Catechismo Tridentino 1110

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ARTICOLO UNDICESIMO La risurrezione della carne.

Significato dell'articolo.

128. Che questo articolo abbia molto valore per rafforzare la verità della nostra fede è ben chiaro dal fatto che è non solo proposto ai fedeli dalle sacre Scritture perché lo credano, ma viene anche confermato con molti argomenti. Questo raramente accade per gli altri articoli del Simbolo; si può quindi comprendere come su di esso poggi la speranza della nostra salvezza, come su solidis simo fondamento. Infatti, argomenta l'Apostolo, " se non vi è la resurrezione dei morti, neppure Cristo è risorto; e se Cristo non è risorto, è inutile la nostra predicazione, come inutile è la vostra fede " (1Co 15,14). Nello spiegarlo dunque il Parroco non porrà minore impegno di quanto si affaticarono molti empi nel distruggerlo. Sarà dimostrato fra poco come dalla sua conoscenza ridondino a vantaggio dei fedeli grandi e segnalate utilità.

Perché si dice: la resurrezione della carne.

129. Si dovrà osservare innanzi tutto, che la resurrezione degli uomini in questo articolo è detta resurrezione della carne. ciò non è stato fatto senza ragione; poiché gli apostoli vollero insegnare cosi una verità, che è necessario ammettere: l'immortalità dell'anima. E, perché nessuno credesse che l'anima muore col corpo, e fossero poi entrambi richiamati alla vita, mentre da moltissimi luoghi delle sacre Scritture l'anima risulta certamente immortale, nell'articolo si fa menzione solamente della resurrezione della carne. E sebbene spesso, anche nelle sacre Scritture, la parola carne significhi tutto l'uomo, - come per esempio in Isaia: ogni carne è come fieno (Is 40,6), e in san Giovanni: il Verbo si fece carne (Jn 1,14) - tuttavia in questo luogo essa significa il corpo, per farci comprendere che delle due parti, anima e corpo, di cui è composto l'uomo, la seconda sola, cioè il corpo, si corrompe e ritorna nella polvere della terra, dalla quale fu tratto; mentre l'anima rimane incorrotta. Ma poiché nessuno è richiamato alla vita, se prima non sia morto, dell'anima non si può dire propriamente che risorge.

Si fa menzione della carne anche per confutare l'eresia propagata da Imeneo e Fileto (2Tm 2,17), mentre ancora viveva l'Apostolo. Costoro asserivano che la resurrezione, menzionata nelle sacre Scritture, non è la corporea, ma la spirituale, per la quale si risorge dalla morte del peccato alla vita della grazia. Con le parole dell'articolo evidentemente si esclude quell'errore e si conferma la resurrezione del corpo.

La resurrezione dello carne si deve illustrare con le Scritture.

130. Sarà cura del Parroco illustrare questa verità con esempi tolti dal vecchio e nuovo Testamento, e da tutta la storia ecclesiastica. Vi furono infatti dei richiamati a vita da Elia (1R 17,22) e da Eliseo (2R 4,34) nell'antico Testamento; oltre quelli che risuscito da morte nostro signore Gesù Cristo (Mt 9,25), alcuni furono risuscitati dai santi apostoli (Ac 9,40) e da altri moltissimi. Ora queste resurrezioni confermano l'insegnamento dell'articolo. Come infatti crediamo che molti furono risuscitati da morte, cosi deve credersi che tutti saremo richiamati alla vita. Anzi il miglior frutto che dobbiamo ricavare da questi miracoli è appunto di credere con la fede più grande questo articolo.

Sono molti i testi di cui i Parroci, che posseggano una conoscenza pur mediocre delle sacre Scritture potranno servirsi. I più notevoli sono nell'antico Testamento; e si possono leggere: in Giobbe dove dice che egli, nella sua carne, vedrà il suo Dio (Jb 19,25); in Daniele, dove parla di quelli che dormono nella polvere della terra, per svegliarsi, altri alla vita eterna, altri all'eterno obbrobrio (Da 12,2). Nel nuovo Testamento poi abbiamo quel che san Matteo riferisce circa la disputa che ebbe il Signore con i Sadducei (Mt 22,23); e quello che narrano gli evangelisti intorno all'ultimo giudizio (Mt 25,31). Si aggiunga anche quel che espone con tanta acutezza l'Apostolo, scrivendo ai fedeli di Corinto e di Tessalonica (1Co 15,12 1Th 4,13).

Utilità degli esempi.

