Catechesi tradendae




Esortazione Apostolica “Catechesi Tradendae”

  25/10/1979 Città del Vaticano (Roma) – ESORTAZIONE APOSTOLICA

  RIF. VOL. II/2 (1979) 851-909 (latino); 910-962 (italiano)

   

INTRODUZIONE



L’ultima consegna di Cristo


1       La catechesi è stata sempre considerata dalla Chiesa come uno dei suoi fondamentali doveri, poiché prima di risalire al Padre, il Signore risorto diede agli Apostoli un’ultima consegna: quella di render discepole tutte le genti ed insegnar loro ad osservare tutto ciò che egli aveva prescritto (cf. Mt 28,19ss.). In tal modo, egli affidava loro la missione ed il potere di annunciare agli uomini ciò che essi stessi avevano udito, visto con i loro occhi, contemplato e toccato con le loro mani riguardo al Verbo della vita (cf. 1Jn 1,1). Nello stesso tempo, egli affidava loro la missione ed il potere di spiegare con autorità tutto quello che aveva ad essi insegnato: le sue parole, i suoi atti, i suoi miracoli, i suoi precetti. E dava loro lo Spirito per assolvere una tale missione.

          Ben presto fu chiamato catechesi l’insieme degli sforzi intrapresi nella Chiesa per fare discepoli, per aiutare gli uomini a credere che Gesù è il Figlio di Dio, affinché, mediante la fede, essi abbiano la vita nel suo nome (cf. Jn 20,31), per educarli ed istruirli in questa vita e costruire il Corpo di Cristo. La Chiesa non ha cessato di consacrare a questo scopo le sue energie.

  Sollecitudine di Paolo VI


2       I Papi più recenti hanno riservato alla catechesi un posto eminente nella loro sollecitudine pastorale. Con i suoi gesti, la sua predicazione, la sua autorevole interpretazione del Concilio Vaticano II – da lui considerato come il grande catechismo dei tempi moderni –, con l’intera sua vita il mio venerato predecessore Paolo VI ha servito la catechesi della Chiesa in modo particolarmente esemplare. Egli ha approvato, il 18 marzo 1971, il “Direttorio Generale della Catechesi”, preparato dalla Sacra Congregazione per il Clero, un Direttorio che rimane quale documento fondamentale per stimolare ed orientare il rinnovamento catechetico in tutta la Chiesa. Egli ha istituito, nel 1975, il Consiglio Internazionale per la Catechesi. Egli ha definito magistralmente il ruolo ed il significato della catechesi nella vita e nella missione della Chiesa, quando si è rivolto ai partecipanti al I Congresso Internazionale della Catechesi, il 25 settembre 1971 (cf. AAS 63 [1971] 758-764), ed è ritornato esplicitamente su tale argomento nell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi (cf. Paolo VI, EN 44; cf. anche Ivi, EN 45-48 EN 54: AAS 68 [1976] 34-38; 43). Egli ha voluto che la catechesi, specialmente quella che si rivolge ai fanciulli ed ai giovani, fosse il tema della IV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, celebrata durante il mese di ottobre del 1977, alla quale io stesso ebbi la gioia di partecipare.

  Un Sinodo fecondo


3       Alla fine del Sinodo, i Padri presentarono al Papa una ricchissima documentazione comprendente i diversi interventi fatti nel corso della loro Assemblea, le conclusioni dei gruppi di lavoro, il messaggio che, col suo consenso, essi avevano inviato al Popolo di Dio (cf. Sinodo dei Vescovi, De catechesi hoc nostro tempore tradenda praesertim pueris atque iuvenibus: Ad Populum Dei Nuntius, di Civitas Vaticana, 28 ottobre 1977; cf. “L’Osservatore Romano”, 30 ottobre 1977, PP. 3-4) e, soprattutto, l’ampia serie di “Proposizioni”, in cui esprimevano il loro parere su moltissimi aspetti della catechesi nell’ora presente.

