Catechismo Tridentino 4100

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PRIMA DOMANDA Sia santificato il tuo nome.

L'ordine della preghiera segue l'ordine della carità.

375. Il Maestro e Signore di tutti ha insegnato e prescritto che cosa dobbiamo chiedere a Dio, e quale deve essere l'ordine da seguire. Se infatti la preghiera deve esprimere e interpretare il nostro amore e i nostri desideri, allora solo sarà conveniente e ragionevole quando l'ordine delle nostre domande seguirà l'ordine medesimo delle cose che dobbiamo chiedere. Ora, la carità ci insegna che dobbiamo rivolgere a Dio tutto lo slancio del cuore. Dio, unico sommo bene per se stesso, si deve amare di un amore del tutto particolare, superiore a qualunque altro. Ma non si amerà Dio con tutta l'anima e in maniera unica, se alle cose e a tutti i beni naturali non si antepongano l'onore e la gloria sua; i beni, nostri o altrui e tutte le cose che siamo soliti designare col nome di beni, cedono davanti al sommo Bene, siccome derivanti da lui. Dunque, perché la preghiera proceda con ordine, il Salvatore ha disposto che la richiesta del sommo Bene sia la prima e la principale delle nostre domande, insegnandoci come noi, prima di chiedere il necessario per noi o per il prossimo, dobbiamo domandare le cose richieste dalla gloria di Dio, e manifestare a Dio medesimo il nostro ardente desiderio di esse. In questo modo restiamo nell'esercizio della carità, la quale ci ammaestra ad amare Dio più di noi stessi, a chiedere prima ciò che desideriamo per Dio, e soltanto dopo quello che vogliamo per noi.

A Dio non possiamo desiderare altro che beni esteriori a Lui.

376. E certo che non si può desiderare e domandare se non ciò di cui siamo privi; ma d'altra parte niente si può aggiungere a Dio, cioè alla sua essenza, o aumentare in modo alcuno la sostanza divina, che in sé racchiude tutte le perfezioni in modo ineffabile; è chiaro quindi che si trovano fuori di lui quelle cose che per Dio chiediamo a Dio medesimo, e non riguardano che la sua gloria esteriore. Cosi chiediamo e desideriamo che il nome di Dio si diffonda sempre più tra le genti, si estenda il suo regno, e che si moltiplichino ogni giorno quanti si sottomettano alla sua volontà. Ora, queste tre cose: il NOME, il regno, l'obedienza, non costituiscono l'essenza di Dio, ma le convengono estrinsecamente. A far meglio comprendere tutta la forza e l'efficacia di queste preghiere, sarà compito del Pastore spiegare al popolo fedele che le parole: " Cosi in cielo come in terra ", si possano riferire a ognuna delle tre prime domande: Sia santificato il nome tuo come in cielo cosi in terra; - Venga il regno tuo come in cielo cosi in terra; - Sia fatta la tua volontà come in cielo cosi in terra.

Quando chiediamo che sia santificato il nome di Dio, intendiamo che venga esaltata la santità e la gloria del nome divino. E qui il Parroco farà osservare e spiegherà ai pii ascoltatori che il Salvatore disse ciò non perché Dio sia santificato allo stesso modo in cielo e sulla terra, quasi cioè, che la santificazione terrestre eguagli in ampiezza quella celeste, cosa che non può affatto avvenire; ma intese dire che la santificazione si compia con la carità e con intimo impulso dell'animo, per quanto sia vero, com'è realmente, che il nome divino non ha per se stesso bisogno di essere santificato, essendo di per sé santo e terribile (Ps 110,9) com'è santo per sua essenza Dio medesimo, si che nessuna santità gli può venire attribuita, che egli non abbia già avuto da tutta l'eternità. Tuttavia, noi desideriamo e facciamo domande per l'onore che gli viene tributato sulla terra, minore spesso di quello che gli spetta, per gli oltraggi a lui fatti, non di rado, con parole blasfeme e ingiuriose, e che la sua gloria venga esaltata con lodi e con onore, sull'esempio delle lodi, dell'onore e della gloria tributatigli in cielo. Si faccia in modo, insomma, che onore e culto siano nel pensiero nostro, nel cuore e sulle labbra, sicché l'onoriamo con venerazione intcriore ed esterna; e cosi circondiamo di eccelsa lode, seguendo l'esempio degli abitanti dei cieli, il nostro Dio, sublime, puro, glorioso.

Come i celesti, con magnifico consenso di lodi, esaltano Dio nella sua gloria, cosi preghiamo che lo stesso avvenga su tutta la terra, e che tutti riconoscano Dio, lo adorino, lo servano; né si trovi più alcuno tra i mortali che non abbia abbracciato la religione cristiana; ma tutti, dedicandosi a Dio, riconoscano che solo da lui si alimenta ogni fonte di santità, perché nulla vi è di puro e di santo che non provenga dalla santità del nome divino.

L'Apostolo, infatti, afferma che la Chiesa si è purificata col lavacro dell'acqua, nella parola della vita (Ep 5,26), che è il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, nel quale noi fummo battezzati e santificati. Poiché dunque non può esserci né espiazione, né purezza, né santità per colui sul quale non sia stato invocato il nome di Dio, noi desideriamo e invochiamo da Lui che tutto il genere umano, sottraendosi alle tenebre della impura infedeltà e illuminandosi dei raggi della luce divina, conosca la forza di questo nome, si che in esso ricerchi la vera santità, e nel nome della santa e individua Trinità, prendendo il sacramento del battesimo, ottenga la pienezza della santità dalla mano di Dio medesimo.

Nei nostri desideri e nelle nostre preghiere pensiamo anche a coloro che, macchiati di disordini e delitti, hanno perduto la pura santità del battesimo e la veste dell'innocenza; onde avviene che in questi miseri ha di nuovo posto la sua sede lo spirito impuro. Desideriamo, adunque, e invochiamo da Dio, che anche in loro venga santificato il suo nome, si che tornando in sé stessi, riscattino col sacramento della penitenza la loro purezza primitiva, e si presentino a Dio quali templi e sede di santità e d'innocenza.

