Catechismo Tridentino 2700

2700

IL MATRIMONIO

Santità del Matrimonio cristiano.

289. I Pastori devono prospettare per il popolo cristiano una vita beata e perfetta, perché potrebbero anch'essi auspicare quel che l'Apostolo diceva di desiderare, scrivendo ai Corinzi: Voglio che siate tutti come me (1Co 7,7); cioè che tutti seguissero la perfetta castità. Che cosa infatti di più alto ci può essere, per i fedeli quaggiù, di un riposo permanente dello spirito che non sia distratto da nessuna cura, ogni carnale libidine sia debellata, nell'amore della devozione e nella meditazione delle celesti verità? Ma poiché, secondo la frase del medesimo Apostolo, ciascuno riceve un proprio dono da Dio, chi in un modo chi in un altro; mentre il Matrimonio stesso è accompagnato da cosi grandi e soprannaturali beni da essere annoverato veramente e propriamente fra gli altri sacramenti della Chiesa Cattolica, da meritare che il Signore santificasse con la sua presenza una cerimonia nuziale (Jn 2,2), appare evidente l'opportunità di parlarne. Tanto più che san Paolo (Rm 7,2 1Co 7 Ep 5,22 Col 3,13) come il Principe degli apostoli (1P 3,1) in più luoghi hanno scritto intorno alla dignità e agli obblighi del Matrimonio. Illuminati dal divino spirito, essi comprendevano gli insigni vantaggi che possono ridondare sulla società cristiana, qualora i fedeli conoscano bene e rispettino la santità matrimoniale, e i danni e le calamità che invece possono piombare sulla Chiesa, qualora la ignorino e la trasgrediscano.

Si devono quindi spiegare innanzi tutto la natura e i doveri del Matrimonio; perché spesso i vizi assumono l'apparenza dell'onestà e occorre badare a che i fedeli, ingannati da un falso concetto del matrimonio, non finiscano col macchiare l'anima in turpi libidini. Per mostrare meglio la cosa, cominceremo dall'esaminare il significato dei termini.

Matrimonio è una denominazione che deriva dal fatto che lo scopo principale per cui la donna deve andare a nozze, è quello di divenire madre; oppure perché è particolare ufficio della madre concepire, partorire, educare laf prole.

Coniugio poi deriva da e o n i u g a r e, in quanto la moglie legittima è sottoposta al medesimo giogo col marito. Infine il vocabolo nozze, come dice sant'Ambrogio (Di Abr. I,9), sorge dalla circostanza che le fanciulle solevano velarsi per pudore; e pare che si accennasse anche al dovere che esse fossero sottomesse e obbedienti ai loro mariti.

Definizione del Matrimonio.

290. Questa è la definizione, secondo il parere concorde dei teologi:Il Matrimonio è l'unione maritale dell'uomo colla donna, contratta fra persone legittime, la quale implica una inseparabile comunanza di vita.

affinché si possano meglio comprendere le varie parti della definizione, si deve far notare che, sebbene il Matrimonio comprenda il consenso interno, il patto espresso esternamente con la parola, l'obbligo e il vincolo che ne scaturiscono e l'accoppiamento dei coniugi con cui il Matrimonio è consumato, pure nulla di ciò costituisce l'essenza del Matrimonio, la quale consiste propriamente nell'obbligazione e nel vincolo reciproco, espresso dal vocabolo unione.

Si aggiunge il qualificativo di maritale, perché le altre convenzioni con cui si obbligano uomini e donne per prestarsi scambievole assistenza, in base a compenso o per altra ragione, sono del tutto estranee alla natura del matrimonio.

E detto poi: fra persone legittime, perché coloro che le prescrizioni legali escludono perentoriamente dalle nozze, non possono contrarre matrimonio; e se lo contraggono, è invalido. Per esempio: chi è legato da parentela dentro il quarto grado, o il giovanetto prima del suo quattordicesimo anno, e la giovanetta prima del dodicesimo (età fissata dalle leggi), non sono idonei a stringere validi vincoli nuziali.

L'ultima clausola: costituisce una inseparabile comunanza di vita, spiega la natura del vincolo indissolubile che lega marito e moglie.

Da ciò risulta che la natura e il valore del Matrimonio consistono in questo vincolo. Se le definizioni di altri illustri scrittori sembrano riporle nel consenso, dicendo, ad esempio, che il Matrimonio è il consenso dell'uomo e della donna, ciò va inteso nel senso che il consenso è la causa efficiente del Matrimonio, come insegnarono i Padri del concilio Fiorentino, non potendoci essere obbligo e vincolo reciproco, se non in virtù di un consenso, o contratto.

E assolutamente necessario che questo consenso sia espresso con parole al tempo presente. Infatti il Matrimonio non è una semplice donazione, ma un patto scambievole; non può dunque bastare all'unione matrimoniale il consenso di uno dei due coniugi, ma deve essere mutuo. Ora è evidente che ad esprimere il mutuo consenso dell'animo sono necessarie le parole. Se il Matrimonio potesse sorgere dal puro consenso interiore, senza alcun segno esterno, quando due persone lontanissime consentissero nel progetto di Matrimonio, sarebbero subito strette in vincolo matrimoniale, anche prima di manifestare per lettera o per interposta persona la loro volontà; cosa del tutto difforme dalla ragione, dalla consuetudine e dalle leggi della santa Chiesa.

Inoltre abbiamo detto che il consenso deve esprimersi con parole indicanti il tempo presente. E giustamente, perché quelle che indicano il futuro non uniscono il Matrimonio, ma lo promettono. Quel che è futuro evidentemente non esiste ancora. E quel che non esiste, non ha stabilità e concretezza. Per cui non possiede ancora diritto coniugale sulla donna chi promette semplicemente di prenderla in moglie; né sempre l'adempimento segue subito alla promessa, sebbene chi promette debba osservare la parola data, e se non lo faccia incorra nel reato di fede violata. Invece chi si unisce col vincolo matrimoniale, pur pentendosi poi, non può mutare o annullare quel che ha fatto.

Siccome l'obbligo coniugale non è una pura promessa, ma una cessione, per la quale l'uomo trasmette realmente la potestà sul proprio corpo alla donna, e questa a lui, ne segue necessariamente che il Matrimonio deve essere contratto con parole al presente, la cui forza perdura dopo che sono state pronunciate, e lega indissolubilmente marito e moglie. Al posto però delle parole possono bastare alla validità del Matrimonio gesti e segni che indichino nettamente il consenso intimo, e lo stesso pudico silenzio della fanciulla, quando parlino per essa i suoi genitori.