          Questo Sinodo ha lavorato in un’atmosfera eccezionale di gratitudine e di speranza. Esso ha ravvisato nel rinnovamento catechetico un dono prezioso dello Spirito Santo alla Chiesa contemporanea, un dono al quale, dappertutto nel mondo, le Comunità cristiane, ad ogni livello, rispondono con una generosità e una dedizione inventiva che suscitano ammirazione. Il discernimento necessario poteva, quindi, esercitarsi su di una realtà ben viva e trovare nel Popolo di Dio una grande disponibilità alla grazia del Signore ed alle direttive del Magistero.


  Senso di questa Esortazione


4       È nel medesimo clima di fede e di speranza che io vi indirizzo oggi, venerabili Fratelli e cari Figli e Figlie, questa Esortazione Apostolica. Di un tema estremamente vasto essa non manterrà che alcuni aspetti, più attuali e salienti, per consolidare i felici risultati del Sinodo. Essa riprende, nella sostanza, le considerazioni che Papa Paolo VI aveva preparato, utilizzando abbondantemente la documentazione lasciata dal Sinodo. Papa Giovanni Paolo I – il cui zelo ed i cui doni di catechista hanno meravigliato tutti noi – le aveva raccolte e si apprestava a pubblicarle, quando fu improvvisamente richiamato a Dio. A noi tutti egli ha dato l’esempio di una catechesi centrata sull’essenziale e, al tempo stesso, popolare, fatta di gesti e di parole semplici, capace di toccare i cuori. Io riprendo, dunque, l’eredità di questi due Pontefici per rispondere alla richiesta dei Vescovi, espressamente formulata a conclusione della IV Assemblea Generale del Sinodo ed accolta dal Pontefice Paolo VI nel suo discorso di chiusura (cf. AAS 69 [1977] 633). Ciò faccio anche per assolvere uno dei compiti primari della mia funzione apostolica. La catechesi, del resto, è stata sempre una preoccupazione centrale nel mio ministero di Sacerdote e di Vescovo.

          Mio ardente desiderio è che questa Esortazione Apostolica, diretta a tutta la Chiesa, rafforzi la solidità della fede e della vita cristiana, dia nuovo vigore alle iniziative in corso, stimoli la creatività – con la necessaria vigilanza – e contribuisca a diffondere nelle Comunità la gioia di portare al mondo il mistero del Cristo.


  I. ABBIAMO UN SOLO MAESTRO: GESÙ CRISTO

Mettere in comunione con la persona di Cristo


5       La IV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi ha insistito spesso sul cristocentrismo di ogni autentica catechesi. Noi possiamo qui mantenere i due significati della parola, i quali non si oppongono né si escludono, ma piuttosto si richiamano e si completano a vicenda.

          Si vuole sottolineare, innanzitutto, che al centro stesso della catechesi noi troviamo essenzialmente una persona: quella di Gesù di Nazaret, “unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (cf.
Jn 1,14), il quale ha sofferto ed è morto per noi ed ora, risorto, vive per sempre con noi. È Gesù che è “la via, la verità e la vita” (Jn 14,6) e la vita cristiana consiste nel seguire Cristo, nella “sequela Christi”. L’oggetto essenziale e primordiale della catechesi è – per usare un’espressione cara a San Paolo, come pure alla teologia contemporanea – “il mistero del Cristo”. Catechizzare è, in un certo modo, condurre qualcuno a scrutare questo mistero in tutte le sue dimensioni: “Mettere in piena luce l’economia del mistero... Comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ep 3,9 Ep 3,18ss). È, dunque, svelare nella persona di Cristo l’intero disegno di Dio, che in essa si compie. È cercare di comprendere il significato dei gesti e delle parole di Cristo, dei segni da lui operati, poiché essi ad un tempo nascondono e rivelano il suo mistero. In questo senso, lo scopo definitivo della catechesi è di mettere qualcuno non solo in contatto, ma in comunione, in intimità con Gesù Cristo: egli solo può condurre all’amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della Santa Trinità.

