Caterina, Lettere 295

295

A frate Ramondo da Capova dell'ordine de' Predicatori singulare padre dell'anima sua, dopo uno romore di popolo che si levò in Fiorenze nel quale essa fu voluta uccidere.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi servo e sposo fedele della verità - e a quella dolce Maria -, a ciò che mai non voltiamo el capo indietro per neuna cosa del mondo, né per tribulazione che vi volesse dare; ma con una speranza ferma, col lume della santissima fede, constante e perseverante passare questo mare tempestoso con ogni verità.

E nel sostenere ci gloriamo, non cercando la gloria nostra, ma la gloria di Dio e la salute dell'anime, sì come facevano i gloriosi martiri, e' quali per la verità si disponevano alla morte e a ogni tormento, unde col sangue loro, sparto per amore del sangue, fondavano le mura della santa Chiesa.

O sangue dolce che resuscitavi e' morti! Sangue, tu davi vita; tu dissolvevi la tenebre delle menti acecate delle creature che ànno in loro ragione, e davi lume.

Sangue dolce, tu univi i discordanti; tu vestivi gli nudi.

Sangue, tu pascevi gli affamati; e daviti in beveraggio a quelli che avevano e ànno sete del sangue; e col latte della dolcezza tua notricavi i parvoli, che sono fatti piccioli per vera umilità, e innocenti per vera purità.

O sangue, e chi non si inebria in te? gli amatori proprii di loro medesimi, però che non sentono l'odore tuo.

Adunque, carissimo e dolcissimo padre, spoglianci di noi e vestianci della verità, e allora saremo sposi fedeli. Io vi dico che oggi voglio cominciare di nuovo, a ciò che i miei peccati non mi ritragghino da tanto bene quanto elli è a dare la vita per Cristo crucifisso, però che io veggo che per lo tempo passato, per lo mio difetto, io ne fui privata.

Molto avevo desiderato, d'uno desiderio nuovo cresciuto in me oltre a ogni modo usato, di sostenere senza colpa in onore di Dio, e salute delle anime, e in reformazione e bene della santa Chiesa: tanto che il cuore si distillava per amore e desiderio che io avevo di ponere la vita. Questo desiderio stava beato e doloroso: beato stava per l'unione che si faceva nella verità; e doloroso stava per una occupazione che il cuore sentiva nell'offesa di Dio, e nella moltitudine delle dimonia che obumbravano tutta la città, offuscando l'occhio dell'intelletto delle creature. Quasi pareva che Dio lassasse fare, per una giusta e divina disciplina, unde la vita mia non si poteva dissolvere altro che in pianto, temendo del grande male che pareva che fusse per venire, e che per questo la pace non fusse impedita. Ma del grande male, Dio - che non dispregia el desiderio de' servi suoi -, e quella dolce madre Maria - il cui nome era invocato con penosi dolorosi e amorosi desiderii -, providde che, nel romore e nella grande mutazione che fu, non c'ebbe quasi male, diciamo di morte d'uomini, di fuore da quelli che fece la giustizia. Sì che il desiderio che io avevo che Dio usasse la providenzia sua, e tollesse la forza alle demonia che non facessero quello male che esse erano disposte a fare, fu adempito; ma non fu adempito el desiderio mio di dare la vita per la verità e per la dolce Sposa di Cristo.

Anco mi fece lo sposo etterno una grande beffa, sì come Cristofano a bocca pienamente vi dirà. Unde io ò da piagnere, però che tanta è stata la moltitudine delle mie iniquità che io non meritai che 'l sangue mio desse vita, né alluminasse le menti acecate, né pacificasse il figliuolo col padre, né murasse una pietra col sangue mio nel corpo mistico della santa Chiesa. Anco, parve che fussero legate le mani di colui che voleva fare; e dicendo io: «Io sono essa. Tolle me e lassa stare questa famiglia», erano coltella che drittamente gli trapassavano il cuore.

