Catechismo Chiesa Catt. 1845


ARTICOLO 8

IL PECCATO


I. La misericordia e il peccato

1846 Il Vangelo è la rivelazione, in Gesù Cristo, della misericordia di Dio verso i peccatori. (106) L'angelo lo annunzia a Giuseppe: « Tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati » (Mt 1,21). La stessa cosa si può dire dell'Eucaristia, sacramento della redenzione: « Questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati » (Mt 26,28).

(106) Cf Lc 15.

1847 « Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di noi ». (107) L'accoglienza della sua misericordia esige da parte nostra il riconoscimento delle nostre colpe. « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa » (1Jn 1,8-9).

(107) Sant'Agostino, Sermo 169, 11, 13: PL 38, 923.

1848 Come afferma san Paolo: « Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia » (Rm 5,20). La grazia però, per compiere la sua opera, deve svelare il peccato per convertire il nostro cuore e accordarci « la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore » (Rm 5,21). Come un medico che esamina la piaga prima di medicarla, Dio, con la sua Parola e il suo Spirito, getta una viva luce sul peccato:

« La conversione richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio interiore della coscienza, e questo, essendo una verifica dell'azione dello Spirito di verità nell'intimo dell'uomo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio dell'elargizione della grazia e dell'amore: "Ricevete lo Spirito Santo". Così in questo "convincere quanto al peccato" scopriamo una duplice elargizione: il dono della verità della coscienza e il dono della certezza della redenzione. Lo Spirito di verità è il Consolatore ». (108)

(108) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem DEV 31, AAS 78 (1986) 843.


II. La definizione di peccato

1849 Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; è una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana. È stato definito « una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna ». (109)

(109) Sant'Agostino, Contra Faustum manichaeum, 22, 27: CSEL 25, 621 (PL 42, 418); cf San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
I-II 71,6: Ed. Leon. 7, 8-9.

1850 Il peccato è un'offesa a Dio: « Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto » (Ps 51,6). Il peccato si erge contro l'amore di Dio per noi e allontana da lui i nostri cuori. Come il primo peccato, è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare « come Dio » (Gn 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male. Il peccato pertanto è « amore di sé fino al disprezzo di Dio ». (110) Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato è diametralmente opposto all'obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza. (111)

(110) Sant'Agostino, De civitate Dei, 14, 28: CSEL 402, 56 (PL 41, 436).
(111) Cf Ph 2,6-9.

1851 È proprio nella passione, in cui la misericordia di Cristo lo vincerà, che il peccato manifesta in sommo grado la sua violenza e la sua molteplicità: incredulità, odio omicida, rifiuto e scherno da parte dei capi e del popolo, vigliaccheria di Pilato e crudeltà dei soldati, tradimento di Giuda tanto pesante per Gesù, rinnegamento di Pietro, abbandono dei discepoli. Tuttavia, proprio nell'ora delle tenebre e del principe di questo mondo, (112) il sacrificio di Cristo diventa segretamente la sorgente dalla quale sgorgherà inesauribilmente il perdono dei nostri peccati.

(112) Cf
Jn 14,30.


III. La diversità dei peccati

1852 La varietà dei peccati è grande. La Scrittura ne dà parecchi elenchi. La lettera ai Galati contrappone le opere della carne al frutto dello Spirito: « Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio » (Ga 5,19-21). (113)

(113) Cf Rm 1,28-32 1Co 6,9-10 Ep 5,3-5 Col 3,5-9 1Tm 1,9-10 2Tm 3,2-5.


1853 I peccati possono essere distinti secondo il loro oggetto, come si fa per ogni atto umano, oppure secondo le virtù alle quali si oppongono, per eccesso o per difetto, oppure secondo i comandamenti cui si oppongono. Si possono anche suddividere a seconda che riguardino Dio, il prossimo o se stessi; si possono distinguere in peccati spirituali e carnali, o ancora in peccati di pensiero, di parola, di azione e di omissione. La radice del peccato è nel cuore dell'uomo, nella sua libera volontà, secondo quel che insegna il Signore: « Dal cuore [...] provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo » (Mt 15,19-20). Il cuore è anche la sede della carità, principio delle opere buone e pure, che il peccato ferisce.



