Catechismo Tridentino 3300

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TERZO COMANDAMENTO Ricordati di santificare le feste.

314. Lavorerai per sei giorni, compiendo tutti i tuoi doveri. Mail settimo giorno è del Signore Dio tuo; in quello, nulla farete tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo servo e la tua serva, il tuo giumento, l'ospite che dimora in casa tua; infatti in sei giorni il Signore fece il cielo, la terra e tutto ciò che è in essi; e nel settimo giorno si riposo. Per questo il Signore benedisse il sabato e lo santifico.

Oggetto del comandamento.

Con questo comando della Legge è giustamente e ordinatamente prescritto quel culto esterno che dobbiamo a Dio. Si tratta in fondo di un corollario del precedente comandamento. Non possiamo infatti astenerci dal prestare culto esterno e dall'offrire il nostro ringraziamento a Colui che veneriamo nell'anima, ed in cui riponiamo la nostra fiducia e speranza. E poiché le cure umane non permettono agevolmente agli uomini di assolvere simile compito, è stato fissato un tempo in cui possano farlo comodamente.

Trattandosi di comandamento che arreca mirabili frutti, preme che il Parroco ponga ogni studio nel commentarlo. La prima parola della formula: Ricordati, infiammerà già di per sé il suo zelo. Se i fedeli devono ricordare il precetto, spetta al Pastore inculcarlo senza tregua nei loro cuori. Quanto poi convenga ai fedeli rispettarlo, trasparisce dal fatto che, ciò facendo, saranno portati a rispettare più facilmente i rimanenti obblighi della legge. Infatti, fra le altre azioni da compiere nei giorni festivi, v'è quella di recarsi in chiesa ad ascoltare la parola di Dio. Una volta istruiti nelle divine prescrizioni, i fedeli custodiranno con tutto il cuore la Legge del Signore.

Per questo il rispetto del Sabato e il culto divino sono raccomandati spessissimo nella Scrittura, nell'Esodo ad esempio, nel Levitico, nel Deuteronomio, in Isaia, in Geremia, in Ezechiele; dovunque si riscontrano passi che inculcano il rispetto del giorno festivo. Speciali esortazioni vanno rivolte a chi governa e ai magistrati, affinché per quanto riguarda il mantenimento e l'incremento del culto divino, pongano il loro potere a disposizione dei reggitori ecclesiastici e ordinino al popolo di sottostare alle prescrizioni sacerdotali.

Nella spiegazione del comandamento si deve aver cura che i fedeli sappiano in che cosa esso coincide con gli altri, e in che cosa ne differisce; cosi comprenderanno perché noi rispettiamo e riteniamo per giorno sacro non più il Sabato ma la Domenica.

Una differenza intanto è questa: gli altri comandamenti del Decalogo sono naturali e perpetui, né possono in nessun modo essere cambiati; sicché, per quanto la Legge di Mosè sia stata abrogata, il popolo Cristiano rispetta sempre i comandamenti contenuti nelle due tavole, non in virtù della prescrizione mosaica, ma perché si tratta di precetti rispondenti alla natura, la cui forza stessa ne impone agli uomini il rispetto. Questo precetto invece del culto del Sabato, per quanto riguarda il giorno prescelto, non è circoscritto e fisso, ma mutabile; non si riferisce ai costumi, ma ai riti; non è naturale, non avendoci istituito o comandato la natura di prendere un dato giorno, anziché un altro, per dare a Dio culto esterno. Ma solamente dal tempo in cui il popolo d'Israele fu liberato dalla servitù del Faraone, esso rispetto il Sabato.

Ma al momento in cui tutti i riti ebraici e le cerimonie dovevano decadere, alla morte cioè di Cristo, anche il Sabato doveva essere cambiato. Infatti essendo tali cerimonie pallide immagini della luce, necessariamente sarebbero state rimosse all'avvento della luce e della verità, che è Cristo Signore. Scriveva in proposito san Paolo ai Galati, rimproverando i cultori del rito mosaico: Voi osservate i giorni, i mesi, le stagioni, gli anni: temo per voi che cioè io per voi abbia lavorato invano (4,10). Nel medesimo senso si esprimeva con i Colossesi (2,16). E questo valga per le differenze.

Coincide invece con gli altri precetti non già nel rito e nelle cerimonie, ma in quanto implica qualcosa che rientra nella Morale e nel diritto naturale. Il culto e l'ossequio religioso a Dio, formulati in questo comandamento, sgorgano infatti dal diritto di natura, essendo proprio la natura che ci spinge a consacrare qualche ora al culto di Dio. Non constatiamo infatti che tutti i popoli consacrano alcuni giorni alla pubblica celebrazione di sacre cerimonie? L'uomo è tratto da natura a dedicare un tempo determinato ad alcune funzioni elementari, quali il riposo del corpo, il sonno, e simili. Per la stessa forza naturale è spinto a concedere, oltre che al corpo, un po' di tempo allo spirito, affinché si rinfranchi nel pensiero di Dio. Che in una parte del tempo si venerino le cose divine e si tributi a Dio il dovuto onore, rientra quindi nell'insieme dei precetti riguardanti i costumi. perciò gli Apostoli stabilirono che fra i sette giorni, il primo fosse consacrato al culto divino, e lo chiamarono giorno del Signore.

Anche san Giovanni nell'Apocalisse ricorda il giorno del Signore (I,10). E l'Apostolo comanda che si facciano collette ogni primo giorno della settimana (1Co 16,2), che è la Domenica, secondo la spiegazione del Crisostomo. Evidentemente fin da allora il giorno domenicale era sacro.

Molteplici parti del comandamento.