  Trasmettere la dottrina di Cristo


6       Ma il cristocentrismo, in catechesi, significa pure che mediante essa non si vuole che ciascuno trasmetta la propria dottrina o quella di un altro maestro, ma l’insegnamento di Gesù Cristo, la verità che egli comunica o, più esattamente, la verità che egli è (cf. Jn 14,6). Bisogna dire dunque che nella catechesi è Cristo, Verbo Incarnato e Figlio di Dio, che viene insegnato, e tutto il resto lo è in riferimento a lui; e che solo Cristo insegna, mentre ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo portavoce, consentendo al Cristo di insegnare per bocca sua. La costante preoccupazione di ogni catechista – quale che sia il livello delle sue responsabilità nella Chiesa – dev’essere quella di far passare, attraverso il proprio insegnamento ed il proprio comportamento, la dottrina e la vita di Gesù. Egli non cercherà di fermare su se stesso, sulle sue opinioni ed attitudini personali l’attenzione e l’adesione dell’intelligenza e del cuore di colui che sta catechizzando; e, soprattutto, non cercherà di inculcare le sue opinioni ed opzioni personali, come se queste esprimessero la dottrina e le lezioni di vita del Cristo. Ogni catechista dovrebbe poter applicare a se stesso la misteriosa parola di Gesù: “La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato” (Jn 7,16). È questo che fa San Paolo trattando una questione di primaria importanza: “Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (1Co 11,23). Quale frequentazione assidua della Parola di Dio trasmessa dal Magistero della Chiesa, quale profonda familiarità col Cristo e col Padre, quale spirito di preghiera, quale distacco da sé deve avere un catechista per poter dire: “La mia dottrina non è mia”!

  Il Cristo docente


7       Questa non è un corpo di verità astratte: essa è comunicazione del mistero vivente di Dio. La qualità di colui che l’insegna nel Vangelo e la natura del suo insegnamento sorpassano del tutto quelle dei “maestri”in Israele, grazie al legame unico che passa tra ciò che egli dice, ciò che fa e ciò che è. Resta il fatto, tuttavia, che i Vangeli riferiscono chiaramente alcuni momenti in cui Gesù insegna. “Gesù fece e insegnò” (Ac 1,1): in questi due verbi che aprono il Libro degli “Atti”, San Luca unisce ed insieme distingue due poli nella missione di Cristo.

          Gesù ha insegnato: è, questa, la testimonianza che dà di se stesso: “Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare” (Mt 26,55 cf. Jn 18,20). È l’osservazione ammirata degli Evangelisti, sorpresi di vederlo sempre e in ogni luogo nell’atto di insegnare, in un modo e con un’autorità fino ad allora sconosciuti. “Di nuovo le folle si radunavano intorno a lui, ed egli, come era solito, di nuovo le ammaestrava” (Mc 10,1); “ed essi erano colpiti dal suo insegnamento, perché insegnava, come avendo autorità” (Mc 1,22 cf. anche Mt 5,2 Mt 11,1 Mt 13,54 Mt 22,16 Mc 2,13 Mc 4,1 Mc 6,2 Mc 6,6 Lc 5,3 Lc 5,17 Jn 7,14 Jn 8,2; ecc). È quanto rilevano anche i suoi nemici, per ricavarne un motivo di accusa, di condanna: “Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui” (Lc 23,5).

  L’unico “Maestro”


8       Colui che insegna a questo modo merita, ad un titolo del tutto speciale, il nome di “Maestro”. Quante volte, in tutto il Nuovo Testamento e specialmente nei Vangeli, gli è dato questo titolo di Maestro! Sono evidentemente i Dodici, gli altri discepoli, le moltitudini degli ascoltatori che, con un accento di ammirazione, di confidenza e di tenerezza, lo chiamano Maestro (cf. tra gli altri, Mt 8,19; Mc 4,38 Mc 9,38 Mc 10,35 Mc 13,1 Jn 11,28). Perfino i Farisei ed i Sadducei, i dottori della Legge, i Giudei in generale non gli rifiutano questo appellativo: “Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia vedere un segno” (Mt 12,38); “Maestro, che debbo fare per ottenere la vita eterna?” (Lc 10,25 cf. Mt 22,16). Ma è soprattutto Gesù stesso, in momenti particolarmente solenni e molto significativi, a chiamarsi Maestro: “Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono” (Jn 13,13ss.; cf. Mt 10,25 Mt 26,18; ecc); egli proclama la singolarità, il carattere unico della sua condizione di Maestro: “Voi non avete che un Maestro: il Cristo” (Mt 23,8). Si comprende come, nel corso di duemila anni, in tutte le lingue della terra, uomini di ogni condizione, razza e nazione, gli abbiano dato con venerazione questo titolo, ripetendo ciascuno nel modo suo proprio il grido di Nicodemo: “Sappiamo che sei un maestro venuto da Dio” (Jn 3,2).

