CODICE DI DIRITTO CANONICO 265

Capitolo II L'ASCRIZIONE DEI CHIERICI O INCARDINAZIONE


265 Ogni chierico deve essere incardinato o in una Chiesa particolare o in una Prelatura personale oppure in un istituto di vita consacrata o in una società che ne abbia la facoltà, in modo che non siano assolutamente ammessi chierici acefali o girovaghi.


266 § 1. Uno diviene chierico con l'ordinazione diaconale e viene incardinato nella Chiesa particolare o nella Prelatura personale al cui servizio è stato ammesso.

§ 2. Il professo con voti perpetui in un istituto religioso oppure chi è stato incorporato definitivamente in una società clericale di vita apostolica, con l'ordinazione diaconale viene incardinato come chierico nell'istituto o nella società, a meno che, per quanto riguarda le società, le costituzioni non prevedano diversamente.

§ 3. Il membro di un istituto secolare con l'ordinazione diaconale viene incardinato nella Chiesa particolare al cui servizio è stato ammesso, a meno che, in forza di una concezione della Sede Apostolica, non venga incardinato nell'istituto stesso.


268 § 1. Il chierico che si trasferisce legittimamente dalla propria Chiesa particolare in un'altra, dopo cinque anni viene incardinato in quest'ultima per il diritto stesso, purché abbia manifestato per iscritto tale intenzione sia al Vescovo diocesano della Chiesa ospite, sia al Vescovo diocesano proprio e purché nessuno dei due abbia espresso un parere contrario alla richiesta entro quattro mesi dalla recezione della lettera.

§ 2. Con l'ammissione perpetua o definitiva in un istituto di vita consacrata o in una società di vita apostolica, il chierico che a norma del can. 266, è incardinato in tale istituto o società, viene escardinato dalla propria Chiesa particolare.

269 Il Vescovo diocesano non proceda all'incardinazione di un chierico se non quando:

1° ciò sia richiesto dalla necessità o utilità della sua Chiesa particolare e salve le disposizioni del diritto riguardanti l'onesto sostentamento dei chierici;

2° gli consti da un documento legittimo la concessione dell'escardinazione e inoltre abbia avuto opportuno attestato da parte del Vescovo diocesano di escardinazione, se necessario sotto segreto, sulla vita, sui costumi e sugli studi del chierico;

3° il chierico abbia dichiarato per iscritto al Vescovo diocesano stesso di volersi dedicare al servizio della nuova Chiesa particolare a norma del diritto.


270 L'escardinazione può essere lecitamente concessa solo per giusti motivi, quali l'utilità della Chiesa o il bene del chierico stesso; tuttavia non può essere negata se non in presenza di gravi cause; però il chierico che ritenga gravosa la decisione nei suoi confronti e abbia trovato un Vescovo che lo accoglie, può fare ricorso contro la decisione stessa.


271 § 1. Al di fuori di una situazione di vera necessità per la propria Chiesa particolare, il Vescovo diocesano non neghi la licenza di trasferirsi ai chierici che sappia preparati e ritenga idonei ad andare in regioni afflitte da grave scarsità di clero, per esercitarvi il ministero sacro; provveda però che, mediante una convenzione scritta con il Vescovo diocesano del luogo a cui sono diretti, vengano definiti i diritti e i doveri dei chierici in questione.

§ 2. Il Vescovo diocesano può concedere ai suoi chierici la licenza di trasferirsi in un'altra Chiesa particolare per un tempo determinato, rinnovabile anche più volte, in modo però che i chierici rimangano incardinati nella propria Chiesa particolare e, se vi ritornano, godano di tutti i diritti che avrebbero se avessero esercitato in essa il ministero sacro.

§ 3. Il chierico che è passato legittimamente ad un'altra Chiesa particolare, rimanendo incardinato nella propria Chiesa, per giusta causa può essere richiamato dal proprio Vescovo diocesano, purché siano rispettate le convenzioni stipulate con l'altro Vescovo e l'equità naturale; ugualmente, alle stesse condizioni, il Vescovo diocesano dell'altra Chiesa particolare potrà, per giusta causa, negare al chierico la licenza di un 'ulteriore permanenza nel suo territorio.


272 L'Amministratore diocesano non può concedere l'escardinazione e l'incardinazione, come pure la licenza di trasferirsi in un'altra Chiesa particolare, se non dopo un anno di sede episcopale vacante e col consenso del collegio dei consultori.

