Caterina, Lettere 345

345

A la contessa Giovanna di Meleto e di Terra Nuova, in Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro e figliuola in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi spregiare il mondo - con tutte le sue delizie - col cuore e con l'affetto vostro, acciò che in verità cerchiate la ricchezza di Cristo crocifisso.

E veramente che ragione e cagione n'abiamo di spregiarle, considerando la poca fermezza e stabilità loro, e quanto elle sonno nocive alla nostra salute. Non vorrei, però, che credeste che io dicessi che propriamente la sustanzia e' beni temporali fussero nocivi a noi, e la morte nostra. Non è così, ma è il disordinato affetto e amore con che la creatura gli possiede: che s'elle fussero state nocive, Dio non l'avrebbe create né date a noi, però che colui ch'è sommamente buono non può volere né fare neuna cosa altro che buona. Sì ch'egli le fece buone, e per nostro bene. Chi le fa rie? Colui che l'usa male, possedendole senza timore di Dio. Ma tenendole col suo santo timore, aprezzandole quanto elle vagliono, e non più, non facendosi Dio delle creature, e ricchezze, e stati, onori del mondo - ma amarle, tenerle e dispensarle per Dio -, allora si possono tenere con buona coscienzia.

è vero che maggiore perfezione e più piacevole a Dio è, e con più frutto e meno fadiga, a lassarle mentalmente e attualmente. Dobiamo dunque, se attualmente le vogliamo tenere, trarne - e voglio che ne traiate - il cuore e l'affetto, però che le ricchezze del mondo sonno una grande povertà; e mai non si possono possedere se non da colui che pienamente le spregia.

Ma la vera ricchezza è quella che non ci può essere tolta né impedita dal dimonio, né da creature: sonno le vere e reali virtù. Questa è una ricchezza durabile che ci tolle ogni povertà; ella ci pasce di grazia, ella ci cuopre la nostra nudità, ella rende ragione nell'ultima stremità della morte dinanzi al sommo giudice; ella paga el debito al quale siamo obligati, cioè di rendare a Dio el debito dell'amore, il quale amore se gli rende e dimostra col mezzo de la virtù; ella ci acompagna in questa vita della peregrinazione, ch'è una via ne la quale abiamo molti nemici che ci si parano dinanzi per darci la morte. Ma tra gli altri, tre sonno e' principali: cioè il mondo, el dimonio e la fragile carne, che ognuno si sforza di gittare saette avelenate. El mondo, co' falsi diletti e vani piaceri suoi; la fragile carne e sensualità nostra, col disordinato amore e vana e leggiera dilettazione; el dimonio, con le molte cogitazioni, e con farci tòllare le cose nostre, o farci fare altra ingiuria al prossimo nostro, per privarci della carità fraterna e farci venire odio e dispiacere verso del prossimo.

Di tutti questi nemici ci libarano le virtù: la virtù ci dà lume, e con lume ci conduce a la porta di vita etterna, la quale porta è diserrata col sangue di Cristo. Dentro v'entra la carità, ch'è madre di tutte l'altre virtù; l'altre rimangono di fuore, ed ella se ne mena el frutto di tutte: però che l'anima virtuosa, quando si parte di questa vita, entra a vita etterna con la virtù della carità; l'altre virtù in quella vita durabile non sonno necessarie, e però non vi si portano. Ine non bisogna la virtù della fede, però che l'anima è certificata di quello che credeva; non vi bisogna speranza, però ch'ella à quello che sperava d'avere. E così di tutte l'altre virtù le quali in questa vita ci conviene avere - e senza esse saremo private di Dio -; e ine bisogna solo la carità, cioè l'amore: però che a vita etterna non è altro che amore, col quale gustiamo Dio con l'essenzia sua.

L'amore suo ci à fatti degni di vederlo a faccia a faccia, nel quale vedere sta la nostra beatitudine; l'amore ci fa ine participare il bene l'uno de l'altro, e 'l bene di tutta la natura angelica, e di tutti quelli che sonno a vita etterna. Per amore Dio ci fa godere di sé medesimo; anco, in lui tutti godiamo, pieni e saziati nel mare pacifico dell'essenzia sua; e, saziati, ànno fame, ma di longa è la pena da la fame, e il fastidio da la sazietà. Egli è tanto l'amore e la carità fraterna tra loro, che 'l piccolo non à invidia al grande, ma tutti sonno contenti e si riposano tutti l'uno nel bene de l'altro: sì che solo la carità ine è necessaria; e senza essa neuno vi può andare.

