Christifideles laici




Esortazione apostolica post-sinodale - "Christifideles Laici"


Ai Vescovi, ai sacerdoti e ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, a tutti i fedeli laici.


Introduzione

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1. I fedeli laici ("Christifideles laici"), la cui "vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo a vent'anni dal Concilio Vaticano II" è stato l'argomento del Sinodo dei Vescovi del 1987, appartengono a quel Popolo di Dio che è raffigurato dagli operai della vigna, dei quali parla il Vangelo di Matteo: "Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che usci all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mando nella sua vigna" (
Mt 20,1-2).

La parabola evangelica spalanca davanti al nostro sguardo l'immensa vigna del Signore e la moltitudine di persone, uomini e donne, che da lui sono chiamate e mandate perché in essa abbiano a lavorare. La vigna è il mondo intero (cfr. Mt 13,38), che dev'essere trasformato secondo il disegno di Dio in vista dell'avvento definitivo del Regno di Dio.

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2. "Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: "andate anche voi nella mia vigna"" (
Mt 20,3-4).

L'appello del Signore Gesù "Andate anche voi nella mia vigna" non cessa di risuonare da quel lontano giorno nel corso della storia: è rivolto a ogni uomo che viene in questo mondo.

Ai nostri tempi, nella rinnovata effusione dello Spirito pentecostale avvenuta con il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha maturato una più viva coscienza della sua natura missionaria e ha riascoltato la voce del suo Signore che la manda nel mondo come "sacramento universale di salvezza" (LG 48).

Andate anche voi. La chiamata non riguarda soltanto i pastori, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, ma si estende a tutti: anche i fedeli laici sono personalmente chiamati dal Signore, dal quale ricevono una missione per la Chiesa e per il mondo. Lo ricorda san Gregorio Magno che, predicando al popolo, così commenta la parabola degli operai della vigna: "Guardate al vostro modo di vivere, fratelli carissimi, e verificate se siete già operai del Signore. Ciascuno valuti quello che fa e consideri se lavora nella vigna del Signore" (S. Gregorii Magni "Hom. in Evang.", I, XIX, 2: PL 76,1155).

In particolare il Concilio, con il suo ricchissimo patrimonio dottrinale, spirituale e pastorale, ha riservato pagine quanto mai splendide sulla natura, dignità, spiritualità, missione e responsabilità dei fedeli laici. E i Padri conciliari, riecheggiando l'appello di Cristo, hanno chiamato tutti i fedeli laici, uomini e donne, a lavorare nella sua vigna: "Il sacro Concilio scongiura nel Signore tutti i laici a rispondere volentieri, con animo generoso e con cuore pronto, alla voce di Cristo, che in quest'ora li invita con maggiore insistenza, e all'impulso dello Spirito Santo. In modo speciale i più giovani sentano questo appello come rivolto a se stessi, e l'accolgano con slancio e magnanimità. Il Signore stesso infatti ancora una volta per mezzo di questo santo Sinodo invita tutti i laici a unirsi sempre più intimamente a lui e, sentendo come proprio tutto ciò che è di lui (cfr. Ph 2,5), si associno alla sua missione salvifica; li manda ancora in ogni città e in ogni luogo dov'egli sta per venire (cfr. Lc 10,1)" (AA 33).

Andate anche voi nella mia vigna. Queste parole sono spiritualmente risuonate, ancora una volta, durante la celebrazione del Sinodo dei Vescovi, tenutosi a Roma dal 1° al 30 ottobre 1987. Ponendosi sui sentieri del Concilio e aprendosi alla luce delle esperienze personali e comunitarie di tutta la Chiesa, i Padri, arricchiti dai Sinodi precedenti, hanno affrontato in modo specifico e ampio l'argomento riguardante la vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo.

In questa assemblea episcopale non è mancata una qualificata rappresentanza di fedeli laici, uomini e donne, che hanno portato un contributo prezioso ai lavori del Sinodo, come è stato pubblicamente riconosciuto nell'omelia di conclusione: "Ringraziamo per il fatto che nel corso del Sinodo abbiamo potuto non solo gioire per la partecipazione dei laici ("auditores" e "auditrices"), ma ancor di più perché lo svolgimento delle discussioni sinodali ci ha permesso di ascoltare la voce degli invitati, i rappresentanti del laicato provenienti da tutte le parti del mondo, dai diversi Paesi e ci ha consentito di profittare delle loro esperienze, dei loro consigli, dei suggerimenti che scaturiscono dal loro amore per la causa comune ("Homilia in Petriana Basilica habita, VII expleto ordinario generali coetu Synodi Episcoporum", 3, die 30 oct. 1987: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X, 3 [1987] 957).

Con lo sguardo rivolto al dopo-Concilio i Padri sinodali hanno potuto costatare come lo Spirito abbia continuato a ringiovanire la Chiesa, suscitando nuove energie di santità e di partecipazione in tanti fedeli laici. Ciò è testimoniato, tra l'altro, dal nuovo stile di collaborazione tra sacerdoti, religiosi e fedeli laici; dalla partecipazione attiva nella liturgia, nell'annuncio della Parola di Dio e nella catechesi; dai molteplici servizi e compiti affidati ai fedeli laici e da essi assunti, dal rigoglioso fiorire di gruppi, associazioni e movimenti di spiritualità e di impegno laicali; dalla partecipazione più ampia e significativa delle donne nella vita della Chiesa e nello sviluppo della società.

Nello stesso tempo, il Sinodo ha rilevato come il cammino postconciliare dei fedeli laici non sia stato esente da difficoltà e da pericoli. In particolare si possono ricordare due tentazioni alle quali non sempre essi hanno saputo sottrarsi: la tentazione di riservare un interesse così forte ai servizi e ai compiti ecclesiali, da giungere spesso a un pratico disimpegno nelle loro specifiche responsabilità nel mondo professionale, sociale, economico, culturale e politico; e la tentazione di legittimare l'indebita separazione tra la fede e la vita, tra l'accoglienza del Vangelo e l'azione concreta nelle più diverse realtà temporali e terrene.

