Casti connubii IT


LETTERA ENCICLICA

CASTI CONNUBII*

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI

PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI

AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE

PACE E COMUNIONE:

SUL MATRIMONIO CRISTIANO.

PIO PP. XI

VENERABILI FRATELLI

SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE




1 Quanto grande sia la dignità del casto connubio, si può principalmente riconoscere, Venerabili Fratelli, da ciò che Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio dell’Eterno Padre, quando assunse la natura dell’uomo decaduto, in quella amorosissima economia con la quale compì la totale riparazione del nostro genere umano, non solo volle comprendere in maniera particolare anche questo principio e fondamento della società domestica e quindi del consorzio umano, ma richiamandolo inoltre alla primitiva purità dell’istituzione divina, lo elevò a vero e « grande » [1] Sacramento della Nuova Legge, affidandone perciò tutta la disciplina e la cura alla Chiesa sua Sposa.

[1]
Ep 5,32 Ep 5,53

2 Ma perché da questo rinnovamento del matrimonio si possano raccogliere i frutti desiderati presso i popoli di ogni regione e di ogni età, si debbono anzitutto illuminare le menti degli uomini con la vera dottrina di Cristo intorno al matrimonio; inoltre occorre che i coniugi cristiani, con la grazia divina che internamente ne corrobora la debole volontà, conformino in tutto pensieri e condotta a quella purissima legge di Cristo, al fine di ottenerne per sé e per la propria famiglia la vera pace e felicità.

3 Purtroppo tuttavia, non solamente Noi che da questa Apostolica Sede come da una specola guardiamo con occhi paterni tutto il mondo, ma voi pure, Venerabili Fratelli, certamente vedete e insieme con Noi amaramente lamentate come tanti uomini, dimentichi di quell’opera divina di restaurazione, o ignorino del tutto la grande santità del matrimonio cristiano o sfrontatamente la neghino, o persino qua e là vadano conculcandola, seguendo i falsi princìpi di una certa nuova e del tutto perversa moralità. E poiché si sono cominciati a diffondere anche tra i fedeli questi perniciosissimi errori e questi depravati costumi, che tentano d’insinuarsi insensibilmente ma sempre più profondamente, abbiamo creduto essere dovere del Nostro ufficio di Vicario di Gesù Cristo in terra di supremo Pastore e Maestro, alzare la Nostra voce apostolica per allontanare le pecorelle a Noi affidate dai pascoli avvelenati e, per quanto dipende da Noi, custodirle immuni.

4 Abbiamo perciò deciso, Venerabili Fratelli, di parlare a voi e per mezzo vostro a tutta la Chiesa di Cristo e a tutto il genere umano, della natura del matrimonio cristiano, della sua dignità, dei vantaggi e benefìci che ne derivano alla famiglia e alla stessa umana società, degli errori contrari a questo gravissimo punto della dottrina evangelica, dei vizi che si oppongono alla stessa vita coniugale, e infine dei principali rimedi da apportarvi. E in ciò intendiamo seguire le orme del Nostro predecessore Leone XIII, di s. m, la cui Enciclica « Arcanum » [2] scritta or sono cinquant’anni intorno al matrimonio cristiano, con questa Nostra Enciclica facciamo Nostra e confermiamo e, mentre esponiamo alquanto più diffusamente alcuni punti per riguardo alle condizioni e ai bisogni del tempo nostro, dichiariamo che essa non solo non è andata in disuso ma conserva tutto il suo vigore.

[2] Litt. Encycl. Arcanum divinae sapientiae, 10 Febr. 1880.

5 E per esordire da quella stessa Enciclica, che quasi unicamente mira a rivendicare la divina istituzione, la dignità sacramentale e la perpetua indissolubilità del matrimonio, resti anzitutto stabilito questo inconcusso inviolabile fondamento: che il matrimonio non fu istituito né restaurato dagli uomini, ma da Dio; non dagli uomini ma da Dio, autore della natura, e da Gesù Cristo, Redentore della medesima natura, fu presidiato di leggi e confermato e nobilitato. Tali leggi perciò non possono andar soggette ad alcun giudizio umano e ad alcuna contraria convenzione, nemmeno degli stessi coniugi. Questa è la dottrina della Sacra Scrittura [3], questa la costante ed universale tradizione della Chiesa; questa la solenne definizione del Concilio Tridentino che proclama e conferma con le parole stesse della Sacra Scrittura l’origine da Dio Creatore della perpetuità e indissolubilità del vincolo del matrimonio, e la sua stabilità ed unità [4].

[3]
Gn 1,27-28 Gn 2,22-23 Mt 19,3 sqq.; Ep 5,23 sqq.
[4] Conc. Trident., sess. XXIV.

