Catechismo Chiesa Catt. 1690


PARTE TERZA

LA VITA IN CRISTO

1691 « Riconosci, o cristiano, la tua dignità, e, reso consorte della natura divina, non voler tornare all'antica bassezza con una vita indegna. Ricorda a quale Capo appartieni e di quale corpo sei membro. Ripensa che, liberato dal potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce e nel regno di Dio ». (1)

(1) San Leone Magno, Sermo 21, 3: CCL 138, 88 (PL 54, 192-193).


1692 Il Simbolo della fede ha professato la grandezza dei doni di Dio all'uomo nell'opera della creazione e ancor più mediante la redenzione e la santificazione. Ciò che la fede confessa, i sacramenti lo comunicano: per mezzo dei sacramenti che li hanno fatti rinascere, i cristiani sono diventati « figli di Dio » (1Jn 3,1), (2) « partecipi della natura divina » (2P 1,4). Riconoscendo nella fede la loro nuova dignità, i cristiani sono chiamati a comportarsi ormai in modo degno del Vangelo di Cristo. (3) Mediante i sacramenti e la preghiera, essi ricevono la grazia di Cristo e i doni del suo Spirito, che li rendono capaci di questa vita nuova.

(2) Cf Jn 1,12.
(3) Cf Ph 1,27.

1693 Cristo Gesù ha sempre fatto ciò che era gradito al Padre. (4) Egli ha sempre vissuto in perfetta comunione con lui. Allo stesso modo i suoi discepoli sono invitati a vivere sotto lo sguardo del Padre « che vede nel segreto » (Mt 6,6) per diventare « perfetti come è perfetto il Padre [...] celeste » (Mt 5,47).

(4) Cf Jn 8,29.

1694 Incorporati a Cristo per mezzo del Battesimo, (5) i cristiani sono morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù, (6) partecipando così alla vita del Risorto. (7) Alla sequela di Cristo e in unione con lui, (8) i cristiani possono farsi imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminare nella carità, (9) conformando i loro pensieri, le loro parole, le loro azioni ai sentimenti che furono in Cristo Gesù (10) e seguendone gli esempi. (11)

(5) Cf
Rm 6,5.
(6) Cf Rm 6,11.
(7) Cf Col 2,12.
(8) Cf Jn 15,5.
(9) Cf Ep 5,1-2.
(10) Cf Ph 2,5.
(11) Cf Jn 13,12-16.

1695 « Giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio » (1Co 6,11), santificati e chiamati ad essere santi (12) i cristiani sono diventati « tempio dello Spirito Santo » (1Co 6,19). Questo « Spirito del Figlio » insegna loro a pregare il Padre (13) e, essendo diventato la loro vita, li fa agire (14) in modo tale che portino il frutto dello Spirito (15) mediante una carità operosa. Guarendo le ferite del peccato, lo Spirito Santo ci rinnova interiormente con una trasformazione spirituale, (16) ci illumina e ci fortifica per vivere come « figli della luce » (Ep 5,8), mediante « ogni bontà, giustizia e verità » (Ep 5,9).

(12) Cf 1Co 1,2.
(13) Cf Ga 4,6.
(14) Cf Ga 5,25.
(15) Cf Ga 5,22.
(16) Cf Ep 4,23.

1696 La via di Cristo « conduce alla vita » (Mt 7,14), una via opposta « conduce alla perdizione » (Mt 7,13). (17) La parabola evangelica delle due vie è sempre presente nella catechesi della Chiesa. Essa sta ad indicare l'importanza delle decisioni morali per la nostra salvezza. « Ci sono due vie, l'una della vita, l'altra della morte; ma tra le due corre una grande differenza ». (18)

(17) Cf Dt 30,15-20.
(18) Didaché, 1, 1: SC 248,140.

