Caterina, Lettere 222

222

Al soprascritto Stefano negligente.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con disiderio di vederti uscire della tenebre e dirizzarti verso la luce senza pigliare più indugio di tempo, però che 'l tempo ci viene meno, e non ce ne avediamo per la ciechità nostra.

Ma egli è pure da levarsi la nuvila d'inanzi, e ponarsi per obiecto la verità. La verità è questa, che Dio non vuole né cerca da noi altro che la nostra santificazione: per questo ci creò alla imagine e similitudine sua (Gn 1,26), e però volse el dolce e amoroso Verbo dare la vita con tanto fuoco d'amore; e così ci manifesta la sua verità. L'anima che, col lume, la raguarda, non sta a dormire; anco si desta dal sonno, cercando con grande sollecitudine il modo e la via e 'l luogo e 'l tempo per li quali la possa compire. Egli non si fida di potere aspettare el dì di domane, perché vede che non è sicuro d'averlo. Così voglio che facci tu: caccia da te ogni tenebre, acciò che non ti sia impedito questo lume.

Sai che Dio t'à mostrato, poi che tu uscisti della tenebre, che egli t'abbia eletto a conosciare questa verità.

Troppo saresti degno di grande riprensione se tu gli facessi resistenzia: allora gli faresti resistenzia, quando per negligenzia ti ponessi a sciogliare e non a tagliare. E perché egli vuole che tu tagli, però t'à conceduto di grazia che tu abbi spacciati e' fatti tuoi, del quale spaccio ò avuta grandissima allegrezza. Or sollicitamente, figliuolo mio, come quegli che debbono avere fame del tempo, spaccia quello che t'è rimaso a fare acciò che compi la volontà di Dio in te. Non ti dico più.

Di' a Petro che non sia negligente a disobrigare sé medesimo, acciò che egli corra sciolto, e non legato, per la dottrina di Cristo crocifisso. Al fatto di misseri etc.

Permane etc. Gesù dolce, Gesù amore.



223

A missere Jacomo cardinale degli Orsini.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo padre in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi colonna ferma e stabile, posto a notricare nel giardino della santa Chiesa: per gli molti venti contrarii che vengono, se non fusse di pietra ben fondata verrebbe meno; conviene che 'l fondamento sia cavato ben giù, ché se fusse poco, anco sarebbe debile.

O padre in Cristo Gesù, voi sete colonna posta per umilità, la quale umilità s'acquista nel vero cognoscimento di sé medesimo; e però cade l'uomo in superbia, perché non cognosce sé: che se cognoscesse sé medesimo non essere, mai non cadarebbe in superbia. Ma l'essere ch'egli à, à ricevuto solo da Dio, ché noi non pregammo mai Iddio che ci creasse; mosso dunque dal fuoco della sua divina carità, per l'amore che egli ebbe alla sua creatura, guardandola dentro da sé innamorossi della bellezza sua e della fattura delle mani sue. A mano a mano che l'anima à raguardato in sé, viene che truova la bontà di Dio: cresce l'anima in tanto fuoco d'amore che altro non può amare né desiderare se non solo Dio, in cui egli à trovata tanta smisurata bontà, però che vede in sé essere quella pietra che tenne ritto el gonfalone della santissima croce, ché né pietra l'averebbe tenuto, né chiovo confitto, se non fusse la forza dell'amore che Dio ebbe all'uomo.

Questo mi ricordo che fu detto una volta a una serva sua, dicendo ella per smisurato desiderio che aveva: «O Signor mio, se io fossi stata della pietra e terra dove fu fitta la croce tua, quanto mi sarebbe di grazia! Che io averei ricevuto del sangue tuo, che versava giù per la croce». Rispondeva la dolce prima Verità, e diceva: «Figliuola mia carissima, tu e l'altre creature che ànno in sé ragione fuste quella pietra che mi teneste, cioè l'amore che io ebbi a voi, ché verun'altra cosa era sufficiente a tenermi Dio e Uomo».

Adunque vergogninsi e' cuori miseri miserabili superbi, dati solo alle grossizie e miserie di questa tenebrosa vita, alle grandezze e stati e delizie del mondo. Questo cotale fa el fondamento tanto in su, con amore proprio di sé medesimo, perché non vuole durare fatiga, né tenere per la via delli obrobrii, de la viltà e povertà volontaria, la qual via tenne el dolce e buon Gesù. Dico, carissimo fratello, che questo cotale non dura, ma ogni piccolo vento el dà a terra, però che 'l fondamento suo - cioè l'amore e l'affetto - è posto in cosa vana leggiera e transitoria, che passa e va via come el vento.