Questo bene non considera la miserabile creatura, né il male che ne gli seguita, ché, per compire una propria volontà in male, fa contra la dolce volontà di Dio: per acquistare el vizio lassa la virtù, per la morte perde la vita, per la cosa finita lassa lo 'nfinito, per li beni de la terra lassa i beni del cielo, per le creature lassa il suo Creatore; per servire al dimonio e per seguirlo per la via della bugia, lassa di servire a Cristo crocifisso e seguire la dottrina sua, il quale è via verità e vita (Jn 14,6), e chi va per lui va per la luce, e non va per la tenebre; per impire el cuore di queste cose transitorie del mondo si lassa perire di fame, non pigliando el cibo angelico (el quale cibo Dio per la sua misericordia à dato agl'uomini: bene il vediamo, ch'egli è ministrato in su la mensa de l'altare, tutto Dio e tutto uomo); per vestirsi delle tristizie del mondo, si spoglia del vestimento nuziale (Mt 22,11), e perisce di freddo; e per tòllare l'altrui, tolle sé medesimo. Ma questi cotali, come ciechi e matti, non raguardano a tanti loro mali. Tutto l'adiviene per lo disordinato affetto che ànno posto nel mondo, possedendo e amando le cose temporali fuore della dolce volontà di Dio.

Non voglio che questo adivenga a voi, ma voglio, e detto ò ch'io desidero che 'l cuore e l'affetto vostro in tutto ne sia spogliato, cioè che voi amiate e teniate le creature e le cose create tutte per Dio, e senza lui non cavelle: lui amate e lui servite con tutto 'l cuore e con tutte le forze vostre, senza neuno mezzo, con vera e profondissima umilità, amando el prossimo vostro come voi medesima ().

Ma voi mi direte: «Come posso avere questa umilità, che mi sento piena d'amore proprio e inchinevole ad ogni atto di superbia?». Io vi rispondo che se voi vorrete, mediante la divina grazia, tosto la tagliarete da voi, la quale grazia è data a chiunque la vuole. Il modo è questo: che col lume raguardiamo l'umilità di Dio e il fuoco della sua carità, la quale umilità si vede tanto profonda che ogni intelletto umano ci viene meno. Or fu mai simile umilità? Certo no. E' maggiore cosa, che vedere Dio umiliato a l'uomo? Vedere la somma altezza discesa a tanta bassezza? Essersi vestito de la nostra umanità - conversando Dio visibilmente tra gli uomini, portando le nostre infermità, povertà e miserie sopra sé medesimo -, e umiliatosi a l'obrobriosa morte de la croce? La grandezza s'è fatta piccola, a confusione degl'infiati superbi, che sempre cercano d'essere maggiori; ma essi non se n'aveggono che cagiono in somma bassezza e miseria. Sì che in lui trovarete la vena de l'umilità, la quale à versata dentro ne l'anima vostra e d'ogni creatura ragionevole.

Se noi raguardiamo la carità sua, e dove si vide mai, che colui che è stato offeso, pagasse volontariamente la vita per colui che offende? Solo ne l'umile immaculato Agnello lo troviamo, che per noi malvagi debitori à pagato quel debito il quale mai non contrasse. Noi fummo e siamo e' ladri, ed egli à voluto essere chiavellato in sul legno della santissima croce; egli à presa l'amara medicina per dare a noi la sanità, e fattoci bagno del sangue suo; come inamorato, à uperto el corpo, che da ogni parte versa sangue con tanta larghezza e fuoco d'amore, e con tanta pazienzia, che 'l grido suo non fu udito per neuna mormorazione. A questa larghezza si vergognino e' cupidi avari, che vedranno e' povarelli perire di fame, e non lo' vollaranno pure el capo. E fanno ancora peggio: che non tanto che essi lo' diano, ma tolgono l'altrui. Alla carità detta si confondano gli amatori di loro medesimi, i quali per lo proprio amore non curano d'offendare Dio e la verità. A la sua pazienzia venga terrore agl'impazienti, che non vogliono sostenere una piccola cosa, ma rodonsi con ira e odio del prossimo loro. Sì che trovato abiamo per che modo veniamo a virtù, cioè per lo conoscimento della bontà di Dio, e per lo lume col quale vediamo la sua umilità e carità. In lui l'acquistaremo, cercandole dentro ne l'anima nostra; altrove, né in altro modo, non le trovaremo mai.