IV. La gravità del peccato: peccato mortale e veniale

1854 È opportuno valutare i peccati in base alla loro gravità. La distinzione tra peccato mortale e peccato veniale, già adombrata nella Scrittura, (114) si è imposta nella Tradizione della Chiesa. L'esperienza degli uomini la convalida.

(114) Cf
1Jn 5,16-17.

1855 Il peccato mortale distrugge la carità nel cuore dell'uomo a causa di una violazione grave della Legge di Dio; distoglie l'uomo da Dio, che è il suo fine ultimo e la sua beatitudine, preferendo a lui un bene inferiore. Il peccato veniale lascia sussistere la carità, quantunque la offenda e la ferisca.

1856 Il peccato mortale, in quanto colpisce in noi il principio vitale che è la carità, richiede una nuova iniziativa della misericordia di Dio e una conversione del cuore, che normalmente si realizza nel sacramento della Riconciliazione:

« Quando la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere mortale [...] tanto se è contro l'amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro, ecc., quanto se è contro l'amore del prossimo, come l'omicidio, l'adulterio, ecc. [...] Invece, quando la volontà del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordine, ma tuttavia non va contro l'amore di Dio e del prossimo — è il caso di parole oziose, di riso inopportuno, ecc. —, tali peccati sono veniali ». (115)

(115) San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
I-II 88,2, c: Ed. Leon. 7, 135.

1857 Perché un peccato sia mortale si richiede che concorrano tre condizioni: « È peccato mortale quello che ha per oggetto una materia grave e che, inoltre, viene commesso con piena consapevolezza e deliberato consenso ». (116)

(116) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia,
RP 17: AAS 77 (1985) 221.

1858 La materia grave è precisata dai dieci comandamenti, secondo la risposta di Gesù al giovane ricco: « Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre » (Mc 10,19). La gravità dei peccati è più o meno grande: un omicidio è più grave di un furto. Si deve tenere conto anche della qualità delle persone lese: la violenza esercitata contro i genitori è di per sé più grave di quella fatta ad un estraneo.

1859 Perché il peccato sia mortale deve anche essere commesso con piena consapevolezza e pieno consenso.Presuppone la conoscenza del carattere peccaminoso dell'atto, della sua opposizione alla Legge di Dio. Implica inoltre un consenso sufficientemente libero perché sia una scelta personale. L'ignoranza simulata e la durezza del cuore (117) non diminuiscono il carattere volontario del peccato ma, anzi, lo accrescono.

(117) Cf
Mc 3,5-6 Lc 16,19-31.

1860 L'ignoranza involontaria può attenuare se non annullare l'imputabilità di una colpa grave. Si presume però che nessuno ignori i principi della legge morale che sono iscritti nella coscienza di ogni uomo. Gli impulsi della sensibilità, le passioni possono ugualmente attenuare il carattere volontario e libero della colpa; come pure le pressioni esterne o le turbe patologiche. Il peccato commesso con malizia, per una scelta deliberata del male, è il più grave.

1861 Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di grazia. Se non è riscattato dal pentimento e dal perdono di Dio, provoca l'esclusione dal regno di Cristo e la morte eterna dell'inferno; infatti la nostra libertà ha il potere di fare scelte definitive, irreversibili. Tuttavia, anche se possiamo giudicare che un atto è in sé una colpa grave, dobbiamo però lasciare il giudizio sulle persone alla giustizia e alla misericordia di Dio.

1862 Si commette un peccato veniale quando, trattandosi di materia leggera, non si osserva la misura prescritta dalla legge morale, oppure quando si disobbedisce alla legge morale in materia grave, ma senza piena consapevolezza o senza totale consenso.