In complesso i Parroci insegneranno ai fedeli che l'essenza e la forza del Matrimonio risiedono nel vincolo e nell'obbligazione; e che posto il consenso, espresso nel modo indicato, non è necessario l'accoppiamento perché il vero Matrimonio sussista. Infatti i nostri progenitori, prima del peccato, quando ancora nessun contatto carnale era intervenuto tra loro, come i Padri riconoscono, erano già congiunti in vero Matrimonio. perciò i Padri affermano che il Matrimonio consiste nel reciproco consenso, non già nella copula; come anche sant'Ambrogio ripete nel suo scritto intorno alle Vergini (6,1).

Dopo cio, il Parroco spiegherà che il Matrimonio presenta due aspetti; si può infatti considerare o come unione naturale (l'accoppiamento infatti non è una istituzione umana, bensi un fatto naturale), o come sacramento, la cui forza oltrepassa lo stato delle realtà naturali. E poiché la grazia perfeziona la natura, e lo spirituale non è prima dell'animale, ma viceversa, la logica vuole che si tratti prima del Matrimonio nel suo aspetto di fatto naturale, e poi di ciò che lo riguarda come sacramento.

Istituzione e finalità del Matrimonio.

291. Innanzi tutto i fedeli siano istruiti sulla verità che il Matrimonio fu istituito da Dio. Scrive la Genesi: Dio li creo maschio e femmina, e li benedisse, dicendo: Crescete e moltiplicatevi. E poi: Non è bene che l'uomo sia solo: facciamogli un essere simile a lui, che lo aiuti. E poco dopo: Adamo non aveva ancora un cooperatore simile a sé. Mando dunque il Signore Iddio un invincibile sonno ad Adamo, e quando si fu addormentato, gli estrasse una costa, la circondo di carne, trasformandola in donna, e la consegno ad Adamo, il quale disse: Ecco dunque, ossa delle mie ossa e carne della mia carne; sarà chiamata VIRAGO, poiché è stata tratta dall'uomo. perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà a sua moglie, e saranno due esseri in una sola carne (Gn 1,27 Gn 2,18). Queste parole, confermate dallo stesso nostro Signore in san Matteo (Mt 19,6), mostrano come il Matrimonio sia istituito divinamente.

Dio però non si limito a istituirlo, ma, secondo le definizioni del santo concilio di Trento, lo rese vincolo perpetuo e indissolubile. Per questo il Salvatore sentenzio: L'uomo non osi dividere quel che Dio ha congiunto (Mt 19,6).

Già al Matrimonio, come semplice fatto naturale, conveniva che non potesse mai sciogliersi, quantunque tale proprietà rampolli soprattutto dalla sua natura di sacramento; esso infatti per tutte le sue proprietà naturali, raggiunge la più alta perfezione. Ad ogni modo ripugna già all'esigenza dell'educazione dei figli e agli altri beni matrimoniali la dissolubilità del vincolo.

Le parole poi del Signore: Crescete e moltiplicatevi, mirano a dilucidare le cause dell'istituto matrimoniale, non già ad imporre un obbligo a tutti e singoli gli uomini. Ormai che il genere umano si è tanto accresciuto, non solamente non sussiste legge che obblighi ciascun uomo a contrarre Matrimonio; ma appare invece singolarmente raccomandata la verginità, consigliata nella Scrittura come stato superiore al Matrimonio, dotata di maggiore perfezione e santità. Insegno il Salvatore: Chi può capire, capisca (Mt 19,20). E l'Apostolo ammoni: .Non ho da comunicare un esplicito precetto del Signore intorno ai vergini: ma lo do come un consiglio, per restare fedele alla misericordia ottenuta dal Signore (1Co 7,25).

zSi devono anche spiegare le ragioni dell'unione matrimoniale.

La prima è rappresentata da quella associazione, voluta dall'istinto naturale dei due sessi, che, cementata dalla speranza del reciproco sostegno ed appoggio, rende più agevole affrontare le asprezze della vita e gli incomodi della vecchiaia.

La seconda sta nel desiderio della procreazione, non tanto per lasciare eredi dei beni materiali, ma perché possano allevarsi buoni cultori della vera fede religiosa. La Bibbia mostra come questo fosse il principale proposito dei Patriarchi nello sposarsi. Ammonendo Tobia sul modo di rintuzzare la violenza del demonio, l'angelo gli dice: Ti mostrero io quelli sui quali il demonio può prevalere. Su coloro che contraggono matrimonio per eliminare Dio dal proprio spirito, per tuffarsi nella concupiscenza, come tanti cavalli e muli privi di ragione, il demonio trionferà. E aggiunge: Tu impalmerai una vergine nel timore di Dio, spinto più dal desiderio dei figliuoli che dalla cupidigia carnale, affinché nel seme di Abramo tu possa conseguire la benedizione che è nei propri figli (Tb 6,18). Del resto fu questo l'unico motivo per cui Dio istitui agli inizi il Matrimonio. S'intende perciò quanto mostruoso sia il delitto di quei coniugi, che mediante ritrovati medici impediscono il concepimento o procurano l'aborto; questo equivale all'azione infame degli omicidi.

La terza causa del Matrimonio sopravvenne dopo il peccato originale che fece perdere la giustizia in cui l'uomo era stato creato e suscito il conflitto fra l'appetito sessuale e la ragione. Essa consiste in ciò che colui il quale, consapevole della propria fragilità, non vuole affrontare la dura lotta carnale, possa ricorrere al rimedio del Matrimonio per evitare le colpe della libidine. Scrive in proposito l'Apostolo: In vista del pericolo della fornicazione, ciascuno abbia moglie, e ciascuna marito. E poco oltre, imponendo l'astinenza temporanea dall'atto matrimoniale per fare preghiera, soggiunge: E poi ravvicinatevi l'un l'altro affinché Satana non vi tenti col pungolo della vostra incontinenza (1Co 7,2).

A qualcuno di questi motivi deve ispirarsi chi vuole contrarre Matrimonio, e lo vuoi fare piamente e religiosamente, come si conviene a figli di santi.