Questo è fondamento, principio, mezzo e fine d'ogni virtù e nostra perfezione. Da questo verrete a spregiamento del mondo e di voi medesima; questo ordinarà la vita vostra in ogni stato, in ogni tempo e luogo che voi sarete. E non solamente voi, ma tutta la vostra famiglia vi farà drizzare e allevare nel piacere suo, con santi e buoni costumi, sì come debba fare la madre e' suoi figliuoli, e la donna e' suoi servi - con la santa confessione e comunione a luogo e tempo ordenato dalla santa Chiesa, a la quale ci conviene obedire, e a papa Urbano VI, infino a la morte -: or così v'ordinerà in tutte le vostre operazioni.

Adunque vi prego dolcemente che con grande solecitudine raguardiate l'umile e amoroso Agnello, acciò che insieme con lui godiamo in questa vita per grazia, e ne l'ultimo con la madre della carità entriamo alla gloria della vita durabile. Altro non vi dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.




346

Al santo padre papa Urbano VI, presentandoli cinque mele aranci confette coperte d'oro.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere tolta da voi ogni amaritudine e pena affligitiva che affligesse l'anima vostra, e tolta la cagione d'ogni vostra pena; e sola rimanga in voi quella dolce pena che ingrassa e fortifica l'anima, perché procede dal fuoco della divina carità: cioè di dolerci e pigliare amaritudine solo delle colpe nostre; e del disonore di Dio che si fa nel corpo universale della religione cristiana e nel corpo mistico della santa Chiesa; e della dannazione de l'anime degl'infedeli, le quali sono ricomperate del sangue di Cristo come noi - del quale sangue, santissimo padre, voi tenete le chiavi -, e veggonsi queste anime nelle mani delle dimonia.

Questa è quella pena che notrica l'anima ne l'onore di Dio, e pascela, in su la mensa della santissima croce, del cibo de l'anime: ella la fortifica, perché à tolta da sé la debilezza de l'amore proprio, el quale dà amaritudine che affligge e disecca l'anima, perch'è privata della carità ed è incomportabile a sé medesima.

Ma quelli che à in sé questa dolce amaritudine caccia l'amaro, perché non cerca sé per sé, ma sé per Idio, e la creatura per Dio, e non per propria utilità e diletto; e cerca Dio per la infinita bontà sua - che è degno d'essere amato da noi -, e perché di debito il doviamo amare. E unde è venuta l'anima a questa dolce perfezione? col lume, perché dinanzi all'occhio dell'intelletto si puose per obietto la verità di Cristo crocifisso, gustando per affetto d'amore la dottrina sua - e però se ne vestì -, seguitandolo in cercare solo l'onore di Dio e salute dell'anime, sì come fece essa Verità, che per onore del Padre e salute nostra corse all'obrobriosa morte della santissima croce, con vera umilità e pazienzia, in tanto che non fu udito el grido suo (Is 42,2) per mormorazione; e col molto sostenere rendé la vita al figliuolo morto de l'umana generazione.

Pare, santissimo padre, che questa Verità etterna voglia fare di voi un altro lui: e sì perché sete vicario suo, Cristo in terra, e sì ché ne l'amaritudine e nel sostenere vuole che riformiate la dolce Sposa sua e vostra, che tanto tempo è stata tutta impalidita - non che in sé ella possa ricevare alcuna lesione né essere privata del fuoco della divina carità -, ma in coloro che si pascevano e pascono al petto suo, che per li difetti loro l'ànno mostrata pallida e inferma, succhiatole el sangue da dosso con l'amore proprio di loro.