Ben vedete che in sé nessuna cosa à fermezza, se non solo Dio. Se ella è vita, ella viene meno: da vita andiamo alla morte, da sanità ad infermità, da onore a vituperio, da ricchezza a povertà: ogni cosa passa e corre via. O come è semplice colui che pone l'affetto in loro! Tutto vel pone, perch'egli ama sé medesimo d'amore sensitivo: ama quello che si conforma con quella parte sensitiva piccola. Non ama sé di ragione d'amore fondato in virtù, ché se s'amasse ragionevolmente, che ciò che ama amasse con ragione e con virtù, - e non per diletto sensitivo d'amore proprio, diletto e piacimento del mondo, piacere più a sé e alle creature che a Dio -, se venissero meno non perdarebbe nulla, né pena ne sosterrebbe, perché non vi sarebbe l'amore. Ché, solo, la pena cade in coloro che amano fuore di Dio; ma chi à ordinato in lui, che sé e ogni cosa ama colla ragione del cognoscimento vero fondato nel suo Creatore, non cade pena in lui.

Vede bene che veruna cosa Idio gli dà o tolle spiritualmente o temporalmente: egli nol fa altro che per nostro bene e per nostra santificazione.

Allora con questo lume e cognoscimento ch'egli à acquistato di sé e della bontà di Dio e della sua inestimabile carità, egli s'aumilia, cavando con odio e dispiacimento di sé; nasce in lui una pazienzia nelle pene, ingiurie, scherni e villanie che egli sostenesse: però che egli è contento di sostenere pene, considerato che egli è stato ribello al suo Creatore. Poi che egli è fatto el fondamento, ed egli diventa pietra ferma e stabile, posto e confermato in su la pietra Cristo Gesù, seguitando le vestigie sue; e in altro non si può dilettare né amare né volere, se non quello che Idio ama; odia quello che egli odia. Allora riceve tanto diletto fortezza e consolazione, che neuna cosa che sia, né demonio né creatura, el può indebilire né dare amaritudine niuna, perché colà ov'è Idio è ogni bene. Non si ritragga più el cuore nostro da tanta dilezione: non più negligenzia né ignoranzia.

Seguitatemi l'Agnello svenato, aperto in sul legno della santissima croce; altrimenti, carissimo padre, voi, colonna posto ad aiutare e sovenire in ciò che potete la dolce sposa di questo Agnello, non rendareste a lui el debito, ché questo Agnello solo v'à posto non per vostra bontà, ma per sua, perché rendiate l'onore a lui e la fatiga al prossimo vostro. Siate, siate gustatore e mangiatore de l'anime, ché questo fu el cibo suo. Ben vedete che - poi che noi perdemmo la grazia per lo peccato del nostro primo padre - non s'adempiva in noi la volontà del Padre eterno, che non ci avea creati per altro fine se non perché gustassimo e godessimo la bellezza sua, vita durabile senza morte. Non s'adempiva questa volontà: mosso dal fuoco dell'amore col quale ci avea creati, vuole mostrare che non ci à fatti per altro fine; trova el modo d'adempire questa volontà: dacci per amore el Verbo dell'unigenito suo Figliuolo; sopra di lui punisce la nostra infirmità e iniquità.

O fuoco dolce d'amore, tu gitti uno colpo che insiememente tu punisci el peccato sopra di te, sostenendo morte e passione, satollandoti d'obrobrii e di vergogna e vituperio, per rendarci l'onore el quale perdemmo per lo peccato commesso; e con questo ài placato l'ira del Padre tuo. Facendo in te giustizia per me, sodisfacesti la 'ngiuria fatta al Padre eterno tuo: così ài fatta la pace della gran guerra.

Ben dice 'l vero quel dolce innamorato di Pavolo, che Cristo è nostra pace e tramezzatore: ché è stato mezzo a fare pace fra Dio e l'uomo. Or questo è 'l modo dolce e suave che Idio à tenuto per darci il fine per lo quale ci creò: mostrato l'à per effetto e per operazione, none obstante a quello che egli à fatto, ma continovamente fa, mostrandoci grandissimi segni d'amore. E tutto questo trovarà l'anima se raguardarà in sé medesima, ché ogni cosa è fatta per lei. Arrendasi, arrendasi la città de l'anima nostra almeno per fuoco, se non s'arende per altro.