Capitolo III OBBLIGHI E DIRITTI DEI CHIERICI


273 I chierici sono tenuti all'obbligo speciale di prestare rispetto e obbedienza al Sommo Pontefice e al proprio Ordinario.


274 § 1. Solo i chierici possono ottenere uffici il cui esercizio richieda la potestà di ordine o la potestà di governo ecclesiastico.

§ 2. I chierici, se non sono scusati da un impedimento legittimo, sono tenuti ad accettare e adempiere fedelmente l'incarico loro affidato dal proprio Ordinario.


275 § 1. I chierici, dal momento che tutti operano per un unico fine, cioè l'edificazione del Corpo di Cristo, siano uniti tra loro col vincolo della fraternità e della preghiera e si impegnino a collaborare tra loro, secondo le disposizioni del diritto particolare.

§ 2. I chierici riconoscano e promuovano la missione che i laici, secondo la loro specifica condizione, esercitano nella Chiesa e nel mondo.


276 § 1. Nella loro condotta di vita i chierici sono tenuti in modo peculiare a tendere alla santità, in quanto, consacrati a Dio per un nuovo titolo mediante l'ordinazione, sono dispensatori dei misteri di Dio al servizio del Suo popolo.

§ 2. Per essere in grado di perseguire tale perfezione:

1° innanzitutto adempiano fedelmente e indefessamente i doveri del ministero pastorale;

2° alimentino la propria vita spirituale alla duplice mensa della sacra Scrittura e dell'Eucarestia; i sacerdoti perciò sono caldamente invitati ad offrire ogni giorno il Sacrificio eucaristico, i diaconi poi a parteciparvi quotidianamente;

3° i sacerdoti e i diaconi aspiranti al presbiterato sono obbligati a recitare ogni giorno la liturgia delle ore secondo i libri liturgici approvati; i diaconi permanenti nella misura definita dalla Conferenza Episcopale.

4° sono ugualmente tenuti a partecipare ai ritiri spirituali, secondo le disposizioni del diritto particolare;

5° sono sollecitati ad attendere regolarmente all'orazione mentale, ad accostarsi frequentemente al sacramento della penitenza, a coltivare una particolare devozione alla Vergine Madre di Dio, e ad usufruire degli altri mezzi di santificazione comuni e particolari.


277 § 1. I chierici sono tenuti all'obbligo di osservare la continenza perfetta e perpetua per il regno dei cieli, perciò sono vincolati al celibato, che è un dono particolare di Dio mediante il quale i ministri sacri possono aderire più facilmente a Cristo con cuore indiviso e sono messi in grado di dedicarsi più liberamente al servizio di Dio e degli uomini.

§ 2. I chierici si comportino con la dovuta prudenza nei rapporti con persone la cui familiarità può mettere in pericolo l'obbligo della continenza oppure suscitare lo scandalo dei fedeli.

§ 3. Spetta al Vescovo diocesano stabilire norme più precise su questa materia e giudicare sull'osservanza di questo obbligo nei casi particolari.


278 § 1. E' diritto dei chierici secolari associarsi con altri in vista di finalità confacenti allo stato clericale.

§ 2. I chierici secolari diano importanza soprattutto alle associazioni le quali, avendo gli statuti approvati dall'autorità competente, mediante una regola di vita adatta e convenientemente approvata e mediante l'aiuto fraterno, stimolano alla santità nell'esercizio del ministero e favoriscono l'unità dei chierici fra di loro e col proprio Vescovo.

§ 3. I chierici si astengano dal fondare o partecipare ad associazioni il cui fine o la cui attività non sono compatibili con gli obblighi propri dello stato clericale, oppure possono ostacolare il diligente compimento dell'incarico loro affidato dalla competente autorità ecclesiastica.


279 § 1. I chierici proseguano gli studi sacri anche dopo l'ordinazione sacerdotale e seguano la solida dottrina fondata sulla sacra Scrittura, tramandata dal passato e comunemente accolta dalla Chiesa, secondo quanto viene determinato particolarmente dai documenti dei Concili e dei Romani Pontefici, evitando le vane novità e la falsa scienza.