Noi preghiamo ancora che Dio infonda la sua luce in tutte le menti, sicché tutti possano vedere che ogni ottimo bene, ogni perfetto dono viene dal Padre della luce (Jc 1,17) ed è a noi dato per volontà divina; cosicché tutto (cioè la temperanza, la giustizia, la vita, la salute) tutti i beni dell'anima e del corpo, quelli esterni, quelli riguardanti la vita e quelli che riguardano la salute, si riferisca a Colui, dal quale tutti provengono, come insegna la Chiesa. Se servono in qualche modo agli uomini il sole con la sua luce, le altre stelle col loro movimento e le loro rivoluzioni; se l'aria circostante ci mantiene in vita e la terra ci sostiene con la sua fecondità col produrre biade e frutti; se noi, per l'opera dei magistrati, godiamo quiete e tranquillità: ebbene, tutti questi e innumerevoli altri doni sono dovuti all'immensa bontà di Dio che ce li elargisce. Quelle cause stesse che i filosofi chiamano seconde, noi dobbiamo intenderle quali mani mirabilmente create da Dio e fatte servire alle nostre necessità; mani per le quali egli ci distribuisce i suoi beni e li profonde ovunque abbondantemente.

Di somma importanza in questa preghiera è che tutti riconoscano e venerino la santissima sposa di Gesù Cristo, la Chiesa madre nostra; poiché, per lavare ed espiare tutte le sozzure dei nostri peccati, solo in essa troviamo la fonte abbondantissima ed inesauribile, dalla quale scaturiscono tutti i sacramenti della salute e della santificazione. Da questi sacramenti, come per altrettanti canali, Dio fa scorrere su noi la rugiada e l'acqua dell'innocenza; inoltre, essa soltanto, con quanti abbraccia al suo seno, può implorare il suo nome divino, il solo dato agli uomini sotto il cielo, nel quale possiamo salvarci (Ac 4,12).

Il nome di Dio deve essere santificato con la vita santa dei Cristiani.

311. I Parroci devono insistere molto su questo punto: che il figlio buono non prega Dio soltanto a parole; ma con la condotta, e con la propria azione fa si che in se stesso risplenda la santificazione del nome di Dio. Volesse Iddio che non ci fossero di quelli i quali, mentre chiedono continuamente con preghiere questa santificazione del nome divino, poi la violano con le loro azioni e la insozzano quanto più possono, si che per colpa loro, qualche volta, perfino Dio è maledetto.

Contro tali uomini disse l'Apostolo: Per colpa vostra si bestemmia il nome di Dio tra le genti (Rm 2,24). E in Ezechiele si legge: Sono entrati tra le genti, e hanno profanato il mio santo nome, facendo dire di sé: Questi sono il popolo del Signore, e sono usciti dalla sua terra (Ez 36,20). Poiché dalla vita e dai costumi di quelli che professano una religione, le folle ignoranti giudicano della religione medesima e dell'Autore di essa.

Ma quelli che vivono secondo la religione di Cristo, da essi abbracciata, e conformano alla sua regola la preghiera e le azioni, offrono agli altri grande argomento di render lode al nome santo del Padre celeste e di celebrarlo con ogni onore e gloria. Poiché a noi il Signore ha imposto di eccitare gli uomini con splendide azioni di virtù, alla lode e alla celebrazione del nome divino. Per noi è stato detto dall'evangelista: Risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il vostro Padre che è nei deli (Mt 5,17). E il Principe degli apostoli scrive: Conducete una vita onesta tra i Gentili, sicché essi, giudicandovi dalle vostre opere, rendano gloria a Dio (1P 2,12).

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SECONDA DOMANDA Venga il tuo regno.

Il regno di Dio è il fine di tutto il Vangelo.

378. Tale è il regno di Dio, che noi chiediamo in questa seconda domanda, che ad esso mira e in esso ha il suo scopo ultimo tutta la predicazione del vangelo. Per esso san Giovanni Battista incomincio ad esortare alla penitenza quando disse: Fate penitenza, che il regno dei cieli è vicino (Mt 3,2), né con altro argomento inizio l'opera della sua predicazione il Salvatore del genere umano (Mt 4,17). In quel discorso salutare col quale, sul la montagna, mostro ai discepoli la via della beatitudine, egli prese inizio dal regno dei cieli, quale argomento fondamentale del discorso stesso: Beati i poveri in spirito, perché di questi è il regno de' cieli (Mt 5,3).

E a quelli che cercavano di trattenerlo presso di loro, diede questa risposta come ragione della sua partenza: E necessario che io annunzi anche alle altre città il regno di Dio, essendo stato mandato per questo (Lc 4,43). Più tardi, ordino agli Apostoli di predicare questo medesimo regno (Mt 10,7); e a colui che voleva andare a seppellire il padre morto rispondeva: Tu va e annunzia il regno di Dio (Lc 9,60). Risorto, poi, per tutti quei quaranta giorni che si mostro agli Apostoli, parlo sempre del regno di Dio (Ac 1,3).

Efficacia della domanda .

379. I Parroci svolgano con ogni cura questa seconda domanda, si che i fedeli ne capiscano tutto il valore e la necessità.

A spiegarla lucidamente e con profitto sarà loro di valido aiuto la considerazione che, per quanto questa preghiera sia implicita in tutte le altre, tuttavia Dio ha ordinato di farla anche separatamente, affinché noi cercassimo con grande zelo quanto chiediamo. Difatti egli ha detto: Cercate in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia; e avrete di soprappiù tutte queste cose (Mt 6,33). Tanto grandi sono il valore e l'abbondanza dei beni celesti, espressi con questa preghiera, da comprendere tutte le cose necessarie alla vita materiale e spirituale. Diremmo noi forse degno del nome di re quel monarca che non cura il bene dello Stato? Ora, se un monarca terreno è geloso della prosperità del suo regno, quanta cura e quanta provvidenza non dobbiamo noi credere che abbia il Re dei re di conservare la vita e la salute degli uomini? perciò in questa domanda del regno di Dio sono compresi tutti i beni, dei quali maggiormente abbiamo bisogno nel nostro pellegrinaggio in questo esilio, e che Dio nella sua misericordia promette di concedere, quando subito soggiunge: E avrete in soprappiù tutte queste cose. Con queste ultime parole egli dimostra di essere il re che abbondantemente e largamente profonde ogni bene al genere umano.