Oimé, oimé, non dormite più, voi e gli altri campioni della santa Chiesa; non attendete pure a queste cose transitorie, ma attendete a la salute de l'anime. Ché vedete che 'l demonio non si ristà mai di devorare le pecorelle ricomperate di sì dolce prezzo: e tutto è per la mala cura de' pastori, che sono fatti devoratori de l'anime. Attendeteci, per l'amore di Dio! Adoperate ciò che potete, col nostro dolce Cristo in terra, che procuri di fare buoni pastori e rettori. Doimé, Dio amore! Non fate più scoppiare e morire noi e gli altri servi di Dio; ma siate sollecito a fare ciò che potete, di mostrare che voi abbiate fame de l'onore di Dio e della salute de l'anime. E non tanto sopra el popolo cristiano, ma anco sopra 'l popolo infedele: pregando Cristo in terra che tosto rizzi el gonfalone della santissima croce sopra di loro. E non temete per veruna guerra o scandolo che venisse, ma fate virilmente; ché quello sarà el modo di venire a pace.

Pregovi per l'amore di Cristo crocifisso che della guerra che avete con questi membri putridi, che sono ribelli al capo loro, voi preghiate el padre santo che si rivoglia riconciliare e fare pace con essi; ché, potendo avere la pace con quegli modi debiti che si richiegono al bene della santa Chiesa, è meglio che a fare con guerra: poniamo che ingiuria abbia ricevuta da loro, nondimeno doviamo discernare quello che è maggiore bene. Di questo vi prego quanto so e posso, sì che poi potiamo andare virilmente a dare la vita per Cristo. Non dico più. Siate colonna ferma, fermato e stabilito in su la pietra ferma Cristo.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.

Perdonate alla mia presunzione, che presummo di scrivare a voi: scusimi l'amore che io ò della dolce sposa di Gesù Cristo, e salute vostra. Gesù dolce, Gesù amore.



224

Alla soprascritta monna Niera donna di Gherardo Gambacorti, in Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi serva fedele e figliuola del Padre eterno.

Sapete che l'amore è quella cosa che ci fa fedeli: sempre in quella cosa che altri ama, egli à fede. (Così vediamo che i veri servi di Dio, per l'amore che essi ànno al loro Creatore, perdono ogni fede e speranza di loro medesimi, che non sperano in loro virtù né in loro sapere, ché eglino cognoscono e veggono loro non essere: l'essere loro retribuiscono a Dio, d'averlo per grazia e non per debito). Subbito che ama con fede, à speranza viva, non in sé ma in Colui che è (Ex 3,14).

Questi cotali ànno fede viva e non morta, con dolci e sante operazioni. Quali sonno l'operazioni che mostrano fede viva fondata in vero amore? La pazienzia contra la ingiuria o pena, per qualunque modo Dio le concede a noi; la divina carità contra l'amore sensitivo proprio di sé medesimo; l'umilità contra l'enfiata superbia che l'uomo acquista per lo stato e delizie, onori e diletti del mondo. Questa umilità dispregiarà il mondo con tutte le sue pompe; ma veruno è che la possa avere, se egli non cognosce sé, defettuoso, non essere, e vega Dio umiliato a sé. Come l'anima raguarda la somma altezza discesa in tanta bassezza quanta è la nostra umanità, vergognasi allora l'umana superbia vedendo Dio tanto umiliato. Or questi sonno e' frutti che parturisce la fede viva, posta solo nel suo Creatore. Costoro godono e gustano Dio in verità; non sentono pena per veruna pena o tormento che sostengono, però che credono fermamente che Dio non cerca, né vuole, né permette veruna cosa altro che per nostra santificazione. E tutto questo procede da l'amore: ché se l'amore non fusse, non avarebbero fede.

Così vedete che per lo contrario coloro che ànno al mondo posto l'affetto e la solicitudine loro, tutta la fede e la speranza si riposa in loro e nel mondo; e però stanno in continua pena e amaritudine, perché pongono l'amore in cosa che non è ferma né stabile, e così se ne truovano ingannati. Che stabilità ànno o padre o madre o onori o ricchezze o signoria? Non veruna, ché ogni cosa passa come il vento. Oggi vivo, e domane morto; testé sano, e testé infermo; testé ricco, testé povaro; ora sta in delizie co' figliuoli suoi, testé viene meno. E però sostiene pena, ponendoci l'amore e il disordinato desiderio: perché non bastano, e non può tenere quello che ama.

E però voglio, figliuola mia dolcissima, che non abbiate affetto né fede né speranza in voi, né in cosa corruttibile; ma tutta voglio che vi dilettiate di servire Cristo dolce Gesù, dove si riposa ogni diletto e consolazione. Ine s'inebria l'anima del sangue de l'Agnello immaculato; ardesi e risolvesi nel fuoco de l'ardentissima carità; riceve tanta fortezza che né dimonio né creatura gli può tòllere questo vero bene.