§ 2. Secondo le disposizioni del diritto particolare, i sacerdoti frequentino le lezioni di carattere pastorale che devono essere programmate dopo l'ordinazione sacerdotale e inoltre, nei tempi stabiliti dal diritto stesso, partecipino anche ad altre lezioni, convegni teologici o conferenze con le quali si offra loro l'occasione di acquisire una conoscenza più approfondita delle scienze sacre e delle metodologie pastorali.

§ 3. Proseguano anche nell'apprendimento di altre scienze, quelle soprattutto che hanno un rapporto con le scienze sacre, particolarmente in quanto possono essere utili nell'esercizio del ministero pastorale.


280 Si raccomanda vivamente ai chierici di praticare una consuetudine di vita comune; dove essa è attuata, per quanto è possibile, si mantenga.


281 § 1. Ai chierici, in quanto si dedicano al ministero ecclesiastico, spetta una rimunerazione adeguata alla loro condizione, tenendo presente sia la natura dell'ufficio, sia le circostanze di luogo e di tempo, perché con essa possano provvedere alle necessità della propria vita e alla giusta retribuzione di chi è al loro servizio.

§ 2. Cosi pure occorre fare in modo che usufruiscano della previdenza sociale con cui sia possibile provvedere convenientemente alle loro necessità in caso di malattia, di invalidità o di vecchiaia.

§ 3. I diaconi coniugati, che si dedicano a tempo pieno al ministero ecclesiastico, siano rimunerati in modo che siano in grado di provvedere al proprio sostentamento e a quello della loro famiglia; coloro poi che ricevono una rimunerazione per la professione civile che esercitano o hanno esercitato, provvedano ai loro bisogni e a quelli della propria famiglia con i redditi provenienti da tale rimunerazione.


282 § 1. I chierici conducano una vita semplice e si astengano da tutto quello che può avere sapore di vanità.

§ 2. I beni di cui vengono in possesso in occasione dell'esercizio di un ufficio ecclesiastico e che avanzano, dopo aver provveduto con essi al proprio onesto sostentamento e all'adempimento di tutti i doveri del proprio stato, siano da loro impiegati per il bene della Chiesa e per opere di carità.


283 § 1. I chierici, anche se non hanno un ufficio residenziale, non si allontanino dalla propria diocesi per un tempo notevole, che va determinato dal diritto particolare, senza la licenza almeno presunta dell'Ordinario proprio.

§ 2. Spetta ai chierici usufruire ogni anno di un tempo conveniente e sufficiente di ferie, determinato dal diritto universale o particolare.


284 I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali.


285 § 1. I chierici si astengano del tutto da ciò che è sconveniente al proprio stato, secondo le disposizioni del diritto particolare.

§ 2. Evitino ciò che, pur non essendo indecoroso, è alieno dallo stato clericale.

§ 3. E' fatto divieto ai chierici di assumere uffici pubblici, che comportano una partecipazione all'esercizio del potere civile.

§ 4. Senza la licenza del proprio Ordinario non intraprendano amministrazioni dei beni riguardanti i laici né esercitino uffici secolari che comportino l'onere del rendiconto; è loro proibita la fideiussione, anche su propri beni, senza consultare il proprio Ordinario; cosi pure si astengano dal firmare cambiali, quelle cioè con cui viene assunto l'impegno di pagare un debito senza una causa definita.


286 E' proibito ai chierici di esercitare, personalmente o tramite altri, l'attività affaristica e commerciale, sia per il proprio interesse, sia per quello degli altri, se non con la licenza della legittima autorità ecclesiastica.


287 § 1. I chierici favoriscano sempre in sommo grado il mantenimento, fra gli uomini, della pace e della concordia fondate sulla giustizia.

§ 2. Non abbiano parte attiva nei partiti politici e nella guida di associazioni sindacali, a meno che, a giudizio dell'autorità ecclesiastica competente, non lo richiedano la difesa dei diritti della Chiesa o la promozione del bene comune.


288 I diaconi permanenti non sono tenuti alle disposizioni dei cann. 284, 285, §§ 3 e 4, 286, 287, § 2, a meno che il diritto particolare non stabilisca diversamente.


289 § 1. Poiché il servizio militare propriamente non si addice allo stato clericale, i chierici e i chierici candidati agli Ordini sacri non prestino il servizio militare volontario, se non su licenza del proprio Ordinario.