Ora è venuto il tempo che egli vuole che per voi, suo strumento, sostenendo le molte pene e persecuzioni, ella sia tutta rinovata. Di questa pena e tribulazione ella n'escirà come fanciulla purissima, tagliatone ogni vecchio, e rinovellata ne l'uomo nuovo. Dilettianci adunque in questa dolce amaritudine, doppo la quale seguita conforto di molta dolcezza.

Siatemi uno arbore d'amore, innestato ne l'arbore della vita, Cristo dolce Gesù. Di questo arbore nasca il fiore di conciepare ne l'affetto vostro le virtù e il frutto, parturendolo nella fame de l'onore di Dio e salute delle vostre pecorelle, el quale frutto nel suo principio pare che sia amaro, pigliandolo con la bocca del santo desiderio. Ma come l'anima à diliberato in sé di volere sostenere infino alla morte per Cristo crocifisso e per amore della virtù, così diventa dolce, sì come alcuna volta io ò veduto che la mela arancia che in sé pare amara e forte: trattone quello che v'è dentro e mettendola in molle, l'acqua ne trae l'amaro; poi si riempie di cose confortative, e di fuore si cuopre d'oro. E dove n'è ito quello amaro, che nel suo principio con fadiga se la poneva l'uomo alla bocca? Ne l'acqua e nel fuoco.

Così, santissimo padre, l'anima che concepe amore a la virtù, nel primo entrare le pare amaro, perché è anco imperfetta; ma vuolsi ponare el rimedio del sangue di Cristo crocifisso, el quale sangue dà una acqua di grazia che ne traie ogni amaritudine della propria sensualità: amaritudine, dico, affligitiva, come detto è. E perché sangue non è senza fuoco - però che fu sparto con fuoco d'amore -, puossi dire, e così è la verità, che 'l fuoco e l'acqua ne traga l'amaro - votato sé di quello che prima v'era, cioè de l'amore proprio di sé -; poi l'à riempiuto d'uno conforto di fortezza con vera perseveranzia, e con una pazienzia intrisa con mèle di profonda umilità, serrato nel cognoscimento di sé, perché nel tempo de l'amaritudine l'anima meglio cognosce sé e la bontà del suo Creatore. Pieno e richiuso questo frutto, apparisce l'oro di fuore, che tiene fasciato ciò che v'è dentro: questo è l'oro della purità, col lustro dell'affocata carità, el quale esce di fuore manifestandosi in utilità del prossimo suo con vera pazienzia, portando constantemente con mansuetudine cordiale; gustando solo quella dolce amaritudine, che doviamo avere, di dolerci de l'offesa di Dio e danno de l'anime.

Or così dolcemente, santissimo padre, produciaremo frutto senza la perversa amaritudine; e da questo avaremo che si levarà via l'amaritudine che oggi aviamo ne' cuori nostri e nelle menti, del caso occorso per gli malvagi e iniqui uomini amatori di loro medesimi, e' quali danno a voi e a' vostri figliuoli pena per l'offesa che se ne fa a Dio. Spero nella bontà dolce del Creatore nostro, che ci levarà la cagione di questa pena dando lume, e confondendo quelli che ne sono cagione. E la Santità vostra e noi matureremo i frutti delle virtù nella memoria del sangue di Cristo crocifisso, con vera umilità, come detto è, cognoscendo noi non essere, ma l'essere e ogni grazia posta sopra l'essere avere da lui. Così compirete in voi la volontà di Dio e il desiderio dell'anima mia.

Confortatevi, dolcissimo padre, con vera umilità, senza alcuno timore, ché per Cristo crocifisso ogni cosa potrete, in cui è posta, e si fermi continovamente, la vostra speranza. Non dico più. Perdonate a me la mia grande presunzione. Umilemente v'adimando la vostra benedizione.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.



347

Al conte Alberigo da Barbiano capitano generale della Compagna di san Giorgio, e agli altri caporali, a dì VI di maggio Mccclxxviiij.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere voi e tutta la vostra compagnia - fedeli alla santa madre Ecclesia e alla santità di papa Urbano VI sommo e vero pontefice - combattare tutti realmente e fedelmente per la verità, acciò che riceviate el frutto delle vostre fadighe.