6 Benché però il matrimonio di sua natura sia d’istituzione divina, anche l’umana volontà arreca in esso il suo contributo, e questo nobilissimo. Infatti ogni particolare matrimonio, in quanto unione coniugale fra quest’uomo e questa donna, non può cominciare ad esistere se non dal libero consenso di ambedue gli sposi; e questo atto libero della volontà, col quale ambedue le parti danno e accettano il diritto proprio del connubio [5], è talmente necessario perché esista vero matrimonio, che non può venire supplito da nessuna autorità umana [6]. Senonché tale libertà a questo soltanto si riferisce: che i contraenti vogliano realmente contrarre matrimonio e contrarlo con questa determinata persona; ma la natura del matrimonio è assolutamente sottratta alla libertà umana, in modo che una volta che uno abbia contratto matrimonio, resta soggetto alle sue leggi e alle sue proprietà essenziali. Infatti il Dottore Angelico, trattando della fede e della prole, dice «Questo è causato dallo stesso patto coniugale, così che se nel consenso, che fa il matrimonio, si esprimesse qualche cosa di contrario a ciò, non esisterebbe vero matrimonio » [7].

[5] Cfr. Cod. iur. can.,
CIS 1081 § 2.
[6] Cfr. Cod. iur. can., CIS 1081 § 1.
[7] S. Thom. Aquin., Summa theolog., p. III, Supplem., q. XLIX, art. 3.

Mediante il connubio, dunque, si congiungono e si stringono intimamente gli animi, e questi prima e più fortemente che non i corpi, né già per un passeggero affetto dei sensi o dell’animo, ma per un decreto fermo e deliberato di volontà; e da questa fusione di anime, così avendo Dio stabilito, sorge un vincolo sacro ed inviolabile.

Tale natura, affatto propria e speciale di questo contratto, lo rende totalmente diverso, non solo dagli accoppiamenti fatti per cieco istinto naturale fra gli animali, in cui non può esservi ragione o volontà deliberata, ma altresì da quegli instabili connubii umani, che sono disgiunti da qualsivoglia vero ed onesto vincolo di volontà e destituiti di qualsiasi diritto di domestica convivenza.

7 Da qui già appare manifesto che la legittima autorità ha diritto e dovere di frenare, impedire e punire questi turpi connubii, contrari a ragione e a natura; ma trattandosi qui di cosa che consegue alla stessa natura umana, non è meno certo quello che apertamente ammoniva il Nostro predecessore Leone XIII di f. m.[8]. «Nella scelta del genere di vita, non è dubbio che è in potere ed arbitrio dei singoli il preferire l’una delle due: o seguire il consiglio di Gesù Cristo intorno alla verginità, oppure obbligarsi col vincolo matrimoniale. Nessuna legge umana può togliere all’uomo il diritto naturale e primitivo del coniugio; o in qualsivoglia modo circoscrivere la cagione principale delle nozze, stabilita da principio per autorità di Dio: Crescete e moltiplicatevi » [9].

Pertanto il sacro consorzio del vero connubio viene costituito e dalla divina e dall’umana volontà; da Dio provengono l’istituzione, le leggi, i fini, i beni del matrimonio; dall’uomo, con l’aiuto e la cooperazione di Dio, dipende l’esistenza di qualsivoglia matrimonio particolare coi doveri e coi beni stabiliti da Dio, mediante la donazione generosa della propria persona ad altra persona per tutta la vita.

[8] Litt. Encycl. Rerum novarum, 15 Maii 1891.
[9]
Gn 1,28. I.


I

8 Ma mentre Ci accingiamo ad esporre quali e quanto grandi siano questi beni divinamente concessi al vero matrimonio, Ci vengono alla mente, Venerabili Fratelli, le parole di quel preclarissimo Dottore della Chiesa che, non molto tempo addietro, commemorammo con l’Enciclica « Ad salutem » nel XV centenario dalla sua morte [10]; «Tutti questi — dice Sant’Agostino — sono i beni per i quali le nozze sono buone: la prole, la fede, il sacramento » [11]. Che poi a buon diritto si possa dire che questi tre punti contengono uno splendido compendio di tutta la dottrina sul matrimonio cristiano, ci viene eloquentemente dichiarato dallo stesso Santo quando dice: «Nella fede si provvede che fuor del vincolo coniugale non ci sia unione con un altro o con un’altra; nella prole che questa si accolga amorevolmente, si nutra benignamente, si educhi religiosamente; nel sacramento poi che non si sciolga il coniugio, e che il rimandato o la rimandata nemmeno per ragione di prole si congiunga con altri. Questa è come la regola delle nozze, dalla quale ed è nobilitata la fecondità della natura ed è regolata la pravità dell’incontinenza » [12].