Non si condannano però altri moventi, non contrastanti colla santità del Matrimonio, che vengono ad aggiungersi a questi e spingono gli uomini al Matrimonio o inducono, nella scelta della moglie, a preferire questa a quella; quali la brama di lasciare eredi, la ricchezza della prescelta, la sua bellezza, la nobiltà della sua schiatta, la somiglianza del temperamento. Neppure la Bibbia infatti rimprovera al patriarca Giacobbe di aver preferito, per la sua bellezza, Rachele a Lia (Jr 29,17).

Il Matrimonio cristiano come sacramento.

292. Dopo aver parlato del Matrimonio in quanto è un'unione naturale, i Pastori spiegheranno come, in qualità di sacramento, il Matrimonio assume una natura molto più nobile e volta a un fine molto più alto. Come agli inizi il Matrimonio, quale unione naturale, fu istituito per la propagazione del genere umano, cosi più tardi gli fu conferita la dignità sacramentale, affinché sorgesse un popolo nuovo, educato al culto del vero Dio e del nostro Salvatore G. Cristo.

Quando Cristo volle offrire un simbolo sensibile della sua strettissima unione colla Chiesa e della sua sconfinata benevolenza verso di noi, espresse appunto la divinità df cosi ineffabile mistero colla santa unione dell'uomo colla donna. E quanto simile scelta fosse opportuna, risalta dal fatto che fra tutte le relazioni fra esseri umani nessuna vincola più strettamente dell'unione matrimoniale; nessun amore è più forte di quello che passa fra marito e moglie. Per questo la Scrittura raffigura molto spesso l'unione divina di Cristo con la Chiesa mediante l'immagine delle nozze.

La Chiesa, sulla esplicita autorità dell'Apostolo, ritenne sempre per certa e sicura la natura sacramentale del Matrimonio. Scrive infatti san Paolo agli Efesini:Il marito deve amare sua moglie come il proprio corpo. Chi ama sua moglie, ama se stesso. Chi mai odio la propria carne? Tutti la nutrono e la custodiscono, come Cristo fa colla Chiesa; poiché siamo membri del suo corpo, parte della sua carne e delle sue ossa. Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre, e si unirà alla propria moglie, per essere due in una sola carne. Veramente grande è questo sacramento; io voglio dire in Cristo e nella Chiesa (Ep 5,28). La frase: grande è questo sacramento, va riferita indubbiamente al Matrimonio; e vuoi dire che l'unione fra l'uomo e la donna, di cui Dio è l'autore, è un sacramento, vale a dire, segno sacro di quell'ineffabile vincolo, che congiunge Cristo Signore alla Chiesa.

I Padri antichi, commentando il passo paolino, l'hanno inteso in questo senso, e il santo concilio di Trento ha definitivamente approvato simile interpretazione. Evidentemente l'Apostolo paragona il marito a Cristo e la moglie alla Chiesa; stabilisce che il marito è il capo della moglie, come Cristo lo è della Chiesa; perciò il marito deve amare la moglie, e la moglie a sua volta amare e rispettare il marito. G. Cristo amo la Chiesa, diede la propria vita per essa; e secondo lo stesso Apostolo la Chiesa è soggetta a Cristo. Il sacro Concilio dichiara inoltre che con questo sacramento è simboleggiata e anche realmente conferita la grazia, come del resto vuole l'indole stessa sacramentale. Esso dice: G. Cristo, istitutore e consumatore dei venerandi sacramenti, merito con la sua passione la grazia, atta a sublimare l'amore naturale, e a rassodarlo in una indissolubile unità. I Pastori spiegheranno perciò che per la grazia del sacramento i coniugi, stretti nel vincolo dello scambievole amore, riposano nella mutua affezione, rifuggono dagli amori illeciti ed estranei, conservando immacolato il talamo del loro connubio (He 13,4).

Dignità del Matrimonio cristiano.

293. Il sacramento del Matrimonio sta molto al disopra dei matrimoni contratti prima e dopo la Legge mosaica. Sebbene anche i pagani abbiano sempre intravisto nel Matrimonio qualcosa di divino, e di conseguenza abbiano considerato gli illegali accoppiamenti come vietati da natura, e degni di punizione gli stupri, gli adulteri e simili delitti sessuali; tuttavia i loro connubi non ebbero valore sacramentale.

Presso gli Ebrei le leggi nuziali furono indubbiamente rispettate con maggiore coscienza, né possiamo negare che una più alta santità accompagnava i loro matrimoni. Depositari della promessa, secondo la quale tutti i popoli dovevano essere benedetti nel seme di Abramo (Gn 12,3 Gn 18,18), ritenevano che fosse insigne compito religioso procreare figliuoli, rampolli del popolo da cui doveva trarre origine il Cristo nostro Salvatore, per quanto naturalmente concerne la natura umana. Alle loro unioni però mancava la natura sacramentale.

Se poi ci poniamo dal punto di vista della legge, sia di natura dopo il peccato, sia di Mosè, facilmente constatiamo che la prassi matrimoniale era decaduta dal suo decoro originario. Vigendo la legge naturale riscontriamo che parecchi antichi Padri furono poligami. Più tardi la legge di Mosè permetteva che, consegnato il libello del ripudio, il marito divorziasse, in determinati casi, dalla moglie (Dt 24,1). La legge Evangelica soppresse tali abusi e restitui il Matrimonio al suo stato primitivo (Mt 19,9).

Quanto la poligamia (di cui però non tutti quei vecchi Padri devono rimproverarsi, avendo alcuni ottenuto da Dio indulgente il permesso di sposare più mogli) sia difforme dalla natura del Matrimonio, è dimostrato da quelle parole del Signore: Per questo lascerà l'uomo il padre e la madre e si unirà colla sua moglie; i due saranno una sola carne. E subito dopo: Dunque non sono più due, ma una sola carne (Mt 19,5). Cosi volle mostrare che il matrimonio fu da Dio istituito in modo da consistere nell'unione di due sole persone e non di più. Verità cotesta esplicitamente asserita anche altrove. Egli dice: Chi ripudia la moglie e sposa un'altra, è adultero. E se la moglie, ripudiato il marito, sposa un altro, è adultera (Mc 10,11). Se infatti al marito fosse lecito sposare più mogli, non si vede perché dovrebbe dirsi adultero quando, oltre la moglie che ha in casa, ne impalma un'altra, e non quando, congedata la prima, si unisce con una nuova. Tanto è vero che se un infedele, il quale secondo le consuetudine del suo popolo ha parecchie mogli, si converte alla vera religione, deve per ordine della Chiesa lasciarle tutte, ritenendo solo come per legittima la prima sposata.