Pensando alla sua infinita bontà, David di lui canto:Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla (Ps 22,1). Ma è assolutamente insufficiente invocare con ardore il regno di Dio, se insieme alla preghiera non adoperiamo i mezzi che ci aiutano a cercarlo e a trovarlo. Anche le cinque vergini stolte chiesero con ardore: Signore, Signore, aprici (Mt 25,21); ma non avendo il sostegno necessario alla loro richiesta, rimasero fuori. E giustamente, poiché dalle labbra di Dio era uscita la sentenza: Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno deicieli (Mt 7,11).

Necessità della domanda.

380. I Sacerdoti, che hanno la cura delle anime, attingeranno alle ricchissime fonti della sacra Scrittura gli argomenti per eccitare nei fedeli il desiderio e l'ardente ricerca del regno dei cieli. Espongano ai loro occhi le misere condizioni del nostro stato, li impressionino in modo che essi, raccogliendosi in se stessi ed esaminandosi, ricordino la somma beatitudine e i beni ineffabili, dei quali è piena la casa eterna di Dio padre nostro. Noi infatti siamo degli esuli, e in verità abitiamo un luogo dove hanno sede i demoni, il cui odio verso di noi è impossibile a mitigarsi, implacabilmente ostili come sono al genere umano. E che cosa non sono le lotte intime che hanno tra loro, senza posa, il corpo e l'anima, la carne e lo spirito? (Ga 5,17). Non temiamo noi sempre di dover soccombere? E non solo temiamo, che anzi soccomberemmo subito se non fossimo sorretti e difesi dalla mano di Dio. L'Apostolo sentiva tutta la miseria di questa vita quando scriveva: Misero me! chi mi libererà da questo corpo di morte? (Rm 7,24).

L'infelicità della nostra natura, per quanto grande possa apparire, risalta maggiormente se si confronta con la condizione di tutti gli altri esseri e delle cose create. Tra essi, anche se privi di ragione e perfino di sentimento, raramente avviene che qualcuno devii dalle proprie azioni, dal sentire e dai movimenti suoi propri, si da allontanarsi dal fine assegnato; e ciò è cosi evidente per gli animali tutti, per esempio, per i pesci, per gli uccelli, che riuscirebbe inutile qualunque dimostrazione. Che se tu guardi al cielo, ti apparirà verissimo ciò che disse David: In eterno, o Signore, permarrà in cielo la tua parola (Ps 118,89). Il cielo difatti è in continuo moto, in rivoluzione perpetua, ma nessun astro si può allontanare di una linea dalla via segnata dal volere divino. Se consideri la terra e il rimanente universo, ti accorgerai subito che di poco o nulla vadano deperendo.

La misera umanità, invece, è quella che molto spesso cade; essa ben di rado prosegue in ciò che ha pensato rettamente; il più delle volte rigetta e disprezza le buone azioni intraprese; non appena ha secondato una buona idea, subito se ne pente e la rigetta; e una volta rigettatala, si lascia andare alle deliberazioni più abiette e dannose. Ma qual'è, dunque, la causa di questa incostanza e di questa miseria? Certamente è il disprezzo delle ispirazioni divine. Noi chiudiamo le orecchie ai moniti di Dio, non vogliamo sollevare lo sguardo a quella luce che Dio ci manda, né prestare ascolto agli insegnamenti che, per la nostra salvezza, ci da il Padre celeste.

Di qui nasce per i Parroci il dovere di svelare al popolo fedele tutta l'umana miseria, di elencarne le cause, di mostrare l'efficacia potente dei rimedi. Né mancherà loro la possibilità di adempiere a tanto dovere, se attingeranno da autori cosi santi quali Giovanni Crisostomo e Agostino, e specialmente a quello che noi stessi abbiamo detto spiegando il Simbolo.

Chi sarà, tra i facinorosi, colui che quando gli siano fatte conoscere queste verità, non si sforzerà, con l'aiuto della grazia proveniente da Dio, di rianimarsi, e di alzarsi sull'esempio del figlici prodigo del Vangelo, per venire al cospetto del suo Re celeste e padre? (Lc 15,11).

Il regno di Dio è il suo potere universale e la sua provvidenza.

381. Spiegato cosi quanto sia utile ai fedeli questa preghiera, i Parroci facciano vedere in che cosa più precisamente consista ciò che noi chiediamo a Dio, poiché le parole Regno di Dio significano molte cose, la cui spiegazione riuscirà utile per capire tutta la rimanente Scrittura, mentre è necessaria alla conoscenza di questo passo.

Il senso dunque più comune di Regno di Dio che ricorre di frequente nella sacra Scrittura, è quello che non solo indica il potere di Dio su tutti gli uomini e le cose, ma anche la provvidenza che tutto regola e governa: Nelle sue mani, dice il Profeta, tiene la terra in tutta la sua estensione (Ps 94,4). E in questa estensione è compreso tutto ciò che, nascosto nelle profondità della terra e in tutte le parti del creato, si tiene celato a noi. ciò intendeva Mardocheo quando diceva: Signore, Signore, re onnipotente, tutte le cose sono poste sotto la tua signoria, e non v'è chi possa opporsi alla tua volontà; sei tu Signore di tutti e non v'è chi possa resistere alla tua maestà (Est 13,9).

Con le parole Regno di Dio s'intende ancora la provvidenza particolare con cui Dio custodisce e vigila sugli uomini pii e i santi; provvidenza e cura esimia, per le quali David disse: Poiché Dio mi governa, nulla mi potrà mancare (Ps 22,1), ed Isaia: Il Signore è nostro re: egli ci salverà (Is 33,22).

Il regno di Dio non è di questo mondo.

382. Sebbene già sulla terra vivano sotto questo regio potere di Dio gli uomini che chiamiamo pii e santi, tuttavia Cristo Signore disse a Pilato che il suo regno non è di questo mondo (Jn 18,36); cioè non ha la sua origine in questo mondo, il quale fu creato ed avrà una fine. Abbiamo detto in che modo dominano imperatori, re, repubbliche, duchi, e tutti quelli che, per desiderio o elezione degli uomini, stanno a capo del governo nelle città e nelle provincie, oppure con la violenza e l'ingiustizia si impadronirono del potere. Ma Cristo Signore fu fatto Re da Dio, come dice il Profeta (Ps 2,6); e il suo regno, secondo il detto dell'Apostolo, è il regno della giustizia; dice infatti: Il regno di Dio è giustizia, pace e gaudio nello Spirito santo (Rm 14,15).