          Questa immagine del Cristo docente, maestosa insieme e familiare, impressionante e rassicurante, immagine disegnata dalla penna degli Evangelisti e spesso evocata in seguito dall’iconografia sin dall’età paleo-cristiana – tanto è seducente – amo evocarla, a mia volta, all’inizio di queste considerazioni intorno alla catechesi nel mondo contemporaneo.

  Docente mediante tutta la sua vita


9       Ciò facendo, non dimentico che la maestà del Cristo docente, la coerenza e la forza persuasiva uniche del suo insegnamento si spiegano soltanto perché le sue parole, le sue parabole ed i suoi ragionamenti non sono mai separabili dalla sua vita e dal suo stesso essere. In questo senso, tutta la vita del Cristo fu un insegnamento continuo: i suoi silenzi, i suoi miracoli, i suoi gesti, la sua preghiera, il suo amore per l’uomo, la sua predilezione per i piccoli e per i poveri, l’accettazione del sacrificio totale sulla Croce per la redenzione del mondo, la sua risurrezione sono l’attuazione della sua parola ed il compimento della rivelazione. Talché per i cristiani il Crocifisso è una delle immagini più sublimi e più popolari di Gesù docente.

          Tutte queste considerazioni, che sono nel solco delle grandi tradizioni della Chiesa, rinvigoriscono in noi il fervore verso Cristo, il Maestro che rivela Dio agli uomini e l’uomo a se stesso; il Maestro che salva, santifica e guida, che è vivo, parla, scuote, commuove, corregge, giudica, perdona, cammina ogni giorno con noi sulla strada della storia; il Maestro che viene e che verrà nella gloria.

          Solo in una profonda comunione con lui i catechisti troveranno la luce e la forza per l’autentico ed auspicato rinnovamento della catechesi.



  II. UN’ESPERIENZA ANTICA QUANTO LA CHIESA

La missione degli Apostoli


10     L’immagine del Cristo docente si era impressa nello spirito dei Dodici e dei primi discepoli, e la consegna: “Andate..., ammaestrate tutte le nazioni” (Mt 28,19) ha orientato l’intera loro vita. Di questo offre testimonianza San Giovanni nel suo Vangelo, quando riferisce le parole di Gesù: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Jn 15,15). Non sono già essi che hanno scelto di seguire Gesù, ma è Gesù che li ha scelti, li ha tenuti con sé e li ha posti, fin dal tempo anteriore alla Pasqua, perché vadano e portino frutto ed il loro frutto rimanga (cf. Jn 15,16). È per questo che, dopo la risurrezione, egli affida loro formalmente la missione di rendere discepole tutte le genti.

          L’insieme del libro degli “Atti degli Apostoli” testimonia che essi sono stati fedeli alla vocazione e alla missione ricevuta. I membri della prima Comunità cristiana vi appaiono “assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli Apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (Ac 2,42). Si trova qui senza dubbio l’immagine permanente di una Chiesa che, grazie all’insegnamento degli Apostoli, nasce e si nutre continuamente della Parola del Signore, la celebra nel Sacrificio eucaristico e ne dà testimonianza al mondo nel segno della carità.

          Allorché gli avversari si adombrano per l’attività degli Apostoli, è perché sono “contrariati di vederli insegnare al popolo” (Ac 4,2), e l’ordine che danno è di non insegnare più nel nome di Gesù (cf. Ac 4,2). Ma noi sappiamo che, proprio su questo punto, gli Apostoli hanno ritenuto giusto obbedire a Dio piuttosto che agli uomini (cf. Ac 4,19).