Adunque nascondetevi ne le piaghe di Cristo crocifisso; dilettatevi in Cristo crocifisso; amate e temete Cristo crocifisso; ponete l'affetto, la fede e la speranza vostra in Cristo crocifisso.

Con questo dolce e vero Agnello passerete questa tenebrosa vita, e giognarete a la vita durabile, dove si pascono i veri e dolci gustatori. Non voglio dire più.

Di quello che mi mandaste dicendo, d'allogare il vostro garzone, vi rispondo che voi attendiate non a l'avere né a' grandi parentadi, ma solo a la virtù e a la buona condizione de la fanciulla. Quando trovate questo, fatelo sicuramente. E ciò che fate, fatelo con timore di Dio, ponendolo sempre per obiecto dinanzi agli occhi de l'anima vostra. Benedite e confortate monna Gy. in Cristo dolce Gesù. E dite a Gherardo ch'io mi richiamarò a Cristo crocifisso di lui, perché egli non à fatto quello che debba fare ogni fedele cristiano. Dite che non aspetti l'ultimo dì de la vita sua, però che non sa né quando né come.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



225

A frate Lazzarino da Pisa de' frati Minori.

Al nome di Cristo crucifisso.

A voi, dilettissimo e carissimo padre e fratello e figliuolo in Cristo Gesù, io Caterina scrivo risovenendomi di quella dolce parola che disse Cristo: «Con desiderio io ò desiderato di fare la Pasqua con voi in prima ched io muoia»(Lc 22,15).

Di questo santo desiderio, secondo che mi dà la divina grazia - ché io per me non so', ma solo Dio è quello che è -, secondo che Dio à vulnerata l'anima mia, ardisco di dire quello che disse Cristo: con desiderio io desidero che noi facciamo la Pasqua in prima che noi moriamo. Questa sarà la nostra dolce e santa Pasqua, cioè quello che dice David nel psalterio: «Gustate et videte» (Ps 33,9). Non pare che potiamo vedere Dio se in prima non facciamo questa santa Pasqua di gustare lui: di gustarlo per amore de la sua inestimabile dilezione de la carità, cognoscendo e gustando che la bontà di Dio non vuole altro che 'l nostro bene, come dice quello inamorato di Pavolo: «Dio è nostra santificazione e giustizia e ogni nostro riposo» () e «la volontà di Dio non vuole altro che la nostra santificazione» (1Th 4,3).

O inestimabile dilezione e carità, tu dimostrasti questo affocato desiderio e corristi come ebbro e cieco all'obrobio de la croce. Come el cieco non vede, e l'ebbro quando è bene avinazzato, così elli quasi come morto perdette sé medesimo, sì come cieco ed ebro de la nostra salute; e nol ritrasse la nostra ignoranzia né la nostra ingratitudine, né l'amore proprio che noi aviamo a noi. O dolcissimo amore Gesù, tu t'ài lassato acecare all'amore che non ti lassa vedere le nostre iniquità - n'ài perduto el sentimento, Signore dolce! - Parmi che l'abbi volute vedere e punire sopra al corpo dolcissimo suo, dandosi al tormento de la croce, stando in su la croce come innamorato, a mostrare che non n'ama per sua utilità ma per nostra santificazione. Drittamente egli sta come nostra regola, come nostra via e come libro scritto che ogni persona grossa e cieca el può leggiare, e 'l primo capoverso del libro si è odio e amore: amore dell'onore del Padre e odio del peccato. Adunque, dilettissimo e carissimo fratello, e padre per reverenzia del sagramento, seguitiamo questo dolce libro che così dolcemente ci mostra la via.

Se avenisse che questi tre nostri nemici si parassero ne la via, cioè el mondo, la carne e 'l dimonio, e noi pigliamo l'arme dell'odio, sì come fece el padre vostro santo Francesco: perché el mondo non gli gonfiasse lo stomaco egli elesse la santa e vera e 'strema povertà, e così voglio che facciamo noi. E se 'l dimonio de la carne volesse ribellare allo spirito, gionga el dispiacimento, affriga e maciari el corpo nostro, sì come fece esso vostro padre, che sempre con sollecitudine e non con negligenzia corse per questa santa via. Se 'l dimonio giognesse co' le molte illusioni e variate fantasie e timore servile, e volesseci occupare la mente e l'anima nostra, non temiamo, ché esse sono diventate impotenti per la virtù de la croce. Amore dolcissimo!, poi che non possono più se non tanto quanto Dio lo' dà, e Dio non vuole altro che el nostro bene, adunque non lo' darà più che noi potiamo portare.