Nel corso dei suoi lavori il Sinodo ha fatto costante riferimento al Concilio Vaticano II, il cui insegnamento sul laicato, a distanza di vent'anni, è apparso di sorprendente attualità e talvolta di portata profetica: tale insegnamento è capace di illuminare e di guidare le risposte che oggi devono essere date ai nuovi problemi. In realtà, la sfida che i Padri sinodali hanno accolto è stata quella di individuare le strade concrete perché la splendida "teoria" sul laicato espressa dal Concilio possa diventare un'autentica "prassi" ecclesiale. Alcuni problemi poi s'impongono per una certa loro "novità", tanto da poterli chiamare postconciliari, almeno in senso cronologico: ad essi i Padri sinodali hanno giustamente riservato una particolare attenzione nel corso della loro discussione e riflessione. Tra questi problemi sono da ricordare quelli riguardanti i ministeri e i servizi ecclesiali affidati o da affidarsi ai fedeli laici, la diffusione e la crescita di nuovi "movimenti" accanto ad altre forme aggregative di laici, il posto e il ruolo della donna sia nella Chiesa che nella società.

I Padri sinodali, al termine dei loro lavori, svolti con grande impegno, competenza e generosità, mi hanno manifestato il desiderio e mi hanno rivolto la preghiera perché, a tempo opportuno, offrissi alla Chiesa universale un documento conclusivo sui fedeli laici (cfr. "Propositio 1") Questa esortazione apostolica post-sinodale intende valorizzare tutta quanta la ricchezza dei lavori sinodali, dai "Lineamenta all'Instrumentum laboris", dalla relazione introduttiva agli interventi dei singoli Vescovi e laici e alla relazione di sintesi dopo la discussione in aula, dalle discussioni e relazioni dei "circoli minori" alle "proposizioni" e al messaggio finale. Per questo il presente documento non si pone a lato del Sinodo, ma ne costituisce la fedele e coerente espressione, è il frutto d'un lavoro collegiale, al cui esito finale hanno apportato il loro contributo il Consiglio della Segreteria generale del Sinodo e la stessa Segreteria.

Suscitare e alimentare una più decisa presa di coscienza del dono e della responsabilità che tutti i fedeli laici, e ciascuno di essi in particolare, hanno nella comunione e nella missione della Chiesa è lo scopo che l'esortazione intende perseguire.

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3. Il significato fondamentale di questo Sinodo, e quindi il frutto più prezioso da esso desiderato, è l'ascolto da parte dei fedeli laici dell'appello di Cristo a lavorare nella sua vigna, a prendere parte viva, consapevole e responsabile alla missione della Chiesa in quest'ora magnifica e drammatica della storia, nell'imminenza del terzo millennio.

Situazioni nuove, sia ecclesiali sia sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano oggi, con una forza del tutto particolare, l'azione dei fedeli laici. Se il disimpegno è sempre stato inaccettabile, il tempo presente lo rende ancora più colpevole. Non è lecito a nessuno rimanere in ozio.

Riprendiamo la lettura della parabola evangelica: "Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?". Gli risposero: "Perché nessuno ci ha presi a giornata". Ed egli disse loro: "Andate anche voi nella mia vigna"" (
Mt 20,6-7).

Non c'è posto per l'ozio, tanto è il lavoro che attende tutti nella vigna del Signore. Il "padrone di casa" ripete con più forza il suo invito: "Andate anche voi nella mia vigna".

La voce del Signore risuona certamente nell'intimo dell'essere stesso d'ogni cristiano, che mediante la fede e i sacramenti dell'iniziazione cristiana è configurato a Gesù Cristo, è inserito come membro vivo nella Chiesa ed è soggetto attivo della sua missione di salvezza. La voce del Signore passa pero anche attraverso le vicende storiche della Chiesa e dell'umanità, come ci ricorda il Concilio: "Il Popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore, che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza e del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo, e perciò guida l'intelligenza verso soluzioni pienamente umane" (GS 11).

E' necessario, allora, guardare in faccia questo nostro mondo, con i suoi valori e problemi, le sue inquietudini e speranze, le sue conquiste e sconfitte: un mondo le cui situazioni economiche, sociali, politiche e culturali presentano problemi e difficoltà più gravi rispetto a quello descritto dal Concilio nella costituzione pastorale "Gaudium et Spes" (GS 12).

E' comunque questa la vigna, è questo il campo nel quale i fedeli laici sono chiamati a vivere la loro missione. Gesù li vuole, come tutti i suoi discepoli, sale della terra e luce del mondo (I Padri del Sinodo straordinario del 1985, dopo aver affermato "la grande importanza e la grande attualità della costituzione pastorale "Gaudium et Spes"", continuano: "Nello stesso tempo tuttavia percepiamo che i segni del nostro tempo sono in parte diversi da quelli del tempo del Concilio, con problemi e angosce maggiori. Crescono infatti oggi ovunque nel mondo la fame, l'oppressione, l'ingiustizia e la guerra, le sofferenze, il terrorismo e altre forme di violenza di ogni genere" ["Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi" Relatio finalis, II, D, 1]). Ma qual è il volto attuale della "terra" e del "mondo", di cui i cristiani devono essere "sale" e "luce"? E' assai grande la diversità delle situazioni e delle problematiche che oggi esistono nel mondo, peraltro caratterizzate da una crescente accelerazione di mutamento. Per questo è del tutto necessario guardarsi dalle generalizzazioni e dalle semplificazioni indebite. E' pero possibile rilevare alcune linee di tendenza che emergono nella società attuale. Come nel campo evangelico insieme crescono la zizzania e il buon grano, così nella storia, teatro quotidiano di un esercizio spesso contraddittorio della libertà umana, si trovano, accostati e talvolta profondamente aggrovigliati tra loro, il male e il bene, l'ingiustizia e la giustizia, l'angoscia e la speranza.

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4. Come non pensare alla persistente diffusione dell'indifferentismo religioso e dell'ateismo nelle sue più diverse forme, in particolare nella forma, oggi forse più diffusa, del secolarismo? Inebriato dalle prodigiose conquiste di un inarrestabile sviluppo scientifico-tecnico e soprattutto affascinato dalla più antica e sempre nuova tentazione, quella di voler diventare come Dio (cfr.
Gn 3,5) mediante l'uso d'una libertà senza limiti, l'uomo taglia le radici religiose che sono nel suo cuore: dimentica Dio, lo ritiene senza significato per la propria esistenza, lo rifiuta ponendosi in adorazione dei più diversi "idoli".