[10] Litt. Encycl. Ad salutem, 20 Apr. 1930.
[11] S. August., De bono coniug., cap. 24, n. 32.
[12] S. August., De Gen.ad litt., lib. IX, cap. 7, n. 12.

9 Pertanto fra i beni del matrimonio occupa il primo posto la prole. E veramente lo stesso Creatore del genere umano, che nella sua bontà volle servirsi degli uomini come ministri per la propagazione della vita, questo insegnò quando nel paradiso, istituendo il matrimonio, disse ai progenitori e in essi a tutti i coniugi futuri: «Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra » [13]. Questa stessa verità deduce elegantemente Sant’Agostino dalle parole dell’Apostolo San Paolo a Timoteo [14], dicendo: « Che le nozze si contraggano per ragione della prole, così ne fa fede l’Apostolo: Voglio che i giovani si sposino. E come se gli dicesse: E perché? subito soggiunge: A procreare figliuoli, ad essere madri di famiglia » [15].

[13]
Gn 1,28.
[14] 2Tm 5,14.
[15] S. August., De bono coniug., cap. 24, n. 32.

10 Quanto poi questo sia un grande beneficio di Dio e un gran bene del matrimonio appare dalla dignità e dal nobilissimo fine dell’uomo. Infatti l’uomo, anche solo per l’eccellenza della natura ragionevole, sovrasta a tutte le altre creature visibili. Si aggiunga che Iddio vuole la generazione degli uomini, non solo perché esistano e riempiano la terra, ma assai più perché ci siano cultori di Dio, lo conoscano e lo amino e lo abbiano poi infine a godere perennemente nel cielo; il qual fine, per l’ammirabile elevazione, compiuta da Dio, dell’uomo all’ordine soprannaturale, supera tutto quello che « occhio vide, ed orecchio intese e poté entrare nel cuore dell’uomo » [16]. Da ciò appare facilmente quanto gran dono della bontà divina e quanto egregio frutto del matrimonio sia la prole, germogliata per onnipotente virtù divina e con la cooperazione dei coniugi.

[16] Cfr.
2Co 2,9.

11 I genitori cristiani intendano inoltre che solo destinati non solo a propagare e conservare in terra il genere umano; anzi non solo ad educare comunque dei cultori del vero Dio, ma a procurare prole alla Chiesa di Cristo, a procreare concittadini dei Santi e familiari di Dio [17], perché cresca ogni giorno più il popolo dedicato al culto del nostro Dio e Salvatore. E quantunque i coniugi cristiani, per quanto siano essi santificati, non possono trasfondere nella prole la santificazione, ché anzi la naturale generazione della vita è divenuta via di morte, per la quale passa alla prole il peccato originale, tuttavia essi partecipano in qualche modo alcunché di quel primitivo coniugio del paradiso terrestre, essendo loro ufficio offrire la propria prole alla Chiesa, perché da questa fecondissima madre di figli di Dio la prole venga rigenerata per mezzo del lavacro del battesimo alla giustizia soprannaturale, e perché diventi membro vivo di Cristo, partecipe della vita immortale e infine erede della gloria eterna, alla quale tutti aneliamo dall’intimo del cuore.

[17] Cfr.
Ep 2,19.

12 Se una madre veramente cristiana a ciò riflette, comprenderà certamente che a lei, e in senso più alto e pieno di consolazione, vanno applicate quelle parole del nostro Redentore: « La donna … quando ha dato alla luce un bambino, non ricorda più le sue angustie per il gaudio che prova, perché un uomo è venuto al mondo »[18]; e rendendosi superiore a tutti i dolori, alle cure, ai pesi della maternità, molto più giustamente e santamente di quella matrona romana, madre dei Gracchi, si glorierà nel Signore di una floridissima corona di figli. Ambedue i coniugi, poi, riguarderanno questi figli, ricevuti con animo pronto e grato dalla mano di Dio, quale un talento loro affidato da Dio, non già per impiegarlo solamente a vantaggio proprio o della patria terrena, ma per restituirlo poi col suo frutto nel giorno del conto finale.

[18]
Jn 16,21.