131. Ma sebbene questa verità sia certissima per fede, gioverà molto mostrare, con esempi e con ragionamenti, che quanto la fede propone a credere, non è contrario alla natura e alla ragione umana. Difatti l'Apostolo cosi risponde a chi domandi come possano risorgere i morti: O sciocco, quel che tu stesso semini, non nasce se prima non muore. E seminandolo, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, per esempio di grano o di altro genere. Dio poi gli da il corpo come vuole. E poco dopo dice: Si semina nella corruzione, risorgerà nella incorruzione (1Co 15,36 1Co 15,38 1Co 15,42). A questa similitudine san Gregorio mostra che se ne possono aggiungere molte altre. La luce, egli scrisse, ogni giorno sparisce dai nostri occhi come se morisse, e ritorna di nuovo come se risorgesse; gli alberi perdono il verde, e di nuovo lo riacquistano, come se risorgessero; i semi muoiono imputridendo, e risorgono di nuovo germinando (Gregor. Moral. 14,55).

Si deve dimostrare con argomenti.

132. Anche le ragioni che vengono addotte dagli scrittori ecclesiastici possono essere adatte a provare questa verità. In primo luogo, essendo l'anima immortale, e avendo una propensione naturale, come parte dell'uomo, al corpo umano, .si dovrà ritenere che non sia naturale per essa restare sempre divisa dal corpo. E poiché ciò che è contrario alla natura ed è violento non può durare a lungo, sembra ragionevole che si ricongiunga al corpo; ne segue che vi sarà la resurrezione dei corpi. Di questo argomento il nostro Salvatore si servi quando, disputando con i Sadducei, dall'immortalità delle anime dedusse la resurrezione dei corpi (Mt 22,32).

Secodo, Dio che è sommamente giusto, ha apparecchiato supplizi per i cattivi e premi per i buoni. Moltissimi però muoiono senza aver scontato la pena, e più ancora senza aver ricevuto il premio delle loro virtù. Dunque le anime dovranno ricongiungersi necessariamente ai loro corpi, perché questi, di cui gli uomini si servono per peccare, ricevano il castigo o il premio delle loro azioni. Questo argomento è stato trattato con molta cura da san Giovanni Crisostomo in un'omelia al popolo di Antiochia (Om. I,9).

Ecco perché l'Apostolo, parlando della resurrezione, dice: Se per questa vita sola speriamo in Cristo, siamo i più miserabili degli uomini (1Co 15,19). Tali parole nessuno vorrà riferirle alla miseria dell'anima, che è immortale, e se anche i corpi non risorgessero, pure nella vita futura potrebbe godere la beatitudine; ma bisogna intenderle come riferite a tutto l'uomo. Se infatti al corpo non fossero dati i premi condegni per le sue pene, ne seguirebbe che coloro i quali, come gli apostoli, hanno sopportato nella vita tante disgrazie e travagli, sarebbero i più miseri dei mortali. La stessa cosa, ma molto più chiaramente, è insegnata da san Paolo con queste parole ai Tessalonicesi: Noi stessi ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio, della vostra pazienza e fede in mezzo a tutte le persecuzioni e tribolazioni, da voi sopportate: indizio del giusto giudizio di Dio, perché siate ritenuti degni del regno di Dio, per cui anche patite. E giusto che Dio renda tribolazioni a coloro che vi affliggono; e a voi tribolati dia riposo con noi, all'apparire che farà dal cielo il Signore Gesù coi potenti suoi angeli, in un incendio di fiamme, per fare vendetta di coloro, che non han riconosciuto Dio, e non ubbidiscono al vangelo del Signore nostro Gesù Cristo (2Th 1,4-8).

Inoltre gli uomini, fintantoché l'anima è separata dal corpo, non possono raggiungere la felicità piena, ricolma di ogni bene. Infatti, come ogni parte separata dal tutto è imperfetta, cosi anche l'anima che non sia unita al corpo. perciò ne segue che è necessaria la resurrezione dei corpi perché nulla manchi alla completa felicità dell'anima.

Con queste ragioni e con altre simili il Parroco potrà istruire i fedeli su questo articolo.

Tutti gli uomini risorgeranno.

133. Sarà inoltre necessario spiegare, secondo la dottrina dell'Apostolo, quali debbano essere i risuscitati alla vita; poiché, scrivendo ai Corinti, egli dice: Come in Adamo tutti muoiono, cosi in Cristo tutti saranno vivificati (1Co 15,22). Prescindendo dunque da qualsiasi differenza di buoni e cattivi, tutti, pur non avendo la stessa sorte, risorgeranno da morte: quanti fecero il bene, in resurrezione di vita; quanti fecero il male, in resurrezione di condanna (Jn 5,29).