Qual è quella cosa che ci dona questo frutto e che ce 'l tolle? Dicovelo: el lume della santissima fede, col quale lume vediamo la degnità e bontà di colui a cui noi serviamo - e fa conosciare el frutto che ne seguita; conoscendola l'ama, e così con questo lume, unde è venuto el conoscimento, cresce e notrica l'amore verso l'operazione ch'egli à presa a fare, e in colui cui egli à preso a servire.

Quale è quello Signore per cui sete intrati nel campo della battaglia? è Cristo crocifisso, che è somma ed etterna bontà: la dignità sua neuno è che la possa stimare; solo esso medesimo la stima. Egli è uno signore tanto fedele che, volendo che l'uomo fusse atto e disposto a ricevare el frutto d'ogni sua fadiga, colà dov'egli el voglia ricevare, corse, come inamorato, all'obrobriosa morte della santissima croce, e con tanta pena e tormento ci donò l'abondanzia del sangue suo.

O fratello e figliuoli carissimi, voi sete cavalieri entrati nel campo per dare la vita per amore della vita, dare el sangue per amore del sangue di Cristo crocifisso. Ora è il tempo de' martiri novelli: voi sete e' primi che avete dato el sangue. Quanto è il frutto che voi ne ricevete? E' vita etterna, ch'è uno frutto infinito. E che sonno tutte queste fadighe a rispetto di quello sommo bene? Sonno non cavelle. Così dice santo Pavolo: «Non sonno condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria che ci è aparechiata ne l'altra» (Rm 8,18): sì che grande è il frutto. In questo non ci si può altro che guadagnare, o viva o muoia: se morite, guadagnate vita etterna, sete posti in luogo sicuro e stabile; e se campate, avete fatto sacrificio di voi a Dio volontariamente, e la substanzia potete tenere con buona conscienzia. Se col lume della santissima fede raguardarete questa degnità, sarete tutti confortati e fedeli a Cristo crocifisso e alla santa Chiesa, però che, servendo alla Chiesa e al vicario di Cristo, servite a lui: e però vi dissi che 'l signore a cui voi servite è Cristo crocifisso.

Volete voi essere ben forti, che ognuno varrà per molti? Ponetevi dinanzi all'occhio de lo 'ntelletto vostro el sangue del dolce e buono Gesù, umile Agnello, e la fede vostra; la quale vedete contaminata per l'iniqui uomini amatori di loro medesimi, e' quali sonno membri del dimonio, negando quella verità che essi medesimi ànno data a noi, dicendo che papa Urbano VI non sia vero papa. Ed essi non dicono la verità, ma mentono sopra el capo loro come menzonieri, ché egli è papa in verità, in cui sonno commesse le chiavi del sangue. Ben potete confortarvi, per combattare per la verità, la quale verità è la fede nostra. Non dubitate di cavelle, ché la verità è quella cosa che ci libera.

E acciò che meglio chiamassimo l'aiutorio divino in questa santa e buona operazione, vuole la verità etterna che intriate in questo essercizio con una buona e santa intenzione, studiandovi di fare el principio e 'l fondamento vostro per onore di Dio, difensione della fede nostra, della santa Chiesa e del vicario di Cristo, con buona conscienzia, purificandola voi e gli altri, quanto v'è possibile, per la santa confessione.

Però che voi sapete che le colpe ànno a chiamare l'ira di Dio sopra di noi, e impedire le sante e buone operazioni. Fate che, come capo loro, voi siate el primo, con uno santo e vero timore di Dio; altrimenti, la verga della giustizia sarebbe presso a voi. E se tutta la comune gente non potesse avere il tempo di farla attualmente, faccinla mentalmente col santo desiderio. A questo modo sarete fedele, e mostrarete in verità per opera che voi abbiate veduto, col lume della santissima fede, cui voi sete posti a servire, e conosciuto la degnità e bontà sua, e il frutto che vi seguita dipo' la fadiga.

Anco dicevo: chi ci tolle che noi non siamo fedeli, ma siamo infedeli a Dio e alle creature? L'amore proprio di noi medesimi, el quale è uno veleno che à avelenato tutto 'l mondo, ed è una nuvila che obumbra l'occhio de lo 'ntelletto nostro che non lassa conosciare né discernare la verità. E però non vede altro che piacimento proprio, col quale si diletta di piacere più a le creature che al Creatore, ponendosi dinanzi a sé solo e' beni transitorii di questa tenebrosa vita, cercando stati delizie e ricchezze del mondo, le quali tutte passano come el vento.