13 Il bene però della prole non si esaurisce nel beneficio della procreazione, ma occorre che se ne aggiunga un secondo, che consiste nella debita educazione di essa. Troppo scarsamente, invero, Dio sapientissimo avrebbe provveduto alla prole venuta alla luce, e quindi a tutto il genere umano, se a coloro a cui ha dato il potere e il diritto di generare, non avesse altresì dato il dovere dovere e il diritto di educare. Nessuno infatti può ignorare che la prole non può bastare né provvedere a se stessa nemmeno in ciò che riguarda la vita naturale, e molto meno in ciò che concerne la vita soprannaturale, ma abbisogna per molti anni dell’altrui aiuto per la formazione e l’educazione. È noto poi come, per disposizione naturale e divina, questo dovere e diritto all’educazione della prole appartengono anzitutto a coloro che con la generazione iniziarono l’opera della natura, e ai quali è vietato di esporre al rischio della perdita l’opera incominciata, lasciandola imperfetta. Ora a questa tanto necessaria educazione dei figli si è provveduto nel miglior modo possibile col matrimonio, in cui, essendo i genitori stretti tra loro con vincolo indissolubile, prestano sempre ambedue l’opera loro e il loro vicendevole aiuto.

Ma avendo già trattato altra volta a lungo dell’educazione cristiana della gioventù [19], possiamo riassumere tutte queste cose ripetendo le parole di Sant’Agostino: «Quanto alla prole, si richiede che sia accolta con amore e religiosamente educata » [20], il che ci viene pure espresso stringatamente nel Codice di diritto canonico: « Il fine primario del matrimonio è la procreazione e l’educazione della prole » [21].

[19] Litt. Encycl. Divini illius Magistri, 31 Dec. 1929.
[20] S. August., De Gen. ad litt., lib. IX, cap. 7, n. 12.
[21] Cod. iur. can.,
CIS 1013, § 1.

14 Né si deve tacere che, essendo di tanta dignità e tanta importanza l’uno e l’altro compito affidato ai genitori per il bene della prole, qualsiasi onesto uso della facoltà data da Dio per la generazione di una nuova vita, secondo l’ordine del Creatore e della stessa legge di natura, è diritto e prerogativa del solo matrimonio e deve essere assolutamente contenuto dentro i limiti sacri del matrimonio.

15 Il secondo bene del matrimonio menzionato da Sant’Agostino, come abbiamo detto, è il bene della fede, che è la vicendevole fedeltà dei coniugi nell’adempimento del contratto matrimoniale; sicché quanto compete per questo contratto sancito secondo la legge divina al solo coniuge, né a lui sia negato, né permesso ad una terza persona; e neppure al coniuge stesso sia concesso ciò che non si può concedere in quanto contrario alle leggi divine e del tutto alieno dalla fede matrimoniale.

16 Questa fede pertanto richiede in primo luogo l’unità assoluta del matrimonio, che il Creatore stesso adombrò nel matrimonio dei primi genitori, volendo che esso non fosse se non fra un uomo solo e una sola donna. E sebbene poi il supremo Legislatore, Iddio, allargò alquanto questa legge primitiva per qualche tempo, non vi è tuttavia dubbio alcuno che la legge evangelica abbia ristabilito pienamente l’antica e perfetta unità, abrogando ogni dispensa, come dimostrano chiaramente le parole di Cristo e la dottrina e la prassi costante della Chiesa. A buon diritto perciò il Sacro Concilio Tridentino dichiarò solennemente: «Cristo Signore insegnò più apertamente che con questo vincolo due sole persone si vengono strettamente a congiungere, quando disse: Non sono dunque più due, ma una sola carne »[22].

E Nostro Signore Gesù Cristo non volle solamente proibire qualsiasi forma, sia successiva sia simultanea, come dicono, di poligamia e di poliandria o qualsiasi altra azione esterna disonesta; ma di più ancora, perché si custodisse inviolato il santuario sacro della famiglia, proibì gli stessi pensieri volontari e desideri su tali cose: «Ma io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con lei » [23]. Queste parole di Cristo non possono andare annullate, neppure per consenso del coniuge, giacché esse rappresentano la legge medesima di Dio e della natura, che nessuna volontà umana può distruggere o modificare [24].

[22] Conc. Trident., sess. XXIV.
[23]
Mt 5,28.
[24] Cfr. Decr. S. Officii, 2 Mart. 1679, propos. 50.

17 Anzi, perché il bene della fede splenda nella debita purezza, le stesse vicendevoli manifestazioni di familiarità tra i coniugi debbono essere caratterizzate dal pregio della castità, in modo tale che i coniugi si comportino in tutte le cose secondo la norma di Dio e delle leggi di natura, e si studino di seguire sempre, con grande riverenza verso l’opera di Dio, la volontà sapientissima e santissima del Creatore.