Cristo regna in noi con le intime virtù della fede, della speranza, e della carità; per queste virtù noi siamo in certo modo chiamati a partecipare al regno. Essendo soggetti in modo particolare a Dio, siamo consacrati al suo culto e alla sua venerazione, tanto che l'Apostolo dice: Vivo io, ma piuttosto non io; vive in me Cristo (Ga 2,20). Anche a noi sarà lecito di dire: Io regno, ma, piuttosto, non sono io: regna in me Cristo.

Questo regno si chiama giustizia, poiché esso è fatto della giustizia di Cristo Signore. Di questo stesso regno dice il Signore in san Luca: Il regno di Dio è dentro di voi (Lc 17,21). Quantunque Gesù Cristo regni per la fede in tutti quelli che sono raccolti in grembo della santa madre Chiesa, egli ha tuttavia cura speciale di quelli che, animati da fede viva, dalla speranza e dalla carità, si offrono a Dio quali membra pure e vive di lui; tanto che si può dire che in essi regni la grazia divina.

Ma è pure regno della gloria di Dio quello del quale Cristo Signore parla in san Matteo: Venite, benedetti dal Padre mio, possedete il regno preparato per voi fin dall'origine del mondo (Mt 25,34). E questo regno chiedeva a Cristo in san Luca il buon ladrone che riconobbe i propri delitti: Signore, ricordati di me, quando giungerai nel tuo regno (Lc 23,42). San Giovanni pure ricorda questo regno: Chi non rinasce con l'acqua e lo Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio (Jn 3,5). E l'Apostolo agli Efesini: Chiunque sia fornicatore, impudico, avaro, poiché ha servito idoli, non ha parte nell'eredità del regno di Cristo e di Dio (Ep 5,5). A questo regno ancora si riferiscono alcune parabole di Cristo Signore, quando parla del regno dei cieli (Mt 13,24 Mt 13,31 Mt 13,33 Mt 13,44).

E necessario stabilire prima il regno della grazia; poiché non può regnare la gloria di Dio in colui nel quale già non regni la grazia. La grazia, secondo il detto del Salvatore, è una fontana d'acqua zampillante in vita eterna (Jn 4,14). Che diremo, dunque, che sia la gloria, se non la grazia perfetta ed assoluta? Infatti: mentre per tutto il tempo che, rivestiti di questo corpo fragile e mortale, andiamo vagando in questa cieca peregrinazione, in questo esilio, e, sempre vacillanti, restiamo lontani da Dio, spesso sdruccioliamo e cadiamo, rigettando il sostegno del regno della grazia, sul quale ci appoggiavamo; quando invece ci avrà illuminati la luce del regno della gloria, l'unico perfetto, noi saremo fermi ed eternamente stabili, poiché allora il vizio e la malattia si dilegueranno, e ogni debolezza si cambierà in robustezza; e Dio stesso, infine, regnerà nell'anima e nel nostro corpo, come abbiamo esposto ampiamente nel Simbolo, parlando della risurrezione della carne.

Noi chiediamo che tutto sia sottoposto a Cristo.

383. Spiegato il concetto generale di regno di Dio, si dovrà dire a che cosa miri più propriamente questa prima richiesta.

Noi chiediamo a Dio che il regno di Cristo, che è la Chiesa, si propaghi; che gli infedeli e gli Ebrei si convertano alla fede di Cristo Signore e accolgano la rivelazione del vero Dio; che gli scismatici e gli eretici ritornino alla sana dottrina, e rientrino nella comunione della Chiesa di Dio dalla quale si separarono, affinché si compia realmente ciò che il Signore ha detto per bocca di Isaia: Allarga il tuo padiglione, e distendi senza risparmio le pelli delle tue tende: allunga le tue corde, consolida i pioli; poiché tu penetrerai a destra e a sinistra; ti dominerà Colui che ti ha fatto (Is 54,2). E anche: Le genti cammineranno alla tua luce, e i re nello splendore della tua nascita. Leva intorno gli occhi e guarda; tutti questi si sono uniti insieme e vengono a te; verranno a te figli da lontano, e le figlie tue appariranno da ogni lato (Is 40,3).

Siccome anche nella Chiesa ci sono di quelli che affermano Dio a parole, ma lo negano coi fatti (TU. 1,16), e presentano cosi una fede sfigurata, per cui il demonio del peccato abita in loro e domina in essi come nella propria dimora; noi chiediamo che venga anche per essi il regno di Dio, sicché, scossa la caligine dei peccati, illuminati dai raggi della luce divina, essi vengano restituiti alla primitiva dignità di figli di Dio. Chiediamo pure che, cacciati dal suo regno gli eretici e gli scismatici, banditi gli scandali e le cause dei peccati, il nostro Padre celeste purifichi l'aia della sua Chiesa, sicché questa, tributandogli un culto pio e santo, goda di una pace dolce e tranquilla.

Chiediamo, infine, che solo viva e regni in noi Iddio; che non sia più possibile la morte, ma essa venga invece assorbita nella vittoria di Cristo nostro Signore, il quale bandisca e annienti ogni signoria dei nemici colla potenza della virtù, sottomettendo tutte le cose al suo dominio.

Condizioni di una preghiera efficace.

384. Sarà cura dei Parroci di dare al popolo fedele le spiegazioni che richiede lo spirito di questa domanda, sulle disposizioni d'anima, nelle quali si possa innalzare piamente a Dio questa preghiera.