§ 2. I chierici usufruiscano delle esenzioni dell'esercitare incarichi e pubblici uffici civili estranei allo stato clericale, concesse in loro favore dalle leggi stesse o dalle convenzioni o dalle consuetudini, a meno che in casi particolari il proprio Ordinario non abbia disposto diversamente.

Capitolo IV LA PERDITA DELLO STATO CLERICALE


290 La sacra ordinazione, una volta validamente ricevuta, non diviene mai nulla. Tuttavia il chierico perde lo stato clericale:

1° Per sentenza giudiziaria o decreto amministrativo con cui si dichiara l'invalidità della sacra ordinazione;

2° mediante la pena di dimissione irrogata legittimamente;

3° per rescritto della Sede Apostolica; tale rescritto viene concesso dalla Sede Apostolica ai diaconi soltanto per gravi cause, ai presbiteri per cause gravissime.


291 Oltre ai casi di cui al can. 290, n.1, la perdita dello stato clericale non comporta la dispensa dall'obbligo del celibato: questa viene concessa unicamente dal Romano Pontefice.


292 Il chierico che a norma del diritto perde lo stato clericale, ne perde insieme i diritti e non è tenuto ad alcun obbligo di tale stato, fermo restando il disposto del can. 291; gli è proibito di esercitare la potestà di ordine, salvo il disposto del can. 976; con ciò egli è privato di tutti gli uffici, di tutti gli incarichi e di qualsiasi potestà delegata.


293 Il chierico che ha perduto lo stato clericale non può essere nuovamente ascritto tra i chierici, se non per rescritto della Sede Apostolica.


Titolo IV Le prelature personali


294 Al fine di promuovere un'adeguata distribuzione dei presbiteri o di attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse regioni o per le diverse categorie sociali, la Sede Apostolica può erigere prelature personali formate da presbiteri e da diaconi del clero secolare, udite le Conferenze Episcopali interessate.


295 § 1. La prelatura personale è retta dagli statuti fatti dalla Sede Apostolica e ad essa viene preposto un Prelato come Ordinario proprio, il quale ha il diritto di erigere un seminario nazionale o internazionale, di incardinare gli alunni e di promuoverli agli ordini con il titolo del servizio della prelatura.

§ 2. Il Prelato deve provvedere sia alla formazione spirituale di coloro che ha promosso con il predetto titolo, sia al loro decoroso sostentamento.


296 I laici possono dedicarsi alle opere apostoliche di una prelatura personale mediante convenzioni stipulate con la prelatura stessa; il modo di tale organica cooperazione e i principali doveri e diritti con essa connessi siano determinati con precisione negli statuti.


297 Parimenti gli statuti definiscono i rapporti della prelatura personale con gli Ordinari del luogo nelle cui Chiese particolari la prelatura stessa esercita o intende esercitare, previo consenso del Vescovo diocesano, le sue opere pastorali o missionarie.


Titolo V Le associazioni dei fedeli

Capitolo I NORME COMUNI


298 § 1. Nella Chiesa vi sono associazioni, distinte dagli istituti di vita consacrata e dalle società di vita apostolica, in cui i fedeli, sia chierici, sia laici insieme, tendono, mediante l'azione comune, all'incremento di una vita più perfetta, o alla promozione del culto pubblico o della dottrina cristiana, o ad altre opere di apostolato, quali sono iniziative di evangelizzazione, esercizio di opere di pietà o di carità, animazione dell'ordine temporale mediante lo spirito cristiano.

§ 2. I fedeli diano la propria adesione soprattutto alle associazioni erette, lodate o raccomandate dall'autorità ecclesiastica competente.


299 § 1. I fedeli hanno il diritto di costituire associazioni, mediante un accordo privato tra di loro per conseguire i fini di cui al can. 298, § 1, fermo restando il disposto del can. 301, §1.

§ 2. Tali associazioni, anche se lodate o raccomandate dall'autorità ecclesiastica, si chiamano associazioni private.

§ 3. Nessuna associazione privata dei fedeli è riconosciuta nella Chiesa, se i suoi statuti non sono esaminati dall'autorità competente.


300 Nessuna associazione assuma il nome di <<cattolica>>, se non con il consenso dell'autorità ecclesiastica competente a norma del can. 312.