315. affinché i fedeli sappiano come debbono comportarsi in quel giorno e da quali azioni si debbano astenere, non sarà male che il Parroco spieghi minutamente il precetto, che può dividersi praticamente in quattro parti.

Innanzi tutto indicherà genericamente quel che prescrivono le parole: Ricordati di santificare il Sabato. Opportunamente al primo posto è stato collocata l'espressione Ricordati, poiché il culto di questo giorno appartiene alla legge cerimoniale. Sembro saggio ammonire formalmente in proposito il popolo, dal momento che la legge naturale, pur insegnando che in un dato tempo qualsiasi si doveva venerare Dio con culto religioso, non prescriveva in quale giorno di preferenza si dovesse fare.

In secondo luogo il Parroco mostri ai fedeli come la formula suggerisca il modo ragionevole con cui dobbiamo lavorare durante la settimana, in maniera cioè da non perdere mai di vista il giorno festivo. In questo, dobbiamo quasi render conto a Dio delle nostre azioni e delle nostre opere; è necessario quindi che compiamo sempre azioni tali da non meritare la condanna di Dio, e da non lasciare nei nostri spiriti, secondo il motto biblico, tracce di singhiozzi e di rimpianti (1S 25,31).

Infine la formula ci insegna, e dobbiamo ben rifletterci, che non mancheranno le occasioni per dimenticare il precetto, trascinati dall'esempio di coloro che lo trascurano, assorbiti dagli spettacoli e dai giuochi che allontanano troppo spesso dal pio e religioso rispetto del santo giorno.

Ma veniamo ormai a parlare del significato del Sabato. Sabato, vocabolo ebraico, vuoi dire cessazione; quindi sabatizzare vale cessare e riposars i. Il settimo giorno ricevette il nome di S a b a t o, appunto perché, compiuto l'universo cosmico, Dio ristette dall'opera già compiuta (Gn 2,3). Cosi il Signore chiama questo giorno nell'Esodo (20,8). Più tardi tale nome fu conferito, non più soltanto al settimo giorno, ma, a causa della sua dignità, a tutta la settimana. Per questo il fariseo dice nel Vangelo di san Luca: Digiuno due volte nel Sabato (Lc 18,12). Questo per quanto riguarda il significato del Sabato.

La santificazione del Sabato, secondo le indicazioni bibliche, consiste nell'astensione da tutti i lavori e affari materiali, come indicano apertamente le parole seguenti del precetto: Non lavorerai. Ma non è qui tutto; perché in tale ipotesi sarebbe stato sufficiente dire nel Deuteronomino: Osserva il Sabato (5,12), mentre invece vi si aggiunge: Per santificarlo. Dunque il giorno del Sabato è un giorno religioso, che va consacrato ad azioni divine o a occupazioni sacre. Sicché lo rispetteremo integralmente se adempiremo gli atti di religione verso Dio. E questo è propriamente il Sabato, che Isaia chiama delizioso (LV3,13), poiché i giorni festivi sono come le delizie del Signore e degli uomini pii. Che se al rispetto religioso cosi intero e santo del Sabato aggiungeremo le opere di misericordia, allora, secondo la promessa del medesimo profeta (LV3,6), ci meriteremo premi inestimabili.

Dunque il pieno valore del comandamento esige che l'uomo ponga tutte le sue energie perché nei giorni fissati, lontano dagli affari e dal lavoro materiale, possa attendere al pio culto del Signore.

Misteri del giorno consacrato al Signore.

316. Nella seconda parte del comandamento è detto che, per ordine divino, il settimo giorno è consacrato al culto di Dio. Sta scritto infatti: Lavorerai per sei giorni e farai tutto quello che devi. Ma il settimo giorno è il Sabato del Signore Dio tuo. Tali parole vogliono significare che il Sabato deve essere consacrato al Signore con opere di religione, e che questo settimo giorno simboleggia il riposo del Signore. Fu consacrato a Dio, perché non sarebbe stato bene rilasciare all'arbitrio del popolo rozzo scegliersi la giornata, col pericolo di seguire le consuetudini sacre degli Egiziani.

Fra i sette giorni, fu prescelto l'ultimo per il culto del Signore: e la cosa è piena di mistero; perciò Dio nell'Esodo (Ex 31,13) e in Ezechiele (20,2) chiama il Sabato un segno: Badate a rispettare il mio Sabato, perché è un segno pattuito fra me e voi per tutte le vostre generazioni, affinché sappiate che io sono il Signore che vi santifica. Vale a dire: esso fu il segno che indicava agli uomini la necessità di dedicarsi a Dio, di mostrarsi santi ai suoi occhi, osservando come a lui era consacrata anche una giornata speciale. Infatti è santo il giorno in cui gli uomini devono in maniera particolare coltivare la santità e la religione. Inoltre il Sabato è come un segno e un ricordo commemorativo dell'avvenuta formazione di questo mirabile universo. Di più, fu un segno tramandato alla memoria degli Israeliti perché fossero indotti a ricordare costantemente che l'aiuto di Dio li aveva affrancati dal durissimo giogo del dominio egiziano. Dice infatti il Signore: Ricordati di essere stato schiavo in Egitto e che ti libero di là il Signore Dio tuo con la forza della sua mano e l'intervento del suo braccio. Per questo ti impose di rispettare il Sabato (Dt 5,15).

