ROMANO GUARDINI LA FIGURA DI CRISTO NEL NUOVO TESTAMENTO



ROMANO GUARDINI

La figura di Cristo nel Nuovo Testamento



(CEC 53) (Jn 8,32) (Jn 6,40) (Jn 14,8-9)  (Jn 14,6) (Jn 1,14) (Jn 1,51) (Jn 6,27) (Jn 6,53)



«Questa rivelazione della divini tà che si palesa nella esistenza viva di Gesù, non però con manifestazioni irruenti e con azioni grandiose, ma con un continuo silenzioso trascendere i limiti delle umane possibilità, in una grandezza ed in una va­stità che si percepiscono dapprima solo come una naturalità benefica, come una libertà che appare naturale, come umanità semplicemente sensibile - espresse nel nome meraviglioso di Figlio del­l’uomo, che egli stesso tanto volentieri si attribuiva - finisce per rivelarsi semplicemente come un mi­racolo […] un passo silenzioso che trascende i li­miti delle umane possibilità, ma ben più porten­toso della immobilità del sole e del tremare della terra».



Le età della vita



(Ps 23,6) (Ps 90,10) (Ps 31,11) (Is 38,10) (Mc 10,30) (Rm 8,38) (1Co 3,22) (1Tm 4,8) (2P 3,8)





«Gettiamo ora uno sguardo retrospettivo alla serie delle fasi della vita e delle crisi che si situano tra una fase e l’altra: la vita nel grembo materno, la nascita, l’infanzia, la pubertà, la gioventù, l’esperienza della realtà, l’età adulta, la presa di coscienza dei propri limiti, l’esperienza della fine, la vecchiaia e la saggezza, la morte. […] Queste fasi costituiscono insieme la totalità della vita, ma non nel senso che la vita si compone di queste. La vita è sempre presente: all’inizio, alla fine e in ogni momento. Essa dà fondamento a ciascuna fase, fa sì che quest’ultima possa essere ciò che è».



L’essenza del Cristianesimo





(Jn 14,6-11) (Jn 15,13) (Jn 15,15)



«Il cristianesimo non è una teoria della Verità, o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazareth, dalla sua concreta esistenza, dalla sua opera, dal suo destino - cioè da una personalità storica-. Una certa analogia di tale situazione avverte colui per il quale un uomo acquista un significato essenziale. Non “l’Umanità” o “l’umano” divengono in tal caso importanti, ma questa persona. […]

      Non c’è alcuna dottrina, alcuna struttura di valori morali, alcun atteggiamento religioso od ordine di vita, che possa venir separato dalla persona di Cristo, e dei quali poi si possa dire che siano l’essenza del cristianesimo. Il cristianesimo è Egli stesso; ciò che per mezzo suo perviene agli uomini, è la relazione che per mezzo suo l’uomo può avere con Dio. Un ­contenuto dottrinale è cristiano in quanto viene dalla sua bocca. L’esistenza è cristiana in quanto il suo movimento è determinato da Lui. In tutto, ciò che voglia essere cristiano, Egli dev’essere compresente.

La persona di Gesù Cristo nella sua unicità storica e nella sua gloria eterna, è di per sé la categoria che determina l’essere, l’agire, e la teoria di ciò che è cristiano».



Ritratto della malinconia



Il teologo Romano Guardini descrive l’esperienza della malinconia come la condizione nella quale la percezione del finito apre e avvicina l’uomo al suo destino infinito.



(Jn 14,8) (Qo 1,14) (Qo 1,2) (Ap 3,20) (Si 30,23) (Qo 11,10)



«Quella noia significa che, nelle cose, noi cerchiamo, appassionatamente e dappertutto al­cunché che le cose non possiedono. […] Si cerca e ci si sforza di prendere le cose così come si vorrebbe che fossero; di trovare in esse quel peso, quella serietà, quell’ardore e quella forza compiuta delle quali si ha sete: e non è possibile. Le cose sono finite. Tutto ciò che è finito, è difettoso. E il difetto costituisce una delusione per il cuore, che anela all’assoluto.La delu­sione si allarga, diviene il sentimento di un gran vuoto... Non c’è nulla, per cui valga la pena di esistere. Non c’è nulla, che sia degno che noi ce ne occupiamo. […] Noi sentiamo una in­soddisfazione particolarmente violenta per ciò che è finito. […] Proprio l’uomo malinconico è più profondamente in rapporto con la pienezza dell’esistenza. […] Per conto mio, io credo che di là da qualsivoglia considerazione medica e pedagogica, il suo significato sta in questo che è un indizio dell’esistenza dell’assoluto. L’infinito testimonia di sé, nel chiuso del cuore. La malinconia è espressione del fatto che noi siamo creature limitate ma viviamo a porta a porta con... ebbene si, abbandoniamo alla fine il termine troppo prudenziale e astratto, di cui ci siamo serviti sinora: il termine di ‘assoluto’; scriviamo, al suo posto, quello che solo si ad­dice: viviamo a porta a porta con Dio. Siamo chiamati da Dio, eletti ad accoglierlo nella no­stra esistenza. La malinconia è il prezzo della nascita dell’eterno nell’uomo. [...] La malinco­nia è l’inquietudine dell’uomo che avverte la vicinanza dell’infinito. Beatitudine e minaccia a un tempo».



ROMANO GUARDINI LA FIGURA DI CRISTO NEL NUOVO TESTAMENTO