1863 Il peccato veniale indebolisce la carità; manifesta un affetto disordinato per dei beni creati; ostacola i progressi dell'anima nell'esercizio delle virtù e nella pratica del bene morale; merita pene temporali. Il peccato veniale deliberato e che sia rimasto senza pentimento, ci dispone poco a poco a commettere il peccato mortale. Tuttavia il peccato veniale non rompe l'alleanza con Dio. È umanamente riparabile con la grazia di Dio. « Non priva della grazia santificante, dell'amicizia con Dio, della carità, né quindi della beatitudine eterna ». (118)

« L'uomo non può non avere almeno peccati lievi, fin quando resta nel corpo. Tuttavia non devi dar poco peso a questi peccati, che si definiscono lievi. Tu li tieni in poco conto quando li soppesi, ma che spavento quando li numeri! Molte cose leggere, messe insieme, ne formano una pesante: molte gocce riempiono un fiume e così molti granelli fanno un mucchio. Quale speranza resta allora? Si faccia anzitutto la Confessione... ». (119)

(118) Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia,
RP 17: AAS 77 (1985) 221.
(119) Sant'Agostino, In epistulam Iohannis ad Parthos tractatus, 1, 6: PL 35, 1982.

1864 « Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata » (Mt 12,31). (120) La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. (121) Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna.

(120) Cf Mc 3,29 Lc 12,10.
(121) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Dominum et vivificantem DEV 46, AAS 78 (1986) 864-865.


V. La proliferazione del peccato

1865 Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimi atti genera il vizio. Ne derivano inclinazioni perverse che ottenebrano la coscienza e alterano la concreta valutazione del bene e del male. In tal modo il peccato tende a riprodursi e a rafforzarsi, ma non può distruggere il senso morale fino alla sua radice.

1866 I vizi possono essere catalogati in parallelo alle virtù alle quali si oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l'esperienza cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni Cassiano (122) e san Gregorio Magno. (123) Sono chiamati capitali perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia, l'avarizia, l'invidia, l'ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o accidia.

(122) Cf San Giovanni Cassiano, Conlatio, 5, 2: CSEL 13, 121 (PL 49, 611).
(123) Cf San Gregorio Magno, Moralia in Iob, 31, 45, 87: CCL 143B, 1610 (PL 76, 621).

1867 La tradizione catechistica ricorda pure che esistono « peccati che gridano verso il cielo ». Gridano verso il cielo: il sangue di Abele; (124) il peccato dei Sodomiti; (125) il lamento del popolo oppresso in Egitto; (126) il lamento del forestiero, della vedova e dell'orfano; (127) l'ingiustizia verso il salariato. (128)

(124) Cf
Gn 4,10.
(125) Cf Gn 18,20 Gn 19,13.
(126) Cf Ex 3,7-10.
(127) Cf Ex 22,20-22.
(128) Cf Dt 24,14-15 Jc 5,4.

1868 Il peccato è un atto personale. Inoltre, abbiamo una responsabilità nei peccati commessi dagli altri, quando vi cooperiamo:

- prendendovi parte direttamente e volontariamente;
- comandandoli, consigliandoli, lodandoli o approvandoli;
- non denunciandoli o non impedendoli, quando si è tenuti a farlo;
- proteggendo coloro che commettono il male.

1869 Così il peccato rende gli uomini complici gli uni degli altri e fa regnare tra di loro la concupiscenza, la violenza e l'ingiustizia. I peccati sono all'origine di situazioni sociali e di istituzioni contrarie alla bontà divina. Le « strutture di peccato » sono espressione ed effetto dei peccati personali. Inducono le loro vittime a commettere, a loro volta, il male. In un senso analogico esse costituiscono un « peccato sociale ». (129)

(129) Cf Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia,
RP 16: AAS 77 (1985) 216.


In sintesi

1870 « Dio [...] ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia » (Rm 11,32).

1871 Il peccato è « una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna ». (130) È un'offesa a Dio. Si erge contro Dio in una disobbedienza contraria all'obbedienza di Cristo.