E anzitutto lo esorteranno a penetrare l'efficacia e lo spirito di quella parabola del Salvatore:Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo che un uomo, trovatolo, non lo palesa; ma, tutto allegro di cio, va, vende quel che ha e compra quel campo (Mt 13,44). Chi, difatti, riconosce le ricchezze di Cristo Signore, disprezza per esse ogni cosa: beni, fortuna, potenza; tutto per lui sarà vile; poiché nulla si può paragonare al sommo bene, e anzi, nulla che possa reggere al suo confronto. perciò quelli ai quali sarà toccato di conoscerlo, esclameranno con l'Apostolo: Tutto ho considerato una perdita, tutto stimo fango, per guadagnare Cristo (Ph 3,8). E questa la perla preziosa del Vangelo, della quale è detto che colui che l'avrà ottenuta, vendendo tutti i suoi beni, sarà chiamato a godere la beatitudine eterna (Mt 13,45).

Felici noi, se Cristo ci concederà tanto di luce da poter vedere la perla della grazia divina, per la quale Egli regna nei suoi; venderemmo tutte le nostre cose e noi medesimi, per comprarla e conservarla; poiché allora finalmente potremmo dire con sicurezza: Chi ci separerà dalla carità di Cristo? (Rm 8,35). Ma se vogliamo conoscere quale sia l'insigne eccellenza della gloria di Dio, ascoltiamo la parola e il pensiero del Profeta e dell'Apostolo: L'occhio non ha veduto, l'orecchio non ha udito, né il cuore dell'uomo ha potuto concepire i beni che Dio ha preparato a quelli che lo amano (Is 64,4 1Co 2,9).

Ci disporrà validamente a ottenere quanto chiediamo, lo stimarci quali siamo: progenie d'Adamo, scacciati a buon diritto dal Paradiso ed esuli, avendoci la nostra indegnità e la nostra perversità meritato l'odio sommo di Dio e le pene eterne. Per cui è necessario starsene con animo umile e dimesso. Sia inoltre la nostra preghiera piena di cristiana umiltà; diffidando di noi stessi, come il pubblicano (Lc 18,13), affidiamoci completamente alla misericordia e bontà di Dio. Attribuendo tutto alla sua benignità, rendiamogli grazie immortali di averci largito il suo spirito, per il quale possiamo esclamare fiduciosi: Abbà, Padre (Rm 8,15). Diamoci anche cura e pensiero di quello che si deve fare, o evitare, per giungere al regno celeste. Poiché non all'ozio e all'inerzia siamo stati chiamati da Dio; che anzi egli dice: Il regno dei cieli s'acquista con la forza, e lo afferrano i violenti (Mt 11,12); e ancora: Se vuoi arrivare alla vita, osserva i comandamenti (Mt 19,17).

Non basta dunque chiedere il regno di Dio, se non si volgano ad esso l'amore e l'opera; perché gli uomini devono essere cooperatori e ministri della grazia di Dio nella via per salire al cielo. Dio non ci verrà mai meno, avendoci promesso di essere sempre con noi; ma da una cosa ci dobbiamo guardare: dalPabbandonare Dio e noi medesimi. Infatti, in questo regno della Chiesa sono di Dio tutte le cose con le quali si conserva la vita umana e si ottiene la salute eterna; lo sono tutte le schiere degli Angeli, che non vediamo, e il tesoro visibile dei sacramenti, si ricco di virtù celeste. Con tutte queste cose Dio ci ha assicurato un cosi valido aiuto, che possiamo non solo scampare dal dominio dei nostri acerrimi nemici, ma anche umiliare e conculcare il tiranno infernale e i suoi malvagi satelliti.

Sintesi della domanda.

385. Chiediamo, dunque, ardentemente allo spirito di Dio che ci comandi di fare ogni cosa secondo la sua volontà; che abbatta il regno di Satana, si che questi su di noi non abbia nessun potere nel giorno estremo; che Cristo vinca e trionfi. Chiediamo che la sua legge sia in vigore nel mondo intero, e vengano posti in atto i suoi decreti; che nessuno sia traditore o disertore della sua causa; ma tutti si dimostrino tali, che senza esitare possano venire al cospetto di Dio loro re, ed entrare in possesso del regno dei cieli, a loro preparato fin dall'eternità, dove godranno, beati con Cristo, nella vita eterna.

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TERZA DOMANDA Sia fatta la tua volontà come in cielo cosi in terra.

Argomento della domanda.

386. Siccome Cristo Signore ha detto: Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi entrerà nel regno dei cieli (Mt 7,21), tutti quelli che vogliono arrivare al celeste regno dovranno domandare a Dio che la sua volontà sia fatta. Percio, questa domanda è posta subito dopo la domanda del regno dei cieli. Per illuminare i fedeli sulla necessità della domanda stessa e sull'abbondanza dei doni salutari che ci fa ottenere, i Parroci spiegheranno a quanta miseria e tormenti sia stato soggetto il genere umano per il peccato del nostro progenitore.

L'uomo corrotto dal peccato non capisce il suo vero bene.

387. Da principio Dio mise in tutte le creature il desiderio del proprio bene, sicché ciascuna desiderasse e ricercasse per naturale propensione il proprio fine, dal quale esse non deviano se non per un impedimento estrinseco.

Cosi, fin dall'inizio, l'uomo ebbe per istinto di ricercare Dio, principio e autore della sua felicità; e questo impulso è tanto più nobile ed eccellente in quanto l'uomo è dotato di ragione e di giudizio. Ma, mentre le creature prive di ragione conservavano questo ingenito amore, e, create buone, fin dall'inizio e per natura, tali rimasero e rimangono tuttora, solo il misero genere umano, invece, non si mantenne sulla via assegnatagli. Cosi, non solo perse i beni della giustizia originale, dei quali Dio aveva magnificamente abbellito le sue facoltà naturali, ma, come se ciò non bastasse, oscuro in sé l'originario grande amore della virtù. " Tutti hanno errato, tutti sono diventati inutili; non ce n'è uno che faccia il bene, neanche uno " (Ps 52,4).