Infine è il simbolo del Sabato spirituale e di quello celeste. Il Sabato spirituale consiste in un santo e mistico riposo; e si celebra quando, sepolto in Cristo l'uomo vecchio (Rm 6,4), si rinasce a vita nuova e si compiono fervidamente azioni confacenti alla pietà cristiana. Allora, coloro che erano una volta tenebre e ora invece sono luce nel Signore, procederanno sui sentieri della bontà, della giustizia, della verità, come figli della luce, astenendosi dal partecipare alle insane opere delle tenebre (Ep 5,8).

Il Sabato celeste poi, secondo il commento di san Cirillo al passo apostolico: E lasciato un altro sabato al popolo di Dio (He 4,9), consiste in quella vita, nella quale, vivendo con Cristo, godremo di tutti i beni, essendo estirpata ormai ogni radice di peccato, secondo il detto: Non vi saranno leoni, non vi passeranno belve; ma ivi si aprirà una strada pura e santa (Is 25,9). In realtà lo spirito dei santi consegue nella visione di Dio tutti i beni. Si esortino dunque i fedeli e si stimolino con le parole: Affrettiamoci a entrare in quel supremo riposo (He 4,11).

Il popolo Giudaico rispettava, oltre il settimo giorno, anche altri giorni festivi stabiliti dalla Legge, affinché fosse sempre viva la memoria degli insigni benefici ricevuti.

La Chiesa di Dio trasporto la ricorrenza festiva del Sabato alla Domenica; perché in questo giorno, per la prima volta, brillo la luce sul mondo, e in esso, in virtù della risurrezione del Redentore che apri l'adito alla vita eterna, la nostra vita, affrancata dalle tenebre, fu ricondotta nelle regioni della luce. perciò gli Apostoli lo chiamarono giorno del Signore. Già nella Bibbia tale giorno appare solenne, come quello in cui ebbe principio la creazione del mondo, e in cui lo Spirito santo fu infuso negli Apostoli.

Agli inizi della Chiesa e nei tempi susseguenti, gli Apostoli e i nostri santi Padri istituirono altri giorni festivi, affinché alimentassimo sempre la memoria santa dei divini benefici. Fra gli altri sono ritenuti più solenni i giorni che commemorano i misteri della nostra Redenzione; poi quelli consacrati alla santissima Vergine e Madre; infine quelli dedicati agli apostoli, ai martiri, ai santi che regnano con Cristo. Nella vittoria di questi santi rifulge ed è esaltata la potente benevolenza di Dio; ad essi vien tributato onore, anche perché il popolo sia stimolato ad imitarne le virtù.

Al rispetto del comandamento induce pure efficacemente la parte della formula che dice: Lavorerai per sei giorni; il settimo giorno è il Sabato del Signore. Il Parroco perciò deve copiosamente spiegarla. Da quelle parole è lecito desumere che i fedeli devono essere esortati a non trascorrere la loro esistenza nell'ozio; ma al contrario, memori della raccomandazione apostolica, ciascuno compia il suo lavoro con le proprie mani (1Th 4,11 Ep 4,28). Con tale precetto, inoltre il Signore comanda di non rimandare alla domenica nulla di ciò che dobbiamo compiere negli altri giorni, perché lo spirito non sia allontanato nel giorno festivo dalle occupazioni sante.

Quale lavoro è vietato nei giorni festivi.

317. Il Parroco illustrerà poi la terza parte del comandamento, che spiega in qualche modo come si debba rispettare il Sabato, e da quali opere ci dobbiamo astenere. Dice il Signore: In quel giorno non farete nulla: né tu, né tuo figlio, né tua figlia, il tuo servo o la tua serva, il tuo giumento e il tuo ospite che è in casa tua. Con queste parole siamo avvertiti di evitare assolutamente quanto può ostacolare l'esercizio del culto divino. Si intuisce infatti che è vietato ogni genere di lavoro servile, non davvero perché questo sia di natura sua disonorevole e malvagio, ma solo perché ci allontana da quel culto divino che rappresenta lo scopo del precetto. A quanta maggior ragione i fedeli dovranno evitare in quel giorno i peccati, che non solamente distraggono lo spirito dall'esercizio delle cose divine, ma ci separano radicalmente dall'amore di Dio!

Non sono però vietate le azioni che appartengono al culto divino, anche se siano servili; quali apparecchiare l'altare, adornare il tempio per il di festivo, e simili. perciò il Signore ha detto che i sacerdoti possono nel tempio violare il Sabato ed essere senza colpa (Mt 12,5). Neppure si devono ritenere vietate dalla legge quelle azioni la cui sospensione nel giorno festivo può determinare gravi danni. Anche i sacri Canoni lo permettono. Il Signore nel Vangelo dichiaro che molte altre azioni possono compiersi nei giorni di festa, e il Parroco ne troverà agevolmente l'indicazione in san Matteo e in san Giovanni.

Ad ogni modo, perché nulla fosse omesso di tutto ciò che può impedire il rispetto del Sabato, fu menzionato persino il giumento. Anche da questi animali sono impediti gli uomini dall'attendere alla celebrazione del Sabato, poiché se in questo giorno si fa lavorare la bestia da soma, lavorerà anche l'uomo che deve guidarla. Essa non può da sola compiere un lavoro; soltanto aiuta l'uomo nel suo intento. E poiché di festa nessun lavoro è consentito, neppure alla bestia è lecito lavorare, essendo essa cooperatrice docile dell'uomo. Di modo che la legge finisce con l'avere pure un'altra portata; poiché se Dio vuole che l'uomo risparmi gli animali nel lavoro, tanto più vuole che si astenga dall'essere disumano con coloro che hanno posto la loro capacità a suo servizio.