E' veramente grave il fenomeno attuale del secolarismo: non riguarda solo i singoli, ma in qualche modo intere comunità, come già rilevava il Concilio: "Moltitudini crescenti praticamente si staccano dalla religione" (GS 7). Più volte io stesso ho ricordato il fenomeno della scristianizzazione che colpisce i popoli cristiani di vecchia data e che reclama, senza alcuna dilazione, una nuova evangelizzazione.

Eppure l'aspirazione e il bisogno religiosi non possono essere totalmente estinti. La coscienza di ogni uomo, quando ha il coraggio di affrontare gli interrogativi più gravi dell'esistenza umana, in particolare l'interrogativo sul senso del vivere, del soffrire e del morire, non può non fare propria la parola di verità gridata da sant'Agostino: "Tu ci hai fatto per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto sino a quando non riposa in te" (S. Augustini "Confessiones", I, 1: CCL 27, 1). così anche il mondo attuale testimonia, in forme sempre più ampie e vive, l'apertura ad una visione spirituale e trascendente della vita, il risveglio della ricerca religiosa, il ritorno al senso del sacro e alla preghiera, la richiesta di essere liberi nell'invocare il nome del Signore.

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5. Pensiamo, inoltre, alle molteplici violazioni alle quali viene oggi sottoposta la persona umana. Quando non è riconosciuto e amato nella sua dignità di immagine vivente di Dio (cfr.
Gn 1,26), l'essere umano è esposto alle più umilianti e aberranti forme di "strumentalizzazione", che lo rendono miseramente schiavo del più forte. E "il più forte" può assumere i nomi più diversi: ideologia, potere economico, sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei mass-media. Di nuovo ci troviamo di fronte a moltitudini di persone, nostri fratelli e sorelle, i cui diritti fondamentali sono violati, anche in seguito all'eccessiva tolleranza e persino alla palese ingiustizia di certe leggi civili: il diritto alla vita e all'integrità, il diritto alla casa e al lavoro, il diritto alla famiglia e alla procreazione responsabile, il diritto alla partecipazione alla vita pubblica e politica, il diritto alla libertà di coscienza e di professione di fede religiosa.

Chi può contare i bambini non nati perché uccisi nel seno delle loro madri, i bambini abbandonati e maltrattati dagli stessi genitori, i bambini che crescono senza affetto ed educazione? In alcuni Paesi intere popolazioni sono sprovviste di casa e di lavoro, mancano dei mezzi assolutamente indispensabili per condurre una vita degna di esseri umani e sono private persino del necessario per la stessa sussistenza. Tremende sacche di povertà e di miseria, fisica e morale ad un tempo, stanno oramai di casa ai margini delle grandi metropoli e colpiscono mortalmente interi gruppi umani.

Ma la sacralità della persona non può essere annullata, quantunque essa troppo spesso venga disprezzata e violata: avendo il suo incrollabile fondamento in Dio creatore e Padre, la sacralità della persona torna ad imporsi, sempre e di nuovo.

Di qui il diffondersi sempre più vasto e l'affermarsi sempre più forte del senso della dignità personale di ogni essere umano. Una corrente benefica oramai percorre e pervade tutti i popoli della terra, resi sempre più consapevoli della dignità dell'uomo: non è affatto una "cosa" o un "oggetto" di cui servirsi, ma è sempre e solo un "soggetto", dotato di coscienza e di libertà, chiamato a vivere responsabilmente nella società e nella storia, ordinato ai valori spirituali e religiosi.

E' stato detto che il nostro è il tempo degli "umanesimi": alcuni, per la loro matrice atea e secolaristica, finiscono paradossalmente per mortificare e annullare l'uomo; altri umanesimi invece lo esaltano a tal punto da giungere a forme di vera e propria idolatria; altri, infine, riconoscono secondo verità la grandezza e la miseria dell'uomo, manifestando, sostenendo e favorendo la sua dignità totale.

Segno e frutto di queste correnti umanistiche è il crescente bisogno della partecipazione. E' questa, indubbiamente, uno dei tratti distintivi dell'umanità attuale, un vero "segno dei tempi" che viene maturando in diversi campi e in diverse direzioni: nel campo soprattutto delle donne e del mondo giovanile, e nella direzione della vita non solo familiare e scolastica, ma anche culturale, economica, sociale e politica. L'essere protagonisti, in qualche modo creatori di una nuova cultura umanistica, è un'esigenza insieme universale e individuale (cfr. "Instrumentum laboris" "De vocatione et missione laicorum in Ecclesia et in mundo viginti annis a Concilio Vaticano II elapsis", 5-10).

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6. Non possiamo infine, non ricordare un altro fenomeno che contraddistingue l'attuale umanità: forse come non mai nella sua storia l'umanità è quotidianamente e profondamente colpita e scardinata dalla conflittualità. E' questo un fenomeno pluriforme, che si distingue dal pluralismo legittimo delle mentalità e delle iniziative, e si manifesta nell'infausto contrapporsi di persone, gruppi, categorie, nazioni e blocchi di nazioni. E' una contrapposizione che assume forme di violenza, di terrorismo, di guerra. Ancora una volta, ma con proporzioni enormemente ampliate, diversi settori dell'umanità d'oggi, volendo dimostrare la loro "onnipotenza", rinnovano la stolta esperienza della costruzione della "torre di Babele" (cfr.
Gn 11,1-9), la quale pero prolifera confusione, lotta, disgregazione ed oppressione. La famiglia umana è così in se stessa drammaticamente sconvolta e lacerata.

D'altra parte, del tutto insopprimibile è l'aspirazione dei singoli e dei popoli al bene inestimabile della pace nella giustizia. La beatitudine evangelica: "Beati gli operatori di pace" (Mt 5,9) trova negli uomini del nostro tempo una nuova e significativa risonanza; per l'avvento della pace e della giustizia popolazioni intere oggi vivono, soffrono e lavorano. La partecipazione di tante persone e gruppi alla vita della società è la strada oggi sempre più percorsa perché da desiderio la pace diventi realtà. Su questa strada incontriamo tanti fedeli laici generosamente impegnati nel campo sociale e politico, nelle più varie forme sia istituzionali che di volontariato e di servizio agli ultimi.

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7. Questo è l'immenso e travagliato campo che sta davanti agli operai mandati dal "padrone di casa" a lavorare nella sua vigna.

In questo campo è presente e operante la Chiesa, noi tutti, pastori e fedeli, sacerdoti, religiosi e laici. Le situazioni ora ricordate toccano profondamente la Chiesa: da esse è in parte condizionata, non pero schiacciata né tanto meno sopraffatta, perché lo Spirito Santo, che ne è l'anima, la sostiene nella sua missione.