Questo disordenato affetto sopra 'l quale ànno posto l'essercizio è atto a fare l'uomo poco leale o fedele, se non in quanto se ne vegga trare la propria utilità. E anco portano massimo pericolo che l'uomo non perisca egli, e faccia perire altrui, per volere attendare, in cotesti casi, solamente a potere acquistare della robba; ché lo 'ntendimento non può atendare a due cose insieme con l'essercizio corporale: a robbare e a combattare. Sapete che per questo molti ne sonno rimasi perdenti; e però la Verità vuole che, a ciò che questo caso non divenga a voi, voi el diciate, e facciatene avisati gli altri che sonno sotto la vostra governazione. Anco vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che voi atendiate d'avere savio, schietto e maturo consiglio apresso voi, fedele e leale. Per caporagli scegliete uomini virili e fedeli, di migliore conscienzia che potete: che ne' buoni capi rade volte può stare altro che buone membra. Sempre state attento che tradimento non fusse o dentro o di fuore.

E perché malagevolmente ci potiamo guardare, voglio che voi e gli altri sempre, la prima cosa che voi facciate da mane e da sera, sì offerite a quella dolce madre Maria, pregandola ch'ella sia avocata e difenditrice vostra, e - per amore di quello dolce e amoroso Verbo ch'ella portò nel ventre suo - ch'ella non sostenga che veruno inganno vi sia fatto, ma che 'l manifesti, acciò che sotto inganno non potiate perire. So' certa che, facendo el santo principio, come detto è, e questa dolce offerta, che ella acettarà graziosamente la vostra petizione, come madre di grazia e di misericordia ch'ella è inverso di noi peccatori.

Ma se noi disordinatamente ponessimo l'affetto nostro, come detto è, in quello che ci tolle la fedeltà, privaremoci d'ogni bene, e faremoci degni d'ogni male: perdaremo el frutto di vita etterna delle nostre fadighe. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi fedeli alla santa madre Ecclesia, e a Cristo in terra, papa Urbano VI.

Confortatevi, confortatevi in Cristo dolce Gesù, tenendo dinanzi da voi el sangue sparto con tanto fuoco d'amore. State nel campo col gonfalone della santissima croce; pensate che 'l sangue di questi gloriosi martiri sempre grida nel cospetto di Dio, chiedendo sopra voi l'adiutorio. Pensate che questa terra è il giardino di Cristo benedetto, ed è el principio della nostra fede: e però ciascuno per sé medesimo ci debba essere inanimato. Ora si scontano e' difetti nostri, se noi vorremo schiettamente servire a Dio e a la santa Chiesa. Altro non vi dico.

Permanete etc.

Siate grato, voi e gli altri, e conoscenti del beneficio che ora riceveste, a Dio e a quello glorioso cavaliere santo Giorgio, el cui nome tenete, el quale vi difenda, e sia vostra guardia infino a la morte.

Perdonatemi se troppo v'ò gravati di parole: l'amore della santa Chiesa e salute vostra me ne scusi, e la coscienzia mia, ch'è stata costretta da la dolce volontà di Dio. Faremo come Moisè, che 'l popolo combatteva e Moisè orava; e mentre ch' egli orava, el popolo vinceva (Ex 17,11): così faremo noi, pure che la nostra orazione li sia grata e piacevole.

Piacciavi di lègiare questa lettara, almeno voi e gli altri caporali. Gesù dolce, Gesù amore.



348

Alla Reina Giovanna di Napoli, a dì vi di magio.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi compassionevole a voi medesima ne l'anima e nel corpo, però che, se noi non saremo piatose a l'anima nostra, la misericordia e pietà altrui poco ci giovarebbe.