Quando diciamo tutti, vogliamo indicare tanto quelli che al momento del giudizio saranno già morti, quanto quelli che moriranno. San Girolamo infatti scrive che la Chiesa ammette l'opinione che tutti dovranno morire, nessuno eccettuato; e che questa è più vicina al vero (Ep CXIX); la stessa opinione è anche quella di sant'Agostino (La città di Dio, 20,20). Né ad essa contradice quel che l'Apostolo scrive ai Tessalonicesi: Quelli che morirono in Cristo, risorgeranno i primi; in seguito, noi che viviamo, che siamo rimasti, verremo rapiti nell'aria, insieme con quelli, incontro a Cristo (1Th 4,16). San-t'Ambrogio infatti spiegando questo passo, dice: Nello stesso rapimento verrà prima la morte come in un sopore, di modo che l'anima uscita ritorna in un attimo. Nell'essere sollevati moriranno, affinché giungendo presso il Signore, ricevano la vita per la presenza del Signore; perché col Signore non possono esserci morti (Sulla Ep I aiTh 4,16). Tale opinione viene approvata dall'autorità di sant'Agostino nella Città di Dio (loc. cit.).

Risorgerà il corpo di ciascuno.

134. Ma poiché è molto importante la certezza che sia lo stesso e identico corpo di ciascuno di noi, quantunque corrotto e ridotto in polvere, a risuscitare alla vita, il Parroco deve accuratamente spiegarlo. Tale è il pensiero dell'Apostolo, quando dice: Quest'essere corruttibile deve rivestirsi di incorruzione (1Co 15,53); volendo manifestamente indicare col termine questo, il proprio corpo. Anche Giobbe profetizzo di esso in modo chiarissimo, dicendo: E nella carne mia vedro il mio Dio; lo vedro io stesso, i miei occhi lo mireranno, e non un altro (XIX,26). ciò risulta dalla stessa definizione della resurrezione; infatti essa, secondo il Damasceno, è un richiamo a quello stato dal quale sei caduto (Della Fede ortod. 4,27).

Finalmente, se consideriamo la ragione già sopra indicata per cui avverrà la resurrezione, non ci può essere alcun dubbio in proposito. Dicemmo infatti che i corpi saranno resuscitati, affinché abbia ciascuno quel che è dovuto al suo corpo, secondo quel che opero, sia di bene, sia di male (2Co 5,10). L'uomo deve dunque necessariamente risorgere nello stesso corpo, con cui servi a Dio o al demonio, per ricevere col medesimo corpo le corone del trionfo e i premi, o per soffrire le pene e i supplizi.

Il corpo risorgerà integro.

135. E non risorgerà solo il corpo; ma anche tutto ciò che è parte della sua vera natura, del decoro e ornamento dell'uomo, deve ritornare a lui. Abbiamo uno splendido argomento di sant'Agostino: Non vi sarà allora nei corpi ombra di difetto; se alcuni furono troppo obesi e grassi per la pinguedine, non prenderanno tutta la massa del corpo; ma quel che supererà la misura normale, sarà considerato superfluo. Al contrario, tutto quello che nel corpo sarà consumato da malattia o vecchiaia, sarà ridonato da Cristo per virtù divina, come a coloro che furono gracili per magrezza Cristo riparerà non solo il corpo, ma tutto quello che fu tolto dalla miseria di questa vita (La Città di Dio 22,19). Cosi in un altro luogo: Non riprenderà l'uomo i capelli che aveva, ma quelli che gli stavano bene, secondo il passo: " Tutti i capelli del vostro capo sono numerati "; essi devono ripararsi secondo la divina sapienza (ivi). Innanzi tutto ci saranno ridonate tutte le membra che fanno parte della completa natura umana. Chi dalla nascita sia stato privo degli occhi, o li abbia perduti per qualche malattia; gli zoppi, gli storpi e i minorati risorgeranno col corpo intero e perfetto; altrimenti non sarebbe soddisfatto il desiderio dell'anima, la quale tende all'unione col corpo. Tale desiderio tutti crediamo con certezza che debba essere appagato.

Inoltre è certo che la resurrezione, appunto come la creazione, va annoverata fra le migliori opere di Dio. Come dunque tutte le cose dal principio della creazione uscirono perfette dalle mani di Dio, cosi dovrà avvenire anche nella resurrezione. Né ciò si deve dire solo dei martiri, dei quali sant'Agostino afferma: Non saranno senza quelle membra: poiché la mutilazione non potrebbe non essere un difetto del corpo; altrimenti quelli che furono decapitati, dovrebbero risorgere senza la testa. Però rimarranno nelle loro membra le cicatrici della spada, più risplendenti dell'oro e di qualsiasi pietra preziosa, come le cicatrici delle piaghe di Cristo (ivi). ciò si afferma con verità anche dei cattivi, anche se le loro membra siano state amputate per una colpa personale; poiché l'acutezza del dolore sarà in ragione delle membra che essi avranno. perciò una tale restituzione delle membra non ridonderà a loro felicità, ma a loro disgrazia e miseria, poiché i meriti non vengono attribuiti alle membra, bensi alla persona alla quale sono unite. A quelli che fecero penitenza saranno restituite per premio; a quelli invece che aborrirono la penitenza, per supplizio.