1697 Nella catechesi è importante mettere in luce con estrema chiarezza la gioia e le esigenze della via di Cristo. (19) La catechesi della « vita nuova » (Rm 6,4) in lui sarà:

- una catechesi dello Spirito Santo, maestro interiore della vita secondo Cristo, dolce ospite e amico che ispira, conduce, corregge e fortifica questa vita;
- una catechesi della grazia, poiché è per grazia che siamo salvati ed è ancora per grazia che le nostre opere possono portare frutto per la vita eterna;
- una catechesi delle beatitudini, infatti la via di Cristo è riassunta nelle beatitudini, il solo cammino verso la felicità eterna, cui aspira il cuore dell'uomo;
- una catechesi del peccato e del perdono, poiché, se non si riconosce peccatore, l'uomo non può conoscere la verità su se stesso, condizione del retto agire, e, senza l'offerta del perdono, non potrebbe sopportare tale verità;
- una catechesi delle virtù umane, che conduce a cogliere la bellezza e l'attrattiva delle rette disposizioni per il bene;
- una catechesi delle virtù cristiane della fede, della speranza e della carità, che si ispira al sublime esempio dei santi;
- una catechesi del duplice comandamento della carità sviluppato nel Decalogo;
- una catechesi ecclesiale, perché è nei molteplici scambi dei « beni spirituali » nella « comunione dei santi » che la vita cristiana può crescere, svilupparsi e comunicarsi.

(19) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae, CTR 29: AAS 71 (1979) 1301.

1698 Il riferimento primo e ultimo di tale catechesi sarà sempre lo stesso Gesù Cristo, che è « la via, la verità e la vita » (Jn 14,6). Guardando a lui nella fede, i cristiani possono sperare che egli stesso realizzi in loro le sue promesse, e che, amandolo con l'amore con cui egli li ha amati, compiano le opere che si addicono alla loro dignità:

« Vi prego di considerare che [...] Gesù Cristo nostro Signore è il vostro vero Capo e che voi siete una delle sue membra. [...] Egli sta a voi come il capo alle membra; tutto ciò che è suo è vostro, il suo Spirito, il suo cuore, il suo corpo, la sua anima e tutte le sue facoltà, [...] e voi dovete usarne come se fossero cose vostre, per servire, lodare, amare e glorificare Dio. Voi appartenete a lui, come le membra al loro capo. Allo stesso modo egli desidera ardentemente usare tutto ciò che è in voi, al servizio e per la gloria del Padre, come se fossero cose che gli appartengono ». (20)

« Per me il vivere è Cristo » (Ph 1,21.

(20) San Giovanni Eudes, Le Coeur admirable de la Très Sacrée Mère de Dieu, 1, 5: Oeuvres completes, v. 6 (Paris 1908) p. 113-114.



SEZIONE PRIMA

LA VOCAZIONE DELL'UOMO:

LA VITA NELLO SPIRITO


1699 La vita nello Spirito Santo realizza la vocazione dell'uomo (capitolo primo). E fatta di carità divina e di solidarietà umana (capitolo secondo). E gratuitamente concessa come una salvezza (capitolo terzo).


CAPITOLO PRIMO

LA DIGNITÀ DELLA PERSONA UMANA

1700 La dignità della persona umana si radica nella creazione ad immagine e somiglianza di Dio (articolo 1); ha il suo compimento nella vocazione alla beatitudine divina (articolo 2). È proprio dell'essere umano tendere liberamente a questo compimento (articolo 3). Con i suoi atti liberi (articolo 4), la persona umana si conforma, o non si conforma, al bene promesso da Dio e attestato dalla coscienza morale (articolo 5). Gli esseri umani si edificano da se stessi e crescono interiormente: di tutta la loro vita sensibile e spirituale formano la materia per la loro crescita (articolo 6). Con l'aiuto della grazia progrediscono nella virtù (articolo 7), evitano il peccato e, se l'hanno commesso, si affidano, come il figlio prodigo, (21) alla misericordia del nostro Padre dei cieli (articolo 8). Così raggiungono la perfezione della carità.

(21) Cf
Lc 15,11-31).