Il Parroco infine non dimentichi di insegnare con cura in quali opere debbano invece trascorrere i cristiani i giorni festivi. Andranno in chiesa per assistere con devota attenzione al sacrificio della santa Messa, partecipare di frequente ai divini sacramenti della Chiesa, istituiti per la nostra salute e per la cura delle nostre ferite spirituali. Nulla può fare di meglio il cristiano che confessare spesso i suoi peccati ai sacerdoti. A tal fine il Parroco esorterà di frequente il popolo, traendo copia di argomenti da quanto è stato detto e stabilito a proposito del sacramento della Penitenza. Né si limiterà a stimolare il popolo ad accostarsi a questo sacramento, ma assiduamente lo spingerà ad avvicinarsi spesso al santo sacramento della Eucaristia.

I fedeli inoltre devono ascoltare con religiosa attenzione la predica. Che cosa di più intollerabile e di più indegno che il disprezzo, o l'indifferenza verso la parola di Gesù Cristo? Infine i fedeli devono esercitarsi nelle preci e nelle lodi divine, ponendo tutte le loro cure nell'apprendere le regole della vita cristiana. Metteranno in pratica premurosamente quei doveri che rientrano nella sfera della pietà, quali l'elemosina ai poveri e ai bisognosi, la visita agli infermi, la consolazione e il conforto agli addolorati. Come dice san Giacomo: La religione pura e immacolata agli occhi di Dio Padre sta qui: visitare gli orfani, e confortare le vedove nei loro affanni (Jc 1,27).

Da quanto abbiamo detto sarà facile desumere quali siano le trasgressioni che si commettono contro questo comandamento.

Ragioni del comandamento.

318. Il Parroco abbia sempre presenti passi autorevoli, da cui attingere argomenti capaci di indurre il popolo ad obbedire scrupolosamente al precetto. Il mezzo più efficace però è che il gregge dei fedeli comprenda bene la giustizia e la ragionevolezza dell'obbligo di dedicare alcuni giorni all'esclusivo culto di Dio, al riconoscimento ed alla religiosa venerazione di nostro Signore, da cui ricevemmo incommensurabili e innumerevoli benefici. Se pure ci avesse comandato di compiere ogni giorno atti di culto religioso verso di lui, non dovremmo alacremente obbedire al suo cenno, in virtù dei suoi infiniti benefici? Invece ha voluto pochi giorni per sé. Potremo dunque essere negligenti nell'assolvere si modesto compito, al quale non possiamo sottrarci senza gravissima colpa?

Mostri poi il Parroco l'intimo valore del comandamento: chi l'osserva coscienziosamente non sembra costituito al cospetto di Dio, in colloquio con lui? In realtà rivolgendo preghiere a Dio ne contempliamo la maestà, parliamo con lui; ascoltando i predicatori, udiamo la voce di Dio, che arriva per loro mezzo alle nostre orecchie, quando trattano piamente delle cose divine; nel sacrificio dell'altare poi adoriamo presente nostro Signore Gesù Cristo.

Di tutti questi beni godono coloro che ubbidiscono al comandamento. Mentre chi lo trascura, è ribelle a Dio e alla Chiesa, sordo al divino comando, realmente nemico di Dio e delle sue sante leggi. Basta riflettere al fatto che tale divino comandamento può essere rispettato senza alcun sacrificio. Dio non ha imposto ardue fatiche da affrontarsi in suo onore: ha voluto semplicemente che trascorressimo i suoi giorni festivi liberi da cure terrene.

Non è dunque indizio di sfrontata temerità il rifiuto di obbedienza? Ricordiamo i terrificanti supplizi a cui Dio sottopose i violatori del comando, quali sono narrati nel libro dei Numeri (15,32). Per non incappare in questa grave offesa di Dio, sarà bene ripetere mentalmente e molto spesso il monito: ricordati; e tenere costantemente dinanzi agli occhi gli insigni vantaggi, che abbiamo mostrato scaturire dal rispetto dei giorni festivi, e tutte quelle argomentazioni, che il pastore zelante saprà ad ogni occasione prospettare e illustrare.

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QUARTO COMANDAMENTO

Onora il padre e la madre, e vivrai a lungo sulla terra che il Signore Dio tuo ti donerà.

Natura ed estensione del comandamento.

319. Sebbene dal punto di vista della dignità e della nobiltà del loro oggetto i precedenti comandamenti siano superiori, quelli che ora incontriamo sono cosi necessari da meritare giustamente di essere trattati subito dopo. Se i primi mirano direttamente al nostro ultimo fine che è Dio, gli altri ci formano all'amore del prossimo, e, sebbene con giro più ampio, ci riconducono anch'essi a Dio, per amore del quale circondiamo di carità il nostro prossimo. Per questo Gesù Cristo defini simili i due precetti dell'amore di Dio e del prossimo (Mt 22,39 Mc 12,31).

E arduo esprimere a parole le ripercussioni beneficile di questa carità del prossimo, che produce frutti abbondanti e squisiti, oltre ad essere segno della pronta obbedienza al primo fondamentale precetto. Dice san Giovanni: Chi non ama il proprio fratello che egli vede sensibilmente, come potrà amare Dio che non vede (1Jn 4 1Jn 20)? Analogamente, se non rispettiamo e non amiamo i genitori, cui dobbiamo secondo Dio tanto ossequio, e ci sono sempre al fianco, quale tributo di onore saremo mai capaci di sciogliere a Dio, sommo e ottimo padre, che sfugge a ogni sensibile percezione? Si capisce dunque la stretta affinità dei due precetti.