Se i Parroci considereranno attentamente tutto questo, non mancheranno loro i fatti e i pensieri, per muovere ed infiammare all'amore della religione gli animi dei fedeli, affinché considerando i fastidi e le afflizioni di quaggiù, dirigano i loro ardenti desideri verso la gloria beata della resurrezione, preparata per i giusti e per i pii.

Immortalità dei corpi risorti.

136. Rimane ora da far comprendere ai fedeli che, sebbene per quanto ne costituisce la sostanza debba resuscitare l'identico corpo che ha subito la morte, il suo stato però sarà molto differente. A parte infatti le altre circostanze in questo sta la differenza dei corpi resuscitati da quel che erano prima: mentre allora erano soggetti alle leggi della morte, dopo richiamati a vita, a prescindere dalle differenze tra buoni e cattivi, tutti saranno immortali. Questa meravigliosa reintegrazione della natura fu meritata dalla grande vittoria che Cristo riporto sulla morte; come ci insegnano le sacre Scritture. Sta scritto infatti: Egli precipiterà la morte in sempiterno (Is 25,8); e altrove: Saro la tua morte, o morte (Os 13,14). Spiegando tali parole, l'Apostolo dice: La morte, l'ultima nemica, sarà distrutta (1Co 15,26). E in san Giovanni leggiamo: Da ora in poi non vi sarà più la morte (Ap 21,4).

Era molto conveniente che il peccato di Adamo fosse del tutto vinto per merito di Cristo nostro Signore, il quale distrusse l'impero della morte. E questo è anche conforme alla divina giustizia, perché i buoni potessero godere per sempre una vita beata; i cattivi invece, dovendo scontare pene eterne, pur cercando la morte, non la potessero trovare; desiderassero di morire, e la morte ostinatamente fuggisse loro (Ap 9,6). Questa immortalità sarà comune ai buoni e ai cattivi.

Doti dei corpi risorti.

137. I corpi redivivi dei santi avranno fulgide e me ravigliose facoltà, per le quali diverranno molto più nobili di quello che furono. Le più notevoli sono quelle quattro, che sono dette doti, e sono rilevate dai Padri, sulle orme dell'Apostolo.

La prima è l'impassibilità: dono e dote, la quale farà si che essi non possano soffrire niente di molesto, o essere colpiti da dolori o incomodi. Infatti non potranno ad essi nuocere né la violenza del freddo, né l'ardore del fuoco, né l'impeto delle acque. " Viene seminato ", dice l'Apostolo, " nella corruzione; risorgerà nella incorruzione " (1Co 15,42). Gli Scolastici la chiamarono impassibilità invece che incorruzione, per esprimere quel che è proprio del corpo glorioso; poiché i beati non hanno l'impassibilità in comune coi dannati, perché i corpi di questi, sebbene incorruttibili, possono partire caldo, freddo e ogni dolore.

Viene poi lo splendore, per il quale i corpi dei santi rifulgeranno come il sole. Lo attesta, in san Matteo, il nostro Salvatore: I giusti risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre (13,43). E perché nessuno dubitasse di questa promessa, la confermo con l'esempio della sua trasfigurazione (Mt 17,2). Questa dote l'Apostolo la chiama ora gloria, ora splendore. Riformerà, dice, il corpo nostro umile, rassomigliandolo al corpo del suo splendore ((Ph 3,21); e di nuovo: E seminato nella miseria, sorgerà nella gloria (1Co 15,43). Di questa gloria vide una immagine il popolo d'Israele nel deserto, quando la faccia di Mosè, di ritorno dal colloquio avuto con Dio sul Sinai, risplendeva talmente, che i figli d'Israele non vi potevano fissare gli occhi (Ex 34,29). Questo splendore è un fulgore speciale che viene al corpo dalla somma felicità dell'anima, ed è come un riflesso della beatitudine di cui gode l'anima: come la stessa anima diventa beata, in quanto su di essa si posa una parte della felicità divina. Non si creda però che tutti si abbelliscano di tal privilegio in ugual misura, come del primo; saranno, si, tutti egualmente impassibili i corpi dei santi, ma non avranno un uguale splendore; poiché, come assicura l'Apostolo, altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna, e altro lo splendore delle stelle. Una stella infatti differisce dall'altra per lo splendore; cosi nella resurrezione dei morti (1Co 15,41).