18 Questa fede della castità, come da Sant’Agostino è giustamente chiamata, risulterà più facile, anzi molto più piacevole non meno che nobile per un altro pregio importantissimo: per l’amore coniugale, cioè, che pervade i doveri tutti della vita coniugale e nel matrimonio cristiano tiene come il primato della nobiltà. « Richiede inoltre la fede del matrimonio che il marito e la moglie siano fra loro congiunti di un amore singolare, santo e puro, e non si amino fra di loro come gli adulteri ma in quel modo che Cristo amò la Chiesa; perché questa regola prescrisse l’Apostolo quando disse: Uomini amate le vostre mogli, come anche Cristo amò la Chiesa[25], e certo Egli l’amò con quella sua carità infinita, non per un vantaggio suo, ma solo proponendosi l’utilità della Sposa » [26]. Parliamo dunque di un amore non già fondato nella inclinazione sola del senso che in breve svanisce, né solo nelle parole carezzevoli, ma nell’intimo affetto dell’anima e ancora — giacché la prova dell’amore è l’esibizione dell’opera — dimostrato con l’azione esterna [27]. Questa azione, poi, nella società domestica non comprende solo il vicendevole aiuto, ma deve estendersi altresì, anzi mirare soprattutto a questo: che i coniugi si aiutino fra di loro per una sempre migliore formazione e perfezione interiore, in modo che nella loro vicendevole unione di vita crescano sempre più nelle virtù, massimamente nella sincera carità verso Dio e verso il prossimo, da cui alfine « dipendono tutta la legge e i Profeti » [28]. Possono insomma, e debbono tutti, di qualunque condizione siano e qualunque onesta maniera di vita abbiano eletto, imitare l’esemplare perfettissimo di ogni santità, proposta da Dio agli uomini, che è N. S. Gesù Cristo, e con l’aiuto di Dio giungere anche all’altezza somma della perfezione cristiana, come gli esempi di molti santi ci dimostrano.

[25]
Ep 5,25; cfr. Col 3,19.
[26] Catech. Rom., II, cap. VIII, q. 24.
[27] Cfr. S. Greg. M., Homil. XXX in Evang. (Io., XIV, 23-31), n. 1.
[28] Mt 22,40.

19 Una tale vicendevole formazione interna dei coniugi, con l’assiduo impegno di perfezionarsi a vicenda, in un certo senso verissimo, come insegna il Catechismo romano [29], si può dire anche primaria causa e motivo del matrimonio, purché s’intenda per matrimonio, non già nel senso più stretto, l’istituzione ordinata alla retta procreazione ed educazione della prole, ma in senso più largo, la comunanza, l’uso e la società di tutta la vita.

Con questo stesso amore si debbono conciliare tanto gli altri diritti quanto gli altri doveri del matrimonio, in modo tale che non solo sia legge di giustizia ma anche norma di carità quella dell’Apostolo: « Alla moglie renda il marito quello che le deve, e parimenti la moglie al marito » [30].

[29] Cfr. Catech. Rom., p. II, cap. VIII, q. 13.
[30]
1Co 7,3.

20 Rassodata finalmente col vincolo di questa carità la società domestica, in essa fiorirà necessariamente quello che è chiamato da Sant’Agostino ordine dell’amore. Il quale ordine richiede da una parte la superiorità del marito sopra la moglie e i figli, e dall’altra la pronta soggezione e ubbidienza della moglie, non per forza, ma quale è raccomandata dall’Apostolo in queste parole: « Le donne siano soggette ai loro mariti, come al Signore, perché l’uomo è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa » [31].

Una tale soggezione però non nega né toglie la libertà che compete di pieno diritto alla donna, sia per la nobiltà della personalità umana, sia per il compito nobilissimo di sposa, di madre e di compagna; né l’obbliga ad accondiscendere a tutti i capricci dell’uomo, se poco conformi alla ragione stessa o alla dignità della sposa; né vuole infine che la moglie sia equiparata alle persone che nel diritto si chiamano minorenni, alle quali per mancanza della maturità di giudizio o per inesperienza delle cose umane non si suole concedere il libero esercizio dei loro diritti; ma vieta quella licenza esagerata che non cura il bene della famiglia, vieta che nel corpo di questa famiglia sia separato il cuore dal capo, con danno sommo del corpo intiero e con pericolo prossimo di rovina. Se l’uomo infatti è il capo, la donna è il cuore; e come l’uno tiene il primato del governo, così l’altra può e deve attribuirsi come suo proprio il primato dell’amore.

[31]
Ep 5,22-23.

21 Quanto poi al grado ed al modo di questa soggezione della moglie al marito, essa può essere diversa secondo la varietà delle persone, dei luoghi e dei tempi; anzi, se l’uomo viene meno al suo dovere, appartiene alla moglie supplirvi nella direzione della famiglia. Ma in nessun tempo e luogo è lecito sovvertire o ledere la struttura essenziale della famiglia stessa e la sua legge da Dio fermamente stabilita.