(130) Sant'Agostino, Contra Faustum manichaeum, 22, 27: CSEL 25, 621 (PL 42, 418).

1872 Il peccato è un atto contrario alla ragione. Ferisce la natura dell'uomo ed attenta alla solidarietà umana.

1873 La radice di tutti i peccati è nel cuore dell'uomo. Le loro specie e la loro gravità si misurano principalmente in base al loro oggetto.

1874 Scegliere deliberatamente, cioè sapendolo e volendolo, una cosa gravemente contraria alla Legge divina e al fine ultimo dell'uomo è commettere un peccato mortale. Esso distrugge in noi la carità, senza la quale la beatitudine eterna è impossibile. Se non ci si pente, conduce alla morte eterna.

1875 Il peccato veniale rappresenta un disordine morale riparabile per mezzo della carità che tale peccato lascia sussistere in noi.

1876 La ripetizione dei peccati, anche veniali, genera i vizi, tra i quali si distinguono i peccati capitali.






CAPITOLO SECONDO

LA COMUNITÀ UMANA

1877 La vocazione dell'umanità è di rendere manifesta l'immagine di Dio e di essere trasformata ad immagine del Figlio unigenito del Padre. Tale vocazione riveste una forma personale, poiché ciascuno è chiamato ad entrare nella beatitudine divina; ma riguarda anche la comunità umana nel suo insieme.



ARTICOLO 1

LA PERSONA E LA SOCIETÀ



I. Il carattere comunitario della vocazione umana

1878 Tutti gli uomini sono chiamati al medesimo fine, Dio stesso. Esiste una certa somiglianza tra l'unità delle Persone divine e la fraternità che gli uomini devono instaurare tra loro, nella verità e nella carità. (131) L'amore del prossimo è inseparabile dall'amore per Dio.

(131) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 24, AAS 58 (1966) 1045.

1879 La persona umana ha bisogno della vita sociale. Questa non è per l'uomo qualcosa di aggiunto, ma un'esigenza della sua natura. Attraverso il rapporto con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli, l'uomo sviluppa le proprie virtualità, e così risponde alla propria vocazione. (132)

(132) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 25, AAS 58 (1966) 1045.

1880 Una società è un insieme di persone legate in modo organico da un principio di unità che supera ognuna di loro. Assemblea insieme visibile e spirituale, una società dura nel tempo: è erede del passato e prepara l'avvenire. Grazie ad essa, ogni uomo è costituito « erede », riceve dei « talenti » che arricchiscono la sua identità e che sono da far fruttificare. (133) Giustamente, ciascuno deve dedizione alle comunità di cui fa parte e rispetto alle autorità incaricate del bene comune.

(133) Cf
Lc 19,13 Lc 19,15.

1881 Ogni comunità si definisce in base al proprio fine e conseguentemente obbedisce a regole specifiche; però « principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana ». (134)

(134) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 25, AAS 58 (1966) 1045.

1882 Certe società, quali la famiglia e la comunità civica, sono più immediatamente rispondenti alla natura dell'uomo. Sono a lui necessarie. Al fine di favorire la partecipazione del maggior numero possibile di persone alla vita sociale, si deve incoraggiare la creazione di associazioni e di istituzioni d'elezione « a scopi economici, culturali, sociali, sportivi, ricreativi, professionali, politici, tanto all'interno delle comunità politiche, quanto sul piano mondiale ». (135) Tale « socializzazione » esprime parimenti la tendenza naturale che spinge gli esseri umani ad associarsi, al fine di conseguire obiettivi che superano le capacità individuali. Essa sviluppa le doti della persona, in particolare, il suo spirito di iniziativa e il suo senso di responsabilità. Concorre a tutelare i suoi diritti. (136)

(135) Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra
MM 60, AAS 53 (1961) 416.
(136) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes GS 25, AAS 58 (1966) 1045-1046; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 16: AAS 83 (1991) 813.