L'ambito di questo comandamento è vastissimo. Oltre a coloro che ci generarono, sono parecchi coloro che dobbiamo rispettare come i genitori, a causa della loro autorità, della loro dignità, per i vantaggi che ci arrecano, o l'eminente officio che occupano. Il precetto inoltre facilita il compito dei genitori e, in genere, di tutti i superiori, chiamati a far si che quanti vivono sotto il loro potere si uniformino alla Legge divina. Tutti costoro troveranno la loro missione più agevole, se sarà universalmente e praticamente compreso che, per volere di Dio, si deve tributare il più profondo rispetto ai propri genitori. E, per ottenere tale intento, è necessario conoscere la differenza che sussiste fra i precetti della prima e quelli della seconda tavola.

Differenza dei tre primi precetti dagli altri.

320. perciò il Parroco spieghi al popolo queste verità, ricordando anzi tutto che i precetti del Decalogo furono incisi su due tavole. Nella prima, come apprendiamo dai Santi Padri, erano contenuti i tre già esposti; gli altri erano scolpiti nella seconda tavola. Tale distribuzione ci fu opportunamente proposta affinché l'ordine stesso materiale servisse a distinguere la natura dei precetti. Tutto ciò infatti che nella sacra Scrittura è comandato o vietato da una legge divina, rientra in uno dei due generi di azioni: secondo che vi è incluso l'amore verso Dio o l'amore verso il prossimo. I primi tre comandamenti suesposti inculcano l'amore verso Dio; gli altri sette abbracciano i rapporti sociali fra gli uomini.

Si capisce quindi perfettamente la ragione per cui viene fatta la distinzione, e cosi alcuni comandamenti sono riportati alla prima tavola, gli altri alla seconda. L'argomento soggiacente ai tre primi precetti, di cui abbiamo già parlato, è Dio, vale a dire il sommo bene: per gli altri è il bene del prossimo. Quelli mirano al supremo amore, questi a un amore più vicino; quelli riguardano il fine ultimo, questi i mezzi per raggiungerlo.

Inoltre l'amore di Dio poggia su Dio stesso; Dio infatti deve essere amato in grado sommo, per se stesso, non già a causa di altri. Invece l'amore del prossimo scaturisce dall'amore di Dio, e ad esso va rapportato come ad una regola fissa. Amiamo infatti i genitori, obbediamo ai padroni, rispettiamo i superiori, specialmente perché Dio li creo e volle che fossero costituiti in autorità, perché colla loro opera egli regge e tutela l'umana collettività. Dio impone di prestare ossequio a tali persone; e noi lo prestiamo perché esse ricevono da Dio l'investitura della loro dignità: sicché la deferenza verso i genitori, deve rivolgersi più a Dio che agli uomini.

A proposito della riverenza dovuta ai superiori, in san Matteo si legge: Chi accoglie voi, accoglie me (Mt 10,40). E l'Apostolo nella lettera agli Efesini istruendo i servi ammonisce: O servi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne, temendo e tremando, nella semplicità del vostro cuore, come obbedireste a Gesù Cristo, non adempiendo il vostro dovere per essere visti e bramosi di piacere agli uomini, ma come servi di Gesù Cristo (Ep 6,5).

Occorre inoltre riflettere che non c'è onore, venerazione, o culto prestato a Dio, che possano dirsi degni, potendo l'amore di Dio essere intensificato all'infinito. E necessario perciò che il nostro amore di Dio divenga di giorno in giorno più ardente. Per suo stesso comando dobbiamo amarlo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le nostre forze. L'amore invece con cui abbracciamo il prossimo, ha limiti ben definiti, poiché Dio comanda di amare i nostri fratelli come noi stessi (Mt 22,37 Lc 10,27). Chi travalichi questi confini in modo da amare di un uguale amore Dio e il prossimo, commette in realtà gravissima colpa.

Dice perciò il Signore: Se uno viene da me, e non odia il padre, la madre la moglie, i figliuoli, i fratelli, le sorelle, e perfino la sua vita, non può essere mio discepolo (Lc 14,26). Col medesimo spirito è stato pure ingiunto: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Lc 9,60). Cosi disse Gesù a un tale che mostro desiderio di volere prima sotterrare il proprio padre e poi seguire il Signore. Più esplicita spiegazione di questa differenza è in san Matteo: Chi ama suo padre o sua madre più di me, non è degno di me (Mt 10,37). Eppure non può cadere dubbio sul dovere di amare e rispettare profondamente i propri genitori. Ma perché sussista la vera pietà, occorre che il più eminente onore e culto sia tributato a Dio, padre e causa di tutto. Di modo che i genitori mortali devono essere amati in maniera tale che tutta l'intrinseca forza dell'amore sia rivolta al Padre celeste ed eterno; e qualora i comandi paterni siano in contrasto con i comandamenti di Dio, i figli antepongano senza esitazione la volontà divina al volere dei genitori, memori del motto divino: Occorre obbedire a Dio prima che agli uomini (Ac 5,29).

Il significato della parola onorare.

321. Proseguendo, il Parroco spiegherà le parole del comandamento e innanzi tutto il significato del vocabolo onorare. Esso significa nutrire verso qualcuno un elevato concetto e fare il massimo conto di tutto ciò che gli appartiene. In tale onore sono conglobati l'amore, l'ossequio, l'obbedienza, la riverenza. A ragion veduta, nella formula del comandamento è inserita la parola onore, anziché quella di amore o di timore, sebbene i genitori debbano pure essere vivamente amati e temuti. Chi ama, infatti, non sempre ossequia e obbedisce; e chi teme, non sempre ama; invece quando si onora qualcuno schiettamente, lo si ama e lo si rispetta.