301 § 1. Spetta unicamente all'autorità ecclesiastica competente erigere associazioni di fedeli che si propongano l'insegnamento della dottrina cristiana in nome della Chiesa o l'incremento del culto pubblico, oppure che intendano altri fini il cui conseguimento è riservato, per natura sua, all'autorità ecclesiastica.

§ 2. L'autorità ecclesiastica competente, se lo giudica opportuno, può erigere associazioni di fedeli anche per il conseguimento diretto o indiretto di altre finalità spirituali alle quali non sia stato sufficientemente provveduto mediante iniziative private.

§ 3. Le associazioni dei fedeli erette dall'autorità ecclesiastica si chiamano associazioni pubbliche.


302 Le associazioni dei fedeli si chiamano clericali se sono dirette da chierici, assumono l'esercizio dell'ordine sacro e sono riconosciute come tali dall'autorità competente.


303 Le associazioni i cui membri conducono una vita apostolica e tendono alla perfezione cristiana partecipando nel mondo al carisma di un istituto religioso, sotto l'alta direzione dell'istituto stesso, assumono il nome di terzi ordini oppure un altro nome adatto.



304 § 1. Tutte le associazioni di fedeli, sia pubbliche sia private, con qualunque titolo o nome siano chiamate, abbiano propri statuti con cui vengano definiti il fine dell'associazione o ragione sociale, la sede, il governo e le condizioni richieste per parteciparvi, e mediante i quali vengano determinate le modalità d'azione tenendo presente la necessità o l'utilità relativa al tempo e al luogo.

§ 2. Assumano un titolo o un nome, adatto agli usi del tempo e del luogo, scelto soprattutto in ragione della finalità perseguita.


305 § 1. Tutte le associazioni di fedeli sono soggette alla vigilanza dell'autorità ecclesiastica competente, alla quale pertanto spetta aver cura che in esse sia conservata l'integrità della fede e dei costumi e vigilare che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica; ad essa perciò spetta il diritto e il dovere di visitare tali associazioni, a norma del diritto e degli statuti; sono anche soggette al governo della medesima autorità secondo le disposizioni dei canoni seguenti.

§ 2. Sono soggette alla vigilanza della Santa Sede le associazioni di qualsiasi genere; sono soggette alla vigilanza dell'Ordinario del luogo le associazioni diocesane e le altre, in quanto esercitano la loro azione nella diocesi.


306 Perché uno possa fruire dei diritti e dei privilegi dell'associazione, delle indulgenze e delle altre grazie spirituali ad esse concesse, è necessario e sufficiente che vi sia validamente accolto e non dimesso legittimamente dalla medesima, secondo le disposizioni del diritto e degli statuti dell'associazione.


307 § 1. L'accettazione dei membri avvenga a norma del diritto e degli statuti di ciascuna associazione.

§ 2. La stessa persona può essere iscritta a più associazioni.

§ 3. I membri degli istituti religiosi possono aderire alle associazioni, a norma del diritto proprio, col consenso del proprio Superiore.


308 Nessuno, legittimamente iscritto, sia dimesso da una associazione, se non per giusta causa, a norma del diritto e degli statuti.


309 Le associazioni legittimamente costituite hanno facoltà, a norma del diritto e degli statuti, di emanare norme peculiari riguardanti l'associazione stessa, di tenere assemblee, di designare i moderatori, gli officiali, gli aiutanti e gli amministratori dei beni.


310 Un'associazione privata non costituita in persona giuridica, come tale non può essere soggetto di obblighi e di diritti; tuttavia i fedeli associati possono congiuntamente contrarre obblighi, acquisire e possedere diritti e beni come comproprietari e compossessori; sono in grado di esercitare tali diritti e obblighi mediante un mandatario o procuratore.


311 I membri di istituti di vita consacrata che presiedono o assistono associazioni in qualche modo unite al proprio istituto, abbiano cura che tali associazioni prestino aiuto alle attività di apostolato esistenti in diocesi, soprattutto operando, sotto la direzione dell'Ordinario del luogo, insieme con le associazioni finalizzate all'esercizio dell'apostolato nella diocesi.