ARTICOLO 1

L'UOMO IMMAGINE DI DIO

1701 « Cristo [...], proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione ». (22) È in Cristo, « immagine del Dio invisibile » (Col 1,15), (23) che l'uomo è stato creato ad « immagine e somiglianza » del Creatore. È in Cristo, Redentore e Salvatore, che l'immagine divina, deformata nell'uomo dal primo peccato, è stata restaurata nella sua bellezza originale e nobilitata dalla grazia di Dio. (24)

(22) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 22, AAS 58 (1966) 1042.
(23) Cf 2Co 4,4.
(24) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 22, AAS 58 (1966) 1042.

1702 L'immagine divina è presente in ogni uomo. Risplende nella comunione delle persone, a somiglianza dell'unità delle persone divine tra loro (cf capitolo secondo).

1703 Dotata di un'anima spirituale ed immortale, (25) la persona umana è in terra « la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa ». (26) Fin dal suo concepimento è destinata alla beatitudine eterna.

(25) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 14, AAS 58 (1966) 1036.

1704 La persona umana partecipa alla luce e alla forza dello Spirito divino. Grazie alla ragione è capace di comprendere l'ordine delle cose stabilito dal Creatore. Grazie alla volontà è capace di orientarsi da sé al suo vero bene. Trova la propria perfezione nel cercare e nell'amare il vero e il bene. (27)

(26) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 24, AAS 58 (1966) 1045.
(27) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 15, AAS 58 (1966) 1036.

1705 In virtù della sua anima e delle sue potenze spirituali d'intelli-genza e di volontà, l'uomo è dotato di libertà, « segno altissimo dell'immagine divina ». (28)

(28) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 17, AAS 58 (1966) 1037.

1706 Con la sua ragione l'uomo conosce la voce di Dio che lo « chiama sempre [...] a fare il bene e a fuggire il male ». (29) Ciascuno è tenuto a seguire questa legge che risuona nella coscienza e che trova il suo compimento nell'amore di Dio e del prossimo. L'esercizio della vita morale attesta la dignità della persona.

(29) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 16, AAS 58 (1966) 1037.

1707 « L'uomo però, tentato dal maligno, fin dagli inizi della storia abusò della sua libertà ». (30) Egli cedette alla tentazione e commise il male. Conserva il desiderio del bene, ma la sua natura porta la ferita del peccato originale. È diventato incline al male e soggetto all'errore:

« Così l'uomo si trova in se stesso diviso. Per questo tutta la vita umana, sia individuale che collettiva, presenta i caratteri di una lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre ». (31)

(30) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 13, AAS 58 (1966) 1034.
(31) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 13, AAS 58 (1966) 1035.

1708 Con la sua passione Cristo ci ha liberati da Satana e dal peccato. Ci ha meritato la vita nuova nello Spirito Santo. La sua grazia restaura ciò che il peccato aveva in noi deteriorato.

1709 Chi crede in Cristo diventa figlio di Dio. Questa adozione filiale lo trasforma dandogli la capacità di seguire l'esempio di Cristo. Lo rende capace di agire rettamente e di compiere il bene. Nell'unione con il suo Salvatore, il discepolo raggiunge la perfezione della carità, cioè la santità. La vita morale, maturata nella grazia, sboccia in vita eterna, nella gloria del cielo.



In sintesi

1710 « Cristo [...] svela pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione ». (32)

(32) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 22, AAS 58 (1966) 1042.

1711 Dotata di un'anima spirituale, d'intelligenza e di volontà, la persona umana fin dal suo concepimento è ordinata a Dio e destinata alla beatitudine eterna. Essa raggiunge la propria perfezione nel cercare ed amare il vero e il bene. (33)

(33) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 15, AAS 58 (1966) 1036.

1712 « La vera libertà [...] è nell'uomo segno altissimo dell'immagine divina ». (34)

(34) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 17, AAS 58 (1966) 1037.

1713 L'uomo è tenuto a seguire la legge morale che lo spinge « a fare il bene e a fuggire il male ». (35) Questa legge risuona nella sua coscienza.

(35) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 16, AAS 58 (1966) 1037.

1714 L'uomo, ferito nella propria natura dal peccato originale, è soggetto all'errore ed incline al male nell'esercizio della sua libertà.