Confortatevi confortatevi e none schifate pena, conservando sempre la santa volontà che ella non si riposi in altro se none in quello che Cristo amò e in quello che egli odiò. Così armata la nostra volontà d'odio e d'amore, ricevarà tanta fortezza che, come dice santo Pavolo, né 'l mondo né 'l dimonio né la carne non ci potrà ritrare di questa via. Portiamo portiamo, fratello carissimo: quanto più pena portaremo qua giù con Cristo crocifisso, più ricevaremo di gloria, e veruna pena sarà tanto remunerata quanto la fadiga del cuore e la pena mentale: perché sono le maggiori pene che sieno, sono degne di maggiore frutto. In questo modo ci conviene gustare Dio, acciò che 'l potiamo vedere.

Altro non vi dico se non che siamo uniti e transformati in quella dolce volontà di Dio. Corriamo corriamo, dolcissimo fratello, legati tutti col vincolo de la carità con Cristo crocifisso in sul legno de la croce. Io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, mi vi racomando e pregovi che preghiate Dio per me sì che io vada in verità. Gesù Gesù Gesù.



226

A frate Ramondo da Capova dell'ordine de' frati Predicatori

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce

A voi dilettissimo e carissimo padre e figliuolo in Cristo Gesù, dato da quella dolce madre Maria: io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e a Papo nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi figliuoli veri e banditori della parola incarnata del Figliuolo di Dio, non pur con voce ma con operazione, imparando dal maestro de la verità, el quale operò la virtù e poi la predicò.

A questo modo farete frutto e sarete quello condotto per cui mezzo Dio porgerà la grazia nel cuore degli uditori. Sappiate, figliuoli miei, che la buona vita e fame de l'onore di Dio e della salute dell'anime non potremmo avere né imparare, se noi non andassimo alla scuola del Verbo, Agnello esvenato e derelitto in croce, però che ine si truova la dottrina vera. Così disse egli: «Io so' via verità e vita» (Jn 14,6), e neuno può andare al Padre se non per lui.

Aprasi l'occhio del cognoscimento vostro a vedere, e sturate l'orecchie e udite che dottrina vi dà. Vedete voi medesimi, però che in lui trovate voi, e in voi trovate lui: cioè che in lui trovate voi per grazia e non per debito - creandovi all'imagine e similitudine sua -, e in voi trovate la smisurata bontà di Dio, avendo presa la similitudine nostra per l'unione che à fatta la natura divina con la natura umana. Scoppino e fendansi e' cuori nostri a raguardare tanto fuoco e fiamma d'amore che Dio è innestato ne l'uomo, e l'uomo in Dio. O amore inestimabile, se l'uomo l'avesse avuto in pregione sì bastarebbe. A questa dolce scuola v'invito, figliuoli miei, però che questo affetto e amore vi menarà e farà la via.

Dico che apriate l'orecchie a udire la sua dottrina, che è questa: povertà volontaria; pazienzia contra l'ingiurie; rendare bene a coloro che ci fanno male; essere piccolo, umile, calpestato e derelitto nel mondo; scherni, strazii, ingiurie, villanie, detrazioni, mormorazioni, tribulazioni e persecuzioni dal mondo, dal dimonio visibile e invisibile e da la propria carne puzzolente, la quale, come ribalda, sempre vuole ribellare al suo Creatore e impugnare contra lo spirito. Questa è la sua dottrina: portare con pazienzia e resistere con l'arme de l'odio e dell'amore. O dolce e soave dottrina! Ella è quello tesoro el quale egli elesse per sé e lassò a' discepoli suoi. Questo lassò per maggiore ricchezza che lassare potesse, ché, se avesse veduto la divina bontà che le delizie e' diletti e' piaceri, e amore proprio di sé e vanità e leggerezza di cuore, fussero state buone, egli l'averebbe elette per sé. Ma perché la sapienzia del Verbo incarnato vidde e cognobbe che questa era l'ottima parte, subbito l'ama e per amore se ne veste; e così fanno i servi e figliuoli suoi, seguitando le vestigie del padre loro.