Capitolo II ASSOCIAZIONI PUBBLICHE DI FEDELI


312 § 1. L'autorità competente ad erigere associazioni pubbliche è:

1° la Santa Sede per le associazioni universali e internazionali;

2° la Conferenza Episcopale nell'ambito del proprio territorio per le associazioni nazionali, quelle cioè che sono destinate, mediante l'erezione stessa, ad esercitare la loro attività in tutta una nazione;

3° il Vescovo diocesano nell'ambito del suo territorio per le associazioni diocesane, non però l'Amministratore diocesano; tuttavia sono eccettuate le associazioni per le quali il diritto di erezione è riservato ad altri per il privilegio apostolico.

§ 2. Per erigere validamente nella diocesi un'associazione o una sua sezione, anche se ciò avviene in forza di un privilegio apostolico, si richiede il consenso scritto del Vescovo diocesano; tuttavia il consenso del Vescovo diocesano per l'erezione di una casa di un istituto religioso vale anche per l'erezione, presso la stessa casa o presso la chiesa annessa, di una associazione propria di quell'istituto.


313 Un'associazione pubblica, come pure una confederazione di associazioni pubbliche, per lo stesso decreto con cui viene eretta dall'autorità ecclesiastica competente a norma del can. 312, è costituita persona giuridica e riceve, per quanto è richiesto, la missione per i fini che essa si propone di conseguire in nome della Chiesa.


314 Gli statuti di ogni associazione pubblica, la loro revisione e il loro cambiamento necessitano dell'approvazione dell'autorità ecclesiastica cui compete erigere l'associazione a norma del can. 312, § 1.


315 Le associazioni pubbliche possono intraprendere spontaneamente quelle che sono confacenti alla loro indole; tali associazioni sono dirette a norma degli statuti, però sotto la superiore direzione dell'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1.


316 § 1. Non può essere validamente accolto nelle associazioni pubbliche chi ha pubblicamente abbandonato la fede cattolica, chi si è allontanato dalla comunione ecclesiastica e chi è irretito da una scomunica inflitta o dichiarata.

§ 2. Coloro che, dopo essere stati legittimamente associati, vengono a trovarsi nel caso di cui al § 1, premessa un'ammonizione, siano dimessi dall'associazione, osservando gli statuti e salvo il diritto di ricorso all'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1.


317 § 1. Se non si prevede altro negli statuti, spetta all'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1, confermare il moderatore dell'associazione pubblica eletto dalla stessa, istituire colui che è stato presentato, oppure nominarlo secondo il diritto proprio; la stessa autorità ecclesiastica poi nomina il cappellano o l'assistente ecclesiastico, dopo aver sentito, se risulta opportuno, gli officiali maggiori dell'associazione.

§ 2. La norma stabilita al § 1 vale anche per le associazioni erette da membri di istituti religiosi in forza di un privilegio apostolico, al di fuori delle proprie chiese o delle proprie case; nelle associazioni poi erette da membri di istituti religiosi presso la propria chiesa o presso la propria casa, la nomina o la conferma del moderatore e del cappellano spetta al Superiore dell'istituto, a norma degli statuti.

§ 3. Nelle associazioni non clericali, i laici possono ricoprire l'incarico di moderatore; il cappellano o l'assistente ecclesiastico non siano assunti a tale compito, a meno che negli statuti non sia disposto diversamente.

§ 4. Nelle associazioni pubbliche di fedeli finalizzate direttamente all'esercizio dell'apostolato, non siano moderatori coloro che occupano compiti direttivi nei partiti politici.


318 § 1. In circostanze speciali, se lo richiedono gravi motivi, l'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1 può designare un commissario che in suo nome diriga temporaneamente l'associazione.

§ 2. Il moderatore di un'associazione pubblica può essere rimosso, per giusta causa, da chi lo ha nominato o confermato, tuttavia dopo aver sentito sia il moderatore stesso, sia gli officiali dell'associazione, a norma degli statuti; il cappellano può essere rimosso, a norma dei cann. 192-195, da chi lo ha nominato.


319 § 1. Un'associazione pubblica eretta legittimamente, a meno che non sia disposto in modo diverso, a norma degli statuti amministra i beni che possiede, sotto l'alta direzione dell'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1, alla quale ogni anno deve rendere conto dell'amministrazione.

§ 2. Deve inoltre presentare alla medesima autorità un fedele rendiconto della distribuzione delle offerte e delle elemosine raccolte.


320 § 1. Le associazioni erette dalla Santa Sede possono essere soppresse solo dalla Santa Sede stessa.