Indissolubilità del Matrimonio cristiano.

294. Sempre con le parole di Cristo è facile provare che il vincolo matrimoniale non può essere spezzato da nessun divorzio. Se dopo avere ricevuto il libello del ripudio la moglie fosse sciolta dalla legge maritale, le sarebbe lecito senza colpa di adulterio unirsi in matrimonio con un altro uomo. Invece il Signore sentenzio perentoriamente: Chi rimanda la propria moglie e ne prende un'altra, è adultero (Lc 16,18). Il vincolo coniugale dunque può essere spezzato solo dalla morte. Anche l'Apostolo lo afferma, quando scrive: La moglie è legata alla legge, finché il marito vive; quando questi sia morto, essa è affrancata dalla legge, e può sposare chi vuole, nel Signore (1Co 7,39). E poco prima: Non io, ma il Signore cosi comanda a coloro che sono uniti in Matrimonio: La moglie non si allontani dal marito; qualora se ne allontani, non si risposi, o cerchi di riconciliarsi col proprio marito (1Co 7,10). L'Apostolo lascia cosi alla moglie, che per una ragionevole causa abbandoni il marito, questa alternativa: che rimanga senza marito o si riconcili con lui. Né la Chiesa consente agli sposi di allontanarsi l'uno dall'altro senza gravissimi motivi.

Perché non sembri troppo dura la legge matrimoniale, che importa l'indissolubilità, se ne devono prospettare i vantaggi. Ricordino innanzi tutto gli uomini che nel concludere il matrimonio occorre tener conto della virtù e dell'affinità spirituale, molto più che delle ricchezze e della bellezza. Si potrebbe provvedere meglio di cosi al bene della comune convivenza? In secondo luogo riflettano che se il Matrimonio potesse rompersi col divorzio, non mancherebbero mai ragioni di dissidio, giornalmente messe avanti dall'antico avversario della pace e della pudicizia. Mentre se riflettono che, pur allontanati dalla convivenza coniugale, perdura l'efficacia del vincolo matrimoniale ed è sottratta la prospettiva di poter prendere un'altra moglie, i fedeli saranno molto più guardinghi dal farsi trascinare dall'ira e dalla discordia. Pur separati dall'altro coniuge, finiranno col sentirne vivo desiderio, e facilmente l'intervento degli amici porterà alla riconciliazione.

I Pastori non tralasceranno di ricordare a questo proposito l'ammonizione di sant'Agostino, il quale per indurre i fedeli a non essere troppo restii a perdonare alle mogli congedate per adulterio, purché pentite del misfatto, interrogava: Perché il marito non accoglierà una moglie che la Chiesa accoglie? e perché la moglie non perdonerà al marito adultero ma penitente, dal momento che anche Cristo gli perdono? (Dei con. adulter. 2,6). La frase biblica: E sciocco chi tiene con sé un'adultera (Pr 18,22), vale per colei che, avendo peccato, non vuole ravvedersi.

Da tutto ciò si rileva come il Matrimonio dei cristiani supera di gran lunga in nobiltà e perfezione sia quello dei pagani sia quello degli Ebrei.

Effetti del sacramento del Matrimonio.

295. I Pastori insegnino ai fedeli che tre sono i beni del Matrimonio: la prole, la fede, il sacramento. Con essi sono neutralizzate quelle pene cui allude l'Apostolo con le parole: Sperimenteranno la tribolazione della carne (1Co 7,28); e le unioni sessuali, che al di fuori del Matrimonio apparirebbero giustamente riprovevoli, ne vengono nobilitate e coonestate.

2primo bene è costituito dalla prole, cioè dai figli ottenuti da una legittima moglie. Cosi importante appariva questo bene all'Apostolo, da dire: La donna sarà salvata mediante la generazione dei figli (1Tm 2,15).

Questo inciso non va inteso come allusivo alla semplice procreazione, ma anche alla formazione spirituale per la quale i figli sono educati alla pietà. Aggiunge infatti l'Apostolo: se essi permarranno nella fede.

Ammonisce poi la Scrittura: Hai dei figli? Istruiscili e piegali dai giorni della loro infanzia (Si 7,15). San Paolo riproduce il comando (Ep 6,4 Col 3,20), e nella Scrittura Tobia, Giobbe ed altri santi Padri, offrono esempi dei magnifici risultati di questa disciplina. Ma quali siano i doveri dei genitori e dei figli, sarà spiegato più diffusamente nel quarto precetto del Decalogo.

Il secondo bene è la fede, non già intesa come quell'ambito di virtù che riceviamo all'istante del Battesimo, ma come quella fedeltà in virtù della quale marito e moglie si legano tanto strettamente a vicenda da trasmettersi la potestà del proprio corpo, e da giurarsi perpetua osservanza del patto coniugale. ciò risulta dalle parole pronunciate dal primo uomo nel momento di ricevere Eva per moglie (Gn 2,24); parole che Cristo ratifico nel Vangelo: Per questo lascerà l'uomo il padre e la madre e s'unirà colla sua moglie; e i due saranno una sola carne (Mt 19,5). E risulta pure dal passo dell'Apostolo: La moglie non ha potestà sul proprio corpo, ma l'ha il marito; parimente il marito non ha potere sul proprio corpo, ma lo ha la moglie (1Co 7,4).

Si comprendono perfettamente le gravissime minacce lanciate dal Signore nel vecchio Testamento contro gli adulteri che violano la fede coniugale (Lv 20,10). Tale fede inoltre esige che marito e moglie siano stretti da un amore particolare, puro e santo, sicché si amino non come adulteri, ma come Cristo amo la sua Chiesa. Questa è la regola dell'Apostolo: Mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la sua Chiesa (Ep 3,25) che egli predilesse con affetto inesauribile, unicamente volto al suo vantaggio.

2 terzo bene, denominato sacramento, consiste nell'infrangibile vincolo matrimoniale poiché, secondo l'Apostolo, il Signore ha imposto alla moglie di non abbandonare il marito, di restare, qualora se ne allontani, senza marito, oppure di riconciliarsi con lui; al marito comanda di non mandar via la propria moglie (1Co 7,10). Infatti il Matrimonio esprime, in quanto sacramento, l'unione di Cristo con la Chiesa, e poiché Cristo mai si separa dalla Chiesa, è necessario che, per quanto riguarda il vincolo coniugale, la moglie non possa mai separarsi dal marito.