O babbo mio, sentite in voi amirabile gaudio, però che mai in me non provai simili misterii con tanto gaudio. Ine era la dolcezza della verità, ine era l'allegrezza della schietta e pura conscienzia, ine era l'odore de la dolce providenzia di Dio, ine si gustava el tempo de' martiri novelli, sì come voi sapete predetti dalla verità etterna. La lingua, carissimo padre, non sarebbe sufficiente a narrare quanto è il bene che l'anima mia sente; unde tanto mi pare essere obligata al mio Creatore che, se io desse il corpo mio ad ardere, non mi pare di potere satisfare a tanta grazia quanta io e i diletti miei figliuoli e figliuole aviamo ricevuta. Tutto questo vi dico non perché pigliate amaritudine, ma perché sentiate ineffabile diletto, con suavissima allegrezza, e a ciò che io e voi cominciamo a dolerci della mia imperfezione, però che per lo mio peccato fu impedito tanto bene. Or quanto sarebbe stata beata l'anima mia, che per la dolce sposa, e per amore del sangue e per salute dell'anime, avessi dato il sangue! Or godiamo e siamo sposi fedeli. Io non voglio dire più sopra questa materia; lasso questo e l'altre cose dire a Cristofano.

Solo questo voglio dire, che voi preghiate Cristo in terra che per lo caso occorso non ritardi la pace, ma molto più spacciatamente la facci - a ciò che si possa fare poi gli altri grandi fatti che elli à a fare per l'onore di Dio e per la reformazione della santa Chiesa -, però che per questo non è mutato stato, anco per ora s'è pacificata la città assai convenevolmente. Pregatelo che facci tosto; e questo gli dimando per misericordia, però che si levaranno infinite offese di Dio, che per questo si fanno. Diteli che abbi pietà e compassione a queste anime che stanno in molta tenebre. E diteli che mi tragga di pregione spacciatamente, però che se la pace non si fa, non pare che io ci possa uscire; e io vorrei poi venire costà a gustare il sangue de' martiri, e a visitare la Santità sua, e ritrovarmi con voi a narrare gli ammirabili misterii che Dio in questo tempo à adoperati, con allegrezza di mente e con giocondità di cuore, e con acrescimento di speranza, col lume della santissima fede. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



296

A don Giovanni da le Celle, monaco di Valle Ombrosa.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi gustatore e mangiatore dell'anime, per onore di Dio, in su la mensa della santissima croce, e acompagnarvi con l'umile e immaculato Agnello. In altro luogo, carissimo padre, non veggo che si possa mangiare questo dolce cibo. Perché no? perché nol potiamo mangiare in verità senza molto sostenere; e co' denti della vera pazienzia e con la bocca del santo desiderio si conviene mangiare, e in su la croce delle molte tribulazioni - da qualunque lato elle vengono, o per mormorazioni o per scandali del mondo -, e tutte sostenere infine alla morte.

Ora è el tempo, carissimo padre, di dimostrare se noi siamo amatori di Cristo crucifisso, o no, e se noi ci dilettiamo di questo cibo. Tempo è di dare l'onore a Dio e la fadiga al prossimo - fadiga corporale con molto sostenere, e fadiga mentale, cioè con dolore e amaritudine offerire lagrime e sudori, umile e continua orazione, con ansietato desiderio, dinanzi a Dio - però che io non veggo che per altro modo si plachi l'ira di Dio verso di noi, e s'inchini la sua misericordia - e con la sua misericordia ricoverare tante pecorelle che periscono nelle mani delle dimonia - se non per questo modo detto: cioè, con grande dolore e compassione di cuore, e con orazioni grandissime. E però io v'invito, carissimo padre, da parte di Cristo crucifisso, che ora di nuovo cominciamo a perdere noi medesimi e a cercare solo l'onore di Dio nella salute de l'anime, senza alcuno timore servile; o per pene nostre, o per piacere alle creature, o per morte che ci convenisse sostenere, per neuna cosa allentare mai e' passi, ma corrire, come ebbri d'amore e di dolore della persecuzione che è fatta al sangue di Cristo crucifisso, però che, da qualunque lato noi ci volliamo, el vedemo perseguitare.

Se io mi vollo a noi membri putridi, noi el perseguitiamo con molti difetti, e con tante puzze di peccati mortali, e con l'avelenato amore proprio, el quale avelena tutto quanto el mondo. E se io mi vollo a' ministri del sangue di questo dolce e umile Agnello, la lingua anco non può narrare tanti mali e difetti. Se io mi vollo a' ministri che sono al giogo dell'obedienzia, per la maladetta radice dell'amore proprio, che non è anco morta in loro, gli veggo tanto imperfetti che neuno s'è condotto a volere dare la vita per Cristo crucifisso, ma più tosto ànno usato el timore della morte e della pena che el santo timore di Dio e la reverenzia del sangue. E se io mi vollo a' seculari che già ànno levato l'affetto dal mondo, non ànno usata tanta virtù che si sieno o partiti dal luogo, o eletta la morte, inanzi che fare quello che non si debba fare. O essi l'ànno fatto per imperfezione, o essi el fanno con consiglio; el quale consiglio se io l'avesse a dare, io consigliarei che, se essi volessero usare la perfezione, eleggessero inanzi la morte; e se essi si sentissero debili, fuggire el luogo e la cagione del peccato, giusta al nostro potere.