Dell’osservanza di questo ordine tra marito e moglie così parlò già con molta sapienza il predecessore Nostro Leone XIII di f. m. nell’Enciclica, che abbiamo ricordato, del matrimonio cristiano: « Il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie la quale pertanto, perché è carne della carne di lui ed ossa delle sue ossa, non dev’essere soggetta ed obbediente al marito a guisa di ancella, bensì di compagna; cioè in tal modo che la soggezione che ella rende a lui non sia disgiunta dal decoro né dalla dignità. In lui poi che governa ed in lei che ubbidisce, rendendo entrambi l’immagine l’uno di Cristo, l’altro della Chiesa, sia la carità divina la perpetua moderatrice dei loro doveri » [32].

[32] Litt. Encycl. Arcanum, 10 Febr. 1880.

22 Queste sono dunque le virtù che vanno comprese nel bene della fede: unità, castità, carità, nobile e dignitosa ubbidienza; le quali riescono poi altrettanti vantaggi dei coniugi e del loro coniugio, in quanto, assicurano o promuovono la pace, la dignità e la felicità del matrimonio. Non fa quindi meraviglia che questa fede sia stata sempre annoverata tra i benefìci insigni e proprî del matrimonio.

23 Senonché a tutto il cumulo di benefìci così grandi, il compimento e la corona ultima vengono da quell’altro bene proprio del matrimonio cristiano, che abbiamo chiamato con la parola di Agostino Sacramento, e che designa l’indissolubilità del vincolo ed insieme la elevazione e consacrazione, fatta da Cristo, del contratto in segno efficace della grazia.

24 E anzitutto, quanto all’indissolubile fermezza del patto coniugale, Cristo medesimo vi insiste dicendo: «Ciò che Iddio ha congiunto, l’uomo non separi » [33]; e: « Chiunque ripudia la propria moglie e ne prende un’altra, commette adulterio; e chiunque, prende quella che è stata ripudiata dal marito, commette adulterio » [34].

In questa indissolubilità ripone appunto Sant’Agostino il bene che egli chiama del sacramento, con queste chiare parole: «Nel sacramento, poi si esige che il matrimonio non sia disciolto e il ripudiato o la ripudiata non si unisca ad altri, neppure a causa della prole » [35].

[33]
Mt 19,6.
[34] Lc 16,18.
[35] S. August., De Gen. ad litt., lib. IX, c. 7, n. 12.

25 Ora questa inviolabile fermezza, quantunque non competa ad ogni matrimonio con la stessa misura di perfezione, compete nondimeno a tutti i veri matrimoni; perché il detto del Signore: «Ciò che Iddio ha congiunto, l’uomo non separi » essendo stato pronunciato a proposito del matrimonio dei primi progenitori, prototipo di qualsiasi altro matrimonio futuro, deve di necessità comprendere tutti assolutamente i veri matrimoni. Che se prima di Cristo la sublimità e la severità della legge primitiva andarono tanto attenuate, che Mosè permise ai cittadini dello stesso popolo di Dio, per la durezza del loro cuore, di dare per motivi determinati la lettera del ripudio, Cristo invece, giusta il suo potere di legislatore supremo, revocò questo permesso di una maggiore libertà, e rimise pienamente in vigore la legge primitiva con quelle parole assolutamente indimenticabili: «Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non separi ». Molto saggiamente perciò Pio VI, Nostro predecessore di f. m., così rispondeva al Vescovo di Agra: « Per questo è evidente che il matrimonio, nel medesimo stato di natura e certo assai prima che fosse sollevato alla dignità di Sacramento propriamente detto, è stato divinamente istituito in maniera da portare seco la perpetuità e la indissolubilità del nodo, tale perciò che da nessuna legge civile possa essere disciolto. Quindi, sebbene la ragione di sacramento possa andare disgiunta dal matrimonio, come tra gli infedeli, anche in tale matrimonio tuttavia, se è vero matrimonio, deve restare e certamente resta in perpetuo quel nodo che fino dalla prima origine è così inerente al matrimonio che non va soggetto a nessun potere civile. Così qualsiasi matrimonio si dica contratto, o venga contratto in modo da essere un vero matrimonio, avrà insieme quel nodo perpetuo che per diritto divino va connesso con ogni vero matrimonio; ovvero si suppone contratto senza tale nodo perpetuo, e allora non è vero matrimonio, ma una illecita unione contraria per il suo oggetto alla legge divina, e che perciò non si può lecitamente né iniziare né mantenere » [36].

[36] Pius VI, Rescript. ad Episc. Agriens., 11 Iul. 1789.