Premesso cio, il Parroco tratterà dei genitori, mostrando chi siano coloro che vanno sotto questo nome. Sebbene la legge alluda prevalentemente a quei genitori da cui abbiamo tratto la vita, tuttavia l'appellativo spetta anche ad altri, contemplati parimente dalla Legge, com'è facile arguire da molti passi scritturali.

Oltre ai nostri genitori, compaiono nelle sacre Scritture altre categorie di padri, a ciascuno dei quali è dovuto il debito onore. Innanzi tutto sono chiamati padri i Reggitori, i Pastori, i Sacerdoti della Chiesa, come risulta dall'Apostolo, che scrive ai Corinzi: Non vi dico ciò per mortificarvi, ma vi ammonisco quali figli diletti. Anche se avete avuto diecimila pedagoghi in Gesù Cristo, non avete avuto molti padri. Io solo vi ho generato in Gesù Cristo, mediante il vangelo (1Co 4,14). E nell'Ecclesiastico sta scritto: Sciogliamo lodi ai personaggi gloriosi, ai nostri padri nella loro generazione (Si 44,1).

Son detti, in secondo luogo, padri coloro che sono rivestiti di comando, di autorità giudiziaria, di potere, e governano quindi lo Stato. Naaman, per esempio, è chiamato padre dai servi (2R 5,13).

Inoltre diamo il nome di padri a coloro, la cui tutela, cura, e saggia probità costituiscono garanzia per altri. Tali appaiono i tutori, i curatori, i pedagoghi, i maestri. Cosi i figli dei profeti chiamavano padri Elia ed Eliseo (2R 2,12 2R 13,14).

Infine, nominiamo padri i vecchi e gli avanzati in età, a cui pure dobbiamo riverente ossequio.

Nelle sue ammonizioni il Parroco insista molto sul dovere di onorare i padri di ogni genere, ma soprattutto coloro che ci han dato la vita. Ad essi allude particolarmente la Legge divina, essendo essi per dir cosi, un'immagine del Dio immortale, e offrendoci il segno della nostra origine. Ne ricevemmo la vita; se ne servi Dio per infonderci lo spirito immortale; ci trassero ai sacramenti, ci educarono alla religione, alla cultura, alla vita civile, alla integrità santa dei costumi.

Il Parroco spiegherà in seguito come il termine madre sia qui giustamente menzionato, perché siano da noi apprezzati i benefici e i titoli di merito della madre nostra, ricordando la trepidante cura con cui ci porto nel grembo, e il travaglio penoso con cui ci diede alla luce e ci educo.

Amore verso i genitori.

322. Il nostro contegno verso i genitori deve essere tale che l'onore loro tributato appaia scaturito dall'amore e dall'intimo sentimento dell'animo. Tutto ciò per stretto dovere di reciprocità, poiché essi nutrono tali sentimenti verso di noi che non rifuggono da nessuna fatica, disagio, e rischio per il nostro bene; e nulla arreca loro più letizia dell'affetto intimo dei figli diletti. Giuseppe, costituito in Egitto in posizione affine a quella del re per dignità e potere, accolse con ogni manifestazione di ossequio il padre venuto in Egitto (Gn 46,29); e Salomone si fece incontro alla madre che sopraggiungeva, ossequiandola e collocandola alla sua destra nel trono reale (1R 2,19).

Vi sono altre maniere di manifestare il rispetto dovuto ai genitori. Li onoriamo infatti anche quando imploriamo da Dio che conceda loro prosperità in ogni evento, li faccia rispettati e accetti fra gli uomini, e li renda degni del suo compiacimento e di quello di tutta la corte celeste.

Slmilmente prestiamo ossequio ai genitori, subordinando il nostro parere alla loro volontà e al loro giudizio. Ce ne ammonisce Salomone: Presta ascolto, figlio mio, all'autorità di tuo padre e non dimenticare i precetti della madre tua; si aggiungerà cosi grazia al tuo capo, e una collana al tuo collo (Pr 1,8). Fanno eco le esortazioni di san Paolo: O figli, obbedite nel Signore ai vostri genitori, com'è giusto (Ep 6,1). E altrove: Figli, obbedite sempre ai vostri genitori, come piace al Signore (Col 3,20). Confermano gli esempi dei santi: Isacco, tratto legato al sacrificio, obbedisce umilmente senza protestare (Gn 12,9); i Recabiti, per non trasgredire il consiglio paterno, si astennero per sempre dal vino (Jr 35,6).

Onoriamo pure i nostri genitori imitandone le buone azioni e i retti costumi: equivale a esprimere loro il più alto senso di ossequio, cercare di imitarli quanto più è possibile. E li onoriamo ancora, non solo ricercandone, ma attuandone i consigli.

Li onoriamo anche provvedendo tutto ciò che il loro mantenimento e il benessere esigono. Lo prova la testimonianza esplicita di G. Cristo, che, rimproverando ai Farisei la loro empietà, esclama: E perché anche voi trasgredite il comando di Dio in grazia della vostra tradizione? Dio infatti ha detto: Onora il padre e la madre; e: Chi maledirà il padre o la madre, sia punito di morte. Voi altri invece dite: Chiunque dica al padre o alla madre: Sia offerta di sacrificio quello con cui potrei aiutarti, non è più obbligato a onorare il padre o la madre; e cosi con la vostra tradizione avete annientato il comandamento di Dio (Mt 15,3).