La Chiesa sa che tutti gli sforzi che l'umanità va compiendo per la comunione e la partecipazione, nonostante ogni difficoltà, ritardo e contraddizione causati dai limiti umani, dal peccato e dal Maligno, trovano piena risposta nell'intervento di Gesù Cristo, redentore dell'uomo e del mondo.

La Chiesa sa di essere mandata da lui come "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (
LG 1).

Nonostante tutto, dunque, l'umanità può sperare, deve sperare: il Vangelo vivente e personale, Gesù Cristo stesso, è la "notizia" nuova e apportatrice di gioia che la Chiesa ogni giorno annuncia e testimonia a tutti gli uomini.

In questo annuncio e in questa testimonianza i fedeli laici hanno un posto originale e insostituibile: per mezzo loro la Chiesa di Cristo è resa presente nei più svariati settori del mondo, come segno e fonte di speranza e di amore.

Capitolo I

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8. L'immagine della vigna viene usata dalla Bibbia in molti modi e con diversi significati: in particolare, essa serve ad esprimere il mistero del Popolo di Dio.

In questa prospettiva più interiore i fedeli laici non sono semplicemente gli operai che lavorano nella vigna, ma sono parte della vigna stessa: "Io sono la vite, voi i tralci" (
Jn 15,5), dice Gesù.

Già nell'Antico Testamento i profeti per indicare il popolo eletto ricorrono all'immagine della vigna. Israele è la vigna di Dio, l'opera del Signore, la gioia del suo cuore: "Io ti avevo piantato come vigna scelta" (Jr 2,21); "Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque. Era rigogliosa e frondosa per l'abbondanza dell'acqua" (Ez 19,10); "Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l'aveva vangata e sgombrata dai sassi, e vi aveva piantato scelte viti..." (Is 5,1-2).

Gesù riprende il simbolo della vigna e se ne serve per rivelare alcuni aspetti del Regno di Dio: "Un uomo pianto una vigna, vi pose attorno una siepe, scavo un torchio, costrui una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne ando lontano" (Mc 12,1 cfr. Mt 21,28ss).

L'evangelista Giovanni ci invita a scendere in profondità e ci introduce a scoprire il mistero della vigna: essa è il simbolo e la figura non solo del Popolo di Dio, ma di Gesù stesso. Lui è il ceppo e noi, i discepoli, siamo i tralci; lui è la "vera vite", nella quale sono vitalmente inseriti i tralci (cfr. Jn 15,1ss).

Il Concilio Vaticano II, riferendo le varie immagini bibliche che illuminano il mistero della Chiesa, ripropone l'immagine della vite e dei tralci: "Cristo è la vera vite, che dà vita e fecondità ai tralci, cioè a noi, che per mezzo della Chiesa rimaniamo in lui, e senza di lui nulla possiamo fare (cfr. Jn 15,1-5)" LG 6). La Chiesa stessa è, dunque, la vigna evangelica. E' mistero perché l'amore e la vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sono il dono assolutamente gratuito offerto a quanti sono nati dall'acqua e dallo Spirito (cfr. Jn 3,5), chiamati a rivivere la comunione stessa di Dio e a manifestarla e comunicarla nella storia (missione): "In quel giorno - dice Gesù - voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi" (cfr. Jn 14,20).

Ora solo all'interno del mistero della Chiesa come mistero di comunione si rivela l'"identità" dei fedeli laici, la loro originale dignità. E solo all'interno di questa dignità si possono definire la loro vocazione e la loro missione nella Chiesa e nel mondo.

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9. I Padri sinodali hanno giustamente rilevato la necessità di individuare e di proporre una descrizione positiva della vocazione e della missione dei fedeli laici, approfondendo lo studio della dottrina del Concilio Vaticano II alla luce sia dei più recenti documenti del Magistero sia dell'esperienza della vita stessa della Chiesa guidata dallo Spirito Santo (cfr. "Propositio 3").

Nel dare risposta all'interrogativo "chi sono i fedeli laici", il Concilio, superando precedenti interpretazioni prevalentemente negative, si è aperto ad una visione decisamente positiva e ha manifestato il suo fondamentale intento nell'asserire la piena appartenenza dei fedeli laici alla Chiesa e al suo mistero e il carattere peculiare della loro vocazione, che ha in modo speciale lo scopo di "cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio" (
LG 31). "Col nome di laici - così la costituzione "Lumen Gentium" li descrive - si intendono qui tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell'ordine sacro e dello stato religioso sancito dalla Chiesa, i fedeli cioè, che, dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio e, a loro modo, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano" (LG 31). Già Pio XII diceva: "I fedeli, e più precisamente i laici, si trovano nella linea più avanzata della vita della Chiesa; per loro la Chiesa è il principio vitale della società umana. perciò essi, specialmente essi, debbono avere una sempre più chiara consapevolezza, non soltanto di appartenere alla Chiesa ma di essere la Chiesa, vale a dire la comunità dei fedeli sulla terra sotto la condotta del capo comune, il Papa, e dei Vescovi in comunione con lui. Essi sono la Chiesa..." (Pii XII "Allocutio ad E.mos ac Rev.mos Patres Cardinales recenter creatos", die 20 febr. 1946: AAS 38 [1946] 149) Secondo l'immagine biblica della vigna, i fedeli laici, come tutti quanti i membri della Chiesa, sono tralci radicati in Cristo, la vera vite, da lui resi vivi e vivificanti.

L'inserimento in Cristo per mezzo della fede e dei sacramenti dell'iniziazione cristiana è la radice prima che origina la nuova condizione del cristiano nel mistero della Chiesa, che costituisce la sua più profonda "fisionomia", che sta alla base di tutte le vocazioni e del dinamismo della vita cristiana dei fedeli laici: in Gesù Cristo, morto e risorto, il battezzato diventa una "creatura nuova" (Ga 6,15 2Co 5,17), una creatura purificata dal peccato e vivificata dalla grazia.

In tal modo, solo cogliendo la misteriosa ricchezza che Dio dona al cristiano nel santo Battesimo è possibile delineare la "figura" del fedele laico.