Questo consiglio medesimo, se neuno ve ne venisse a le mani, mi parrebbe che voi e ogni servo di Dio el dovesse dare, però che voi sapete che in neuno modo, non di pena o di morte, ma per adoperare una grande virtù, non c'è licito di commettere una picciola colpa. Sì che da qualunque lato noi ci volliamo, non troviamo altro che difetti, che io non ne dubbito che, se uno solo avesse avuta tanta perfezione che avesse data la vita per li casi che sono occorsi, e occorrono tutto dì, che el sangue avarebbe chiamato misericordia, e legate le mani de la divina giustizia, e spezzati e' cuori di Faraone, che sono indurati come pietra di diamante; e non veggo modo che si spezzino altro che col sangue.

Oimé, oimé, oimé, disaventurata l'anima mia! Veggo giacere el morto della religione cristiana, e non mi doglio né piango sopra di lui. Veggo la tenebre venuta nel lume, ché dal lume della santissima fede ricevuto nel sangue di Cristo, gli veggo essere abbaccinati, e riseccata la pupilla dell'occhio; e sì come ciechi gli vediamo cadere nella fossa, cioè nella bocca del lupo infernale, dinudati de le virtù, e morti di freddo: essendo dinudati della carità di Dio e del prossimo, e sciolti dal legame della carità, e perduta ogni reverenzia di Dio e del Sangue. Oimé, credo che le iniquità mie ne sieno cagione. Adunque vi prego, carissimo padre, che preghiate Dio per me che mi tolga tante iniquitadi, e che io non sia cagione di tanto male; o elli mi dia la morte. E pregovi che pigliate questi figliuoli morti in su la mensa della santissima croce, e ine mangiate questo cibo, bagnati nel sangue di Cristo crucifisso.

Dicovi che se noi e gli altri servi di Dio non ci argomentiamo con molte orazioni, e gli altri con correggiarsi di tanti mali, el divino giudicio verrà, e la divina giustizia trarrà fuore la verga sua, benché, se noi apriano gli occhi, n'è già venuta una delle maggiori che noi potiamo avere in questa vita, cioè d'essere privati del lume di non vedere el danno né el male dell'anima e del corpo. E chi non vede, non si può correggere, perché non odia el male, e non ama el vero bene; non correggendosi, cade di male in peggio: e così mi pare che si faccia, e a peggio siamo ora che el primo dì. Adunque c'è di bisogno di non ristarci mai, se noi siamo veri servi di Dio, con molto sostenere e con vera pazienzia; e dare la fadiga al prossimo e l'onore a Dio, con molta orazione e ansietato desiderio; e e' sospiri ci sieno cibo, e le lagrime beveraggio (Ps 41,3 Ps 79,6), in su la mensa della croce: altro modo non ci veggo. E però vi dissi che io desideravo di vedervi gustatore e mangiatore dell'anime in su la mensa della santissima croce.

Pregovi che vi sieno racomandati e' vostri e miei carissimi figliuoli: cotesti di costà, e questi di qua; notricateli e acresceteli nella grande perfezione, giusta al vostro potere. E brighiamo di corrire, morti a ogni propria volontà spirituale e temporale, cioè di non cercare le proprie consolazioni spirituali, ma solo el cibo de l'anime, dilettandoci in croce con Cristo crucifisso; e per loda e gloria del nome suo dare la vita, se bisogna. Io per me muoio e non posso morire a udire e vedere l'offesa del mio Creatore; e però vi dimando limosina che preghiate Dio per me, voi e gli altri. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



297
Allo soprascritto Nicolò Soderini, poi che 'l furore del popolo di Firenze gli robbò e arse la casa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi fondato in vera e santa pazienzia, però che senza la pazienzia non saremo piacevoli a Dio, né potremo stare in stato di grazia, però che la pazienzia è il mirollo della carità.

Poiché ella ci è tanto necessaria, bisogno c'è di trovarla; ma dove la trovaremo? Sapete dove, dolcissimo e carissimo padre? In quel medesimo luogo dove noi trovaremo l'amore. E dove s'acquista l'amore? L'amore troviamo nel sangue di Cristo crocifisso, che per amore lo sparse in sul legno della santissima croce; e dall'amore ineffabile che noi vediamo che egli ci à, traiamo e acquistiamo l'amore: però che colui che si vede amare, non può fare che non ami; amando, subito si veste della pazienzia di Cristo crocifisso: riposasi con questa gloriosa e dolce virtù nel mare tempestoso delle molte fadighe.