Adunque non voglio che caggia ignoranzia in voi, né che vi ritraiate da questa dolce e dilettevole via e soave scuola; ma come figliuoli veri vi stregnete questo vestimento indosso, e sì e per sì-fatto modo vi sia incarnato che mai non si parta da voi, se non quando si partirà la vita. Allora abandonaremo el vestimento de la pena e rimarremo vestiti del vestimento del diletto e mangiaremo alla mensa dell'Agnello el frutto che seguita doppo le fadighe. Così fece el dolce banditore di Paulo, che si vestì di Cristo crucifisso e spogliato fu del diletto de la divina essenzia. Vestesi di Cristo uomo, cioè de le pene e obrobrii di Cristo crucifisso e in altro non si vuole dilettare, anco dice: «Io fuggo di gloriarmi se non ne la croce di Cristo crucifisso» (Ga 6,14).

E tanto gli piacque che, come disse una volta a una serva sua: «Dolce figliuola mia, tanto me l'ò stretto col legame dell'affetto e dell'amore, che mai da me non si partì, né punto allentò, se non quando mi fu tolta la vita». Bene pareva el dolce di Paulo che egli avesse studiata questa dottrina: seppela perfettissimamente, in tanto che diventa mangiatore e gustatore dell'anime, avendo fatto come fa la spugna che trae a sé l'acqua. Così egli, passando per la via degli obrobrii, truova inestimabile carità e bontà di Dio, con la quale ama sommamente la creatura; vede che la sua volontà è questa, di volere la nostra santificazione e l'onore del Padre etterno e la salute nostra - e dessi alla morte per adempire in noi questa santificazione -.

Paulo piglia questa volontà e intendela e, intesa, si dà subbito a dare l'onore a Dio e la fadiga al prossimo.

Bandisce virilmente la verità e non tarda per negligenzia, ma è sollicito ed è fatto vasello di dilezione, pieno di fuoco a portare e predicare la parola di Dio.

Or così desidera l'anima mia con grandissimo e affocato desiderio, che io ò desiderato di fare Pasqua con voi, cioè di vedere compito e consumato el desiderio mio. Or quanto sarà beata l'anima mia quando io vedrò voi, sopra tutti gli altri, essere posto fermato e stabilito nell'obiecto vostro Cristo crucifisso, e pascervi e nutricarvi del cibo dell'anima! Però che l'anima, che non vede sé per sé, ma vede sé per Dio e Dio per Dio, in quanto è somma ed etterna bontà, degno d'essere amato da noi, raguardando in lui nell'affocato e consumato amore, truova la immagine de la creatura in lui; sé medesimo truova in Dio immagine sua, cioè che quello amore che vede che Dio à in lui, quello medesimo amore distende in ogni creatura. E però subbito si sente costretto ad amare el prossimo come sé medesimo, perché vede che sommamente Dio l'ama, raguardandosi sé nella fonte del mare de la divina essenzia. Allora el desiderio si dispone ad amare sé in Dio e Dio in sé, sì come colui che raguarda nella fonte, che vi vede la imagine sua; vedendosi sì s'ama e si diletta, e se egli è savio, prima si movarà ad amare la fonte che sé, però che se egli non si fusse veduto, non s'averebbe amato né preso diletto, né corretto el difetto della faccia sua, el quale vedeva in essa fonte.

Or così pensate, figliuoli miei dolcissimi, che in altro modo non potremmo vedere la nostra dignità e' nostri difetti, e' quali ci tolgono la bellezza dell'anima nostra, se noi non andassimo a specchiarci nel mare pacifico della divina essenzia, dove per essa ci rapresenta noi: però che inde siamo usciti, creandoci la sapienzia di Dio all'imagine e similitudine sua (Gn 1,26). Ine troviamo l'unione del Verbo, innestato nella nostra umanità; troviamo e vediamo e gustiamo la fornace del fuoco de la carità sua, el quale fu quello mezzo che dié noi a noi e poi unì el Verbo in noi e noi nel Verbo, prendendo la nostra natura umana. Egli fu quello legame forte che 'l tenne confitto e chiavellato in croce. Tutto questo vedremo per lo vedere noi nella bontà di Dio, e in altro modo non potremmo mai gustarlo nella vita durabile, né vederlo a faccia a faccia, se prima nol gustassimo per affetto e amore e desiderio in questa vita, per lo modo che detto è. E questo affetto non potiamo mostrare in lui per utilità che noi gli potiamo fare, ché egli non à bisogno di nostro bene, ma potiamo e doviamo dimostrarlo ne' fratelli nostri, cercando la gloria e loda del nome di Dio in loro.