A questa dote va congiunta quella che chiamano agilità, per cui il corpo sarà liberato dal peso, che ora l'affatica, e con grandissima facilità potrà muoversi verso quella parte dove l'anima vorrà, talmente che nulla potrà esservi di più celere di quel movimento, come insegnano apertamente sant'Agostino nella Città di Dio (XIII,18-20) e san Girolamo nel commento ad Isaia (cap. XL). perciò l'Apostolo dice: Viene seminato nella debolezza, risorgerà nella forza (1Co 15,43).

A queste doti va aggiunta la sottilità o sottigliezza, la quale pone il corpo completamente sotto l'impero dell'anima cosi da servirla con immediatezza, come mostrano le parole dell'Apostolo: Si semina un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale (1Co 15,44). Questi sono quasi tutti i punti principali da illustrare nella spiegazione dell'articolo.

Frutti salutari dell'articolo.

138. Ma perché i fedeli sappiano quale frutto possono ricavare dalla conoscenza di si numerosi e grandi misteri, si dovrà prima inculcare che dobbiamo ringraziare Dio, il quale ha nascosto queste cose ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli. Quanti uomini infatti, illustri per prudenza o per singolare dottrina, non furono completamente all'oscuro di questa verità cosi certa? L'averla dunque Dio manifestata a noi, che non potevamo aspirare a comprenderla, ci deve fare eternamente lodare la sua benignità e clemenza. Col meditare quest'articolo, coglieremo anche il grande frutto che, nella morte di quanti per natura o benevolenza furono a noi congiunti, potremo facilmente consolare sia gli altri che noi stessi; consolazione di cui si servi l'Apostolo scrivendo ai Tessalonicesi intorno ai defunti (1Th 4,13). Ma anche in tutti gli altri affanni e disgrazie, il pensiero della futura resurrezione ci darà gran sollievo nel dolore. Ricordiamo il santo Gb il quale sollevava l'animo afflitto e addolorato con questa sola speranza, che avrebbe finalmente potuto contemplare nella resurrezione Iddio suo signore ().

Oltre a cio, questo pensiero sarà molto efficace nel persuadere i fedeli a mettere ogni diligenza nel menare una vita retta, integra, pura da ogni macchia di peccato. Se infatti penseranno che le immense ricchezze, successive alla resurrezione, sono preparate per loro, facilmente s'innamoreranno della virtù e della pietà. D'altro canto nessuna cosa potrà avere maggiore efficacia a sedare le passioni dell'animo e a ritrarre gli uomini dal peccato, che ammonirli spesso di quali mali e dolori saranno colpiti i cattivi, che nell'ultimo giorno andranno alla resurrezione del giudizio (Jn 5,29).





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ARTICOLO DODICESIMO La vita eterna.

Significato dell'articolo.

139. I santi apostoli, nostre guide, vollero chiudere il Simbolo, compendio della nostra fede, con l'articolo riguardante la vita ETERNA, sia perché dopo la resurrezione della carne i fedeli non devono aspettare che il premio della vita eterna; sia perché la felicità perfetta e piena di ogni bene deve essere sempre dinanzi ai nostri occhi, e apprendessimo che la mente e i pensieri nostri devono essere tutti fissi in essa. perciò i parroci, istruendo i fedeli, non lasceranno mai di accenderne gli animi col proporre loro i premi della vita eterna. Cosi tutto quello che essi avranno insegnato, anche se sommamente grave a sopportare per il nome cristiano, lo crederanno leggero e giocondo, e diverranno più pronti e alacri nel-l'obbedire a Dio.

La vita eterna è una beatitudine perpetua.

140. Sotto queste parole, che qui servono a spiegare la nostra beatitudine, sono nascosti molti misteri. E perciò necessario spiegarli in modo che siano a tutti noti, secondo la capacità di ciascuno. Si deve dunque far notare ai fedeli che la vita eterna significa non tanto la perpetuità della vita, alla quale partecipano anche i demoni e gli uomini cattivi, quanto la perpetuità della beatitudine, capace di soddisfare appieno il desiderio dei beati. Cosi la intendeva quel dottore della Legge, che nel Vangelo chiese al Signore nostro salvatore che cosa dovesse fare per possedere la vita eterna (Mt 19,16 Mc 10,17 Lc 18,18), ossia: Che cosa devo fare per poter giungere a quel luogo dove è dato godere della felicità perfetta? In questo senso le sacre Scritture intendono tali parole, come si puo osservare in molti luoghi (Mt 25,46 Jn 3,15 Rm 6,23).

Natura della beatitudine eterna.