Questa è quella virtù che non si scorda dalla volontà di Dio; ella è forte, però che non è mai vinta, ma sempre vince, perch'ella à con seco la fortezza e la longa perseveranzia, e però riceve el frutto d'ogni sua fadiga. Ella è una reina che signoreggia la impazienzia, non si lassa vinciare a l'ira, non si pente del bene adoperato, del quale spesse volte ne riceve fadighe e tribulazioni; anco gode e ingrassa, l'anima, di vedersi sostenere senza colpa. Solo della colpa doviamo avere fadiga, e d'altro no, però che per la colpa perdiamo quello che è nostro. Che se ne perde? la grazia, che è il sangue di Cristo, che è nostro: che non ci può essere tolto né da dimonio né da creatura, se noi non vogliamo.

Ma queste altre cose, ricchezze onore stato delizie sanità e vita, e ogni altra cosa - perché non sono nostre, ma sonci state date per uso quanto piace alla divina bontà - ci possono essere tolte. E però non ci doviamo turbare, né venire a impazienzia, ma rendarle senza pena; però che bisogno è di rendare e di lassare quel che non è nostro. Unde noi vediamo che niuno è che le possa tenere a suo modo, anco glil conviene lassare: ché o esse lassano noi, o noi lassiamo loro col mezzo della morte. Poiché così è, bene è matto e stolto colui che ci pone disordinato e miserabile affetto. Ma conviensi, come uomo virile, spogliare el cuore e l'affetto nostro da ogni cosa transitoria e dall'amore proprio di noi, e abbracciarci colla santissima croce, dove noi trovaremo l'amore ineffabile, gustando el sangue di Cristo dove noi trovaremo la pazienzia de l'umile immaculato Agnello. Vedremo che con quello amore dolce ch'egli à data la vita per noi, dà e à permessa e permette ogni nostra fadiga e tribulazione e consolazione.

Parmi che la divina dolce bontà di Dio ora di nuovo v'abbi mostrato singularissimo amore, avendovi fatto tenere per la dottrina e vita de' santi, fattovi degno di sostenere per gloria e loda del nome suo, e per rendarvi el frutto nella vita durabile e non in questa vita. Ora è il tempo nostro, carissimo padre, a fare qualche bene per la salute nostra; a ponarci inanzi el sangue di Cristo per inanimarci alla battaglia, acciò che non voltiamo el capo adietro per impazienzia, né veniamo meno sotto la potente mano di Dio: ma con pazienzia portare, facendoci beffe della nostra propria sensualità, e del mondo con tutte le sue delizie, e cognosciare la poca fermezza e stabilità loro. E così ci acordaremo con Pavolo dicendo: «El mondo fa beffe di me (
1Co 4,9 He 10,33), e io di lui».

Vestirenci, e stregnaremo in noi, la dottrina di Cristo crocifisso; dilettarenci delle tribulazioni - non tanto che noi le fuggiamo - per conformarci con lui che tanta pena sostenne per noi. Provaremo in noi la virtù della pazienzia, perché non si pruova se non nel tempo delle molte tribulazioni; poi nell'ultimo, nella vita durabile, ricevaremo el frutto d'ogni nostra fadiga: ma non senza la pazienzia. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fondato in vera e santa pazienzia, acciò che, quando tornarete alla città vostra di Ierusalem, visione di pace, riceviate quel guadagno che nella via della peregrinazione avete acquistato.

Confortatevi, e con dolcezza ricevete la medicina che Dio v'à data per vita de l'anima vostra. Voglio che raguardiate, carissimo padre, le grazie che Dio v'à fatte, e la dolce providenzia sua, la quale à usata in questo ponto acciò che l'anima notrichi in sé la fonte della pietà, essendo grata e cognoscente a Dio. Altro non etc.

Permanete etc.

Confortate monna Costanza da parte di Cristo crocifisso e da mia; e diteli che raguardi a chi à più fadiga di lei, e voglia vedere quanto della gran tempesta Dio l'à fatta tornare a convenevole bonaccia. Gesù dolce, Gesù amore, etc.