Adunque non più negligenzia né dormire nell'ignoranzia, ma con acceso e ardito cuore distendete e' dolci e amorosi desiderii ad andare a dare l'onore a Dio e la fadiga al prossimo, non partendovi mai da l'obiecto vostro Cristo crucifisso. Sapete che egli è quello muro dove vi conviene riposare a raguardare voi nella fonte. Corrite corrite, agiugnete e serratevi nelle piaghe di Cristo. Godete godete ed essultate, ché 'l tempo s'appressima che la primavera ci porgerà e' fiori odoriferi. E non mirate perché vedeste venire el contrario: allora siate più certificato che mai. Oimè oimè, disaventurata l'anima mia, che io non mi vorrei mai ristare infino che io mi vedesse che, per onore di Dio, mi giognesse uno coltello che mi trapassasse la gola, sì che 'l sangue mio rimanesse sparto nel corpo mistico de la santa Chiesa. Oimè oimè, che io muoio e non posso morire! Non dico più: perdonate, padre, alla mia ignoranzia, e scoppi e dissolvasi el cuore vostro a tanto caldo d'amore. Non vi scrivo dell'operazioni di Dio, che egli à adoperate e adopera, ché non ci à lingua né penna sufficiente.

Voi mi mandaste dicendo, padre, che io godesse ed essultasse, e mandastemi novelle da ciò, de le quali ò avuta singulare letizia. Bene che la prima e dolce Verità, el dì poi che fui partita da voi, volendo fare a me lo sposo etterno come fa el padre alla figliuola o lo sposo alla sposa sua, che non può sostenere alcuna amaritudine, ma truova nuovi modi per darle letizia, così pensate, padre, che fece el Verbo, somma etterna e alta deità, che mi donò tanta letizia che eziandio le membra del corpo si sentivano dissolvare e disfare come la cera nel fuoco. L'anima mia faceva tre abitazioni. Una con le dimonia, per cognoscimento di me e per le molte battaglie e molestie e minacce le quali mi facevano, che non restavano punto di bussare alla porta della mia conscienzia, e io allora mi levai con uno odio e con esso me n'andai nello 'nferno, desiderando da voi la santa confessione. Ma la divina bontà mi dié più che io non dimandavo ché, dimandando voi, mi dié sé medesimo, ed egli mi fece l'assoluzione e la remissione de' peccati miei e vostri, ripetendo le lezioni per altro tempo dette, obumbrandomi d'uno grande fuoco d'amore, con una sicurtà sì grande e purità di mente, che la lingua non è sufficiente a poterlo dire.

E per compire in me la consolazione, diemmi l'abitazione di Cristo in terra, andando come si va per la strada. Così pareva che una strada fusse da la somma altezza, Trinità etterna, dove si riceveva tanto lume e cognoscimento ne la bontà di Dio, che non si può dire, manifestando le cose future: andando e conversando tra veri gustatori e con la famegliuola di Cristo in terra, vedevo venire novelle nuove di grande essultazione e pace, udendo la voce della prima Verità, che diceva: «Figliuola mia, io non so' spregiatore de' santi e veri desiderii, anco ne so' adempitore; confortati e sia buono strumento e virile ad anunziare la verità, che sempre sarò con voi». Parevami sentire essaltazione del nostro arcivescovo; poi, quando io udii l'effetto secondo che mi scriveste, agionsemi letizia sopra letizia.

Oimè, figliuolo mio dolce, fovi manifesto l'ostinato e indurato cuore mio, acciò che ne dimandiate vendetta e giustizia per me, che none scoppia né fende el cuore a tanto caldo d'amore. Oimé, che per amirabile modo queste tre abitazioni l'una none impediva l'altra, ma l'una condiva l'altra, sì come el sale e l'oglio condisce e fa perfetta la cucina. Così la conversazione delle dimonia, per umiltà e odio, e la fame e conversazione della santa Chiesa, per amore e desiderio, mi faceva stare e gustare nella vita durabile co' veri gustatori. Non voglio dire più: pensate che io scoppio e non posso scoppiare.

Dicovi novelle del mio padre frate Thomaso, che per la grazia di Dio, con la virtù à vinto el dimonio. Egli è fatto tutto uno altro uomo che non soleva essere, in grande affetto e amore si riposa el cuore suo. Pregovi che gli scriviate alcuna volta manifestando voi medesimo. Fate festa,ch'e' miei figliuoli smarriti sono tornati alla greggia, esciti sono de le tenebre! Nullo è che mi dica cavelle più che io mi voglia fare. Io Caterina indegna vostra figliuola adimando la vostra benedizione. Racomandovi tutti e' miei figliuoli e figliuole, che voi n'abbiate buona cura, sì che el lupo infernale non me ne tolga neuno. Credo che Neri verrà costà, perché mi pare che sia bene di mandarlo a corte. Informatelo di quello che fa bisogno d'adoperare per la pace di questi membri putridi che sono ribelli alla santa Chiesa, però che non si vede più dolce remedio a pacificare l'anima e 'l corpo che questo. Di questo e dell'altre cose che bisognano, farete sollicitamente, attendendo sempre a l'onore di Dio e none a veruna altra cosa. Non di meno, perché io vi dica così, fate ciò che Dio vi fa fare, e ciò che vi pare che sia el meglio, o di mandarlo o no.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù Gesù dolce Gesù Gesù.