1715 Chi crede in Cristo ha la vita nuova nello Spirito Santo. La vita morale, cresciuta e maturata nella grazia, arriva a compimento nella gloria del cielo.






ARTICOLO 2

LA NOSTRA VOCAZIONE ALLA BEATITUDINE


I. Le beatitudini

1716 Le beatitudini sono al centro della predicazione di Gesù. La loro proclamazione riprende le promesse fatte al popolo eletto a partire da Abramo. Le porta alla perfezione ordinandole non più al solo godimento di una terra, ma al regno dei cieli:

« Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché erediteranno la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli » (
Mt 5,3-12).

1717 Le beatitudini dipingono il volto di Gesù Cristo e ne descrivono la carità; esse esprimono la vocazione dei fedeli associati alla gloria della sua passione e della sua risurrezione; illuminano le azioni e le disposizioni caratteristiche della vita cristiana; sono le promesse paradossali che, nelle tribolazioni, sorreggono la speranza; annunziano le benedizioni e le ricompense già oscuramente anticipate ai discepoli; sono inaugurate nella vita della Vergine Maria e di tutti i santi.



II. Il desiderio della felicità

1718 Le beatitudini rispondono all'innato desiderio di felicità. Questo desiderio è di origine divina; Dio l'ha messo nel cuore dell'uomo per attirarlo a sé, perché egli solo lo può colmare.

« Noi tutti certamente bramiamo vivere felici, e tra gli uomini non c'è nessuno che neghi il proprio assenso a questa affermazione, anche prima che venga esposta in tutta la sua portata ». (36)

« Come ti cerco, dunque, Signore? Cercando te, Dio mio, io cerco la felicità. Ti cercherò perché l'anima mia viva. Il mio corpo vive della mia anima e la mia anima vive di te ». (37)

« Dio solo sazia ». (38)

(36) Sant'Agostino, De moribus Ecclesiae catholicae, 1, 3, 4: CSEL 90, 6 (PL 32, 1312).
(37) Sant'Agostino, Confessiones, 10, 20, 29: CCL 27, 170 (PL 32, 791).
(38) San Tommaso d'Aquino, In Symbolum Apostolorum scilicet « Credo in Deum » expositio, c. 15: Opera omnia, v. 27 (Parigi 1875) p. 228.

1719 Le beatitudini svelano la mèta dell'esistenza umana, il fine ultimo cui tendono le azioni umane: Dio ci chiama alla sua beatitudine. Tale vocazione è rivolta a ciascuno personalmente, ma anche all'insieme della Chiesa, popolo nuovo di coloro che hanno accolto la Promessa e vivono nella fede di essa.



III. La beatitudine cristiana

1720 Il Nuovo Testamento usa parecchie espressioni per caratterizzare la beatitudine alla quale Dio chiama l'uomo: l'avvento del regno di Dio; (39) la visione di Dio: « Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio » (Mt 5,8); (40) l'entrata nella gioia del Signore; (41) l'entrata nel riposo di Dio: (42)

« Là noi riposeremo e vedremo; vedremo e ameremo; ameremo e loderemo. Ecco ciò che alla fine sarà senza fine. E quale altro fine abbiamo, se non di giungere al regno che non avrà fine? ». (43)

(39) Cf Mt 4,17.
(40) Cf 1Jn 3,2 1Co 13,12.
(41) Cf Mt 25,21 Mt 25,23.
(42) Cf He 4,7-11.
(43) Sant'Agostino, De civitate Dei, 22, 30: CSEL 402, 670 (PL 41, 804).

1721 Dio infatti ci ha creati per conoscerlo, servirlo e amarlo, e così giungere in paradiso. La beatitudine ci rende « partecipi della natura divina » (2P 1,4) e della vita eterna. (44) Con essa, l'uomo entra nella gloria di Cristo (45) e nel godimento della vita trinitaria.

(44) Cf Jn 17,3.
(45) Cf Rm 8,18.