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10. Non è esagerato dire che l'intera esistenza del fedele laico ha lo scopo di portarlo a conoscere la radicale novità cristiana che deriva dal Battesimo, sacramento della fede, perché possa viverne gli impegni secondo la vocazione ricevuta da Dio. Per descrivere la "figura" del fedele laico prendiamo ora in esplicita e più diretta considerazione, tra gli altri, questi tre fondamentali aspetti: il Battesimo ci rigenera alla vita dei figli di Dio, ci unisce a Gesù Cristo e al suo corpo che è la Chiesa, ci unge nello Spirito Santo costituendoci templi spirituali.

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11. Ricordiamo le parole di Gesù a Nicodemo: "In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel Regno di Dio" (
Jn 3,5). Il santo Battesimo è, dunque, una nuova nascita, è una rigenerazione. Proprio pensando a questo aspetto del dono battesimale l'apostolo Pietro prorompe nel canto: "sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce" (1P 1,3-4). E chiama i cristiani coloro che sono stati "rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla Parola di Dio viva ed eterna" (1P 1,23).

Con il santo Battesimo diventiamo figli di Dio nell'unigenito suo Figlio, Cristo Gesù. Uscendo dalle acque del sacro fonte, ogni cristiano riascolta la voce che un giorno si è udita sulle rive del fiume Giordano: "Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto" (Lc 3,22), e capisce che è stato associato al Figlio prediletto, diventando figlio di adozione (cfr. Ga 4,4-7) e fratello di Cristo. Si compie così nella storia di ciascuno l'eterno disegno del Padre: "quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29).

E' lo Spirito Santo che costituisce i battezzati in figli di Dio e nello stesso tempo membra del corpo di Cristo. Lo ricorda Paolo ai cristiani di Corinto: "Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo" (1Co 12,13), sicché l'Apostolo può dire ai fedeli laici: "Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte" (1Co 12,27), "Che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio" (Ga 4,6 cfr. Rm 8,15-16).

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12. Rigenerati come "figli nel Figlio", i battezzati sono inscindibilmente "membri di Cristo e membri del corpo della Chiesa", come insegna il Concilio di Firenze (Conc. Oecum. Florentinum "Decr. pro Armenis":
DS 1314).

Il Battesimo significa e produce un'incorporazione mistica ma reale al corpo crocifisso e glorioso di Gesù. Mediante il sacramento Gesù unisce il battezzato alla sua morte per unirlo alla sua risurrezione (cfr. Rm 6,3-5), lo spoglia dell'"uomo vecchio" e lo riveste dell'"uomo nuovo", ossia di se stesso: "Quanti siete stati battezzati in Cristo - proclama l'apostolo Paolo - vi siete rivestiti di Cristo" (Ga 3,27 cfr. Ep 4,22-24 Col 3,9-10). Ne risulta che "noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo" (Rm 12,5).

Ritroviamo nelle parole di Paolo l'eco fedele dell'insegnamento di Gesù stesso, il quale ha rivelato la misteriosa unità dei suoi discepoli con lui e tra di loro, presentandola come immagine e prolungamento di quell'arcana comunione che lega il Padre al Figlio e il Figlio al Padre nel vincolo amoroso dello Spirito (cfr. Jn 17,21). E' la stessa unità di cui Gesù parla con l'immagine della vite e dei tralci: "Io sono la vite, voi i tralci" (cfr. Jn 15,5), un'immagine che fa luce non solo sull'intimità profonda dei discepoli con Gesù ma anche sulla comunione vitale dei discepoli tra loro: tutti tralci dell'unica vite.

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13. Con un'altra immagine, quella di un edificio, l'apostolo Pietro definisce i battezzati come "pietre vive" fondate su Cristo, la "pietra angolare", e destinate alla "costruzione di un edificio spirituale" (
1P 2,5ss). L'immagine ci introduce a un altro aspetto della novità battesimale, così presentato dal Concilio Vaticano II: "Per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati a formare una dimora spirituale" (LG 10).

Lo Spirito Santo "unge" il battezzato, vi imprime il suo indelebile sigillo (cfr. 2Co 1,21-22), e lo costituisce tempio spirituale, ossia lo riempie della santa presenza di Dio grazie all'unione e alla conformazione a Gesù Cristo.

Con questa spirituale "unzione", il cristiano può, a suo modo, ripetere le parole di Gesù: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18-19 cfr. Is 61,1-2). così con l'effusione battesimale e cresimale il battezzato partecipa alla medesima missione di Gesù il Cristo, il messia salvatore.

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14. Rivolgendosi ai battezzati come a "bambini appena nati", l'apostolo Pietro scrive: "Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo... Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce..." (
1P 2,4-5 1P 2,9).

Ecco un nuovo aspetto della grazia e della dignità battesimale: i fedeli laici partecipano, per la loro parte, al triplice ufficio - sacerdotale, profetico e regale - di Gesù Cristo. E' questo un aspetto non mai dimenticato dalla Tradizione viva della Chiesa, come appare, ad esempio, dalla spiegazione che del salmo 26 offre sant'Agostino. Scrive: "Davide fu unto re. A quel tempo si ungevano solo il re e il sacerdote. In queste due persone era prefigurato il futuro unico re e sacerdote, Cristo (e perciò "Cristo" viene da "crisma"). Non solo pero è stato unto il nostro capo, ma siamo stati unti anche noi, suo corpo... perciò l'unzione spetta a tutti i cristiani, mentre al tempo dell'Antico Testamento apparteneva a due sole persone. Appare chiaro che noi siamo il corpo di Cristo dal fatto che siamo tutti unti e tutti in lui siamo cristi e Cristo, perché in certo modo la testa e il corpo formano il Cristo nella sua integrità" (S. Augustini "Enarr. in Ps. XXVI", II, 2: CCL 38, 1541).

Nella scia del Concilio Vaticano II (cfr. LG 10), sin dall'inizio del mio servizio pastorale, ho inteso esaltare la dignità sacerdotale, profetica e regale dell'intero Popolo di Dio dicendo: "Colui che è nato dalla Vergine Maria, il Figlio del falegname - come si riteneva - il Figlio del Dio vivente, come ha confessato Pietro, è venuto per fare di tutti noi "un regno di sacerdoti". Il Concilio Vaticano Il ci ha ricordato il mistero di questa potestà e il fatto che la missione di Cristo - sacerdote, profeta-maestro, re - continua nella Chiesa. Tutti, tutto il Popolo di Dio è partecipe di questa triplice missione" ("Homilia in platea sancti Petri, ob initium ministerii Summi Catholicae Ecclesiae pastoris", 4, die 22 oct. 1978: , I [1978] 38).