  La catechesi nell’età apostolica


11     Gli Apostoli non tardarono a condividere con altri il ministero dell’apostolato (cf. Ac 1,25). Essi trasmettono ai loro successori il compito di insegnare; compito che affidano, altresì, ai diaconi fin dalla loro istituzione: Stefano, “pieno di grazia e di potenza”, non cessa di insegnare, mosso com’è dalla sapienza dello Spirito (cf. Ac 6,8ss.; cf. Ac 8,26ss.). Gli Apostoli si associano, nel loro compito di insegnare, “molti altri discepoli” (cf. Ac 15,35); ed anche dei semplici cristiani, dispersi dalla persecuzione, “andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio” (cf. Ac 8,4). San Paolo è per eccellenza l’araldo di questo annuncio, da Antiochia fino a Roma, dove l’ultima immagine che abbiamo di lui negli “Atti” è quella di un uomo che insegnava “le cose riguardanti il signore Gesù Cristo, con tutta franchezza” (cf. Ac 28,31). Le numerose sue lettere prolungano ed approfondiscono il suo insegnamento. Anche le lettere di Pietro, di Giovanni, di Giacomo e di Giuda sono altrettante testimonianze circa la catechesi dell’età apostolica.

          I Vangeli, i quali, prima di essere scritti, sono stati l’espressione di un insegnamento orale trasmesso alle Comunità cristiane, recano più o meno evidente una struttura catechetica. Il racconto di San Matteo non è stato forse chiamato il Vangelo del catechista, e quello di San Marco il Vangelo del catecumeno?

  Presso i Padri della Chiesa


12     La Chiesa continua questa missione di magistero degli Apostoli e dei loro primi collaboratori. Facendosi essa stessa, giorno dopo giorno, discepola del Signore, è giustamente chiamata “Madre e Maestra” (cf. Giovanni XXIII, Mater et Magistra). Da Clemente Romano ad Origene (Ad esempio, si ricordano: S. Clemente Romano, Epistula ad Corinthios, Didache, Epistula Apostolorum; S. Ireneo Vescovo, Demonstratio apostolicae praedicationis e Adversus haereses; Tertulliano, De Baptismo; Clemente Alessandrino, Paedagogus; S. Cipriano, Testimonia ad Quirinum; Origene, Contra Celsum; ecc.), l’età post-apostolica vede nascere delle opere notevoli. Poi si assiste a questo fatto impressionante: Vescovi e Pastori tra i più prestigiosi, soprattutto nel secoli III e IV, considerano come una parte importante del loro ministero episcopale dare istruzioni orali o di comporre trattati catechetici. È l’epoca di Cirillo di Gerusalemme e di Giovanni Crisostomo, di Ambrogio e di Agostino, durante la quale si vedono fiorire per la penna di tanti Padri della Chiesa opere che restano per noi dei modelli.

          Come sarebbe possibile richiamare qui, sia pure molto brevemente, la catechesi che ha sostenuto la diffusione ed il cammino della Chiesa nelle diverse epoche della storia, in tutti i continenti e nei contesti sociali più diversi? Certamente, non sono mai mancate le difficoltà; ma la Parola del Signore – secondo l’espressione dell’apostolo Paolo – ha compiuto la sua corsa attraverso i secoli, si è diffusa ed è stata glorificata (cf
2Th 3,1).

  Nei Concili e nell’attività missionaria


13     Il ministero della catechesi attinge energie sempre nuove dai Concili. Il Concilio di Trento costituisce a tale proposito un esempio che va sottolineato: esso ha dato alla catechesi una priorità nelle sue costituzioni e nei suoi decreti; esso è all’origine del “Catechismo Romano”, che porta anche il nome di “Tridentino” e costituisce un’opera di primo piano, come riassunto della dottrina cristiana e della teologia tradizionale ad uso dei Sacerdoti; esso ha suscitato nella Chiesa una notevole organizzazione della catechesi; esso ha stimolato i chierici ai loro doveri di insegnamento catechetico; esso ha prodotto, grazie all’opera di santi teologi, quali San Carlo Borromeo, San Roberto Bellarmino o San Pietro Canisio, la pubblicazione di catechismi che in rapporto al loro tempo sono dei veri modelli. Possa il Concilio Vaticano II suscitare uno slancio ed un lavoro simile ai nostri giorni!

          Anche le Missioni costituiscono un terreno privilegiato per l’attuazione della catechesi. Così, dopo circa duemila anni, il Popolo di Dio non ha smesso di educarsi nella fede, secondo forme adatte alle diverse condizioni dei credenti ed alle molteplici congiunture ecclesiali.