1883 La socializzazione presenta anche dei pericoli. Un intervento troppo spinto dello Stato può minacciare la libertà e l'iniziativa personali. La dottrina della Chiesa ha elaborato il principio detto di sussidiarietà. Secondo tale principio, « una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune ». (137)

(137) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 48, AAS 83 (1991) 854; cf Pio XI, Lett. enc. Quadragesimo anno: AAS 23 (1931) 184-186.

1884 Dio non ha voluto riservare solo a sé l'esercizio di tutti i poteri. Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve essere imitato nella vita sociale. Il comportamento di Dio nel governo del mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per la libertà umana, dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano le comunità umane. Costoro devono comportarsi come ministri della provvidenza divina.

1885 Il principio di sussidiarietà si oppone a tutte le forme di collettivismo. Esso precisa i limiti dell'intervento dello Stato. Mira ad armonizzare i rapporti tra gli individui e le società. Tende ad instaurare un autentico ordine internazionale.



II. La conversione e la società

1886 La società è indispensabile alla realizzazione della vocazione umana. Per raggiungere questo fine è necessario che sia rispettata la giusta gerarchia dei valori che « subordini le dimensioni materiali e istintive a quelle interiori e spirituali »: (138)

« La convivenza umana deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante ». (139)

(138) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 36, AAS 83 (1991) 838.
(139) Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris PT 36, AAS 55 (1963) 266.

1887 Lo scambio dei mezzi con i fini, (140) che porta a dare valore di fine ultimo a ciò che è soltanto un mezzo per concorrervi, oppure a considerare le persone come puri mezzi in vista di un fine, genera strutture ingiuste che « rendono ardua o praticamente impossibile, una condotta cristiana, conformata ai precetti del Sommo Legislatore ». (141)

(140) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 41, AAS 83 (1991) 844.
(141) Pio XII, Messaggio radiofonico (1o giugno 1941): AAS 33 (1941) 197.

1888 Occorre, quindi, far leva sulle capacità spirituali e morali della persona e sull'esigenza permanente della sua conversione interiore, per ottenere cambiamenti sociali che siano realmente a suo servizio. La priorità riconosciuta alla conversione del cuore non elimina affatto, anzi impone l'obbligo di apportare alle istituzioni e alle condizioni di vita, quando esse provochino il peccato, i risanamenti opportuni, perché si conformino alle norme della giustizia e favoriscano il bene anziché ostacolarlo. (142)

(142) Cf Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium
LG 36, AAS 57 (1965) 42.

1889 Senza l'aiuto della grazia, gli uomini non saprebbero « scorgere il sentiero spesso angusto tra la viltà che cede al male e la violenza che, illudendosi di combatterlo, lo aggrava ». (143) È il cammino della carità, cioè dell'amore di Dio e del prossimo. La carità rappresenta il più grande comandamento sociale. Essa rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e soltanto essa ce ne rende capaci. Essa ispira una vita che si fa dono di sé: « Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà » (Lc 17,33).

(143) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus CA 25, AAS 83 (1991) 823.


In sintesi

1890 Esiste una certa somiglianza tra l'unità delle Persone divine e la fraternità che gli uomini devono instaurare tra loro.

1891 Per svilupparsi in conformità alla propria natura, la persona umana ha bisogno della vita sociale. Certe società, quali la famiglia e la comunità civica, sono più immediatamente rispondenti alla natura dell'uomo.

1892 « Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana ». (144)

(144) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 25, AAS 58 (1966) 1045.

1893 Si deve incoraggiare una larga partecipazione ad associazioni ed istituzioni d'elezione.

1894 Secondo il principio di sussidiarietà, né lo Stato né alcuna società più grande devono sostituirsi all'iniziativa e alla responsabilità delle persone e dei corpi intermedi.