Con questa esortazione i fedeli laici sono invitati ancora una volta a rileggere, a meditare e ad assimilare con intelligenza e con amore il ricco e fecondo insegnamento del Concilio circa la loro partecipazione al triplice ufficio di Cristo (cfr. Iteratam Propositionem Huius Doctrinae in "Instrumentum laboris, "De vocatione et missione laicorum in Ecclesia et in mundo viginti annis a Concilio Vaticano II elapsis"", 25). Ecco ora in sintesi gli elementi essenziali di questo insegnamento.

I fedeli laici sono partecipi dell'uffcio sacerdotale, per il quale Gesù ha offerto se stesso sulla croce e continuamente si offre nella celebrazione eucaristica a gloria del Padre per la salvezza dell'umanità. Incorporati a Gesù Cristo, i battezzati sono uniti a lui e al suo sacrificio nell'offerta di se stessi e di tutte le loro attività (cfr. Rm 12,1-2). Parlando dei fedeli laici il Concilio dice: "Tutte le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sollievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spirito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo (cfr. 1P 2,5), i quali nella celebrazione dell'Eucaristia sono piissimamente offerti al Padre insieme all'oblazione del corpo del Signore. così anche i laici, operando santamente dappertutto come adoratori, consacrano a Dio il mondo stesso" (LG 34).

La partecipazione all'ufficio profetico di Cristo, "il quale e con la testimomanza della vita e con la virtù della parola ha proclamato il Regno del Padre" (LG 35), abilita e impegna i fedeli laici ad accogliere nella fede il Vangelo e ad annunciarlo con la parola e con le opere non esitando a denunciare coraggiosamente il male. Uniti a Cristo, il "grande profeta" (cfr. Lc 7,16), e costituiti nello Spirito "testimoni" di Cristo risorto, i fedeli laici sono resi partecipi sia del senso di fede soprannaturale della Chiesa che "non può sbagliarsi nel credere" (LG 12) sia della grazia della parola (cfr. Ac 2,17-18 Ap 19,10); sono altresi chiamati a far risplendere la novità e la forza del Vangelo nella loro vita quotidiana, familiare e sociale, come pure ad esprimere, con pazienza e coraggio, nelle contraddizioni dell'epoca presente la loro speranza nella gloria "anche attraverso le strutture della vita secolare" (LG 35).

Per la loro appartenenza a Cristo Signore e re dell'universo i fedeli laici partecipano al suo ufficio regale e sono da lui chiamati al servizio del Regno di Dio e alla sua diffusione nella storia. Essi vivono la regalità cristiana, anzitutto mediante il combattimento spirituale per vincere in se stessi il regno del peccato (cfr. Rm 6,12), e poi mediante il dono di sé per servire, nella carità e nella giustizia, Gesù stesso presente in tutti i suoi fratelli, soprattutto nei più piccoli (cfr. Mt 25,40).

Ma i fedeli laici sono chiamati in particolare a ridare alla creazione tutto il suo originario valore. Nell'ordinare il creato al vero bene dell'uomo con un'attività sorretta dalla vita di grazia, essi partecipano all'esercizio del potere con cui Gesù risorto attrae a sé tutte le cose e le sottomette, con se stesso, al Padre, così che Dio sia tutto in tutti (cfr. Jn 12,32 1Co 15,28).

La partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di Cristo sacerdote, profeta e re trova la sua radice prima nell'unzione del Battesimo, il suo sviluppo nella Confermazione e il suo compimento e sostegno dinamico nell'Eucaristia. E' una partecipazione donata ai singoli fedeli laici, ma in quanto formano l'unico corpo del Signore. Infatti, Gesù arricchisce dei suoi doni la Chiesa stessa, quale suo corpo e sua sposa. In tal modo i singoli sono partecipi del triplice ufficio di Cristo in quanto membra della Chiesa, come chiaramente insegna l'apostolo Pietro, che definisce i battezzati come "la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato" (cfr. 1P 2,9). Proprio perché deriva dalla comunione ecclesiale, la partecipazione dei fedeli laici al triplice ufficio di Cristo esige d'essere vissuta e attuata nella comunione e per la crescita della comunione stessa.

Scriveva sant'Agostino: "Come chiamiamo tutti cristiani in forza del mistico crisma, così chiamiamo tutti sacerdoti perché sono membra dell'unico sacerdote" (S. Augustini "De Civitate Dei", XX, 10: CCL 48, 720).

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15. La novità cristiana è il fondamento e il titolo dell'eguaglianza di tutti i battezzati in Cristo, di tutti i membri del Popolo di Dio: "comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia dei figli, comune la vocazione alla perfezione, una sola salvezza, una sola speranza e indivisa carità" (
LG 32). In forza della comune dignità battesimale il fedele laico è corresponsabile, insieme con i ministri ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione della Chiesa.

Ma la comune dignità battesimale assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza pero separarlo, dal presbitero, dal religioso e dalla religiosa. Il Concilio Vaticano II ha indicato questa modalità nell'indole secolare: "L'indole secolare è propria e peculiare dei laici" (LG 31).

Proprio per cogliere in modo completo, adeguato e specifico la condizione ecclesiale del fedele laico è necessario approfondire la portata teologica dell'indole secolare alla luce del disegno salvifico di Dio e del mistero della Chiesa.

Come diceva Paolo VI, la Chiesa "ha un'autentica dimensione secolare, inerente alla sua intima natura e missione, la cui radice affonda nel mistero del Verbo incarnato, e che è realizzata in forme diverse per i suoi membri" (Pauli VI "Allocutio Institutorum Saecularium sodalibus", die 2 febr. 1972: Insegnamenti di Paolo VI, X [1972] 100ss).

La Chiesa, infatti, vive nel mondo anche se non è del mondo (cfr. Jn 17,16) ed è mandata a continuare l'opera redentrice di Gesù Cristo, la quale "mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l'ordine temporale" (AA 5).

Certamente tutti i membri della Chiesa sono partecipi della sua dimenslone secolare; ma lo sono in forme diverse. In particolare la partecipazione dei fedeli laici ha una sua modalità di attuazione e di funzione che, secondo il Concilio, è loro "propria e peculiare": tale modalità viene designata con l'espressione "indole secolare" (LG 31).