§ 2. Per gravi cause la Conferenza Episcopale può sopprimere le associazioni erette dalla conferenza stessa; il Vescovo diocesano può sopprimere le associazioni che egli stesso ha eretto e anche le associazioni erette, per indulto apostolico, da membri di istituti religiosi col consenso del Vescovo diocesano.

§ 3. Un'associazione pubblica non venga soppressa dall'autorità competente, senza aver prima sentito il suo moderatore e gli altri officiali maggiori.

Capitolo III ASSOCIAZIONI PRIVATE DI FEDELI


321 Le associazioni private sono dirette e presiedute dai fedeli, secondo le disposizioni degli statuti.


322 § 1. Un'associazione privata di fedeli può acquistare personalità giuridica per decreto formale dell'autorità ecclesiastica competente di cui al can. 312.

§ 2. Nessuna associazione privata di fedeli può acquistare personalità giuridica se i suoi statuti non sono stati approvati dall'autorità ecclesiastica di cui al can. 312, § 1; tuttavia l'approvazione degli statuti non cambia la natura privata dell'associazione.


323 § 1. Quantunque le associazioni private di fedeli godano di autonomia a norma del can. 312, sono soggette alla vigilanza dell'autorità ecclesiastica a norma del can. 305, come pure al governo della medesima autorità.

§ 2. Spetta ancora all'autorità ecclesiastica, nel rispetto della autonomia propria delle associazioni private, vigilare e fare in modo che si eviti la dispersione delle forze e ordinare al bene comune l'esercizio del loro apostolato.


324 § 1. L'associazione privata di fedeli designa liberamente il moderatore e gli officiali a norma degli statuti.

§ 2. L'associazione privata di fedeli può scegliere liberamente, se lo desidera, un consigliere spirituale fra i sacerdoti che esercitano legittimamente il ministero nella diocesi; tuttavia colui che è scelto deve avere la conferma dell'Ordinario del luogo.


325 § 1. L'associazione privata di fedeli amministra liberamente i beni che possiede, secondo le disposizioni degli statuti, salvo il diritto dell'autorità ecclesiastica competente di vigilare perché i beni siano usati per i fini dell'associazione.

§ 2. E' pure soggetta all'autorità dell'Ordinario del luogo, a norma del can. 1301, per quanto riguarda l'amministrazione e la distribuzione dei beni che le sono stati donati o lasciati per cause pie.


326 § 1. L'associazione privata di fedeli si estingue a norma degli statuti; può anche essere soppressa dall'autorità competente se la sua attività è causa di danno grave per la dottrina o la disciplina ecclesiastica, oppure di scandalo per i fedeli.

§ 2. La destinazione dei beni di un'associazione estinta deve essere determinata a norma degli statuti, salvi i diritti acquisiti e la volontà degli offerenti.

Capitolo IV NORME SPECIALI PER LE ASSOCIAZIONI DI LAICI


327 I fedeli laici tengano in grande considerazione le associazioni costituite per fini spirituali di cui al can. 298, specialmente quelle che si propongono di animare mediante lo spirito cristiano le realtà temporali e in tal modo favoriscono intensamente un rapporto più intimo fra fede e vita.


328 Coloro che dirigono le associazioni di laici, anche quelle erette in forza di un privilegio apostolico, facciano in modo che le proprie associazioni collaborino, quando ciò risulta opportuno, con altre associazioni di fedeli e che sostengano volentieri le diverse opere cristiane, soprattutto quelle esistenti nello stesso territorio.


329 I moderatori delle associazioni di laici facciano in modo che i membri dell'associazione siano debitamente formati all'esercizio dell'apostolato specificamente laicale.


PARTE II

LA COSTITUZIONE GERARCHICA DELLA CHIESA

SEZIONE I

LA SUPREMA AUTORITA' DELLA CHIESA

Capitolo I IL ROMANO PONTEFICE E IL COLLEGIO DEI VESCOVI


330 Come, per volontà del Signore, san Pietro e gli altri Apostoli costituiscono un unico Collegio, per la medesima ragione il Romano Pontefice, successore di Pietro, ed i Vescovi, successori degli Apostoli, sono tra di loro congiunti.


Art. 1

Il Romano Pontefice


331 Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l'ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi sucessori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale; egli percio, in forza del suo ufficio, ha potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, potestà che può sempre esercitare liberamente.