A grande crudelità si reca l'anima quando essa medesima pone el coltello in mano al suo nemico, col quale el possa uccidare, però ch'e' nostri nemici non ànno arme con che ci possano offendare; vorrebbono bene, ma non possono, perché solo la volontà è quella che offende, e la volontà non è dimonio né creatura che la possa muovare né costrignare a una minima colpa più ch'ella si voglia. Adunque la volontà perversa che consente a le malizie de' nemici nostri è uno coltello che uccide l'anima, quando con la mano del libero arbitrio el dà a' suoi nemici. Chi diremo che sia più crudele: o i nimici, o la propria persona stessa che riceve la percossa? Siamo più crudeli noi, perché consentiamo a la nostra morte.

Noi abiamo tre principali nemici, cioè el dimonio, el quale è debile se io nol fo forte consentendo alle malizie sue - egli perdé la forza sua nella virtù del sangue dell'umile immaculato Agnello -; el mondo con tutti li stati e dilizie sue, el quale è nostro nemico, anco è debile - se non in quanto noi el fortifichiamo in nostra offesa, possedendolo con disordinato amore -: nella mansuetudine e umilità, povertà, obrobii scherni e villanie di Cristo crocifisso si è anichilato questo tiranno del mondo. El terzo nemico nostro, della propria fragilità, è fatto debile, e fortificata la ragione, per l'unione che Dio à fatta nell'umanità nostra, vestendo el Verbo della nostra umanità, e per la morte di questo dolce e amoroso Verbo, Cristo crocifisso. Sì che noi siamo forti, e i nemici nostri debili. Adunque bene è vero che noi siamo più crudeli a noi che i nostri nemici, perché senza noi non ci possono uccidare né offendare: perché Dio non ce gli à dati perché noi siamo venti, ma acciò che noi venciamo. Allora si prova la costanzia e la fortezza nostra.

Ma non vego che noi potiamo schifare questa crudelità e acquistare la pietà senza el lume della santissima fede, cioè aprendo l'occhio de lo 'ntelletto a riguardare quanto ella è spiacevole e nociva all'anima e al corpo; e piacevole a Dio e utile per la salute nostra, la pietà.

O carissima madre - «madre» dico in quanto io vi vegga essere figliuola fedele alla santa Chiesa -, egli mi pare che neuna pietà abiate verso di voi. Oimé, oimé, che, perché io v'amo, io mi doglio del male stato vostro dell'anima e del corpo; vorrei volontieri ponarci la vita per rimediare a questa crudeltà. Più volte v'ò scritto per compassione, mostrandovi che quello che v'è mostrato per verità, è bugia, e la verga della divina giustizia, la quale sta aparecchiata, se non vi levate di tanto difetto. Umana cosa è 'l peccare, ma la perseveranzia nel peccato è cosa di dimonia.

Oimé, non è chi vi dica la verità, né voi cercate per li servi di Dio che ve la dicano acciò che none stiate in istato di dannazione. Oh quanto sarebbe beata l'anima mia se io venissi costà, e ponessi la vita per rendarvi el bene del cielo e il bene della terra: tòlarvi el coltello della crudeltà, col quale avete morta voi medesima, e aitarvi a dare quello della pietà, che uccide el vizio; cioè, che col timore santo di Dio, e con l'amore santo della verità, vi vestiste e legaste nella dolce volontà sua! Doimé, non aspettate quello tempo che non sete sicura d'avere; non vogliate che gli occhi miei abino a spandare fiumi di lagrime sopra la tapinella anima vostra, né sopra el corpo, la quale anima io riputo mia.

Se io riguardo l'anima io vego che ella è morta, perché è separata dal capo suo: perseguita non papa Urbano VI, ma la verità e la fede nostra, la quale, madre e figliuola mia, aspettavo - sì come mi scriveste - che per voi, mediante la divina grazia, fusse dilatata tra l'infedeli, e dichiarata e sovenuta tra noi, quando vedessimo aparire la macula, difendendola da quelli che ne sonno stati o fussero contaminatori. Ora vego apparire in voi tutto 'l contrario, per lo cattivo consiglio che v'è stato dato per li peccati miei. Voi, come spietata verso la salute vostra, l'avete ricevuto; e veggo che corpo di creatura non sarà che possa ristituire el danno vostro, ma a voi medesima converrà rendare questa ragione dinanzi al sommo giudice.