298

Al detto Stefano, essendo essa a Fiorenza.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti portatore con vera e santa pazienzia, a ciò che tu facci quel vero fondamento che debbono fare e' veri servi di Dio, però che, come essi eleggono di volere servire a lui, così eleggono di volere portare infine alla morte, per gloria e loda del nome suo. In altro modo, non terrebbe per la via, né seguitarebbe la dottrina de la dolce Verità.

O figliuolo carissimo, quanto ti sarà dolce quando tu ti vedrai giunto nel tempo desiderato! La speranza ti facci portare, non con tedio né con pena di mente, ma con debita reverenzia e con fede viva, credendo in verità che, quando egli vedrà che sia l'onore suo e la salute tua, elli ti darà altro tempo. Rende el debito tuo con reverenzia al padre e alla madre, l'onore a Dio, e la fadiga a loro: ora si fabricano le virtù. E a ciò che tu meglio diventi portatore, bàgnati nel sangue di Cristo crucifisso, e ine aniega e uccide la tua volontà.

Altro non ti dico qui.

Pregoti che se tu puoi senza scandalo, e se la via è sicura, che tu vada infino (...) tu gli dica che e' denari per li quali frate Ramondo s'obligò per lui (...) però che frate Ramondo più volte me n'à scritto; e ora non potendo (...) per questa cagione, però che elli non può più sostenere chi debba avere e' denari () o no () Anibaldo gli promisse di mandarglili a mezzo marzo prossimo passato. E però mettili mano saviamente quantunque tu puoi; e digli come frate Ramondo non à neuno modo da sé, e dagli questa lettera che io gli scrivo, e inducelo quanto più puoi che almeno scriva di qua a chi fa e' suoi fatti, che restituiscano questi denari. E di queste cose non t'impacciare di parlare con persona; e se tu non vi puoi andare, dà la lettera a Cristofano che ti darà questa lettera.

Conforta tutti cotesti figliuoli da parte di Gesù Cristo crucifisso e da nostra. Di' a Petro di Giovanni che io mi maraviglio come elli non m'à risposto de' fatti dell'Abbate di Monte Oliveto, e però di' che mi risponda subbito come l'Abbate vuole fare; e se Petro non può, sì vi va' tu, e fa' quello che doveva fare elli: e se tu non ne se' informato, fattene informare a lui. Altro non dico.

Permane nella santa e dolce dilezione di Dio. Rispondemi d'ogni cosa el più tosto che tu puoi. Gesù dolce, Gesù amore.

Io Neri del quattrino che ti sai, ti prego che mi racomandi a don Jeronimo de' Frati della Rosa, ma non pugnare quanto a frate Simone.



299

A missere Ristoro di Piero Canigiani da Fiorenza.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spogliato de l'uomo vecchio e vestito del nuovo (Ep 4,22-24 Col 3,9-10). Spogliato, dico, del vecchio peccato d'Adam, e di quello disordenato affetto che elli ebbe, col quale affetto offese Dio passando la obedienzia sua, e offese sé tollendosi la vita della grazia.

Unde, subbito che ebbe offeso, trovò ribellione in sé e in tutte le creature; e così l'anima che seguita e si veste di questo uomo vecchio truova né più né meno, amando disordenatamente sé medesimo d'amore sensitivo; dal quale amore sensitivo seguita ogni altro disordenato amore.

Questo è quello miserabile amore che tolle el lume della ragione e non lassa cognoscere la verità; tolle la vita della grazia e dacci la morte; tolleci la libertà e facci servi e schiavi del peccato, che è quella cosa che non è, unde in questa vita gusta l'arra de l'inferno. Dico che non cognosce la verità, però che, se cognoscesse la verità, non porrebbe il cuore e l'affetto e tutta la sollicitudine sua nel mondo e non se ne farebbe dio, anco lo spregiarebbe con tutti e' suoi diletti, vedendo la poca fermezza e stabilità sua, e quanto è vano e caduco.