In realtà il Concilio descrive la condizione secolare dei fedeli laici indicandola, anzitutto, come il luogo nel quale viene loro rivolta la chiamata di Dio: "Ivi sono da Dio chiamati" (LG 31). Si tratta di un "luogo" presentato in termini dinamici: i fedeli laici "vivono nel secolo, cioè implicati in tutti e singoli gli impieghi e gli affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta" (LG 31). Essi sono persone che vivono la vita normale nel mondo, studiano, lavorano, stabiliscono rapporti amicali, sociali, professionali, culturali, ecc. Il Concilio considera la loro condizione non semplicemente come un dato esteriore e ambientale, bensi come una realtà destinata a trovare in Gesù Cristo la pienezza del suo significato (cfr. LG 48). Anzi afferma che "lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della convivenza umana...

Santifico le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali traggono origine i rapporti sociali, volontariamente sottomettendosi alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un lavoratore del suo tempo e della sua regione" (GS 32).

Il "mondo" diventa così l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici, perché esso stesso è destinato a glorificare Dio Padre in Cristo. Il Concilio può allora indicare il senso proprio e peculiare della vocazione divina rivolta ai fedeli laici. Non sono chiamati ad abbandonare la posizione ch'essi hanno nel mondo. Il Battesimo non li toglie affatto dal mondo, come rileva l'apostolo Paolo: "Ciascuno, fratelli, rimanga davanti a Dio in quella condizione in cui era quando è stato chiamato" (1Co 7,24); ma affida loro una vocazione che riguarda proprio la situazione intramondana: i fedeli laici, infatti, "sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità" (LG 31).

Così l'essere e l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche e specificamente teologica ed ecclesiale.

Nella loro situazione intramondana, infatti, Dio manifesta il suo disegno e comunica la particolare vocazione di "cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio" (LG 31).

Proprio in questa prospettiva i Padri sinodali hanno detto: "L'indole secolare del fedele laico non è quindi da definirsi soltanto in senso sociologico, ma soprattutto in senso teologico. La caratteristica secolare va intesa alla luce dell'atto creativo e redentivo di Dio, che ha affidato il mondo agli uomini e alle donne, perché essi partecipino all'opera della creazione, liberino la creazione stessa dall'influsso del peccato e santifichino se stessi nel matrimonio o nella vita celibe, nella famiglia, nella professione e nelle varie attività sociali" ("Propositio 4").

La condizione ecclesiale dei fedeli laici viene radicalmente definita dalla loro novità cristiana e caratterizzata dalla loro indole secolare ("Membri a pieno titolo del Popolo di Dio e del Corpo mistico, partecipi, mediante il Battesimo, del triplice ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, i laici esprimono ed esercitano le ricchezze di tale loro dignità vivendo nel mondo. Ciò che per gli appartenenti al ministero ordinato può costituire un compito aggiuntivo o eccezionale, per i laici è missione tipica. La vocazione loro propria consiste "nel cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio" [LG 31]" "Allocutio ad precationem "Angelus"", 1, die 15 mar. 1987: , X, 1 [1987] 561).

Le immagini evangeliche del sale, della luce e del lievito, pur riguardando indistintamente tutti i discepoli di Gesù, trovano una specifica applicazione ai fedeli laici. Sono immagini splendidamente significative, perché dicono non solo l'inserimento profondo e la partecipazione piena dei fedeli laici nella terra, nel mondo, nella comunità umana; ma anche e soprattutto la novità e l'originalità di un inserimento e di una partecipazione destinati alla diffusione del Vangelo che salva.

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16. La dignità dei fedeli laici ci si rivela in pienezza se consideriamo la prima e fondamentale vocazione che il Padre in Gesù Cristo per mezzo dello Spirito rivolge a ciascuno di loro: la vocazione alla santità, ossia alla perfezione della carità. Il santo è la testimonianza più splendida della dignità conferita al discepolo di Cristo.

Sull'universale vocazione alla santità ha avuto parole luminosissime il Concilio Vaticano II. Si può dire che proprio questa sia stata la consegna primaria affidata a tutti i figli e le figlie della Chiesa da un Concilio voluto per il rinnovamento evangelico della vita cristiana (cfr. praecipue caput V
LG 39-42, in quo agitur "de universali vocatione ad sanctitatem in Ecclesia"). Questa consegna non è una semphce esortazione morale, bensi un'insopprimibile esigenza del mistero della Chiesa: essa è la vigna scelta, per mezzo della quale i tralci vivono e crescono con la stessa linfa santa e santificante di Cristo, è il Corpo mistico, le cui membra partecipano della stessa vita di santità del capo che è Cristo; è la sposa amata dal Signore Gesù, che ha consegnato se stesso per santificarla (cfr. Ep 5,25ss). Lo Spirito che santifico la natura umana di Gesù nel seno verginale di Maria (cfr. Lc 1,35) è lo stesso Spirito che è dimorante e operante nella Chiesa al fine di comunicarle la santità del Figlio di Dio fatto uomo.

E' quanto mai urgente che oggi tutti i cristiani riprendano il cammino del rinnovamento evangelico, accogliendo con generosità l'invito apostolico ad "essere santi in tutta la condotta"(1P 1,15). Il Sinodo straordinario del 1985, a vent'anni dalla conclusione del Concilio, ha opportunamente insistito su questa urgenza: "Poiché la Chiesa in Cristo è mistero, deve essere considerata segno e strumento di santità... I santi e le sante sempre sono stati fonte e origine di rinnovamento nelle più difficili circostanze in tutta la storia della Chiesa. Oggi abbiamo grandissimo bisogno di santi, che dobbiamo implorare da Dio con assiduità" (Synodi Extr. Episcoporum 1985 "Ecclesia sub Verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi". Relatio finalis, II, A, 4).

Tutti nella Chiesa, proprio perché ne sono membri, ricevono e quindi condividono la comune vocazione alla santità. A pieno titolo, senz'alcuna differenza dagli altri membri della Chiesa, ad essa sono chiamati i fedeli laici: "Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" (LG 40); "Tutti i fedeli sono invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfezione del proprio stato" (LG 42. Queste solenni e inequivocabili affermazioni del Concilio ripropongono una verità fondamentale della fede cristiana. così, ad esempio, Pio XI nell'enciclica "Casti Connubi", rivolta agli sposi cristiani, scrive: "Possono e debbono tutti, di qualunque condizione siano e qualunque onesto stato di vita abbiano scelto, imitare l'esemplare perfettissimo di ogni santità, proposto da Dio agli uomini, che è nostro Signore Gesù Cristo, e con l'aiuto di Dio giungere anche all'altezza somma della perfezione cristiana, come gli esempi di molti santi ci dimostrano": AAS 22 [1930] 548).