          La catechesi è intimamente legata a tutta la vita della Chiesa. Non soltanto l’estensione geografica e l’aumento numerico, ma anche, e più ancora, la crescita interiore della Chiesa, la sua corrispondenza col disegno di Dio, dipendono essenzialmente da essa. Di quelle esperienze, che abbiamo or ora ricordato dalla storia della Chiesa, numerose lezioni – tra molte altre – meritano di esser messe in evidenza.


  Catechesi: diritto e dovere della Chiesa


14     È evidente, prima di tutto, che per la Chiesa la catechesi è stata sempre un dovere sacro e un diritto imprescrittibile. Da una parte, è certamente un dovere, nato dalla consegna del Signore e che incombe su coloro i quali, nella Nuova Alleanza, ricevono la chiamata al ministero di Pastori. D’altra parte, si può egualmente parlare di diritto: da un punto di vista teologico, ogni battezzato, per il fatto stesso del battesimo, possiede il diritto di ricevere dalla Chiesa un insegnamento e una formazione che gli permettano di raggiungere una vera vita cristiana; nella prospettiva, poi, dei diritti dell’uomo, ogni persona umana ha il diritto di cercare la verità religiosa e di aderirvi liberamente, cioè sottratta ad ogni “coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali o di qualsiasi potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza, né sia impedito... di agire secondo la sua coscienza” (Dignitatis Humanae DH 2, AAS 58 [1966] 930).

          È per questo che l’attività catechetica deve potersi svolgere in circostanze favorevoli – di tempo e di luogo –, aver accesso ai mass media e ad altri strumenti di lavoro appropriati senza discriminazione verso i genitori, i catechizzati o i catechisti. Al presente, questo diritto è certamente sempre più riconosciuto, almeno a livello dei suoi grandi principi, come ne fan fede dichiarazioni o convenzioni internazionali, in cui – quali che siano i loro limiti – si possono riconoscere i voti della coscienza di una gran parte degli uomini di oggi (cf. Declaratio universalis de iuribus hominis (Consilii Nationum Unitarum), 10 dicembre 1948, art. 18; Conventio Internationalis de iuribus civilibus et politicis (Consilii Nationum Unitarum), 16 dicembre 1966, art. 4; Conventus de Securitate et Cooperatione in Europa, par. VII). Ma questo diritto è violato da numerosi stati, fino al punto che dare, o far dare, o ricevere la catechesi diventa un delitto passibile di sanzioni. È con forza che, in unione con i Padri Sinodali, io elevo la mia voce contro ogni discriminazione nel campo della catechesi, mentre lancio di nuovo un insistente appello ai responsabili, perché cessino del tutto queste costrizioni che pesano sulla libertà umana in generale e sulla libertà religiosa in particolare.

  Compito prioritario


15     La seconda lezione riguarda il posto stesso della catechesi nei programmi pastorali della Chiesa. Più questa – a livello locale e universale – si dimostra capace di dare la priorità alla catechesi rispetto ad altre opere e iniziative, i cui risultati potrebbero essere più spettacolari, più trova nella catechesi un mezzo di consolidamento della sua vita interna come Comunità di credenti e della sua attività esterna come missionaria. La Chiesa, in questo XX secolo che volge al termine, è invitata da Dio e dagli avvenimenti – i quali sono altrettanti appelli da parte di Dio – a rinnovare la sua fiducia nell’azione catechetica come in un compito assolutamente primordiale della sua missione. Essa è invitata a consacrare alla catechesi le sue migliori risorse di uomini e di energie, senza risparmiare sforzi, fatiche e mezzi materiali, per meglio organizzarla e per formare un personale qualificato. Non si tratta di un semplice calcolo umano, ma di un atteggiamento di fede. E un atteggiamento di fede si riferisce sempre alla fedeltà di Dio, che non manca mai di rispondere.