E none il vediamo noi tutto dì, carissimo fratello, che ogni cosa del mondo passa come el vento, e neuna cosa si può tenere a modo nostro? Però che neuna cosa è nostra, se non solo la divina grazia, la quale non ci può essere tolta se noi non vogliamo: però che questa grazia non si perde se non per la colpa, ed e' non è né dimonio né creatura che ci possa costrignere a commettere una picciola colpa, e però non ci può essere tolta. Ma le cose del mondo che ci sono date in presta e per uso, ci possono essere tolte; e sonci tolte quando piace alla divina bontà, che ce l'à date. Unde noi vediamo che testé l'uomo è ricco, e testé povero; ora è in grande altezza, e ora in grande bassezza; e dalla sanità veniamo alla infermità, e dalla vita alla morte. E così ogni cosa c'è mutabile; e tale ora le vuole l'uomo tenere, che elli non può, però che non sono sue: che se elle fussero sue, le terrebbe quanto vuole. Ma songli state date perché se l'usi per necessità, ma non perché le tenga con disordenato amore, amandole fuore di Dio: però che, facendo così, trapassarebbe il suo comandamento, el quale dice che noi el doviamo amare sopra ogni cosa, e il prossimo come noi medesimi (Mt 22,37-39 Mc 12,30-31 Lc 10,27). Unde, non facendolo, sì passa l'obedienzia sua; ed essofatto che elli è fatto disobediente, è privato della vita della grazia, ed èssi fatto degno della morte etternale.

Elli è fatto incomportabile a sé medesimo, unde gusta l'arra dell'inferno, però che il vermine della conscienzia sempre rode. Per la quale cosa sostiene pena intollerabile, quando si vede privato di quella cosa che elli amava tanto disordenatamente, vedendo che glil convenga lassare o nella vita, essendoli tolta, o nella morte; però che, morendo l'uomo, ogni cosa gli conviene lassare, ché seco non ne porta altro che il bene che elli à operato, o il male, ricevendo ognuno quello che à meritato: però che ogni colpa è punita, e ogni bene è remunerato. Altro non ne può portare; e però l'uomo che disordenatamente ama sostiene grandissima pena, quando perde quello che tanto amava, però che tanto si perde con dolore quanto si possiede con amore. Unde tutta la vita sua è pena, ed eziandio possedendo e stando in delizie à pena, perché teme di perdere quello che elli à.

Chi non cognosce tanta miseria e grave tormento quanto dà il mondo? Chi à acecato el lume della ragione con l'amore proprio di sé; el quale lume perde per conscendere alla serva della propria sensualità, la quale sensualità è vestita de l'uomo vecchio, cioè del peccato d'Adam. Quanto è miserabile lo stolto e ingrato uomo che si tolle tanta dignità quanta è il lume della ragione, e la vita della grazia, e la libertà, essendosi fatto servo del dimonio e del peccato, che non è alcuna cosa! La quale libertà gli fu renduta col mezzo del sangue del Figliuolo di Dio, nel quale sangue fu lavata la faccia dell'anima nostra. Oh quanto sarà degno di reprensione colui che iniquamente spende e consuma la vita sua, la quale iniquità non gli lassa cognoscere la bontà di Dio in sé, né ricevere il frutto del sangue! Che à fatto lo stolto uomo, poi che elli à distese le braccia e à abbracciate tutte le delizie del mondo per desiderio? Nulla se ne truova altro che confusione e stimolo di conscienzia nell'ultima stremità della morte. Elli è fatto come il frenetico, o come colui che sogna, che gli pare avere i grandi diletti, e poi, svegliato, non si truova alcuna cosa; e così l'uomo che si desta dal sonno di questa tenebrosa vita non si truova altro che pena e rimproverio.

Che modo c'è dunque da tenere a ciò che noi non perdiamo el bene del cielo, né in questa vita viviamo in tanta afflizione? Questo è il remedio, dolcissimo fratello: che noi ci spogliamo di questo uomo vecchio che ci dà intollerabile pena, e vestianci de l'uomo nuovo Cristo dolce Gesù (Rm 13,14 Ga 3,27); ordinando la vita nostra, vivendo come uomo e non come animale; levando la nuvila dell'amore proprio di noi; e odiare la propria nostra sensualità - che è una legge perversa che impugna contra lo spirito (Rm 7,23) -, e il mondo con tutte le sue delizie. E subbito, veramente, che con l'occhio dell'intelletto le raguardarete, vedrete quanto elle sono nocive alla salute nostra - amandole fuore di Dio -, e quanta pena intollerabile in questa vita ci danno.

Allora, quando l'anima raguarda questo, subbito concepe uno odio alla propria sensualità e a tutto quanto il mondo (non che elli non ami le cose che sono create; e l'uomo che à i suoi figliuoli, ama i figliuoli suoi e la donna e gli altri che gli sono congiunti, ma amali d'amore ordenato e non disordenato: cioè che per loro non vuole ponere l'anima sua né offenderne Dio. Sì che ama con ordine, e non senza ordine, però che Dio non ci vieta che noi non amiamo, anco ci comanda che noi amiamo el prossimo come noi medesimi, ma vietaci i nostri disordenati modi con che noi amiamo). E questo è quello che l'anima odia, perché vede che elli è vietato da Dio, ed è danno suo. Allora, poi che à conceputo l'odio verso quella cosa che die odiare, perché l'anima non può vivere senza amore subitamente ama sé, e il prossimo suo, e le cose che sono create, d'amore ordinato e con affetto di virtù, ponendosi dinanzi all'occhio dell'intelletto - col lume della santissima fede - per obiecto Cristo crucifisso, e in lui vede e cognosce quello che elli die amare.