227

A frate Guglielmo da Lecceto, essendo essa Caterina in Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnato e annegato nel sangue de l'umile e immaculato Agnello, el quale sangue ci à tolta la morte e data la vita, tolse la tenebre e diecci la luce: però che nel sangue di Cristo crucifisso cognosciamo la luce della somma ed etterna verità di Dio, el quale ci creò alla imagine e similitudine sua (Gn 1,26) per amore e per grazia, e non per debito.

La verità fu questa: che elli ci creò per gloria e loda del nome suo, e perché godessimo e gustassimo el sommo ed etterno bene. Ma doppo la colpa di Adam questa verità era offuscata, unde quello amore ineffabile che constrinse Dio a trare noi di sé, cioè creandoci alla imagine e similitudine sua, questo medesimo amore el mosse - non che si muova, ché elli è lo Dio nostro immobile, ma l'amore suo verso di noi - a darci el Verbo dell'unigenito suo Figliuolo, ponendoli l'obedienzia che sopra lui punisse le colpe nostre, e nel sangue suo si lavasse la faccia dell'anima, la quale con tanto amore aveva creata tanto nobile; e nel sangue suo volse che ci manifestasse la sua verità. Bene el vediamo manifestamente: ché se in verità non ci avesse creati per darci vita etterna perché godessimo el suo infinito bene, non ci avarebbe dato sì-fatto ricompratore, né dato sé medesimo, tutto sé Dio e tutto uomo. Adunque bene è la verità che el sangue di Cristo ci manifesta e fa chiari d'essa verità della dolce volontà sua.

E se io considero bene, neuna virtù à in sé vita se non è fatta ed essercitata nell'anima con questo lume della verità. O verità antica e nuova, l'anima che ti possede è privata della povertà della tenebre, e à la ricchezza della luce. Non dico luce per visioni mentali, né per altre consolazioni, ma luce di verità: cioè che, cognosciuta la verità nel sangue, l'anima s'innebria, gustando Dio per affetto di carità col lume della santissima fede. Con la quale fede debbono essere condite tutte le nostre operazioni, dilettandoci di mangiare el cibo dell'anime per onore di Dio in su la mensa della santissima croce - non in su la mensa del diletto né di consolazione spirituale né temporale, ma in su la croce -, stirpando e rompendo ogni nostra volontà, portando strazii scherni obbrobrii e villanie per Cristo crucifisso, e per meglio conformarsi con la dolce volontà sua.

Allora gode l'anima, quando si vede fatta una cosa con lui per affetto d'amore, e vedesi vestita del vestimento suo; e tanto gli diletta el sostenere pene per gloria e loda del nome suo, che se possibile le fusse d'avere Dio e gustare el cibo dell'anime senza pena, più tosto la vuole con pena, per amore del suo Creatore. Unde l'à questo desiderio? dalla verità. Con che la vidde e cognobbe? col lume della fede. In su che si pose questo occhio per vederla? nel sangue di Cristo crucifisso. In che vasello el trovò? nell'anima sua, quando cognobbe sé. Questa è la via a cognoscere la verità, e neuna altra ce ne veggo; e però vi dissi che io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue de l'umile dolce e immaculato Agnello. In questo sangue godiamo, e speriamo che, per amore del sangue, Dio farà misericordia al mondo e alla dolce Sposa sua: dissolvarà la tenebre della mente degli uomini.

E già mi pare che un poco dell'aurora a venire cominci, cioè che il nostro Salvatore à illuminato questo popolo d'essarsi levato dalla perversa cechità dell'offesa di Dio che facevano, facendo celebrare per forza.

Or per la divina grazia tengono lo 'nterdetto, e cominciansi a dirizzare verso l'obedienzia del padre loro.

Onde io vi prego, per l'amore di Cristo crucifisso, che voi e frate Antonio, e 'l Maestro, e fra' Felice, e gli altri, facciate speziale orazione, strignendo la divina bontà che per amore del sangue mandi el sole della sua misericordia, acciò che tosto si faccia la pace, che veramente sarà uno dolce e soave sole. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 222