La vocazione alla santità affonda le sue radici nel Battesimo e viene riproposta dagli altri sacramenti, principalmente dall'Eucaristia: rivestiti di Gesù Cristo e abbeverati dal suo Spirito, i cristiani sono "santi" e sono, perciò, abilitati e impegnati a manifestare la santità del loro essere nella santità di tutto il loro operare. L'apostolo Paolo non si stanca di ammonire tutti i cristiani perché vivano "come si addice a santi" (Ep 5,3).

La vita secondo lo Spirito, il cui frutto è la santificazione (cfr. Rm 6,22 Ga 5,22), suscita ed esige da tutti e da ciascun battezzato la sequela e l'imitazione di Gesù Cristo, nell'accoglienza delle sue beatitudini, nell'ascolto e nella meditazione della Parola di Dio, nella consapevole e attiva partecipazione alla vita liturgica e sacramentale della Chiesa, nella preghiera individuale, familiare e comunitaria, nella fame e nella sete di giustizia, nella pratica del comandamento dell'amore in tutte le circostanze della vita e nel servizio ai fratelli, specialmente se piccoli, poveri e sofferenti.

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17. La vocazione dei fedeli laici alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene. E' ancora l'Apostolo ad ammonirci: "Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre" (
Col 3,17). Riferendo le parole dell'Apostolo ai fedeli laici, il Concilio afferma categoricamente: "Né la cura della famiglia né gli altri impegni secolari devono essere estranei all'orientamento spirituale della vita" (AA 4). A loro volta i Padri sinodali hanno detto: "L'unità della vita dei fedeli laici è di grandissima importanza: essi, infatti, debbono santificarsi nell'ordinaria vita professionale e sociale. Perché possano rispondere alla loro vocazione, dunque, i fedeli laici debbono guardare alle attività della vita quotidiana come occasione di unione con Dio e di compimento della sua volontà, e anche di servizio agli altri uomini, portandoli alla comunione con Dio in Cristo" ("Propositio 5").

La vocazione alla santità dev'essere percepita e vissuta dai fedeli laici, prima che come obbligo esigente e irrinunciabile, come segno luminoso dell'infinito amore del Padre che li ha rigenerati alla sua vita di santità. Tale vocazione, allora, deve dirsi una componente essenziale e inseparabile della nuova vita battesimale, e pertanto un elemento costitutivo della loro dignità. Nello stesso tempo la vocazione alla santità è intimamente connessa con la missione e con la responsabilità affidate ai fedeli laici nella Chiesa e nel mondo. Infatti, già la stessa santità vissuta, che deriva dalla partecipazione alla vita di santità della Chiesa, rappresenta il primo e fondamentale contributo all'edificazione della Chiesa stessa, quale "comunione dei santi". Agli occhi illuminati dalla fede si spalanca uno scenario meraviglioso: quello di tantissimi fedeli laici, uomini e donne, che proprio nella vita e nelle attività d'ogni giorno, spesso inosservati o addirittura incompresi, sconosciuti ai grandi della terra ma guardati con amore dal Padre, sono gli operai instancabili che lavorano nella vigna del Signore, sono gli artefici umili e grandi - certo per la potenza della grazia di Dio - della crescita del Regno di Dio nella storia.

La santità, poi, deve dirsi un fondamentale presupposto e una condizione del tutto insostituibile per il compiersi della missione di salvezza nella Chiesa.

E'la santità della Chiesa la sorgente segreta e la misura infallibile della sua operosità apostolica e del suo slancio missionario. Solo nella misura in cui la Chiesa, sposa di Cristo, si lascia amare da lui e lo riama, essa diventa madre feconda nello Spirito.

Riprendiamo di nuovo l'immagine biblica: lo sbocciare e l'espandersi dei tralci dipendono dal loro inserimento nella vite. "Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla" (Jn 15,4-5).

E' naturale qui ricordare la solenne proclamazione di fedeli laici, uomini e donne, come beati e santi, avvenuta durante il mese del Sinodo. L'intero Popolo di Dio, e i fedeli laici in particolare, possono trovare ora nuovi modelli di santità e nuove testimonianze di virtù eroiche vissute nelle condizioni comuni e ordinarie dell'esistenza umana. Come hanno detto i Padri sinodali: "Le Chiese locali e soprattutto le cosiddette Chiese più giovani debbono riconoscere attentamente fra i propri membri quegli uomini e quelle donne che hanno offerto in tali condizioni (le condizioni quotidiane del mondo e lo stato coniugale) la testimonianza della santità e che possono essere di esempio agli altri affinché, se si dia il caso, li propongano per la beatificazione e la canonizzazione" ("Propositio 8").

Al termine di queste riflessioni, destinate a definire la condizione ecclesiale del fedele laico, ritorna alla mente il celebre monito di san Leone Magno: "Agnosce, o Christiane, dignitatem tuam" (S. Leonis Magni "Sermo XXI", 3: S. Ch. 22bis, 72). E' lo stesso monito di san Massimo, vescovo di Torino, rivolto a quanti avevano ricevuto l'unzione del santo Battesimo: "Considerate l'onore che vi è fatto in questo mistero!" (S. Maximi "Tract. III de Baptismo": PL 57, 779).

Tutti i battezzati sono invitati a riascoltare le parole di sant'Agostino: "Rallegriamoci e ringraziamo: siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo...

Stupite e gioite: Cristo siamo diventati!" (S. Augustini "In Ioann. Evang. tract.", 21, 8: CCL 36, 216).

La dignità cristiana, fonte dell'eguaglianza di tutti i membri della Chiesa, garantisce e promuove lo spirito di comunione e di fraternità, e, nello stesso tempo, diventa il segreto e la forza del dinamismo apostolico e missionario dei fedeli laici. E' una dignità esigente, la dignità degli operai chiamati dal Signore a lavorare nella sua vigna: "Grava su tutti i laici - leggiamo nel Concilio - il glorioso peso di lavorare, perché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno di più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra" (LG 33).



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