1895 La società deve agevolare l'esercizio delle virtù, non ostacolarlo. Una giusta gerarchia dei valori deve ispirarla.

1896 Là dove il peccato perverte il clima sociale, occorre far appello alla conversione dei cuori e alla grazia di Dio. La carità stimola a giuste riforme. Non c'è soluzione alla questione sociale al di fuori del Vangelo. (145)

(145) Cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 5, AAS 83 (1991) 800.





ARTICOLO 2

LA PARTECIPAZIONE ALLA VITA SOCIALE


I. L'autorità

1897 « La convivenza fra gli esseri umani non può essere ordinata e feconda se in essa non è presente un'autorità legittima che assicuri l'ordine e contribuisca all'attuazione del bene comune in grado sufficiente ». (146) Si chiama « autorità » il titolo in forza del quale persone o istituzioni promulgano leggi e danno ordini a degli uomini e si aspettano obbedienza da parte loro.

(146) Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris PT 46, AAS 55 (1963) 269.

1898 Ogni comunità umana ha bisogno di un'autorità che la regga. (147) Tale autorità trova il proprio fondamento nella natura umana. È necessaria all'unità della comunità civica. Suo compito è quello di assicurare, per quanto possibile, il bene comune della società.

(147) Cf Leone XIII, Lett. enc. Diuturnum illud: Leonis XIII Acta 2, 271; Id., Lett. enc. Immortale Dei: Leonis XIII Acta 5, 120.

1899 L'autorità, esigita dall'ordine morale, viene da Dio: « Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna » (Rm 13,1-2). (148)

(148) Cf 1P 2,13-17.

1900 Il dovere di obbedienza impone a tutti di tributare all'autorità gli onori che ad essa sono dovuti e di circondare di rispetto e, secondo il loro merito, di gratitudine e benevolenza le persone che ne esercitano l'ufficio. Alla penna del Papa san Clemente di Roma è dovuta la più antica preghiera della Chiesa per l'autorità politica: (149)

« O Signore, dona loro salute, pace, concordia, costanza, affinché possano esercitare, senza ostacolo, il potere sovrano che loro hai conferito. Sei tu, o Signore, re celeste dei secoli, che doni ai figli degli uomini la gloria, l'onore, il potere sulla terra. Perciò dirigi tu, o Signore, le loro decisioni a fare ciò che è bello e che ti è gradito; e così possano esercitare il potere, che tu hai loro conferito, con religiosità, con pace, con clemenza, e siano degni della tua misericordia ». (150)

(149) Cf già
1Tm 2,1-2.
(150) San Clemente Romano, Epistula ad Corinthios, 61, 1-2: SC 167,198-200.

1901 Se l'autorità rimanda ad un ordine prestabilito da Dio, « la determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera decisione dei cittadini ». (151) La diversità dei regimi politici è moralmente ammissibile, purché essi concorrano al bene legittimo delle comunità che li adottano. I regimi la cui natura è contraria alla legge naturale, all'ordine pubblico e ai fondamentali diritti delle persone, non possono realizzare il bene comune delle nazioni alle quali essi si sono imposti.

(151) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 74, AAS 58 (1966) 1096.

1902 L'autorità non trae da se stessa la propria legittimità morale. Non deve comportarsi dispoticamente, ma operare per il bene comune come « forza morale che si appoggia sulla libertà e sulla coscienza del dovere e del compito assunto »: (152)

« La legislazione umana non riveste il carattere di legge se non nella misura in cui si conforma alla retta ragione; da ciò è evidente che essa trae la sua forza dalla Legge eterna. Nella misura in cui si allontana dalla ragione, la si deve dichiarare ingiusta, perché non realizza il concetto di legge: è piuttosto una forma di violenza ». (153)

(152) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 74, AAS 58 (1966) 1096.
(153) San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I-II 93,3, ad 2: Ed. Leon. 7, 164.

1903 L'autorità è esercitata legittimamente soltanto se ricerca il bene comune del gruppo considerato e se, per conseguirlo, usa mezzi moralmente leciti. Se accade che i governanti emanino leggi ingiuste o prendano misure contrarie all'ordine morale, tali disposizioni non sono obbliganti per le coscienze. « In tal caso, anzi, chiaramente l'autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso ». (154)

(154) Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris PT 51, AAS 55 (1963) 271.