Poiché l'animo e la mente dell'uomo sono volti al male fin dalla giovinezza (Gn 8,21), si capisce come nessuno sappia da sé orientarsi alla salvezza, ma tutti siano propensi al male; e innumerevoli siano i pravi desideri degli uomini, proclivi come sono alle passioni dell'ira, dell'odio, della superbia, dell'ambizione, e ad ogni specie di male. Sommersi in tanti mali, neppure ci accorgiamo (ed è questa l'estrema nostra miseria) che molti di essi sono mali; terribile prova questa della rovina degli uomini, i quali, resi ciechi dalle passioni e dalla libidine, non vedono che ciò che essi credono bene, il più delle volte è la cosa più velenosa. Anzi, essi si precipitano verso questi mali come verso un bene desiderabile e degno d'essere ricercato, mentre rifuggono dai veri beni, aborrendoli come cose dannose. Questo modo di pensare, questo corrotto giudizio è stato maledetto da Dio, quando disse: Guai a voi che il male dite bene, e il bene male; date per buio la luce e per luce le tenebre; l'amaro per dolce e il dolce per amaro (Is 5,20).

Per farci capire la nostra miseria, le sacre Scritture ci paragonano a quelli che hanno perso il gusto, e rifuggendo perciò dai cibi sani, ricercando quelli dannosi (cfr. Is 24,9 Jr 31,29 Ez 18,2). Ci paragonano anche ai malati. Come questi, difatti, non possono adempiere alle funzioni e agli impegni di un uomo sano e robusto, finché non siano guariti dalla malattia, cosi noi non possiamo compiere le azioni grate a Dio, se prima non abbiamo ottenuto il sostegno della grazia divina. Che se in tale stato prendiamo a fare il bene, lieve sarà questo bene, e di poco o nessun peso per conseguire la beatitudine celeste.

Ma è cosa troppo alta e superiore alle forze di noi uomini amare e adorare Dio come si conviene. Per la nostra infermità noi strisciamo sul suolo, né ci possiamo arrivare a Lui senza l'appoggio della grazia divina. E pure di grande opportunità, ad esprimere la misera condizione del genere umano, il paragone dei fanciulli, i quali, lasciati a sé stessi, si precipitano inconsideratamente sulla prima cosa che vedono. Siamo bambini imprudenti, e del tutto occupati in discorsi frivoli e in azioni futili, se manchiamo del soccorso di Dio. E cosi che ci rimprovera la Sapienza: Fino a quando, bambini, amerete le puerilità e, stolti, desidererete ciò che riesce dannoso? (Pr 1,22). L'Apostolo ci esorta: Non vi fate bambini nell'intelligenza (1Co 14,20). Ma noi cadiamo in cecità ed in errori maggiori di quelli della fanciullezza. Mentre a questa non manca che la saggezza umana, alla quale potrà col tempo pervenire, noi invece, senza la guida e l'appoggio di Dio, non possiamo aspirare alla saggezza divina, necessaria a conseguire la salvezza; e se non è presente la mano di Dio su noi, allora rigettiamo i veri beni, e ci precipitiamo in una morte volontaria.

Necessità di prescrivere una regola di vita cristiana.

388. Se qualcuno, dissipata col divino aiuto la caligine dell'animo, riconosce le miserie umane, e sente senza stupirsi la forza della concupiscenza, e riconosce quanto ripugnano allo spirito le passioni dei sensi, e ancora guarda la propensione nostra al male, come potrà non desiderare con ardente desiderio un rimedio a tanto male, dal quale per vizio di natura noi siamo oppressi? E come non ricercherà la legge salutare alla quale voigere e conformare la sua vita di cristiano? Questo, appunto, noi chiediamo, quando imploriamo da Dio: Sia fatta la tua volontà. Essendo noi caduti in quelle miserie per aver rigettato il dovere dell'obbedienza e trascurata la volontà divina, un solo rimedio Dio ci offre a tanto male: quello di vivere in quella volontà di Dio che nel peccato abbiamo disprezzato, e nel conformare tutti i nostri pensieri e atti a quella legge. Per questo chiediamo supplichevoli a Dio che sia fatta la sua volontà.

Ma questo lo devono chiedere con ardore anche coloro, nell'animo dei quali Dio già regna, e quelli che, illuminati dai raggi della luce divina, per il beneficio di questa grazia, ubbidiscono già alla sua volontà. Pur avendo la grazia, essi sono ancora combattuti dalle passioni, per la tendenza al male, radicata nei sensi degli uomini. Infatti, anche in tale condizione privilegiata, noi siamo sulla terra di grande pericolo a noi stessi, per la facilità con cui siamo sedotti e trascinati dalla voluttà, sempre attiva nelle nostre membra, e possiamo essere traviati ancora dalla via della salute (Jc 1,14). Da questo pericolo Cristo Signore ci ha messo in guardia: Vegliate e pregate per non cadere in tentazione; lo spirito veramente è pronto, ma la carne è debole (Mt 26,41).

Non è in potere dell'uomo, neppure in quello giustificato dalla grazia di Dio, il vincere gli appetiti carnali in maniera tale che non si risveglino più; la grazia di Dio sana lo spirito in coloro che ha reso giusti, ma non la carne, della quale l'Apostolo ha detto: So che il bene non è in me, cioè nella mia carne (Rm 7,18). Quando, infatti, il primo uomo ebbe perduta la giustizia originale, freno agli appetiti, pochissimo potè poi la ragione contenerli, in modo che non tendano a ciò che ripugna alla ragione stessa.

Scrive l'Apostolo che nella parte carnale ha sede il secato, cioè il fomite del peccato, per farci capire come peccato si trova in noi non temporaneamente, come m ospite, ma è fisso nel nostro corpo per tutto il tempo della vita, come in perpetuo suo domicilio. Combattuti pertanto, senza tregua, da nemici domestici e interni, faciltiente intendiamo la necessità di cercare rifugio nell'aiuto li Dio, perché sia fatta in noi la sua volontà.

Con l'espressione volontà divina intendiamo i precetti divini.

389. Si deve ora far conoscere ai fedeli quale sia la portata di questa richiesta.

Omettendo le molte questioni sulla volontà di Dio, che solo i Dottori Scolastici sogliono utilmente e diffusamente discutere, diremo che qui la volontà è quella che si suole chiamare volontà significata: quello cioè che Dio ci ha ordinato o suggerito di fare o d'evitare. Sotto il nome di volontà divina si comprendono qui tutti i precetti necessari a conseguire la beatitudine celeste, sia che riguardino più particolarmente la fede, sia che riguardino i costumi; e nello stesso tempo tutto ciò che da sé, o mediante la sua Chiesa, Cristo Signore ha ordinato o proibito di fare. Non siate imprudenti, ma cercate di sapere quale sia la volontà di Dio (Ep 5,17), scrive l'Apostolo, parlando di questa volontà.