Questa non è offesa per ignoranza, che voi non la conosciate, però che la verità v'è manifesta; ma non sapete tornare adietro quello che avete cominciato - perché 'l coltello della propria e perversa volontà tolle el sapere e il volere -, riputandovi a vergogna quello che v'è grandissimo onore: perché 'l perseverare nella colpa e in sì-fatto male è massimo vitoperio, e vergogna farsi trare a segno agli occhi delle creature; ma el levarsene è grandissimo onore, e con l'onore e odore della virtù si leva la vergogna, e spegnesi la puzza del vizio.

E se io riguardo a lo stato vostro sopra questi beni temporali e transitori che passano come 'l vento, voi medesima ve ne sete privata di ragione. Non avete a ricevare altro che l'ultima sentenzia d'essarne privata di fatto, e publicata eretica. Scoppiami el cuore e non mi può scoppiare, del timore ch'io ò che 'l dimonio non offuschi tanto l'occhio de lo 'ntelletto vostro, che voi aspettiate el danno, e tanta vergogna e confusione che me la recarei a magiore che 'l danno che voi riceveste. E non la potete nascondare con dire: «Questo mi sarebbe fatto ingiustamente, e la cosa che ingiustamente si riceve non gitta vergogna».

Non si può dire, però che giustamente el farebbe - sì per lo difetto commesso e sì perch'egli el può fare, come sommo e vero pontefice ch'egli è, eletto della Verità e in verità: che s'egli non fusse, non areste offeso - sicché sarebbe giustizia; ma per amore, e come benigno padre che aspetta che 'l figliuolo si corregga, non l'à fatto. Ma temo che, costretto dalla giustizia e dalla longa vostra perseveranzia nel male, nol faccia. E questo non dico denigrato, che io non sappi quello ch'io mi dico.

E se voi mi diceste: «Sopra questo io non curo, ché io so' forte e potente, e ò degli altri signori che mi soverranno; e so ch'egli è debile»; io vi rispondo che invano s'afatica quelli che con forza vuole guardare la città, e con grande solecitudine, se Dio non la guarda. E potrete voi dire che voi abiate Dio per voi? Non el potiamo dire, però che l'avete posto contra voi: perché ponendovi contra la verità, vi sete posta contra lui; e la verità è quella che libera colui che tiene verità, e neuno è che la possa confondare. Adunque avete cagione di temere, e non confidarvi nella fortezza e potenzia vostra, se l'aveste anco magiore che voi non l'avete. Ed esso à cagione di confortare la sua debilezza in Cristo dolce Gesù, la cui vece esso tiene, confidandosi nella fortezza e aiutorio suo, che di tale lato li mandarà l'aiuto che non lo sapiamo immaginare. E voi sapete che, se Dio è per noi, neuno sarà contra noi.

Adunque temiamo Dio, e tremiamo sotto la verga della giustizia sua; corregiamoci, e non si vada più oltre. Siate piatosa a voi medesima, e chiamarete la pietà di Dio appo voi; abiate compassione a tante anime quante periscono per voi, delle quali vi converrà rendare ragione nell'ultima estremità della morte dinanzi a Dio. Anco ci è rimedio e tempo a potere ritornare: ed esso vi riceverà con grande benignità. So' certa che se a l'anima vostra, ed eziandio al corpo, sarete piatosa e non crudele, voi el farete, e arete pietà de' sudditi vostri; in altro modo, no. E però vi dissi ch'io desiderava di vedervi piatosa, e non crudele a l'anima vostra, e così vi prego per l'amore di Cristo crocifisso che almeno voi teniate, e vogliate che si tenga, questa verità, la quale fu anunziata a voi e agli altri signori del mondo.

E se voi diceste: «Ella m'è pure in dubio», statevi di mezzo, tanto ch'ella vi sia dichiarata, e non fate quello che non dovete. Vogliate la dichiarazione e 'l consiglio di quelli che vedete che temeno Dio, e non da' membri del dimonio, che male consigliarebono voi di quello che non tengono per loro medesimi.

Temete, temete Dio e ponetevelo dinanzi agli occhi vostri; pensate che Dio vi vede, e l'occhio suo è sopra di voi, e la giustizia vuole che ogni colpa sia punita, e ogni bene rimunerato. Siate, siate pietosa a voi medesima. Altro non vi dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 345