia con l'acqua della vera umilità; e diventaremo affamati de l'onore di Dio, e gustatori e mangiatori dell'anime in su la mensa de l'umile e immaculato Agnello. Altra via non ci à; unde, considerando io che ci conveniva tenere per questa via e per questa strada della vera umilità, dissi e dico che io desideravo di vedervi fondato in vera e perfetta umilità; e così voglio che facciate senza pena e senza confusione di mente.

Ma ora di nuovo voglio che cominciamo con fede viva, con speranza ferma, e con obedienzia pronta; e così voglio che ingrassiate l'anima vostra, e non si disecchi per confusione né per tedio di mente; ma con una perfetta sollicitudine vi destate dal sonno della negligenzia, furando le virtù, quando le vedete ne' vostri fratelli, conservandole nel petto vostro.

E sempre la verità vi diletti e stia nella bocca vostra; e annunziarla quando bisogna, caritativamente, in ogni persona - e singularmente in quelle persone che sono amate di singulare amore -, ma con una piacevolezza, ponendo el difetto altrui a voi medesimo. E se non si fusse fatto per lo tempo passato con quella cautela che bisogna, correggiarenci per l'avenire. E per queste non voglio che alcuna pena n'abbiate. E di me pensiero alcuno non vi diate; ma realmente l'onde del mare tempestoso tutte si passino con vera umilità e carità fraterna, e con santa pazienzia. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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A frate Jeronimo da Siena de' frati di santo Agustino Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

A voi dilettissimo e carissimo padre e figliuolo in Cristo Gesù, io Caterina serva e schiava de' servi di Gesù Cristo scrivo a voi nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio risovenendomi de la parola del nostro Salvatore, quando disse a' discepoli suoi: «Con desiderio io ò desiderato di fare la Pasqua con voi, prima che io muoia» (Lc 22,15).

Così dico io a voi, frate Jeronimo, padre e figliuolo mio carissimo. E se mi dimandaste: «Che Pasqua desideri di fare con esso noi?», rispondovi: non c'è altra Pasqua se non quella dell'Agnello immaculato, quella medesima che fece elli di sé a' dolci discepoli. O Agnello dolce, arrostito al fuoco de la divina carità, a lo spedone della santissima croce! O cibo suavissimo, pieno di gaudio e di letizia e consolazione! In te non manca cavelle, però che all'anima che ti serve in verità tu gli se' fatto mensa cibo e servidore.

Bene vediamo che 'l Padre c'è una mensa, ed è letto dove l'anima si può riposare; vediamo el Verbo dell'unigenito suo Figliuolo, che ci s'è dato in cibo con tanto fuoco d'amore. Chi ce l'à porto? El servidore dello Spirito santo: e per lo smisurato amore che elli à non è contento che siamo serviti da altri, ma esso medesimo vuole essere el servidore.

Or a questa mensa desidera dunque l'anima mia insiememente con voi di fare Pasqua prima che io muoia, però che, passata la vita, non la potremmo fare. E sappiate, figliuolo mio, che a questa mensa ci conviene andare spogliati e vestiti: spogliati, dico, d'ogni amore proprio e piacimento del mondo, di negligenzia e tristizia e confusione di mente, però che la disordenata tristizia disecca l'anima; ma dovianci vestire dell'ardentissima sua carità, e questo non potiamo avere se l'anima non apre l'occhio del cognoscimento di sé medesimo - che vega sé none essere, e però siamo operatori di quella cosa che non è, perché noi non siamo - e cognosciamo in noi la infinita bontà di Dio.

Quando l'anima raguarda el suo Creatore e tanta infinita bontà quanta truova in lui, non può fare che non ami; e l'amore subbito el veste de le vere e reali virtù. Inanzi eleggerebbe la morte che fare cosa contraria a colui che elli ama, ma sempre cerca con sollicitudine di fare cosa che gli sia in piacere: subbito ama ciò che elli ama e odia ciò che elli odia, però che per amore elli è fatto un altro lui. Questo è quello amore che ci tolle ogni negligenzia e ignoranzia e tristizia, però che la memoria si leva a fare festa col Padre, ritenendo nella memoria sua e' benefizii di Dio; lo intendimento col Figliuolo - e con sapienzia e lume e cognoscimento cognosce e ama la volontà di Dio -: leva subbito l'amore e 'l desiderio suo e diventa amatore de la somma etterna Verità, in tanto che non può né vuole amare altro né desiderare se non Cristo crucifisso; non gli diletta altro se non portare gli obrobii e le pene sue, e tanto gli diletta e gli piace che elli à a sospetto ogni altra cosa. De le pene, de li scherni e persecuzioni del mondo o del dimonio se le reputa gloria a sostenere per Cristo.