Quando dunque preghiamo: Sia fatta la tua volontà, chiediamo al Padre celeste che ci conceda la forza di obbedire ai suoi divini comandamenti, e di servirlo con santità e giustizia, per tutti i nostri giorni (Lc 1,74). E cosi possiamo agire secondo i suoi desideri e la sua volontà, compiere i doveri che ci vengono raccomandati nelle sacre Scritture, e, sotto la sua guida e il suo impulso, operare quanto si conviene a coloro i quali, non da volere di carne, ma da Dio sono nati (Jn 1,12), seguendo l'esempio di Cristo nostro Signore, il quale fu obbediente fino alla morte, e alla morte di croce (Ph 2,18). Quindi siamo disposti a patire qualunque tormento, piuttosto che allontanarci minimamente dalla via segnataci dalla sua volontà.

Nessuno avrà zelo e amore più ardente di colui al quale sarà stato concesso di capire la sublime dignità di chi obbedisce a Dio. Costui sente quanto sia vero che servire Dio e obbedire a lui vuoi dire regnare. Chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli mi è fratello, sorella e madre (Mt 12,50), ha detto il Signore; cioè: a lui sono unito con i vincoli più stretti dell'amore e della benevolenza.

Non vi è forse uno tra i santi che non abbia chiesto a Dio, con infinito ardore, il ricco dono espresso in questa preghiera; e tutti lo hanno fatto con parole bellissime e spesso varie. David specialmente chiede quel dono, in più modi e con parole sublimi e soavissime, quando dice: Mi diriga Dio ad osservare le sue leggi! (Ps 118,5); Conducimi per il sentiero dei tuoi comandamenti! (ivi,35); e spesso: Guida i miei passi con la tua parola, e non abbia presa sul mio animo nessuna ingiustizia (ivi,33); tutte parole che si risolvono in queste: Dammi intelligenza, perché impari i tuoi comandamenti; insegnami i tuoi giudizi; dammi intelletto per capire i tuoi comandamenti (ivi,73). In molti altri luoghi tratta questo stesso tema; luoghi che si devono indicare e diligentemente spiegare ai fedeli, cosicché tutti capiscano la grande efficacia e la grande abbondanza di beni salutari, contenuti in questa prima parte della preghiera.

In secondo luogo, quando preghiamo: Sia fatta la tua volontà, noi detestiamo le opere della carne, delle quali l'Apostolo scrive: Sono note le opere della carne, come la fornicazione, la sordidezza, l'inverecondia, la lussuria, ecc. (Ga 5,19); Se vivrete secondo la carne, voi morrete (Rm 8,12). Preghiamo quindi Dio che non ci lasci compiere ciò che i sensi, la cupidigia, o la nostra debolezza in genere ci indurrebbero a fare; ma che invece egli guidi la nostra volontà secondo la sua.

Sono lontani da questa sua volontà i gaudenti, tutti occupati nel pensiero e nella ricerca dei godimenti terreni. Questa gente è portata dalla libidine a precipitarsi su ciò che desidera; e tanta è la felicità da essa riposta nell'oggetto della sua prava bramosia, da giudicare beato chi ottenga sempre quel che desidera. Noi invece domanderemo a Dio di non curare la carne nelle sue concupiscenze (Rm 13,14), ma di fare la sua volontà. però non arriviamo facilmente a pregare Iddio di non soddisfare le nostre passioni; questa risoluzione incontra difatti grande difficoltà; perché, quando lo chiediamo, sembriamo in un certo modo odiare noi stessi; senza dir poi che questo stesso ci viene attribuito a stoltezza da coloro che non vivono che per il loro corpo.

Con piacere, pero, noi incorreremo nella fama di stolti, per la causa di Cristo, il quale ha detto: Chi vuoi venire dietro a me, rinneghi se stesso (Mt 16,24 Lc 9,23); tanto più che noi sappiamo essere preferibile desiderare ciò che è giusto e onesto, che possedere ciò che è contrario alla ragione, alla virtù e alle leggi di Dio. D'altra parte è certo che chi non potè conseguire ciò che desidero con retta intenzione, si trovi in posizione migliore di colui che raggiunse la cosa desiderata sconsideratamente, spinto dai sensi. Inoltre noi non solo chiediamo a Dio che ci impedisca di conseguire ciò che abbiamo desiderato, se il desiderio viene da depravazione, ma anche gli diciamo che non ci conceda quello che, quantunque sia da noi creduto buono, pure ci viene ispirato dal demonio sotto le spoglie d'angelo di luce.

Rettissimo e pieno di pietà dovette sembrare lo zelo dell'Apostolo quando tento di trattenere il Signore dall'affrontare la morte; eppure il Signore lo rimprovero acerbamente, poiché egli ragionava secondo il sentimento umano, non secondo lo spirito divino (Mt 16,22). E chi può sembrare spinto da maggiore amore verso Dio dei santi Giacomo e Giovanni, quando incolleriti con quei Samaritani, che non avevano voluto dare ospitalità al maestro, chiesero a lui di fare discendere dal cielo il fuoco, per consumare quegli scortesi inumani? Eppure furono sgridati da Cristo Signore: Non sapete di quale spirito siete; il Figlio dell'uomo non è venuto a perdere le anime, ma a salvarle (Lc 9,54).

Né soltanto quando il nostro desiderio è pravo, o sembra tale, dobbiamo pregare Dio che la sua volontà sia fatta, ma anche quando esso effettivamente non è cattivo; come per esempio quando la volontà segue il primo impulso della natura e desidera ciò che è atto a conservarci in vita, rigettando ciò che pare contrario alla vita medesima. Quando siamo ridotti a dover domandare qualche cosa di simile, diciamo con tutta l'anima: Sia fatta la tua volontà; imitando cosi Colui dal quale abbiamo ricevuto la salvezza e la norma della salvezza. Egli, oppresso naturalmente per i tormenti e per la morte che l'aspettavano, conformo alla volontà del Padre la sua volontà, nell'orrore dell'estremo martirio, dicendo: Si faccia non la mia volontà, ma la tua (Lc 22,42).