  Responsabilità comune e differenziata


16     Terza lezione: la catechesi è stata sempre e resterà un’opera, di cui tutta la Chiesa deve sentirsi e voler essere responsabile. Ma i membri della Chiesa hanno responsabilità distinte, che derivano dalla missione di ciascuno. I Pastori, in virtù del loro stesso ministero, hanno, a diversi livelli, la più alta responsabilità per la promozione, l’orientamento, la coordinazione della catechesi. Il Papa, da parte sua, ha la viva coscienza della responsabilità primaria che grava su di lui in questo settore: egli vi trova motivi di preoccupazione pastorale, ma soprattutto una sorgente di gioia e di speranza. I Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose hanno lì un terreno privilegiato per il loro apostolato. I genitori hanno, ad un altro livello, una responsabilità singolare. I maestri, i diversi ministri della Chiesa, i catechisti e, d’altra parte, i responsabili delle comunicazioni sociali hanno tutti, in misura diversa, responsabilità ben precise in questa formazione della coscienza credente, formazione importante per la vita della Chiesa e che si riflette sulla vita della società stessa. Uno dei migliori frutti dell’Assemblea Generale del Sinodo, consacrato interamente alla catechesi, potrà essere quello di risvegliare, in tutta la Chiesa e in ciascuno dei suoi settori, una coscienza viva ed attiva di questa responsabilità, differenziata ma comune.

  Rinnovamento continuo ed equilibrato


17     La catechesi, infine, ha bisogno di un rinnovamento continuo in un certo allargamento del suo stesso concetto, nei suoi metodi, nella ricerca di un linguaggio adatto, nell’utilizzazione di nuovi mezzi di trasmissione del messaggio. Questo rinnovamento non ha sempre un eguale valore, e i Padri Sinodali hanno voluto realisticamente riconoscere, accanto ad un innegabile progresso nella vitalità dell’attività catechistica e di iniziative promettenti, i limiti ed anche le “deficienze” di ciò che è stato realizzato finora (Sinodo dei Vescovi, De catechesi hoc nostro tempore tradenda praesertim pueris atque iuvenibus: Ad populum Dei nuntius, 1 e 4: loc. cit. , pp. 3-4 e 6-7; cf. “L’Osservatore Romano”, 30 ottobre 1977, p. 3). Questi limiti sono particolarmente gravi, quando rischiano di intaccare l’integrità del contenuto. Il “Messaggio al Popolo di Dio” ha messo bene in rilievo che, per la catechesi, “la ripetizione abitudinaria, che respinge ogni cambiamento, e l’improvvisazione sconsiderata, che affronta i problemi con leggerezza, sono egualmente pericolose” (Ivi; 6: loc. cit. , pp. 7-8 cf. “L’Osservatore Romano”, 30 ottobre 1977, p. 3). La ripetizione abitudinaria porta alla stagnazione, al letargo e, in definitiva, alla paralisi. L’improvvisazione sconsiderata genera il turbamento dei catechizzati e dei loro genitori, quando si tratta di fanciulli, le deviazioni d’ogni specie, la rottura e finalmente la rovina totale dell’unità, È necessario che la Chiesa dia prova oggi – come ha saputo fare in altre epoche della sua storia – di sapienza, di coraggio e di fedeltà evangelica, nella ricerca e nella messa in opera di vie e di prospettive nuove per l’insegnamento catechetico.


  III. LA CATECHESI NELL’ATTIVITÀ PASTORALE E MISSIONARIA DELLA CHIESA

La catechesi: una tappa dell’evangelizzazione


18     La catechesi non può essere dissociata dall’insieme delle iniziative pastorali e missionarie della Chiesa. Essa ha nondimeno una sua specificità circa la quale la IV Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi, sia nella sua fase preparatoria che durante il suo svolgimento, si è spesso interrogata. Tale problema preoccupa anche l’opinione pubblica, nella Chiesa e al di fuori.

          Non è qui il luogo di dare una definizione rigorosa e formale della catechesi, essendo stata sufficientemente illustrata nel “Direttorio Generale della Catechesi” (Sacra Congregazione per il Clero, Directorium Catechisticum Generale, 17-35: AAS 64 [1972] 110-118). Spetta agli specialisti arricchirne sempre di più il concetto e le articolazioni.

          Di fronte alle incertezze della pratica, ricordiamo semplicemente alcuni punti essenziali – del resto, già stabilmente fissati nei documenti della Chiesa – per un’esatta comprensione della catechesi, senza i quali si rischierebbe di non afferrarne tutto il significato e la portata.