Doveri coniugali.

296. affinché la santa società coniugale perduri più serena, devono essere inculcati i doveri del marito e della moglie, quali furono descritti da san Paolo e da san Pietro, principe degli Apostoli.

S'impone al marito l'obbligo di trattare con generosità e onore la moglie. Si ricordi che Adamo chiamo compagna, Eva: la donna che mi desti a compagna (Gn 3,12). Percio, secondo l'insegnamento di alcuni Padri, Eva non fu tratta, ad esempio, dai piedi dell'uomo, ma dal suo fianco; né dal suo capo, affinché capisse di essere, non padrona, ma suddita del marito. Inoltre è bene che il marito sia costantemente occupato in qualche onesta professione per provvedere il necessario al sostentamento della famiglia, e per non poltrire nell'ozio, padre di tutti i vizi. Infine deve saggiamente organizzare la famiglia, correggere i costumi di tutti i membri di essa, sorvegliare su ciascuno perché adempia il suo compito.

Alla moglie incombono i doveri indicati dal Principe degli apostoli: Le mogli siano soggette ai loro mariti, sicché se alcuno di questi non crede alla parola (di Dio), sia guadagnato, senza la parola, dalla condotta esemplare della compagna, valutandone la santità unita al rispetto. Non siano loro vanto la capigliatura bene acconciata, ornamenti d'oro, sfoggio delle vesti: ma cercate piuttosto di adornare l'interno del cuore, coltivato nella integrità di uno spirito schivo e modesto, ricco al cospetto di Dio. Cosi una volta si ornavano le sante donne, ricche di speranza in Dio, soggette ai propri mariti. Cosi Sara obbediva ad Abramo, chiamandolo signore (1P 3,1-6). Sia loro somma cura educare i figli nell'amore della religione e sorvegliare l'andamento della casa. Stiano volentieri in casa, se il bisogno non le costringa ad uscire; e in tal caso chiedano sempre il permesso allo sposo. Infine - ed è qui l'essenza dell'unione matrimoniale - ricordino sempre che per volontà divina nessuno devono amare ed apprezzare più del marito, al quale obbediranno prontamente in tutto ciò che non sia in contrasto con la virtù cristiana.

Riti nuziali: impedimenti matrimoniali.

297. I Parroci faranno bene a illustrare le cerimonie che accompagnano la celebrazione del Matrimonio. Non registreremo qui le regole emanate in proposito dal sacro concilio di Trento con diligenza e abbondanza. I Parroci non possono ignorare i suoi decreti. Ci limiteremo a raccomandare loro di studiare bene la dottrina del Concilio su questo punto, e di esporla coscienziosamente ai fedeli.

Insisteremo piuttosto nel ricordare loro di ammonire senza stancarsi i giovani e le ragazze, la cui età è contrassegnata da tanta leggerezza, a non iniziare, sotto illusone parvenze nuziali, rapporti di turpi amori. Proclamino solennemente che non sono veri e legittimi matrimoni quelli contratti senza la presenza del Parroco, o di altro sacerdote delegato da lui o dall'Ordinario, e di un certo numero di testimoni.

I Pastori devono poi additare con cura ciò che impedisce il Matrimonio. Molti gravi e dotti autori, che scrissero sui vizi e le virtù, si fermarono su questo tema con tale accuratezza, che a tutti sarà facile ricavarne sufficiente istruzione; tanto più che si tratta di libri che i Pastori devono aver sempre sotto mano. Leggano attentamente le prescrizioni in essi contenute, e poi quanto il santo concilio di Trento ha stabilito circa gli impedimenti che scaturiscono dalla parentela spirituale, dalla pubblica onestà, dalla fornicazione; e ne parlino poi ai fedeli.

Da quanto si è detto emerge quali sentimenti debbano animare i fedeli che contraggono Matrimonio. Non pensino di stringere un contratto umano, ma di compiere un atto divino, il quale esige speciale integrità di spirito e grande pietà, come mostrano a sufficienza gli esempi dei Padri dell'antico Patto. Essi andando a nozze, seppure non insignite di dignità sacramentale, ritennero sempre di dover portare ad esse massima riverenza religiosa e purità di cuore.

Fra l'altro si esortino specialmente i figli di famiglia a rendere ai loro genitori, e in genere a coloro da cui dipendono, l'onore di non contrarre Matrimonio a loro insaputa, o nonostante la loro opposizione. Vediamo nel vecchio Testamento come il matrimonio dei figli è sempre concertato dai genitori. Anche l'Apostolo sembra raccomandare che su questo terreno ci si attenga molto al volere del padre e della madre, quando dice: Chi congiunge in Matrimonio la propria figliuola, fa bene; e chi non la sposa fa meglio (1Co 7,38).

Rimane infine da esporre quel che riguarda l'uso del matrimonio. I Parroci ne parlino in modo che dalle loro labbra non esca parola capace di offendere le orecchie e l'animo degli ascoltatori, o di muovere a riso. Come i discorsi del Signore sono casti, cosi conviene in particolare al dottore del popolo cristiano usare parole improntate a serietà e purezza di mente.

Due ammaestramenti in proposito saranno impartiti ai fedeli: primo, che non devono usare del Matrimonio esclusivamente per voluttà libidinosa, ma per quei fini che Dio ha prescritto e che abbiamo sopra segnalato. Occorre ricordare la raccomandazione dell'Apostolo: Chi ha moglie, sia come se non l'avesse (1Co 7,39); e il detto di san Girolamo:Il saggio amerà ragionevolmente, non per istinto di passione, sua moglie: frenerà l'impeto carnale, non cercherà freneticamente l'accoppiamento. Nulla di più turpe che amare la propria moglie come una sgualdrina (Contro Jn I,49). E poiché ogni bene deve essere umilmente chiesto a Dio, il secondo ammaestramento da impartire ai fedeli riguarda l'astensione saltuaria dall'atto coniugale, per pregare Dio. Sappiano che tale norma deve principalmente osservarsi tre giorni almeno prima di ricevere la santa Eucaristia, e più spesso durante la celebrazione del digiuno quaresimale, come i nostri Padri giustamente e piamente prescrissero. Cosi i coniugi sentiranno crescere giornalmente i beni del Matrimonio, sotto l'influsso della grazia divina. E, battendo i sentieri della virtù, non solo trascorreranno serenamente la vita terrena, ma nutriranno speranza verace di conseguire, per misericordia di Dio, la beatitudine sempiterna.