141. E stato dato appunto questo appellativo a tale beatitudine, perché non la si credesse consistere in cose materiali e caduche, le quali non possono essere eterne. Infatti questa stessa parola beatitudine non poteva bene esprimere quel che si voleva indicare, sopratutto perché vi sono stati certuni, che, gonfi di fatua sapienza, han posto il sommo bene in quelle cose che si percepiscono coi sensi. Mentre queste periscono e invecchiano, la beatitudine non si può circoscrivere con limiti di tempo; che anzi le cose terrene sono del tutto aliene dalla vera felicità, dalla quale si allontana moltissimo chi è trasportato dall'amore e dal desiderio del mondo. Sta scritto infatti: Non amate il mondo, né quel che è nel mondo. Se qualcuno ama il mondo, in lui non è la carità del Padre. E poco appresso:Il mondo passa e insieme con esso la sua concupiscenza (1Jn 2,15-17). Questo dunque avranno cura i Parroci di fissare nella mente dei fedeli, per persuaderli a disprezzare le cose del mondo e a non credere che si possa ottenere felicità quaggiù, dove non siamo cittadini, ma ospiti (1P 2,11).

Tuttavia anche in questa vita potremo ben dirci beati per la virtù della speranza, purché, rigettando l'empietà e i desideri mondani, viviamo con sobrietà, con giustizia e con pietà, aspettando che si realizzi la speranza beata e la venuta della gloria del grande Dio e di Gesù Cristo nostro salvatore (Tt 2,13).

Moltissimi pero, i quali credevano di esser sapienti, non avendo compreso queste cose, credettero doversi cercare la felicità in questa vita; divennero stolti e caddero nelle miserie più gravi (Rm 1,22).

Ma dal significato di questa espressione vita eterna impariamo anche che questa felicità, una volta raggiunta, non può più perdersi, come erroneamente alcuni supposero. Infatti la felicità risulta dall'unione di tutti i beni, senza mescolanza di alcun male: la quale felicità per appagare il desiderio dell'uomo, deve consistere necessariamente nella vita eterna. Non potrebbe infatti il beato non volere che gli sia dato di godere per sempre di quei beni che ha ottenuto. Se dunque tale possesso non fosse stabile e certo, sarebbe tormentato dall'angoscia del timore.

Ineffabilità della beatitudine eterna.

142. Queste stesse parole pero, vita beata, mostrano a sufficienza che la grandezza della felicità dei beati nella patria celeste da essi solamente e da nessun altro può esser compresa. Infatti se noi, per significare una cosa, facciamo uso di un nome comune anche a molte altre, è chiaro che per esprimere esattamente quella cosa manca la parola propria. Poiché dunque la felicità viene espressa con voci tali che convengono egualmente ai beati e a tutti coloro che vivono una vita eterna, si può allora capire che essa è una realtà troppo alta e preclara, per poterne esprimere perfettamente la sostanza con una parola propria. Infatti nelle sacre Scritture si danno a questa beatitudine celeste moltissimi altri nomi, come per esempio: regno di Dio, di Cristo, dei cieli, - Paradiso, - Città santa, - nuova Gerusalemme, - casa del Padre (Mc 9,46 Ac 14,21 1Co 6,9 Ep 5,5 2P 1,11 Mt 7,21 Lc 23,43 Ap 3,12 Ap 21,2-10).

Tuttavia è chiaro che nessuno di essi vale ad esprimerne la grandezza.

La fede nella beatitudine promuove la pietà.

143. I Parroci non si lascino qui sfuggire l'occasione di richiamare i fedeli, con la visuale dei premi tanto grandi racchiusi nel nome di vita eterna, alla pietà, alla giustizia, e a tutti i doveri della religione cristiana. E noto infatti che si suole valutare la vita tra i beni più grandi cui si tende per natura. A ragione quindi la suprema felicità è stata significata mediante l'idea di vita eterna. Che se nulla è più amato, nulla può esservi di più caro o di più giocondo di questa piccola nostra vita piena di affanni, la quale va soggetta a si numerose e varie miserie, che si dovrebbe con più verità chiamare morte; con quale ardore dell'animo, con quale impegno non dovremo desiderare la vita eterna, che, distrutti tutti i mali, contiene la ragione perfetta ed assoluta di tutti i beni? Poiché, come tramandarono i santi Padri, la felicità della vita eterna si deve definire come liberazione da tutti i mali ed acquisto di tutti i beni.

Circa i mali vi sono chiarissime testimonianze nelle sacre Scritture. E detto infatti nell'Apocalisse: Non avranno più né fame, né sete; né cadrà sopra essi il caldo del sole, né altro ardore (Ap 7,16). E di nuovo: Asciugherà Iddio dai loro occhi ogni lacrima, e non vi sarà più morte, né lutto, né lamento, né dolore, perché le vecchie cose sparirono (Ap 21,4). Invece si avrà per i beati un'immensa gloria, con infinite specie di stabile letizia e di godimento. Ma la grandezza di questa gloria non può essere compresa dall'animo nostro, né può penetrare nel nostro spirito; sicché dovremo necessariamente penetrare in essa, cioè nel gaudio del Signore, affinché da esso circonfusi, sia soddisfatto perfettamente il desiderio del nostro cuore.