1904 « È preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo mantengano nel giusto limite. È, questo, il principio dello "Stato di diritto", nel quale è sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli uomini ». (155)

(155) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus
CA 44, AAS 83 (1991) 848.


II. Il bene comune

1905 In conformità alla natura sociale dell'uomo, il bene di ciascuno è necessariamente in rapporto con il bene comune. Questo non può essere definito che in relazione alla persona umana:

« Non vivete isolati, ripiegandovi su voi stessi, come se già foste confermati nella giustizia; invece riunitevi insieme, per ricercare ciò che giova al bene di tutti ». (156)

(156) Lettera dello Pseudo Barnaba, 4. 10: SC 172,100-102.

1906 Per bene comune si deve intendere « l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente ». (157) Il bene comune interessa la vita di tutti. Esige la prudenza da parte di ciascuno e più ancora da parte di coloro che esercitano l'ufficio dell'autorità. Esso comporta tre elementi essenziali:

(157) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 26, AAS 58 (1966) 1046; cf Ibid., GS 74: AAS 58 (1966) 1096.

1907 In primo luogo, esso suppone il rispetto della persona in quanto tale. In nome del bene comune, i pubblici poteri sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali ed inalienabili della persona umana. La società ha il dovere di permettere a ciascuno dei suoi membri di realizzare la propria vocazione. In particolare, il bene comune consiste nelle condizioni d'esercizio delle libertà naturali che sono indispensabili al pieno sviluppo della vocazione umana: tali il diritto « alla possibilità di agire secondo il retto dettato della propria coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso ». (158)

(158) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 26, AAS 58 (1966) 1046.

1908 In secondo luogo, il bene comune richiede il benessere sociale e lo sviluppo del gruppo stesso. Lo sviluppo è la sintesi di tutti i doveri sociali. Certo, spetta all'autorità farsi arbitra, in nome del bene comune, fra i diversi interessi particolari. Essa però deve rendere accessibile a ciascuno ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana: vitto, vestito, salute, lavoro, educazione e cultura, informazione conveniente, diritto a fondare una famiglia, ecc. (159)

(159) Cf Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 26, AAS 58 (1966) 1046.

1909 Il bene comune implica infine la pace, cioè la stabilità e la sicurezza di un ordine giusto. Suppone quindi che l'autorità garantisca, con mezzi onesti, la sicurezza della società e quella dei suoi membri. Esso fonda il diritto alla legittima difesa personale e collettiva.

1910 Se ogni comunità umana possiede un bene comune che le consente di riconoscersi come tale, è nella comunità politica che si trova la sua realizzazione più completa. È compito dello Stato difendere e promuovere il bene comune della società civile, dei cittadini e dei corpi intermedi.

1911 I legami di mutua dipendenza tra gli uomini s'intensificano. A poco a poco si estendono a tutta la terra. L'unità della famiglia umana, la quale riunisce esseri che godono di una eguale dignità naturale, implica un bene comune universale. Questo richiede un'organizzazione della comunità delle nazioni capace di « provvedere ai diversi bisogni degli uomini, tanto nel campo della vita sociale, cui appartengono l'alimentazione, la salute, l'educazione [...], quanto in alcune circostanze particolari che sorgono qua e là, come possono essere [...] la necessità di soccorrere le angustie dei profughi, o anche di aiutare gli emigrati e le loro famiglie ». (160)

(160) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 84, AAS 58 (1966) 1107.


1912 Il bene comune è sempre orientato verso il progresso delle persone: « Nell'ordinare le cose ci si deve adeguare all'ordine delle persone e non il contrario ». (161) Tale ordine ha come fondamento la verità, si edifica nella giustizia, è vivificato dall'amore.

(161) Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes
GS 26, AAS 58 (1966) 1047.



Catechismo Chiesa Catt. 1845