332 § 1. Il Sommo Pontefice ottiene la potestà piena e suprema sulla Chiesa con l'elezione legittima, da lui accettata, insieme con la consacrazione episcopale. Di conseguenza l'eletto al sommo pontificato che sia già insignito del carattere episcopale ottiene tale potestà dal momento dell'accettazione. Che se l'eletto fosse privo del carattere episcopale, sia immediatamente ordinato Vescovo.

§ 2. Nel caso che il Romano Pontefice, rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.


333 § 1. Il Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, ha potestà non solo sulla Chiesa universale, ma ottiene anche il primato della potestà ordinaria su tutte le Chiese particolari e i loro raggruppamenti; con tale primato viene contemporaneamente rafforzata e garantita la potestà propria, ordinaria e immediata che i Vescovi hanno sulle Chiese particolari affidate alla loro cura.

§ 2. Il Romano Pontefice, nell'adempimento dell'ufficio di supremo Pastore della Chiesa, è sempre congiunto nella comunione con gli altri Vescovi e anzi con tutta la Chiesa; tuttavia egli ha il diritto di determinare, secondo le necessità della Chiesa, il modo, sia personale sia collegiale, di esercitare tale ufficio.

§ 3. Non si dà appello né ricorso contro la sentenza o il decreto del Romano Pontefice.


334 Nell'esercizio del suo ufficio il Romano Pontefice è assistito dai Vescovi, che possono cooperare con lui in diversi modi, uno dei quali è il sinodo dei Vescovi. Inoltre gli sono di aiuto i Padri Cardinali e altre persone, come pure diverse istituzioni, secondo le necessità dei tempi; tutte queste persone e istituzioni adempiono in suo nome e per sua autorità l'incarico loro affidato per il bene di tutte le Chiese, secondo le norme determinate dal diritto.


335 Mentre la Sede romana è vacante o totalmente impedita, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale; si osservino invece le leggi speciali emanate per tali circostanze.


Art. 2

Il Collegio dei Vescovi


336 Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane perennemente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla chiesa universale.


337 § 1. Il Collegio dei Vescovi esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale nel Concilio Ecumenico.

§ 2. Esercita la medesima potestà mediante l'azione congiunta dei Vescovi sparsi nel mondo, se essa come tale è indetta o liberamente recepita dal Romano Pontefice, cosi che si realizzi un vero atto collegiale.

§ 3. Spetta al Romano Pontefice, secondo le necessità della Chiesa, scegliere e promuovere i modi con cui il Collegio dei Vescovi può esercitare collegialmente il suo ufficio per la Chiesa universale.


338 § 1. Spetta unicamente al Romano Pontefice convocare il Concilio Ecumenico, presiedendolo personalmente o mediante altri, come pure trasferire il Concilio stesso, sospenderlo o scioglierlo e approvarne i decreti.

§ 2. Spetta al Romano Pontefice determinare le questioni da trattare nel Concilio e stabilire l'ordinamento da osservare in esso; i Padri del Concilio, alle questioni proposte dal Romano Pontefice, possono agiungerne altre, che devono essere approvate dallo stesso Romano Pontefice.


339 § 1. Tutti e i soli Vescovi che sono membri del Collegio dei Vescovi hanno il diritto e il dovere di partecipare al Concilio Ecumenico con voto deliberativo.

§ 2. Alcuni altri inoltre, che non sono insigniti della dignità episcopale, possono essere chiamati al Concilio Ecumenico dall'autorità suprema della Chiesa, alla quale spetta determinare il loro ruolo nel Concilio.


340 Nel caso che la Sede Apostolica divenga vacante durante la celebrazione del Concilio, questo viene interrotto per il diritto stesso, finché il nuovo Sommo Pontefice non abbia ordinato di proseguirlo o non l'abbia sciolto.


341 § 1. Non hanno forza obbligante se non quei decreti del Concilio Ecumenico che , insieme con i Padri del Concilio, siano stati approvati dal Romano Pontefice, da lui confermati e per suo comando promulgati.

§ 2. Perché abbiano forza obbligante devono avere la stessa conferma e promulgazione i decreti che emana il Collegio dei Vescovi quando pone un'azione propriamente collegiale secondo una modalità diversa, indetta dal Romano Pontefice o da lui deliberatamente recepita.


CODICE DI DIRITTO CANONICO 265