Che se dobbiamo assolvere il nostro obbligo di rispetto verso i genitori in ogni momento, il dovere si fa più urgente in occasione delle loro gravi infermità. Cureremo allora che non tralascino nulla di quanto spetta alla confessione dei peccati e agli altri sacramenti necessari al Cristiano, mentre la morte si approssima. E faremo di tutto perché possano vedere di frequente persone pie e religiose, capaci di sostenerne e corroborarne col consiglio la debolezza, o di indirizzarne i buoni sentimenti verso la speranza dell'immortalità. Sottratto cosi lo spirito a ogni preoccupazione umana, tutto lo rivolgano a Dio, e in mezzo al corteggio beatissimo della fede, della speranza e della carità, muniti di tutti i conforti religiosi, non riterranno ormai temibile la morte, dal momento che è necessaria, ma anzi desiderabile, in quanto schiude l'adito all'eternità.

Infine può rendersi onore ai genitori anche dopo che sono trapassati, curandone i funerali, preparandone le esequie, dando loro conveniente sepoltura, provvedendo alla celebrazione degli anniversari, adempiendone regolarmente la volontà testamentaria.

L'onore ai prelati e ai principi.

323. Meritano la nostra riverenza, oltre ai nostri genitori, anche gli altri che portano il nome di padri. Tali sono i Vescovi, i Sacerdoti, i Re, i principi, i magistrati, i tutori, i curatori, i maestri, i pedagoghi, i vecchi, e altri. Tutto costoro sono degni di ricevere, sebbene in varia misura, qualche tributo del nostro affetto, della nostra obbedienza e delle nostre sostanze.

Sta scritto a proposito dei Vescovi e degli altri Pastori: I Sacerdoti che adempiono degnamente il loro ministero, siano ritenuti meritevoli di un duplice onore, specialmente coloro che si distinguono nel ministero della parola e nella dottrina (1Tm 5,17). Quante prove di attaccamento non diedero i Galati all'Apostolo? Egli ne da loro testimonianza palmare, ispirata a benevolenza: Riconosco che, se fosse stato possibile, voi vi sareste strappati gli occhi per darmeli (Ga 4,15).

Ai Sacerdoti devono essere fornite le risorse necessarie al sostentamento della vita. Onde l'Apostolo chiede: Chi ha mai portato le armi a proprie spese? (1Co 9,7). E nell'Ecclesiastico è detto: Rispetta i Sacerdoti. Da ad essi la parte loro, come t'è stato comandato: le primizie e (la vittima) d'espiazione (Si 7,31). Anche l'Apostolo insegna che si deve loro obbedire: Siate sottomessi ai vostri superiori ed eseguitene i comandi. Essi vigilano, essendo tenuti a rendere ragione delle anime vostre (He 13,17). Anzi, da nostro Signore Gesù Cristo è stato esplicitamente dichiarato che dobbiamo sottostare ai Pastori, anche se malvagi: Sulla cattedra di Mosè si assisero gli scribi e i farisei. Osservate e fate pertanto ciò che vi diranno; ma non fate secondo le opere loro: che dicono e non fanno (Mt 23,2).

Lo stesso dicasi a proposito dei Re, dei principi, dei magistrati, di tutto coloro insomma al cui potere siamo soggetti. L'Apostolo, nella lettera ai Romani, spiega ampiamente quale genere di rispetto, di ossequio e di sudditanza debba essere loro prestato (Rm 13,1); inculca anche di pregare per loro (1Tm 2,2). San Pietro raccomanda: Siate sottomessi ad ogni creatura umana, in vista di Dio: cosi al Re, quale sovrano, come ai subalterni, quali suoi delegati (1P 2,13). In verità l'ossequio che tributiamo loro va riferito a Dio. Infatti l'eminente grado della dignità esige rispetto dagli uomini, perché implica un'analogia col potere divino. Rispettandolo, del resto, veneriamo la provvidenza di Dio, che conferisce ai dignitari la funzione pubblica, e di essi si serve come di delegati della propria potestà.

Qualora i magistrati si riveliho malvagi ed empi, noi non onoriamo i loro vizi, ma l'autorità divina che è in essi. Potrà forse apparire cosa incredibile, ma è pur vero che per quanto siano implacabilmente ostili a noi, non possiamo trovare in questo fatto una ragione sufficiente per negare ossequio a coloro che sono costituiti in autorità. Sappiamo dei servizi prestati da David a Saul, sebbene a lui inimicissimo, onde poteva esclamare: Mi mostrai pacifico verso coloro che odiavano la pace (Ps 119,7). Qualora però comandino cosa malvagia e iniqua, tralasceremo di prestar loro ascolto; perché allora non parlano più in virtù di un potere legittimo, ma in base a un titolo ingiusto e a una perversione dell'animo.

Premio spettante a chi osserva questo comandamento.

324. Spiegato minutamente tutto questo, il Parroco mostri quale premio sia riservato a coloro che obbediscono a questo divino precetto. Il suo frutto più notevole è che vivranno a lungo; poiché in verità sono degni di godere quanto più a lungo è possibile di tale beneficio coloro che ne conservano perenne memoria. Ora, chi onora i propri genitori mostra gratitudine per la vita e l'educazione ricevuta; è giusto dunque e conveniente che viva fino alla più tarda vecchiaia.

Si aggiunga quell'insigne spiegazione della divina promessa, la quale garantisce non solo il godimento della vita eterna beata, ma anche di questa vita terrena. Dice infatti san Paolo: La pietà giova a tutto, comprendendo in sé la promessa della vita presente e della futura (1Tm 4,8). Né si tratta di un compenso tenue e spregevole; sebbene a uomini ricolmi di santità, quali Gb David, Paolo, la morte sia apparsa desiderabile, e per uomini piombati nella miseria e nei dolori il prolungamento della vita non rappresenti una gioia. Poiché la clausola che dilucida quelle parole: " La vita che il Signore ti donerà ", promette evidentemente non solo prolungamento dell'esistenza, ma anche serenità e tranquilla incolumità di vita. Nel Deuteronomio infatti alle parole: affinché tu campi lungo tempo, sono aggiunte le altre: affinché tutto avvenga per te favorevolmente (Dt 5,16); parole che sono poi ripetute dall'Apostolo (Ep 6,3).