Accendete accendete el fuoco del santo desiderio, raguardate l'Agnello svenato in su.legno de la santissima croce: in altro modo non potremmo mangiare a questa dolce e venerabile mensa. Fate che ne la cella dell'anima vostra stia sempre piantato e ritto l'arbolo de la santissima croce, però che a questo arbolo cogliarete el frutto de la vera obbedienzia, de la pazienzia e profonda umilità; morrà in voi ogni piacimento e amore proprio; acquistarete la fame d'essere mangiatore e gustatore dell'anime. E vedendo noi che, per fame de la salute nostra e de l'onore del Padre, elli s'è umiliato e dato sé medesimo all'obrobiosa morte de la croce, sì come pazzo ebbro e inamorato di noi, questa è la Pasqua che io desidero di fare con voi.

E perché aviamo detto che doviamo essere mangiatori e gustatori dell'anime, questo desidera l'anima mia di vedere in voi, perché sete banditore de la parola di Dio. Voglio che siate uno vasello di dilezione pieno di fuoco d'ardentissima carità a portare el dolce nome di Gesù, e seminare questa parola incarnata di Gesù nel campo dell'anima. Ma invitovi e voglio che ricogliendo el seme, cioè facendo frutto ne le creature, voi el riponiate ne l'onore del Padre etterno, cioè dando la gloria e l'onore a lui, perdendo ogni gloria e piacimento di noi medesimi; altrimenti saremmo ladri che furaremmo quello che è di Dio e daremmolo a noi. E credo che per la grazia di Dio questo non tocca a voi, ché certa mi pare essere che 'l primo movimento e principio è solo dell'onore di Dio e salute de la creatura.

E bene ci cade questo, spesse volte: alcuno piacere di voi ne la creatura; ma perché io voglio che siate perfetto e rendiate frutto di perfezione, non voglio che amiate neuna creatura né in comune né in particulare se non solamente in Dio. Or intendete in che modo io dico, ché io so bene che voi amate in Dio e spiritualmente, ma alcuna volta, o per poca avertenzia o perché la natura ve lo 'nchina - come avete voi -, ama spiritualmente e nell'amore piglia piacere e diletto, tanto che alcuna volta la sensualità piglia la parte sua, pur col colore dello spirito.

E se mi diceste: «a che me ne posso avedere che ci sia questa imperfezione?»: quando voi vedeste che quella persona che è amata mancasse in alcuna cosa verso di voi, che non vi facesse motto secondo i modi usati o che vi paresse che amasse un altro più di voi, se allora vi cade uno sdegno e uno cotale mezzo dispiacimento, allentando l'amore che prima v'era, tenete di fermo che questo amore era ancora imperfetto. Che modo ci à da farlo perfetto? Non vi do altro modo, figliuolo carissimo, se non quello che fu dato a una dalla prima Verità, dicendo: «Figliuola mia carissima, io non voglio che tu facci come colui che trae el vasello pieno d'acqua de la fonte e bevelo poi che l'à fuore, e così rimane votio e non se n'avede, ma voglio che, empiendo el vasello dell'anima tua, facendoti una cosa, per amore e affetto, con colui che tu ami per amore di me, nol tragga punto di me, fonte d'acqua viva, ma tiene la creatura, che tu ami per amore di me, sì come vasello ne l'acqua: a questo modo non sarà votio, né tu né cui tu ami, ma sempre sarete pieni de la divina grazia del fuoco dell'ardentissima carità.» Allora non vi cadrà né sdegno né spiacimento veruno, però che colui che ama - perché vedesse molti modi, o dilungare da la sua conversazione - mai non n'à pena affliggitiva pur ched e' vega e senta che viva co.le dolci e reali virtù, però che l'amava per Dio e non per sé. Bene sentirebbe una santa picciola tenerezza quando si vedesse dilungare da quella cosa che ama. Or questa è la regola e 'l modo che io voglio che teniate, a ciò che siate perfetto e none imperfetto. Non dico più.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.




Caterina, Lettere 45