3000

PARTE TERZA

I PRECETTI DEL DECALOGO

Importanza del Decalogo.

298. Sant'Agostino (cfr. II Super. Es ,9 Ex ,130) esalta apertamente il Decalogo come sintesi e riassunto di tutte le leggi: Molte cose aveva detto il Signore, eppure due sole tavole di pietra furono date a Mosè, dette tavole della testimonianza futura nell'arca; perché tutto il resto che il Signore aveva comandato si intende compreso nei dieci comandamenti incisi nelle due tavole. Come del resto i medesimi dieci comandamenti dipendono a loro volta dai due dell'amore di Dio e del prossimo, in cui sta in sintesi tutta la Legge e tutto l'insegnamento dei Profeti.

Essendo qui il nucleo di tutta la Legge, occorre che i Pastori attendano giorno e notte a meditarlo, non soltanto per uniformarvi la propria vita, ma anche per istruire nella disciplina del Signore il gregge loro affidato. Sta scritto: Le labbra dei sacerdoti custodiranno la scienza, e dalla loro parola sarà attinta la legge, poiché il sacerdote è l'angelo del Signore degli eserciti (Ml 2,7). Sentenza che si applica in modo particolare ai Pastori della nuova Alleanza che, essendo più vicini a Dio, devono ascendere di splendore in splendore, in virtù dello spirito del Signore (2Co 3,17). Avendoli Gesù Cristo insigniti del nome di luminari (Mt 5,14), è loro stretto compito fornire luce a coloro che giacciono nelle tenebre, costituirsi istruttori degli ignoranti, educatori dei fanciulli (Rm 2,19). Di più: essi che sono spirituali dovranno soccorrere chi sia irretito nel peccato (Ga 6,1). Inoltre essi sono giudici nella confessione ed emanano sentenze secondo la qualità e la gravita dei peccati. Percio, se non vogliono essere imputati di incapacità, e non vogliono frodare gli altri, devono essere vigilantissimi nell'adempimento di tale compito ed esperti nella interpretazione dei divini precetti, in base ai quali hanno da giudicare ogni azione e omissione. Secondo l'ammonimento dell'Apostolo, impartiscano la sana dottrina (2Th 4,3), immune cioè da ogni errore; e curino le malattie dell'anima, i peccati, sicché il loro popolo sia accetto a Dio, e dedito alle opere buone (Tt 2,14).

Eposizione del Decalogo.

299. In queste esposizioni il Pastore proponga a sé e agli altri argomenti capaci di indurre all'obbedienza alla Legge.

Ora, tra le ragioni che possono spingere gli spiriti degli uomini al rispetto dei precetti della Legge, quella che riveste maggiore forza è questa: Dio ne è l'autore. Sebbene si dica consegnata dagli angeli (Ga 3,19), nessuno può revocare in dubbio il fatto che Dio stesso ne è l'autore. Ne danno ampia testimonianza non solamente le parole dello stesso Legislatore che commenteremo fra poco, ma passi quasi innumerevoli delle Scritture, che agevolmente occorreranno ai Pastori. Del resto chi non sente una legge divina inserita nel cuore, in virtù della quale sa distinguere il bene dal male, l'onesto dal turpe, il giusto dall'ingiusto? E perché la forza regolatrice di questa legge naturale non è diversa affatto da quella scritta, chi mai oserà negare che come Dio è l'Autore della legge naturale, non lo sia anche della legge scritta?

Si deve dunque insegnare che, consegnando la Legge a Mosè, Dio non conferi una luce nuova, bensi rinnovo il fulgore di una luce che i costumi perversi e una diuturna negligenza avevano miseramente oscurato. Questo perché il popolo cristiano non creda di essere esonerato dal vincolo di queste leggi, perché la Legge di Mosè è stata abrogata. E certissimo infatti che dobbiamo obbedire a questi comandamenti, non perché sono stati imposti per mezzo di Mosè, ma perché scolpiti nell'anima di ciascuno, e da nostro Signore spiegati e ratificati. Ad ogni modo gioverà moltissimo e rivestirà una singolare virtù dimostrativa la considerazione che Dio, sulla sapienza e giustizia del quale non è lecito sollevare dubbi e alla cui infinita e vigorosa potenza non possiamo sottrarci, emano la Legge. Percio, comandando per mezzo dei profeti di rispettare la Legge, Dio dichiarava apertamente chi era, e nell'esordio stesso del Decalogo leggiamo: Io sono il Signore Dio tuo (Ex 20,2). Altrove: Se io sono il Signore, dove è il timore a me dovuto? (Ml 1,6). Cotesto pensiero non solamente stimolerà le anime fedeli al rispetto dei precetti divini, ma anche ad azioni di grazie, per avere Iddio manifestata la sua volontà che è la via alla nostra salvezza.

Ripetute volte la sacra Scrittura, esaltando questo straordinario beneficio, ammonisce il popolo di riconoscere la propria dignità e la benevolenza del Signore. Nel Deuteronomio è scritto: Qui sta la vostra saggezza e la vostra prudenza di fronte ai popoli, che udendo questi comandamenti, esclameranno: Ecco un popolo saggio e prudente, ecco una grande nazione (Dt 4,6). E nei Salmi: Non si comporto cosi con nessun altro popolo e non rivelo ad altri i suoi voleri (Ps 117,10).

Se il Parroco additerà inoltre, sulla fede della Scrittura, il modo col quale la Legge fu consegnata, i fedeli comprenderanno anche più agevolmente con quanta pia devozione debba essere rispettata una legge ricevuta da Dio. Tre giorni prima infatti, per comando di Dio, tutti dovettero lavare le proprie vesti, astenersi dai rapporti coniugali, per meglio predisporsi a ricevere la Legge; il terzo giorno tutti si radunarono, ma, pervenuti al monte da cui il Signore voleva impartire loro le leggi per mezzo di Mosè, al solo Mosè fu concesso di salirvi. E allora Dio vi discese con grande maestà, fra tuoni, lampi, fuoco, dense nuvole, e comincio a parlare a Mosè, consegnandogli le leggi (Ex XIX,10). Per una sola ragione la divina sapienza volle tutto cio: mostrarci che la legge del Signore va accolta con animo casto ed umile; e che, trasgredendo i comandamenti, noi andiamo incontro a severe pene della giustizia divina.