26 Se questa fermezza sembra patire qualche eccezione, sebbene rarissima, come in certi matrimoni naturali che siano contratti tra infedeli solamente o, se tra fedeli, che siano sì ratificati ma non ancora consumati, una siffatta eccezione non dipende da volontà di uomini né di qualsiasi potere meramente umano, ma dal diritto divino, di cui unica custode e interprete è la Chiesa di Cristo. Ma una tale occasione non potrà mai verificarsi per nessun motivo nel matrimonio cristiano rato e consumato. In questo infatti, come il nodo coniugale ottiene la piena perfezione, così risplendono per volontà di Dio la massima fermezza e indissolubilità, tali da non potersi rallentare per nessuna autorità umana.

27 Se vogliamo investigare con riverenza l’intima ragione di questa volontà divina, facilmente la troveremo, Venerabili Fratelli, in quella mistica significazione del matrimonio cristiano, che si verifica con piena perfezione nel matrimonio consumato tra fedeli. Il matrimonio dei cristiani, infatti, secondo la testimonianza dell’Apostolo nella sua lettera (in principio accennata) agli Efesini [37], rappresenta quell’unione perfettissima che corre fra Cristo e la Chiesa: «Questo Sacramento è grande, io però parlo riguardo a Cristo e alla Chiesa »: la quale unione per nessuna separazione potrà mai sciogliersi, finché vivrà Cristo, e la Chiesa per Lui. Il che pure Sant’Agostino chiaramente insegna in quelle parole: «Questo infatti viene custodito in Cristo e nella Chiesa; e per nessun divorzio sia separato il vivente col vivente in eterno. Del quale Sacramento è tanto gelosa l’osservanza nella città del Dio Nostro … cioè nella Chiesa di Cristo … che quando per avere figli o le donne prendano marito o gli uomini prendano moglie, non è lecito abbandonare la moglie sterile per prenderne un’altra feconda. Se qualcuno fa questo, è reo di adulterio, non per la legge di questo secolo (dove, intervenendo il ripudio, si concede, senza farne colpa, di contrarre matrimoni con altri; ciò che il Signore testifica avere anche il santo Mosè permesso agli Israeliti per la durezza del loro cuore) ma per la legge del Vangelo; così pure è rea di adulterio la donna se si sposerà ad un altro » [38].

[37]
Ep 5,32.
[38] S. August., De nupt. et concup., lib. I, cap. 10.

28 Quanti poi e quanto grandi vantaggi derivino dall’indissolubilità del matrimonio, lo intende senz’altro chiunque rifletta un istante sia al bene dei coniugi stessi e della prole, come alla salute di tutta l’umana società. Anzitutto i coniugi, nella fermezza assoluta del vincolo, hanno quel contrassegno certo di perennità, quale di natura sua è voluto dalla generosa donazione di tutta la persona e dall’intima unione dei cuori, poiché la carità vera non viene meno mai [39]. Ivi inoltre è un saldo baluardo a difesa della castità fedele, contro gl’interni ed esterni eccitamenti all’infedeltà, se mai sopravvengano; esclusa ogni ansietà o timore che o per qualche disgrazia o per la vecchiaia l’altro coniuge non si abbia ad allontanare, sottentra invece una tranquilla sicurezza. Ad assicurare similmente la dignità dei coniugi ed il vicendevole aiuto, soccorre nel modo più opportuno il pensiero del vincolo indissolubile, ricordando loro che non all’intento di caduchi interessi, né a soddisfazione di piacere, ma per cooperare insieme al conseguimento di beni più eccelsi ed eterni, essi strinsero il patto nuziale, infrangibile se non dalla morte. Egregiamente, ancora, la fermezza del matrimonio provvede alla cura e alla educazione dei figli, opera di lunghi anni, piena di gravi doveri e di fatiche, quali più agevolmente le forze unite dei genitori possono sostenere. Né minori sono i vantaggi che ne provengono a tutta la società umana. L’esperienza insegna infatti come all’onestà della vita in genere ed all’integrità dei costumi immensamente conferisce la fermezza inconcussa dei matrimoni; e come dalla severa osservanza di tale ordinamento vengano assicurate la felicità e la salvezza della cosa pubblica; infatti tale sarà lo Stato, quali sono le famiglie, quali gli uomini, di cui esso è composto, come il corpo delle membra. Ond’è che quanti difendono strenuamente l’inviolabile saldezza del matrimonio, si rendono grandemente benemeriti sia del bene privato dei coniugi e della prole, sia del bene pubblico dell’umana società.

[39]
1Co 13,8.