1722 Una tale beatitudine oltrepassa l'intelligenza e le sole forze umane. Essa è frutto di un dono gratuito di Dio. Per questo la si dice soprannaturale, come la grazia che dispone l'uomo ad entrare nella gioia di Dio.

« "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio"; tuttavia nella sua grandezza e nella sua mirabile gloria, "nessun uomo può vedere Dio e restare vivo". Il Padre, infatti, è incomprensibile; ma nel suo amore, nella sua bontà verso gli uomini, e nella sua onnipotenza, arriva a concedere a coloro che lo amano il privilegio di vedere Dio [...]: poiché "ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio" ». (46)

(46) Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 20, 5: SC 100,638.

1723 La beatitudine promessa ci pone di fronte a scelte morali decisive. Essa ci invita a purificare il nostro cuore dai suoi istinti cattivi e a cercare l'amore di Dio al di sopra di tutto. Ci insegna che la vera felicità non si trova né nella ricchezza o nel benessere, né nella gloria umana o nel potere, né in alcuna attività umana, per quanto utile possa essere, come le scienze, le tecniche e le arti, né in alcuna creatura, ma in Dio solo, sorgente di ogni bene e di ogni amore:

« La ricchezza è la grande divinità del presente; alla ricchezza la moltitudine, tutta la massa degli uomini, tributa un omaggio istintivo. Per gli uomini il metro della felicità è la fortuna, e la fortuna è il metro dell'onorabilità. [...] Tutto ciò deriva dalla convinzione che in forza della ricchezza tutto è possibile. La ricchezza è quindi uno degli idoli del nostro tempo, e un altro idolo è la notorietà. [...] La notorietà, il fatto di essere conosciuti e di far parlare di sé nel mondo (ciò che si potrebbe chiamare fama da stampa), ha finito per essere considerata un bene in se stessa, un bene sommo, un oggetto, anch'essa, di vera venerazione ». (47)

(47) John Henry Newman, Discourses addressed to Mixed Congregations, 5 [Saintliness the Standard of Christian Principle] (Westminster 1966) p. 89-91.

1724 Il Decalogo, il discorso della montagna e la catechesi apostolica ci descrivono le vie che conducono al regno dei cieli. Noi ci impegniamo in esse passo passo, mediante azioni quotidiane, sostenuti dalla grazia dello Spirito Santo. Fecondati dalla parola di Cristo, lentamente portiamo frutti nella Chiesa per la gloria di Dio. (48)

(48) Cf la parabola del seminatore:
Mt 13,3-23.


In sintesi

1725 Le beatitudini riprendono e portano a perfezione le promesse di Dio fatte a partire da Abramo, ordinandole al regno dei cieli. Esse rispondono al desiderio di felicità che Dio ha posto nel cuore dell'uomo.

1726 Le beatitudini ci insegnano il fine ultimo al quale Dio ci chiama: il Regno, la visione di Dio, la partecipazione alla natura divina, la vita eterna, la filiazione, il riposo in Dio.

1727 La beatitudine della vita eterna è un dono gratuito di Dio: è soprannaturale al pari della grazia che ad essa conduce.

1728 Le beatitudini ci mettono di fronte a scelte decisive riguardo ai beni terreni; esse purificano il nostro cuore per renderci capaci di amare Dio al di sopra di tutto.

1729 La beatitudine del cielo determina i criteri di discernimento nell'uso dei beni terreni in conformità alla Legge di Dio.






ARTICOLO 3

LA LIBERTA' DELL'UOMO

1730 Dio ha creato l'uomo ragionevole conferendogli la dignità di una persona dotata dell'iniziativa e della padronanza dei suoi atti. « Dio volle, infatti, lasciare l'uomo "in balia del suo proprio volere" (Si 15,14) perché così esso cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, con l'adesione a lui, alla piena e beata perfezione »: (49)

« L'uomo è dotato di ragione, e in questo è simile a Dio, creato libero nel suo arbitrio e potere ». (50)

(49) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 17, AAS 58 (1966) 1037.
(50) Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 4, 3: SC 100,424.