Il Parroco mostrerà del resto come i precetti della Legge non implichino serie difficoltà; e lo potrà fare adducendo anche questa sola ragione di sant'Agostino: Chi, di grazia, vorrà definire impossibile per l'uomo l'amare, l'amare un Creatore benefico, un Padre amantissimo, e, in linea subordinata, la carne propria nei propri fratelli? Orbene, chi ama ha adempito la legge (Dei costumi della Chiesa, 25). E già l'apostolo Giovanni assicurava apertamente che i comandamenti di Dio non sono onerosi (1Jn 5,3); infatti secondo la frase di san Bernardo, non si sarebbe potuto chiedere all'uomo nulla di più giusto, di più dignitoso e di più fruttifero (Del dovere di amare Iddio, e. I).

Per questo, ammirando l'infinita bontà di Dio, S. Agostino esclama: Che cosa è mai l'uomo, che tu vuoi esserne amato, e minacci gravi pene a chi non voglia farlo, come se già non fosse pena immensa il non amarti? (Conf. I,5). Che se alcuno accampa a sua scusa l'infermità della natura che gli impedisce di amare Dio, gli si mostri come lo stesso Dio, il quale chiede amore, instilla nei cuori la capacità di amare, per mezzo dello Spirito santo, che dal Padre celeste viene concesso a chi lo invoca (Lc 11,13). E giusta quindi la formola di preghiera di sant'Agostino: Concedi quel che comandi e comanda quello che vuoi (Conf. 10,29). E poiché l'aiuto di Dio è a nostra disposizione, specialmente dopo la morte di nostro Signore Gesù Cristo, per merito della quale il sovrano di questo mondo è stato debellato, non c'è ragione di spaventarsi delle difficoltà dei precetti, poiché nulla è arduo a chi ama.

Del resto per esserne persuasi gioverà sopra tutto riflettere sulla necessità di obbedire alla Legge, non essendo mancato ai nostri tempi chi, empiamente e con massimo proprio danno, ha osato sostenere, che, facile o difficile, la Legge non è necessaria alla salvezza '. Il Parroco confuterà con le testimonianze bibliche questa insana ed empia opinione; riferendosi specialmente all'Apostolo, della cui autorità si cerca di abusare per sostenerla. Che cosa dice in sostanza l'Apostolo? Che non il prepuzio o la circoncisione valgono qualcosa, ma solamente il rispetto dei precetti di Dio (1Co 7,9). E ripetendo altrove la medesima sentenza, aggiunge che in Gesù Cristo conta solamente la nuova creatura (Ga 6,15), intendendo chiaramente di chiamare cosi colui, che si uniforma ai comandamenti divini. Chi infatti li conosce e li rispetta, ama Dio, come il Signore stesso dichiara in san Giovanni: Chi mi ama, osserverà le mie parole (Jn 14,21). Che se l'uomo può essere giustificato, e da malvagio divenire buono, anche prima di praticare nelle azioni esterne le singole prescrizioni della Legge; non può pero, chi abbia già l'uso della ragione, trasformarsi da peccatore in giusto, se non sia disposto a osservare tutti i comandamenti di Dio.

Frutti del Decalogo.

300. Infine, per non dimenticare nulla di ciò che può indurre il popolo fedele all'osservanza della Legge, il Parroco mostri quanto ricchi e dolci frutti essa produca. E lo potrà fare facilmente, ricordando quanto è scritto nel Salmo decimottavo, consacrato a cantare le lodi della Legge divina, fra cui massima appare la capacità di dare risalto alla gloria e alla maestà di Dio, molto più di quanto non possano fare i corpi celesti, con il loro splendore e il loro ordine. Questi infatti, strappando l'ammirazione alle genti più barbare, le portano a riconoscere la gloria, la saggezza e la potenza dell'Artefice primo d'ogni cosa. Cosi la Legge divina volge le anime a Dio (Ps 18,8); cosicché, scoprendo i suoi sentieri e la sua santa volontà attraverso la Legge, a Lui dirigiamo i nostri passi. E poiché sono veramente sapienti solo coloro che temono Dio, Dio ha dato alla Legge la capacità di infondere sapienza ai piccoli. In verità coloro che osservano la Legge di Dio, sono in possesso di autentici godimenti, della conoscenza dei misteri divini, e di intense gioie e ricompense, in questa vita come nella futura.

Del resto la Legge deve essere rispettata non solo per il nostro vantaggio, ma anche per l'onore di Dio, il quale manifesto in essa la sua volontà al genere umano. E se tutte le creature vi sottostanno, non è ancora più giusto che la rispetti l'uomo? Né va dimenticata la singolarissima clemenza e bontà di Dio verso di noi. Avrebbe potuto costringerci, senza la prospettiva di alcun premio, a servire alla sua gloria. Eppure volle armonizzare questa col nostro vantaggio, affinché la nostra utilità tornasse anche a onore di Dio. Particolare cotesto importantissimo, che il Parroco ricorderà con le parole del Profeta: Nel custodire i tuoi precetti, o Signore, generosa è la mercede (Ps 18,12). Esso non abbraccia solamente benedizioni riguardanti la felicità terrena, come la prosperità delle città e la fecondità dei campi (Dt 28,3), ma anche una mercede copiosa in cielo (Mt 5,12), una misura buona, pigiata, scossa e traboccante (Lc 6,38), meritata con le opere buone, compiute mediante l'aiuto della divina misericordia.

Istituzione del Decalogo.

301. Sebbene questa Legge sia stata consegnata dal Signore sul monte agli Israeliti, tuttavia, essendo per virtù di natura impressa molto tempo prima nell'animo di tutti, e Dio avendo sempre voluto che tutti gli uomini vi si uniformassero, sarà bene spiegare con cura le parole con le quali da Mosè, strumento ed interprete, fu annunciata agli Ebrei, ricordando la storia Iraelitica che è tutta piena di misteri.

Esporrà dapprima come fra tutte le nazioni della terra Dio ne prescelse una, originata da Abramo, che egli volle pellegrino nella terra di Canaan. Di questa aveva promesso a lui il possesso; eppure tanto lui che la sua posterità ando vagando per più di quattrocento anni prima di potervi entrare ad abitarla. Mai però lascio di proteggerli durante il lungo vagare. Passarono infatti da popolo a popolo e da un regno all'altro; mai però tollero che si recasse loro ingiuria; al contrario rintuzzo i re nemici.