30 Ma in questo beneficio del Sacramento, oltre i vantaggi della inviolabile stabilità, sono contenuti, più eccellenti ancora, altri vantaggi designati esattamente dal vocabolo stesso di Sacramento, giacché per i cristiani questo non è nome vano e vuoto di senso, sapendo essi che Cristo, « istitutore e perfezionatore di venerabili Sacramenti » [40], con l’elevare alla dignità di vero e proprio Sacramento della Nuova Legge il matrimonio dei suoi fedeli, lo rese in effetto segno e fonte di quella speciale grazia interna, con la quale «portava l’amore naturale a maggior perfezione, ne confermava l’indissolubile unità, e i coniugi stessi santificava » [41]. E poiché Cristo stabilì che lo stesso valido consenso matrimoniale tra fedeli fosse il segno della grazia, quindi la ragione di Sacramento va col coniugio cristiano così strettamente connessa, che tra battezzati non può darsi matrimonio « che non sia con ciò stesso anche Sacramento » [42].

[40] Conc. Trident., sess. XXIV.
[41] Conc. Trident., sess. XXIV.
[42] Cod. iur. can.,
CIS 1012.

31 Con ciò stesso dunque i fedeli che danno con animo sincero un tale consenso, aprono a sé il tesoro della grazia sacramentale, ove attingere le forze soprannaturali occorrenti ad adempiere le proprie parti ed i propri doveri fedelmente, santamente, con perseveranza fino alla morte.

Questo Sacramento, in coloro che non vi oppongono positivo ostacolo, non solo accresce il principio di vita soprannaturale, cioè la grazia santificante, ma vi aggiunge ancora altri doni speciali, disposizioni e germi di grazia, come novello vigore e perfezione alle forze della natura, affinché i coniugi possano non solo bene intendere, ma intimamente sentire, con ferma convinzione e risoluta volontà stimare e adempiere quanto appartiene allo stato coniugale e ai suoi fini e doveri; ed a tale effetto infine conferisce il diritto all’aiuto attuale della grazia, ogniqualvolta ne abbisognino per adempire agli obblighi di questo stato.

32 Siccome, nondimeno, è legge di provvidenza divina nell’ordine soprannaturale che, dai Sacramenti ricevuti dopo l’uso di ragione, l’uomo non tragga tutto intero il frutto loro quando non cooperi alla grazia, così anche la grazia propria del matrimonio rimarrebbe in gran parte come talento inutile sepolto sotto terra qualora i coniugi non adoprassero le forze soprannaturali, trascurando di coltivare e far fruttificare i preziosi semi della grazia. Se all’incontro si studiano, quant’è in loro, di bene cooperare, potranno della loro condizione sopportare i pesi, adempiere i doveri, e dalla potenza di tanto Sacramento si sentiranno ravvalorati, santificati e come consacrati. Poiché, secondo quanto insegna Sant’Agostino, come per i sacramenti del Battesimo e dell’Ordine l’uomo viene rispettivamente designato ed aiutato o a condurre vita cristiana o ad esercitare l’Ufficio sacerdotale, né l’aiuto sacramentale di quelli sarà mai per mancargli, così in modo simile (ancorché senza il carattere sacramentale), i fedeli, uniti una volta col vincolo del matrimonio, non potranno esser privati mai né dell’aiuto, né del legame sacramentale.

Anzi, soggiunge il medesimo Santo Dottore, quel vincolo sacro, qualora cadessero in adulterio, se lo porterebbero seco, quantunque non più alla gloria della grazia, ma nella pena della colpa, « a quella maniera che l’anima dell’apostata, quasi separandosi dal coniugio di Cristo, anche dopo perduta la fede, non perde il Sacramento della fede, ricevuto nel lavacro della rigenerazione » [43].

[43] S. August., De nupt. et concup., lib. I, cap. 10.

33 Gli stessi coniugi poi, dall’aureo vincolo del sacramento non incatenati ma adorni, non impacciati ma rinvigoriti, si adopreranno con tutte le forze a far sì che il loro connubio, non solamente per la proprietà e il significato del sacramento, ma anche per lo spirito loro e la condotta della loro vita, sia sempre e rimanga immagine viva di quell’unione fecondissima di Cristo con la sua Chiesa, che è certamente mistero venerando di perfettissimo amore.

34 Se tutte queste verità, Venerabili Fratelli, si considerano con ponderatezza e fede viva, se questi preziosi beni del matrimonio, la prole, la fede e il Sacramento, sono messi nella debita luce, è impossibile non restare ammirati della sapienza, santità e bontà divina, le quali con tanta larghezza provvidero insieme a mantenere la dignità e la felicità dei coniugi, e ad ottenere la conservazione e propagazione dell’uman genere mediante la sola casta e sacra unione del vincolo nuziale.


Casti connubii IT