E perché nel sangue di Cristo vede l'amore ineffabile che Dio gli à - perché più manifestamente il sangue ci à manifestato l'amore e la carità di Dio, che neuna altra cosa -, distendesi subbito ad amarlo con tutto il cuore, con tutto l'affetto e con tutte le forze sue (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27), perché condizione è dell'amore d'amare quando si sente amare, e d'amare tutte quelle cose che ama colui che elli ama. E però, a mano a mano che l'anima à cognosciuto l'amore del suo Creatore verso di lei, l'ama; e amandolo ama tutte quelle cose che Dio ama. E perché vede che sommamente Dio ama la sua creatura che à in sé ragione (che in tanto l'amò, che ci donò il Verbo del suo Figliuolo, a ciò che desse la vita per noi, e lavasseci la lebbra della colpa del peccato mortale nel sangue suo), però l'uomo distende e participa l'affetto e la carità sua col prossimo; e al prossimo vuole rendere quello che a Dio rendere non può, cioè di fargli utilità, però che elli è lo Dio nostro, che non à bisogno di noi. E però quella utilità che a lui non può fare, la fa al prossimo, che è quello mezzo che Dio ci à posto, nel quale mezzo manifestiamo l'amore che aviamo a lui.

Per questo amore l'uomo non concepe odio verso el prossimo suo per neuna ingiuria che da lui gli fusse fatta, ma con pazienzia porta e sopporta e' difetti suoi, dolendosi più dell'offesa di Dio e del danno dell'anima sua, che della ingiuria o del danno proprio. Questo è amore ordenato, però che non esce dell'ordine della carità. E vestesi de l'uomo nuovo Cristo dolce Gesù, seguitando le vestigie e la dottrina sua, rendendo bene a quelli che gli fanno male (Lc 6,27). Odia quello che Cristo benedetto odia, e ama quello che elli ama.

Che odiò Cristo benedetto? Odiò el vizio e il peccato, onore delizie e stati del mondo; e tanto gli dispiacque el peccato che, non essendo in lui veleno di peccato, della nostra colpa volle fare vendetta, e punilla sopra il corpo suo in tanto tormento e pena che la lingua nostra non sarebbe sufficiente a narrarlo.

L'onore e le delizie elli spregiò - unde, quando volse essere fatto re, elli sparve di mezzo di loro (Jn 6,15) -, ma abracciò la povertà, le ingiurie, gli scherni e le villanie, sostenendo fame e sete e molte persecuzioni, infine alla obbrobriosa morte della santissima croce. A questo non fuggì, ma féssi rincontra a' Giuderi quando el volsero prendere, dicendo: «Cui dimandate voi?». E rispondendo ellino: «Gesù Nazzareno», «E se voi cercate me - disse il dolce e amoroso Verbo -, io so' esso. Pigliatemi e lassate stare costoro» (Jn 18,78), dicendo de' discepoli suoi.

Così ci dié dottrina, la verità dolce, della carità del prossimo - quanto noi el doviamo amare -, e della pazienzia: come doviamo portare ogni cosa che Dio permette a noi, realmente, per gloria e loda del nome suo, non schifando fadiga né labore, né voltando mai el capo adietro a mirare l'arato (Lc 9,62) per impazienzia, né per odio del prossimo suo, ma con allegrezza cordiale farse lo' a rincontra, e strignarle per affetto d'amore, per Cristo crucifisso.

E veramente noi doviamo portare, e materia n'aviamo: sì perché la fadiga è piccola, e sì perché ella è di grande frutto, e sì per amore di colui che le dà. Piccola è, e sapete quanto? quanto una punta d'aco, però che tanto è la fadiga, quanto el tempo; e 'l tempo vedete bene che elli è tanto piccolo che l'uomo nol può imaginare. El tempo che è passato, voi non l'avete; el tempo che è a venire, non sete sicuro d'averlo: solo dunque questo punto del tempo presente avete, e più no. Dunque la fadiga passata non c'è, né l'avenire, però che non siamo sicuri d'averla, ma tanta fadiga aviamo quanto è il tempo, e più no: bene è dunque vero che ella è piccola. Quanto è grande il frutto? Dimandatene il dolce banditore di Paulo, che dice che non sono condigne le passioni di questa vita a quella futura gloria.