Noi affermiamo che cotesti beni sono il sovrappiù, per coloro la cui pietà viene ricompensata da Dio. Se cosi non fosse, la promessa divina non sarebbe costantemente fedele, poiché talora è più breve l'esistenza di coloro che dimostrano più profonda riverenza verso i loro genitori. ciò può accadere per molte ragioni. può essere innanzi tutto provvidenziale per essi uscir di vita prima di abbandonare il sentiero della virtù e della rettitudine religiosa. Alcuni possono essere sottratti al mondo, affinché il male non faccia deviare il loro intelletto e la seduzione non affascini il loro spirito (Sg 4,10). Altri possono essere strappati al corpo quando sia imminente uno sconvolgimento generale delle cose, sicché sfuggano la sventura dei tempi. Dice infatti il profeta: Dal volto del male è stato allontanato il giusto (Is 57,1). In tal caso si evita il rischio della loro virtù e della loro salvezza, quando la giustizia e il castigo sono esercitati da Dio sui mortali; o si risparmia loro l'amarissimo lutto del cuore di fronte alle disgrazie dei parenti e degli amici.

Sicché dovremmo molto temere quando accade che i buoni muoiano innanzi tempo.

Castigo che attende i trasgressori.

325. D'altro canto, se su coloro che sono riconoscenti verso i propri genitori piovono le ricompense di Dio, fierissimi castighi sono riservati ai figli snaturati ed ingrati. Sta scritto: Chi avrà lanciato imprecazioni a suo padre e a sua madre, morrà di morte violenta (Ex 21,17 Lv 20,9); Chi rattrista suo padre e scaccia sua madre, è un essere obbrobrioso e disgraziato (Pr 19,26); La lucerna di colui che avrà bistrattato suo padre o sua madre si spegnerà nel più folto delle tenebre (Pr 20,20); L'occhio di colui che sogghigna a suo padre e irride al parto della madre sua, sia scavato dai corvi dei torrenti e divorato dai figli dell'aquila (Pr 30,17). Leggiamo nella sacra Scrittura che molti recarono offesa ai loro genitori, ma leggiamo pure che l'ira di Dio infieri per trame vendetta; egli non lascio David invendicato, ma alla scelleratezza di Assalonne impose il dovuto castigo, punendolo, a causa del suo peccato, con tre colpi di lancia (2S 18,14). A proposito poi di chi rifiuta ossequio ai Sacerdoti è scritto: Chi superbamente rifiuterà ossequio al precetto del sacerdote in funzione, o alla sentenza del giudice, morrà (Dt 17,12).

Doveri dei genitori verso i figli.

326. La Legge divina che ha sancito l'ossequio filiale e l'obbedienza verso i genitori, ha pure stabilito i doveri e le mansioni proprie dei genitori. Ad essi impone inculcare nei figliuoli le discipline sante e i costumi integri, di suggerire loro i sani precetti del vivere, affinché, religiosamente istruiti, onorino piamente e indefettibilmente Dio, come leggiamo essere stato fatto dai genitori di Susanna (Da 13,3).

perciò il Sacerdote ammonirà i genitori di mostrarsi ai figli quali maestri di virtù, di equità, di continenza, di modestia e di pietà. Dovranno in modo speciale evitare tre scogli su cui è più facile incappare. Innanzi tutto si asterranno dal parlare e comandare ai figliuoli con asprezza; lo dice l'Apostolo nella lettera ai Colossesi: O padri, non vogliate provocare a sdegno i vostri figli, perché non si avviliscano (Col 3,21). C'è pericolo che, temendo di tutto, acquistino una natura fragile e pusillanime. Raccomanderà percio che, evitando l'eccessiva severità, preferiscano correggere anziché punire i propri figliuoli. D'altra parte, qualora sia stata commessa una colpa e siano quindi necessari la riprensione e il castigo, non siano stimolati a transigere da eccessiva indulgenza. Spesso infatti accade che i figli siano sciupati dalla esagerata mitezza dei genitori. Da cosi malsana indulgenza allontani l'esempio di Eli, sommo sacerdote, il quale, essendo stato troppo debole con la propria figliuolanza, incontro l'estremo castigo (1S 4,18).

Infine badino bene i genitori a non vagheggiare, cosa orribile, intenti volgari nella educazione e istruzione dei figli. Ci sono molti che pensano ad una cosa sola: lasciare ai figli sostanze abbondanti, un pingue e vistoso patrimonio, ed esortano i loro rampolli non già alla religione, alla pietà, alla regola delle sante virtù, bensi all'avarizia e all'aumento dei beni di famiglia. Costoro non si preoccupano della buona fama e della salvezza dei figli, ma solo badano a che siano sempre più ricchi. Si può immaginare un programma più turpe? Finiscono cosi col lasciare ai figli non solo una eredità cospicua, ma anche un pesante fardello di colpe e di nefandezze, che li fa essere non guide al cielo, ma pessimi iniziatori all'eterno supplizio dell'inferno.

Il Parroco con sapienti consigli istruisca i genitori, stimolandoli a imitare il virtuoso esempio di Tobia (Tb 4). Se avranno educato i figli al culto divino e alla santità, ne riceveranno in cambio frutti copiosi di amore, di rispetto e di ossequio.


Catechismo Tridentino 3300