Duplice beatitudine: essenziale e accessoria.

144. Quantunque, come scrive sant'Agostino, sembri che possano essere enumerati più facilmente i mali di cui mancheremo, che i beni e i piaceri che godremo (Discorsi, CXXVII,3), pure si dovrà spiegare brevemente e con chiarezza quanto varrà ad infiammare i fedeli alla brama di conseguire quell'immensa felicità. Ma prima si dovrà notare la distinzione, insegnata dai più autorevoli scrittori di argomenti soprannaturali. Essi infatti stabiliscono che vi sono due generi di beni, di cui uno spetta alla natura della beatitudine, l'altro ne discende. Per ragioni pedagogiche, chiamarono i primi beni essenziali, gli altri, accessori.

Beatitudine essenziale.

145. La beatitudine sostanziale, che con un termine comune può dirsi essenziale, consiste nel vedere Dio e godere della sua bellezza; perché qui è la fonte e il principio di ogni bontà. Questa è la vita eterna, dice Cristo signore, che conoscano te, solo vero Dio, e Gesù Cristo, che tu hai mandato (Jn 17,3). San Giovanni sembra voglia spiegare codesta frase quando dice: Carissimi, ora siamo figli di Dio; ma ancora non è manifesto quel che saremo; sappiamo però che quando lo sarà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo quale è (1Jn 3,2). Il che vuoi dire che la beatitudine consiste in queste due cose: che vedremo Dio come è nella sua natura e nella sua sostanza; e che diverremo come dèi. Infatti chi gode di Lui, sebbene ritenga la propria sostanza, riveste tuttavia una forma mirabile e quasi divina, in modo che sembri più un dio che un uomo.

Come poi questo possa avvenire si spiega dal fatto che ciascuna cosa è conosciuta, o per la sua essenza, o per una sua immagine che la rappresenti. Ma poiché non vi è nessuna cosa simile a Dio, per la cui sola somiglianzà si possa giungere alla perfetta conoscenza di lui, ne segue che nessuno può vedere la natura ed essenza di lui, se la stessa essenza divina non si congiunge a noi. Questo vogliono significare le parole dell'Apostolo: Ora vediamo attraverso uno specchio, in enimma; allora invece, faccia a faccia (1Co 13,12). Quando dice in eninini a, come spiega sant'Agostino, intende una idea o immagine adatta a far conoscere Dio (La Triti. 15,9). Lo stesso mostra chiaramente san Dionigi, quando dice che per nessuna sembianza di cose inferiori si possono conoscere quelle superiori (Dei nom. div. cap. I). Infatti con la sembianza di nessuna cosa corporea si può conoscere l'essenza e la sostanza di ciò che non ha corpo, specialmente se consideriamo che le idee o immagini delle cose devono essere meno materiali e più spirituali delle cose stesse, che rappresentano. Lo possiamo facilmente constatare nella conoscenza di tutte le cose. Ma poiché è impossibile che di una cosa creata esista un'idea cosi pura e spirituale, quale è Dio stesso, da una tale immagine non potremo mai conoscere perfettamente l'essenza divina. Si aggiunga che tutte le cose sono circoscritte da determinati limiti di perfezione; mentre Dio è infinito, e nessuna somiglianzà di cosa creata può racchiudere la sua immensità.

Non rimane dunque altro modo per conoscere l'essenza divina, che essa stessa si congiunga a noi, innalzando in una maniera meravigliosa più in alto la nostra intelligenza e cosi diveniamo idonei a contemplare la bellezza della sua natura. Questo lo otterremo col lume della gloria, quando illuminati dal suo splendore, vedremo nel suo lume il vero lume di Dio; poiché i beati sempre intuiranno Dio presente. Con questo dono, il più grande ed il migliore di tutti, fatti partecipi i beati della essenza divina, godono la vera e permanente beatitudine (2P 1,4). E noi dobbiamo crederlo con tanta certezza, che è perfino definito nel Simbolo dei Padri (Niceni), doverla noi per benignità divina aspettare con sicura speranza. Vi si dice infatti: Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.

Queste cose sono del tutto divine, né possono essere spiegate a parole, o comprese col pensiero. Nondimeno possiamo scorgere un'immagine di questa beatitudine anche nelle cose percepite dai sensi. Come il ferro, se accostato al fuoco, assimila il fuoco, e, sebbene la sua sostanza non muti, tuttavia sembra qualche cosa di differente, cioè fuoco; allo stesso modo quelli che sono ammessi alla gloria celeste, infiammati dall'amore di Dio, vengono cosi trasformati, pur non cessando di essere ciò che sono, da poter dire che differiscono da quelli che sono in questa vita, molto più che il ferro incandescente dal ferro normale (Ans. Lib. delle similit. cap. LVII). Per dirla in breve: la somma e assoluta beatitudine che diciamo essenziale deve porsi nel possesso di Dio. Infatti cosa può mancare per la felicità perfetta a chi possiede Dio ottimo e perfettissimo?