I. Libertà e responsabilità

1731 La libertà è il potere, radicato nella ragione e nella volontà, di agire o di non agire, di fare questo o quello, di porre così da se stessi azioni deliberate. Grazie al libero arbitrio ciascuno dispone di sé. La libertà è nell'uomo una forza di crescita e di maturazione nella verità e nella bontà. La libertà raggiunge la sua perfezione quando è ordinata a Dio, nostra beatitudine.

1732 Finché non si è definitivamente fissata nel suo bene ultimo che è Dio, la libertà implica la possibilità di scegliere tra il bene e il male, e conseguentemente quella di avanzare nel cammino di perfezione oppure di venire meno e di peccare. Essa contraddistingue gli atti propriamente umani. Diventa sorgente di lode o di biasimo, di merito o di demerito.

1733 Quanto più si fa il bene, tanto più si diventa liberi. Non c'è vera libertà se non al servizio del bene e della giustizia. La scelta della disobbedienza e del male è un abuso della libertà e conduce alla schiavitù del peccato. (51)

(51) Cf
Rm 6,17.

1734 La libertà rende l'uomo responsabile dei suoi atti, nella misura in cui sono volontari. Il progresso nella virtù, la conoscenza del bene e l'ascesi accrescono il dominio della volontà sui propri atti.

1735 L'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite o annullate dall'ignoranza, dall'inavvertenza, dalla violenza, dal timore, dalle abitudini, dagli affetti smodati e da altri fattori psichici oppure sociali.

1736 Ogni atto voluto direttamente è da imputarsi a chi lo compie:

Il Signore infatti chiede ad Adamo dopo il peccato nel giardino: « Che hai fatto? » (
Gn 3,13). Così pure a Caino. (52) Altrettanto fa il profeta Natan con il re Davide dopo l'adulterio commesso con la moglie di Uria e l'assassinio di quest'ultimo. (53) Un'azione può essere indirettamente volontaria quando è conseguenza di una negligenza riguardo a ciò che si sarebbe dovuto conoscere o fare, per esempio un incidente provocato da una ignoranza del codice stradale.

(52) Cf Gn 4,10.
(53) Cf 2S 12,7-15.

1737 Un effetto può essere tollerato senza che sia voluto da colui che agisce; per esempio lo sfinimento di una madre al capezzale del figlio ammalato. L'effetto dannoso non è imputabile se non è stato voluto né come fine né come mezzo dell'azione, come può essere la morte incontrata nel portare soccorso a una persona in pericolo. Perché l'effetto dannoso sia imputabile, bisogna che sia prevedibile e che colui che agisce abbia la possibilità di evitarlo; è il caso, per esempio, di un omicidio commesso da un conducente in stato di ubriachezza.

1738 La libertà si esercita nei rapporti tra gli esseri umani. Ogni persona umana, creata ad immagine di Dio, ha il diritto naturale di essere riconosciuta come un essere libero e responsabile. Tutti hanno verso ciascuno il dovere di questo rispetto. Il diritto all'esercizio della libertà è un'esigenza inseparabile dalla dignità della persona umana, particolarmente in campo morale e religioso. (54) Tale diritto deve essere civilmente riconosciuto e tutelato nei limiti del bene comune e dell'ordine pubblico. (55)

(54) Cf Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae
DH 2, AAS 58 (1966) 930-931.
(55) Cf Concilio Vaticano II, Dich. Dignitatis humanae DH 7, AAS 58 (1966) 934-935.


II. La libertà umana nell'Economia della salvezza

1739 Libertà e peccato. La libertà dell'uomo è finita e fallibile. Di fatto, l'uomo ha sbagliato. Liberamente ha peccato. Rifiutando il disegno d'amore di Dio, si è ingannato da sé; è divenuto schiavo del peccato. Questa prima alienazione ne ha generate molte altre. La storia dell'umanità, a partire dalle origini, sta a testimoniare le sventure e le oppressioni nate dal cuore dell'uomo, in conseguenza di un cattivo uso della libertà.