Se noi vediamo colui che le dà, è il dolce Dio nostro sommamente buono; e perché elli è sommamente buono non può volere altro che bene. E perché ce le dà? Per nostra santificazione, a ciò che la margarita della virtù della pazienzia sia provata in noi; la quale virtù ci manifesta se in verità amiamo el Creatore nostro, e se aviamo in noi la vita della grazia, o no. Però che come la impazienzia è uno segno che noi amiamo più noi e le cose create che il Creatore, così la pazienzia è segno dimostrativo che ci fa manifesto che noi amiamo Dio sopra ogni cosa, e 'l prossimo come noi medesimi.

Sì che vedete che seguita Cristo odiando el vizio e amando la virtù; e strignela a sé, e vestesene in tanto che elegge prima la morte che volersene spogliare, tanto gli è dilettevole e piacevole la virtù. Vestita che l'anima è di questo uomo nuovo, col lume de la ragione, gusta vita etterna; e neuna cosa el può turbare. Se elli à fadighe, elli gode della tribulazione: elli ne 'ngrassa; e non à timore affriggitivo - cioè timore servile che tema di perdere la sustanzia del mondo - però che con l'amore ordinato le possiede, e come cose prestate e non come cose sue, perché già vidde e cognobbe che elle erano cose transitorie, e non le poteva tenere a modo suo perché non erano sue; e però si dispose a tenerle per suo uso e con amore ordenato.

E tutta la vita sua à ordenata in Dio, in qualunque stato si sia. Se elli è allo stato del matrimonio, elli el conserva in grande onestà, avendo in debita reverenzia i dì che sono comandati dalla santa Chiesa. E se elli à figliuoli, elli fa come creatura ragionevole, che notrica l'anima e 'l corpo: e così debba fare, allevandoli ne' comandamenti dolci di Dio. E se elli è in altro stato che abbi a sovenire al prossimo suo, elli si fa padre de' povari, e volentieri s'affadiga per loro, sovenendoli in ciò che può.

Del corpo suo, per diletto e delizie di vestimenti, non se ne vuole fare dio, ma con modo ordinato e piacevole a Dio tiene lo stato suo, senza leggerezza o vanità di cuore. E non attende a spendere solamente il suo in adornamento di casa - però che vede che, adornata che ella fusse, gli potrebbe essere guasta, e tolto l'adornamento -, ma ingegnasi solo d'adornare la casa dell'anima sua di vere e reali virtù; el quale adornamento neuno è che glil possa tòllere, se elli non vuole. E però questi cotali di neuna cosa possono avere pena, perché ànno posto l'amore e l'affetto in quella cosa che non lo' può essere tolta. E corrono questa vita piena d'affanno senza pena affriggitiva, e senza stimolo di conscienzia; e vanno leggieri per la via di Cristo crucifisso, seguitando la dottrina sua, vestiti del vestimento leggiero di questo uomo nuovo; spogliati della gravezza de l'uomo vecchio che agrava e occupa l'uomo in colpa di peccato mortale, e in molte pene e affanni in questa tenebrosa vita (elli non intende sé medesimo - non tanto che sia inteso da altri -, perché l'amore proprio gli à tolto el lume della ragione, unde non cognosce la verità. E però à pena: però che se non la cognosce questa verità, non la può amare; non amandola, non se ne veste, e però è sempre inquieto). E però dissi io - a ciò che fuste liberato da questa pena, e riceveste la vita della grazia, e rispondeste a Dio che vi chiama e v'ama ineffabilemente - che io desideravo di vedervi spogliato de l'uomo vecchio, e vestito de l'uomo nuovo Cristo dolce Gesù: e così vi prego che facciate.

Del caso occorso godete, però che è la vita dell'anima vostra, e crescete in voi el fuoco del santo desiderio.

E se altro vi dicesse la propria sensualità, o le lusinghe delli uomini del mondo, non lo' credete, ma fermo e stabile, come uomo virile, seguitate el santo proponimento; e pensate che gli uomini del mondo non potranno rendere ragione, dinanzi al sommo giudice, per voi, nell'ultima 'stremità della morte, ma solo la buona e santa conscienzia. Or non dormite più, ma in tutto ordinate la vita vostra. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 295