Prima che essi scendessero in Egitto, mando innanzi a loro un uomo, che con la sua preveggenza doveva salvare dalla fame tanto essi che gli Egiziani.

In Egitto li circondo di una tale affettuosa tutela, che, nonostante l'ostilità e la perenne minaccia del Faraone, poterono moltiplicarsi in maniera mirabile. E quando le afflizioni toccarono il culmine, e cominciarono ad essere trattati durissimamente come schiavi, Dio suscito Mosè quale condottiero, capace di trarli a salvezza con mano energica. Precisamente questa liberazione è ricordata dal Signore sull'inizio della Legge, con le parole: "Io sono il Signore Dio tuo, che ti trassi fuori dalla terra d'Egitto, dalla casa della schiavitù".

Il Parroco porrà bene in luce questa circostanza: Dio prescelse una sola fra tutte le nazioni, per essere il suo popolo eletto, da cui farsi conoscere e venerare in modo speciale, non già perché superasse le altre in numero o virtù, come del resto il Signore stesso ricorda agli Ebrei, ma solo perché a Dio piacque di sostenere e arricchire una razza modesta e bisognosa, affinché la sua potenza e la sua bontà ne avessero maggior gloria e fama nell'universo. Appunto per quella loro condizione, si strinse con essi, li predilesse, non sdegnando neppure di esser detto loro Dio, affinché gli altri popoli fossero stimolati ad emulazione; e, constatando la felice condizione degli Israeliti, tutti gli uomini si convertissero al culto del vero Dio. Anche san Paolo afferma di aver voluto provocare ad emulazione la propria gente, prospettando la beatitudine e la vera conoscenza di Dio, che egli impartiva ai pagani.

Mostrerà poi ai fedeli come Dio permise che gli antichi ebrei peregrinassero a lungo, e che i loro posteri fossero premuti e vessati in durissima schiavitù, perché noi constatassimo che solo chi è pellegrino sulla terra e osteggiato dal mondo può divenire amico di Dio; sicché per essere accolti più agevolmente nella dimestichezza di Dio, occorre non aver nulla in comune col mondo. Inoltre, perché comprendessimo, una volta passati al vero culto di Dio, quanto più felici siano coloro che servono Dio, anziché il mondo. Ci ammonisce appunto Dio nella Scrittura: Servano pure ad essi, perché conoscano l'abisso che separa il mio servizio dal servizio dei re della terra (2 Par. 12,8).

Ricorderà inoltre che Dio anticipo più di quattrocento anni le sue promesse, affinché il popolo, si alimentasse costantemente di fede e di speranza, poiché Dio vuole che i suoi fedeli dipendano sempre da lui e collochino nella sua bontà tutta la loro fiducia, come diremo nella spiegazione del primo comandamento.

Infine indicherà il tempo e il luogo in cui il popolo di Israele ricevette questa Legge da Dio. Fu precisamente dopo l'uscita dall'Egitto e l'arrivo nel deserto, quando la memoria grata del recente beneficio e l'asprezza paurosa del luogo dove si trovava, lo rendevano particolarmente atto ad accoglierla. Infatti gli uomini si sentono in modo particolare vincolati a coloro di cui hanno sperimentato i benefici, e sogliono ricorrere all'aiuto di Dio quando si sentono abbandonati da ogni speranza umana. Da ciò è facile arguire che i fedeli saranno tanto più inclinati ad accogliere la celeste dottrina, quanto più si terranno lontani dalle gioie del mondo e dalle soddisfazioni carnali, secondo le parole del Profeta: A chi impartirà la scienza e a chi dischiuderà l'udito? A chi ha abbandonato il latte e si è staccato dalle mammelle (Is 28,9).

Compia il Parroco ogni sforzo perché il gregge fedele porti ognora scolpite in cuore le parole: Io sono il Signore Dio tuo. Per esse intenderà come il suo legislatore è lo stesso Creatore, da cui riceve l'esistenza e la conservazione. A buon diritto cosi potrà esclamare: Egli è il Signore Dio nostro: noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce (Ps 94,7). La ripetizione frequente e ardente di queste parole avrà la capacità di rendere i fedeli più pronti al rispetto della Legge, più disposti a star lontani dal peccato.

Per quanto riguarda le parole che seguono: Io t i trassi dalla terra d'Egitto, dalla casa della schiavitù, sebbene sembrino attagliarsi solamente agli Ebrei affrancati dal giogo egiziano, in verità, se si badi al significato spirituale della salvezza universale, appariranno molto più applicabili ai Cristiani. Essi sono strappati non già dalla schiavitù egiziana, bensi dal dominio del peccato, sottratti da Dio alla potenza delle tenebre e trasferiti nel regno del Figlio del suo amore. Intravedendo l'entità di tale beneficio, Geremia annunciava: Ecco, arrivano giorni, dice il Signore, nei quali non si dirà più: Vive il Signore che trasse fuori i figli d'Israele dalla terra d'Egitto, bensi: Vive il Signore che trasse i figliuoli d'Israele dalla terra boreale e da tutte le terre per cui li cacciai: io li raccogliero nella terra, donata già ai loro padri. Ecco: inviero numerosi pescatori, dice il Signore, e li pescheranno, ecc. (Jr 16,14).

Il Padre misericordioso, mediante il Figlio suo, raduno i figli dispersi, affinché, non più schiavi della colpa ma della giustizia, lo serviamo nella santità e nel bene, apertamente, per tutti i giorni della nostra vita. perciò i fedeli sapranno opporre come uno scudo a tutte le tentazioni la parola dell'Apostolo: Morti al peccato, come potremo ancora vivere in esso? (Rm 6,2). Poiché non apparteniamo più a noi stessi, ma a colui che è morto per noi ed è risorto. Egli è il Signore nostro Dio che ci compro col suo sangue; come potremo peccare contro il Signore nostro Dio, e nuovamente crocifiggerlo? Realmente liberi, di quella libertà che ci è conferita da Gesù Cristo, come avevamo usato male le nostre membra quali strumenti di male, usiamole ormai quali strumenti di bene sulle vie della santità.


Catechismo Tridentino 2700