          In linea generale, si può qui ritenere che la catechesi è un’educazione della fede dei fanciulli, dei giovani e degli adulti, la quale comprende in special modo un insegnamento della dottrina cristiana, generalmente dato in modo organico e sistematico, al fine di iniziarli alla pienezza della vita cristiana. A questo titolo, senza confondersi formalmente con essi, la catechesi si articola in un certo numero di elementi della missione pastorale della Chiesa, che hanno un aspetto catechetico, preparano la catechesi o ne derivano: primo annuncio del Vangelo, o predicazione missionaria mediante il kerigma per suscitare la fede; apologetica o ricerca delle ragioni per credere; esperienza di vita cristiana; celebrazione dei Sacramenti; integrazione nella Comunità ecclesiale; testimonianza apostolica e missionaria.

          Ricordiamo, prima di tutto, che tra catechesi ed evangelizzazione non c’è né separazione o opposizione, e nemmeno un’identità pura e semplice, ma esistono stretti rapporti d’integrazione e di reciproca complementarità.

          L’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi, dell’8 dicembre 1975, circa l’evangelizzazione nel mondo moderno, sottolineava giustamente che l’evangelizzazione – il cui scopo è di recare la Buona Novella a tutta l’umanità, perché ne viva – è una realtà ricca, complessa e dinamica, fatta di elementi, o – se si preferisce – di momenti essenziali e differenti tra di loro, che occorre comprendere nel loro insieme, nell’unità di un unico movimento (cf. Paolo VI, EN 17-24: AAS 68 [1976] 17-22). La catechesi è appunto uno di questi momenti – e quanto importante! – di tutto il processo di evangelizzazione.


  Catechesi e primo annuncio del Vangelo


19     La specificità della catechesi, distinta dal primo annuncio del Vangelo, che ha suscitato la conversione, tende al duplice obiettivo di far maturare la fede iniziale e di educare il vero discepolo di Cristo mediante una conoscenza più approfondita e più sistematica della persona e del messaggio del nostro Signore Gesù Cristo (cf. Sinodo dei Vescovi, De catechesi hoc nostro tempore tradenda praesertim pueris atque iuvenibus: Ad populum Dei nuntius, 1: loc. cit. pp. 3ss.; cf. “L’Osservatore Romano”, 30 ottobre 1977, p. 3).

          Ma nella pratica catechetica, questo ordine esemplare deve tener conto del fatto che spesso la prima evangelizzazione non c’è stata. Un certo numero di bambini, battezzati nella prima infanzia, vengono alla catechesi parrocchiale senza aver ricevuto nessun’altra iniziazione alla fede, e senza aver ancora nessun attaccamento esplicito e personale con Gesù Cristo, ma avendo soltanto la capacità di credere, infusa nel loro cuore dal battesimo e dalla presenza dello Spirito Santo; e i pregiudizi dell’ambiente familiare poco cristiano o dello spirito positivista dell’educazione creano subito un certo numero di riserve. E bisogna aggiungere altri bambini non battezzati, per i quali i genitori non accettano che tardivamente l’educazione religiosa: per certe ragioni pratiche, la loro tappa catecumenale si svolgerà spesso, in gran parte, nel corso della catechesi ordinaria. Inoltre, molti preadolescenti e adolescenti, battezzati e partecipi sia di una catechesi sistematica, sia dei Sacramenti, rimangono ancora per lungo tempo esitanti nell’impegnare la loro vita per Gesù Cristo, quando addirittura non cercano di evitare una formazione religiosa in nome della loro libertà. Infine, gli adulti medesimi non sono al riparo dalle tentazioni del dubbio e dell’abbandono della fede, in conseguenza dell’ambiente incredulo. Ciò vuol dire che la “catechesi” deve spesso sforzarsi non soltanto di nutrire e di insegnare la fede, ma di suscitarla incessantemente con l’aiuto della grazia, di aprire i cuori, di convertire, di preparare un’adesione globale a Gesù Cristo per coloro che sono ancora alle soglie della fede. Questa preoccupazione ispira in parte il tono, il linguaggio, il metodo della catechesi.



Catechesi tradendae