Sbalordisce la depravazione del genere umano: anche chi ha fatto violenza alle passioni, e ha sottomesso la sua alla divina volontà, non può evitare il peccato, se Dio non lo aiuta proteggendolo dal male, e indirizzandolo al bene. Per tutto cio, dobbiamo ricorrere a questa preghiera, con la quale chiediamo a Dio che completi in noi l'opera da lui iniziata, si da comprimere i ribelli moti del senso e sottomettere definitivamente alla ragione i nostri desideri, conformandoci interamente alla sua volontà. E cosi preghiamo ancora che tutto il mondo accetti la volontà di Dio; e che il mistero divino, celato ai secoli e alle generazioni, sia reso noto e divulgato fra tutte le genti (Col 1,26).

Con la formula: come in cielo, noi domandiamo un'obbedienza resa perfetta dalla carità.

390. Noi domandiamo, inoltre, la norma e il modo di questa obbedienza; che cioè essa sia conforme a quella norma, che nel cielo osservano gli Angeli e il coro delle anime beate: come essi spontaneamente e con grandissimo diletto obbediscono alla Divinità, cosi pure noi ci uniformiamo alla sua volontà molto volentieri e nel modo che a lui piace. Ora Dio vuole, nelle azioni e nei desideri con i quali a lui tendiamo, un amore sommo e ardentissimo; cosicché, anche se ci applichiamo al suo servizio nella speranza di ottenere premi celesti, pure ricordiamo sempre che abbiamo tale speranza proprio perché alla divina maestà è piaciuto di infondercela. Sia dunque tutta la nostra speranza basata sull'amore di Dio che al nostro amore fisso, come ricompensa, la felicità eterna. C'è qualcuno infatti che serve anche amorevolmente, ma soltanto per mercede, dalla quale dipende il suo amore. Ma ce ne sono altri che, mossi unicamente da pietà e da carità, non mirano, in ciò che fanno che nella bontà e alla virtù di Dio, tanto da stimarsi felici di poterlo servire, con questo solo pensiero e con questa ammirazione. Ebbene, le parole: Come in cielo cosi in terra, sono aggiunte per questo. Per farci intendere che dobbiamo essere sempre obbedienti a Dio, come lo sono i beati, le lodi dei quali, per la loro perfetta sottomissione, David ha cosi celebrato nei Salmi.: Benedite il Signore voi tutti suoi eserciti, voi suoi ministri, che fate la sua volontà (Ps 102,21). Se qualcuno pero, seguendo san Cipriano, intenda con le parole: in cielo i buoni e i pii, e con l'espressione in terra, i cattivi e gli empi, noi approveremo il suo pensiero, indicando nel cielo, lo spirito, e nella terra, la carne; in modo da chiedere nella preghiera che tutti e tutte le cose obbediscano alla volontà di Dio, in tutto.

Ringraziamento contenuto in questa preghiera.

391. Questa richiesta contiene anche un ringraziamento. Noi veneriamo infatti la santissima volontà di Dio e pervasi da immensa gioia esaltiamo con alte lodi e ringraziamenti tutte le sue opere, perché siamo perfettamente convinti che ha fatto bene ogni cosa. Ma, poiché sappiamo che Dio è onnipotente, necessariamente ne viene che tutto sia stato creato per volontà sua; e poiché ancora affermiamo, ed è la pura verità, che egli è il sommo Bene, confessiamo per ciò stesso che nulla nelle sue opere è meno che buono, avendo egli comunicato la sua bontà a tutte le cose. Che se non riusciremo in tutte a capire il disegno di Dio, per tutte pero, senza il minimo dubbio, o esitazione, dobbiamo ripetere con l'Apostolo che le sue vie sono impenetrabili (Rm 11,33). Ma pure, essendosi Dio degnato di farci conoscere la sua celeste luce, ci inchiniamo profondamente alla sua volontà, avendoci egli strappati al potere delle tenebre, e trasferiti nel regno del suo Figlio diletto (Col 1,13).

Cose da meditarsi in questa preghiera.

392. Per spiegare quanto riguarda la pratica di questa preghiera, ritorniamo a quello che ne dicemmo da principio; che cioè il popolo fedele nel recitarla dev'essere profondamente umile, riconoscendo la naturale inclinazione delle passioni a opporsi alla volontà divina, pensando sempre come in questo suo dovere verso Dio egli viene sorpassato da tutte le cose create, poiché di esse sta scritto: Tutte le cose ti obbediscono (Ps 118,91). Pensi, inoltre, che noi siamo estremamente deboli, mentre non solo non possiamo condurre a termine un'opera grata a Dio, ma neanche incominciarla, se non siamo aiutati da Dio medesimo (1Co 15,10).

Ma poiché nulla è più magnifico e più insigne che servire Iddio, e comportarsi nella vita secondo la sua legge e i suoi precetti, che cosa di più può desiderare il cristiano che percorrere le vie del Signore, senza progettare, né intraprendere azione alcuna che sia contraria alla volontà divina? Per prendere questa abitudine e conservarla con fermezza, si cerchino nei Libri sacri gli esempi di coloro ai quali tutto ando sempre in malora per non aver conformato i propri disegni alla volontà di Dio.

Si ammoniscano, da ultimo, i fedeli ad abbandonarsi nella semplice e assoluta volontà di Dio. Sopporti con animo sereno la propria condizione chi si vede in posizione meno alta del suo merito; non abbandoni il suo posto, anzi persista dove egli è stato chiamato e sottometta il giudizio alla volontà di Dio, il quale sa provvederci meglio di quanto noi possiamo desiderare. Se strettezze di mezzi, infermità fisica, persecuzioni, o altri dispiaceri e affanni ci fanno soffrire, certamente nulla avviene senza volere di Dio, il quale ha in sé l'ultima ragione delle cose. Non dobbiamo perciò lasciarci abbattere dalle sventure; ma sopportandole con animo invitto, dire sempre: Sia fatta la volontà del Signore; e ripetere le parole di Giobbe: Come a Dio piacque è avvenuto: sia benedetto il nome del Signore (Jb 1,21).


Catechismo Tridentino 4100