1740 Minacce per la libertà. L'esercizio della libertà non implica il diritto di dire e di fare qualsiasi cosa. È falso pretendere che l'uomo, soggetto della libertà, sia un « individuo sufficiente a se stesso ed avente come fine il soddisfacimento del proprio interesse nel godimento dei beni terrestri ». (56) Peraltro, le condizioni d'ordine economico e sociale, politico e culturale richieste per un retto esercizio della libertà troppo spesso sono misconosciute e violate. Queste situazioni di accecamento e di ingiustizia gravano sulla vita morale ed inducono tanto i forti quanto i deboli nella tentazione di peccare contro la carità. Allontanandosi dalla legge morale, l'uomo attenta alla propria libertà, si fa schiavo di se stesso, spezza la fraternità coi suoi simili e si ribella contro la volontà divina.

(56) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istr. Libertatis conscientia, 13: AAS 79 (1987) 559.

1741 Liberazione e salvezza. Con la sua croce gloriosa Cristo ha ottenuto la salvezza di tutti gli uomini. Li ha riscattati dal peccato che li teneva in schiavitù. « Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi » (Ga 5,1). In lui abbiamo comunione con la verità che ci fa liberi. (57) Ci è stato donato lo Spirito Santo e, come insegna l'Apostolo, « dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà » (2Co 3,17). Fin d'ora ci gloriamo della libertà dei figli di Dio. (58)

(57) Cf Jn 8,32.
(58) Cf Rm 8,21.

1742 Libertà e grazia. La grazia di Cristo non si pone affatto in concorrenza con la nostra libertà, quando questa è in sintonia con il senso della verità e del bene che Dio ha messo nel cuore dell'uomo. Al contrario, e l'esperienza cristiana lo testimonia specialmente nella preghiera, quanto più siamo docili agli impulsi della grazia, tanto più cresce la nostra libertà interiore e la sicurezza nelle prove come pure di fronte alle pressioni e alle costrizioni del mondo esterno. Con l'azione della grazia, lo Spirito Santo ci educa alla libertà spirituale per fare di noi dei liberi collaboratori della sua opera nella Chiesa e nel mondo:

« Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio ». (59)

(59) Domenica XXXII del Tempo Ordinario, Colletta: Messale Romano (Libreria Editrice Vaticana 1993) p. 278.


In sintesi

1743 Dio « lasciò » l'uomo « in balia del suo proprio volere » (Si 15,14), perché potesse aderire al suo Creatore liberamente e così giungere alla beata perfezione. (60)

(60) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 17, AAS 58 (1966) 1037.

1744 La libertà è il potere di agire o di non agire e di porre così da se stessi azioni libere. Essa raggiunge la perfezione del suo atto quando è ordinata a Dio, Bene supremo.

1745 La libertà caratterizza gli atti propriamente umani. Rende l'essere umano responsabile delle azioni che volontariamente compie. Il suo agire libero gli appartiene in proprio.

1746 L'imputabilità e la responsabilità di un'azione possono essere sminuite o annullate dall'ignoranza, dalla violenza, dal timore e da altri fattori psichici o sociali.

1747 Il diritto all'esercizio della libertà è un'esigenza inseparabile dalla dignità dell'uomo, particolarmente in campo religioso e morale. Ma l'esercizio della libertà non implica il supposto diritto di dire e di fare qualsiasi cosa.

1748 « Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi » (Ga 5,1).






ARTICOLO 4

LA MORALITÀ DEGLI ATTI UMANI

1749 La libertà fa dell'uomo un soggetto morale. Quando agisce liberamente, l'uomo è, per così dire, padre dei propri atti. Gli atti umani, cioè gli atti liberamente scelti in base ad un giudizio di coscienza, sono moralmente qualificabili. Essi sono buoni o cattivi.



I. Le fonti della moralità

1750 La moralità degli atti umani dipende:

- dall'oggetto scelto;
- dal fine che ci si prefigge o dall'intenzione;
- dalle circostanze dell'azione.

L'oggetto, l'intenzione e le circostanze rappresentano le « fonti », o elementi costitutivi, della moralità degli atti umani.