Beatitudine accidentale.

146. Alla beatitudine essenziale s'aggiungono degli abbellimenti comuni a tutti i beati, che, essendo meno lontani dalla ragione umana, sogliono commuovere ed eccitare con maggior forza gli animi nostri. A questo genere appartengono quelli a cui sembra alludere l'Apostolo scrivendo ai Romani: Gloria e onore e pace a ognuno che fa il bene (Rm 2,10). Infatti i beati non godono solo di quella gloria che mostrammo essere in fondo la beatitudine essenziale di Dio, ovvero congiunta strettissimamente con la sua natura; ma anche di quella che risulta dalla conoscenza chiara e precisa che ciascuno dei beati avrà dell'eccellente e splendida dignità degli altri. Ma pure quanto grande non si dovrà stimare l'onore che Dio loro concede, essendo essi chiamati non più servi, ma amici, fratelli e figli di Dio? perciò con queste amorosissime e onorevolissime parole il nostro Salvatore inviterà i suoi eletti: Venite benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi (Mt 25,34). Cosicché a buon diritto si può esclamare: I tuoi amici, o Dio, sono stati troppo onorificati (Ps 138,17). Ma saranno lodati anche da Cristo Signore dinanzi al Padre celeste e ai suoi Angeli.

Inoltre, se è vero che la natura ingenero in tutti gli uomini il desiderio di essere onorati da quelli che sono illustri per sapienza, ritenendosi che tali attestati di considerazione siano le più efficaci prove del merito, quanto non dovrà credersi grande la gloria dei beati, professando l'uno verso l'altro la stima più profonda.

Sarebbe infinita l'enumerazione di tutti i godimenti di cui sarà ripiena la gloria dei beati; e non possiamo immaginarceli neppure. Tuttavia i fedeli devono persuadersi che di tutto quel che di giocondo può toccarci o desiderarsi in questa vita, sia che si riferisca alla conoscenza dell'intelletto, sia alla perfezione del corpo, di tutto la vita beata dei celesti ridonderà; sebbene in un modo più alto di quel che l'occhio possa vedere, l'orecchio possa udire, o che comunque possa penetrare nel cuore dell'uomo, come afferma l'Apostolo (1Co 2,9). Il corpo, che prima era grossolano e materiale, quando nel cielo, tolta la mortalità, sarà diventato tenue e spirituale, non avrà più bisogno di alimenti; l'anima poi si satollerà di quel pascolo eterno di gloria, che sarà offerto a tutti dall'Autore di quel grande convito (Lc 12,37).

Chi mai potrà desiderare preziose vesti ovvero ornamenti regali per il corpo lassù dove non si avrà bisogno di tali cose, e tutti saranno coperti di immortalità e di splendore, insigniti della corona della gloria eterna? Ma se è parte della felicità umana anche il possesso di una casa vasta e sontuosa, che cosa si può concepire di più vasto e sontuoso dello stesso cielo, che è illuminato in ogni parte dallo splendore divino? perciò il Profeta, ponendosi dinanzi agli occhi la bellezza di tale dimora, e ardendo della brama di giungere a quella beata sede, dice: Come sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore delle virtù! Anela e si strugge l'anima mia per il desiderio degli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente (Ps 83,1).

Come si acquista sicuramente la beatitudine.

147. I parroci devono ardentemente desiderare e cercare con ogni studio che questo sia il volere di tutti i fedeli, questa la voce comune di tutti; poiché nella casa del Padre mio, dice il Signore, vi sono molte dimore (Jn 14,2), nelle quali saranno dati premi maggiori e minori, secondo che ognuno avrà meritato. Infatti chi semina con parsimonia, mieterà con parsimonia (2Co 9,6): e chi semina largamente mieterà pure largamente. perciò non solo spingeranno i fedeli verso la beatitudine, ma li avvertiranno spesso che il modo certo per ottenerla è di istruirsi nella fede e nella carità, perseverando nella preghiera e nella salutare frequenza dei sacramenti, esercitandosi in tutte le opere caritatevoli verso il prossimo. Allora la misericordia di Dio, il quale preparo quella gloria beata a chi lo ama, farà si che si avveri un giorno il detto del Profeta: Starà il mio popolo nella bellezza della pace, nei tabernacoli della fiducia e nella quiete opulenta (Is 32,18).




Catechismo Tridentino 1110