1751 L'oggetto scelto è un bene verso il quale la volontà si dirige deliberatamente. È la materia di un atto umano. L'oggetto scelto specifica moralmente l'atto del volere, in quanto la ragione lo riconosce e lo giudica conforme o no al vero bene. Le norme oggettive della moralità enunciano l'ordine razionale del bene e del male, attestato dalla coscienza.

1752 Di fronte all'oggetto, l'intenzione si pone dalla parte del soggetto che agisce. Per il fatto che sta alla sorgente volontaria dell'azione e la determina attraverso il fine, l'intenzione è un elemento essenziale per la qualificazione morale dell'azione. Il fine è il termine primo dell'intenzione e designa lo scopo perseguito nell'azione. L'intenzione è un movimento della volontà verso il fine; riguarda il termine dell'agire. È l'orientamento al bene che ci si aspetta dall'azione intrapresa. Non si limita ad indirizzare le nostre singole azioni, ma può ordinare molteplici azioni verso un medesimo scopo; può orientare l'intera vita verso il fine ultimo. Per esempio, un servizio reso ha come scopo di aiutare il prossimo, ma, al tempo stesso, può essere ispirato dall'amore di Dio come fine ultimo di tutte le nostre azioni. Una medesima azione può anche essere ispirata da diverse intenzioni; così, per esempio, si può rendere un servizio per procurarsi un favore o per trarne motivo di vanto.

1753 Un'intenzione buona (per esempio, aiutare il prossimo) non rende né buono né giusto un comportamento in se stesso scorretto (come la menzogna e la maldicenza). Il fine non giustifica i mezzi. Così, non si può giustificare la condanna di un innocente come un mezzo legittimo per salvare il popolo. Al contrario, la presenza di un'intenzione cattiva (quale la vanagloria) rende cattivo un atto che, in sé, può essere buono (quale l'elemosina). (61)

(61) Cf
Mt 6,2-4.


1754 Le circostanze, ivi comprese le conseguenze, sono elementi secondari di un atto morale. Concorrono ad aggravare oppure a ridurre la bontà o la malizia morale degli atti umani (per esempio, l'ammontare di una rapina). Esse possono anche attenuare o aumentare la responsabilità di chi agisce (agire, per esempio, per paura della morte). Le circostanze, in sé, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un'azione intrinsecamente cattiva.



II. Gli atti buoni e gli atti cattivi

1755 L'atto moralmente buono suppone, ad un tempo, la bontà dell'oggetto, del fine e delle circostanze. Un fine cattivo corrompe l'azione, anche se il suo oggetto, in sé, è buono (come il pregare e il digiunare per essere visti dagli uomini). L'oggetto della scelta può da solo viziare tutta un'azione. Ci sono comportamenti concreti – come la fornicazione – che è sempre sbagliato scegliere, perché la loro scelta comporta un disordine della volontà, cioè un male morale.

1756 È quindi sbagliato giudicare la moralità degli atti umani considerando soltanto l'intenzione che li ispira, o le circostanze (ambiente, pressione sociale, costrizione o necessità di agire, ecc.) che ne costituiscono la cornice. Ci sono atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze e dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del loro oggetto; tali la bestemmia e lo spergiuro, l'omicidio e l'adulterio. Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene.



In sintesi

1757 L'oggetto, l'intenzione e le circostanze costituiscono le tre « fonti » della moralità degli atti umani.

1758 L'oggetto scelto specifica moralmente l'atto del volere, in quanto la ragione lo riconosce e lo giudica buono o cattivo.

1759 « Non può essere giustificata un'azione cattiva compiuta con una buona intenzione ». (62) Il fine non giustifica i mezzi.

(62) San Tommaso d'Aquino, In duo praecepta caritatis et in decem Legis praecepta expositio, c. 6: Opera omnia, v. 27 (Parigi 1875) p. 149.

1760 L'atto moralmente buono suppone la bontà dell'oggetto, del fine e delle circostanze.

1761 Vi sono comportamenti concreti che è sempre sbagliato scegliere, perché la loro scelta comporta un disordine della volontà, cioè un male morale. Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene.






Catechismo Chiesa Catt. 1690