Dominum et vivificantem 22

Cristo risorto dice: "Ricevete lo Spirito Santo"

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22. Grazie alla sua narrazione Luca ci conduce alla massima vicinanza con la verità contenuta nel discorso del Cenacolo. Gesù di Nazareth, "elevato" nello Spirito Santo, durante questo discorso-colloquio, si manifesta come colui che "porta" lo Spirito, come colui che lo deve portare e "dare" agli apostoli e alla Chiesa a prezzo della sua "dipartita" mediante la Croce.

Col verbo "portare" qui si vuol dire, prima di tutto, "rivelare".

Nell'Antico Testamento, fin dal Libro della Genesi, lo spirito di Dio è stato in qualche modo fatto conoscere dapprima come "soffio" di Dio che dà la vita, come "soffio vitale" soprannaturale. Nel Libro di Isaia è presentato come un "dono" per la persona del Messia, come colui che su di lui si posa, per guidare dall'interno tutta la sua attività salvifica. Presso il Giordano l'annuncio di Isaia si è rivestito di una forma concreta: Gesù di Nazareth è colui che viene nello Spirito Santo e lo porta come dono proprio della sua stessa persona, per espanderlo attraverso la sua umanità: "Egli vi battezzerà in Spirito Santo" (
Mt 3,11 Lc 3,16). Nel Vangelo di Luca è confermata e arricchita questa rivelazione dello Spirito Santo, come intima sorgente della vita e dell'azione messianica di Gesù Cristo.

Alla luce di ciò che Gesù dice nel discorso del Cenacolo, lo Spirito Santo viene rivelato in un modo nuovo e più pieno. Egli è non solo il dono alla persona (alla persona del Messia), ma è una Persona-dono. Gesù ne annuncia la venuta come quella di "un altro consolatore", il quale, essendo lo Spirito di verità, condurrà gli apostoli e la Chiesa "alla verità tutta intera" (Jn 16,13).

Ciò si compirà in ragione della speciale comunione tra lo Spirito Santo e Cristo: "Prenderà del mio e ve l'annuncerà" (Jn 16,14).

Questa comunione ha la sua fonte originaria nel Padre: "Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo, ho detto che prenderà del mio e ve l'annuncerà" (Jn 16,15). Provenendo dal Padre, lo Spirito Santo è mandato dal Padre (Jn 14,26 Jn 15,26). Lo Spirito Santo prima è stato mandato come dono per il Figlio che si è fatto uomo, per adempiere gli annunci messianici. Dopo la "dipartita" di Cristo-Figlio, secondo il testo giovanneo, lo Spirito Santo "verrà" direttamente - è la sua nuova missione - a completare l'opera stessa del Figlio.

Così sarà lui a portare a compimento la nuova era della storia della salvezza.

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23. Ci troviamo sulla soglia degli eventi pasquali. La nuova, definitiva rivelazione dello Spirito Santo come Persona che è il dono, si compie proprio in questo momento. Gli eventi pasquali - la passione, la morte e la risurrezione di Cristo - sono anche il tempo della nuova venuta dello Spirito Santo, come Paraclito e Spirito di verità. Sono il tempo del "nuovo inizio" della comunicazione del Dio uno e trino all'umanità nello Spirito Santo, per opera di Cristo Redentore. Questo nuovo inizio è la redenzione del mondo: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (
Jn 3,16). Già nel "dare" il Figlio, nel dono del Figlio si esprime la più profonda essenza di Dio, il quale, come amore, è fonte inesauribile dell'elargizione. Nel dono fatto dal Figlio si completano la rivelazione e l'elargizione dell'eterno amore: lo Spirito Santo, che nelle imperscrutabili profondità della divinità è una Persona-dono, per opera del Figlio, cioè mediante il mistero pasquale, in un modo nuovo viene dato agli apostoli e alla Chiesa e, per mezzo di essi, all'umanità e al mondo intero.

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24. L'espressione definitiva di questo mistero si ha nel giorno della Risurrezione. In questo giorno Gesù di Nazareth, "nato dalla stirpe di Davide secondo la carne" - come scrive l'apostolo Paolo - viene "costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti" (Rm 1,3s). Si può dire così che l'"elevazione" messianica di Cristo nello Spirito Santo raggiunga il suo zenit nella Risurrezione, nella quale egli si rivela anche come Figlio di Dio, "pieno di potenza". E questa potenza, le cui fonti zampillano nell'imperscrutabile comunione trinitaria, si manifesta, prima di tutto, nel fatto che il Cristo risorto, se da una parte adempie la promessa di Dio, già espressa per bocca del Profeta: "Vi daro un cuore nuovo, mettero dentro di voi uno spirito nuovo, ...il mio spirito" (Ez 36,26s; cfr.
Jn 7,37-39 Jn 19,34), dall'altra compie la sua stessa promessa, fatta agli apostoli con le parole: "Quando me ne saro andato, ve lo mandero" (Jn 16 Jn 7). E' lui: lo Spirito di verità, il Paraclito, mandato da Cristo risorto per trasformarci nella sua stessa immagine di risorto.

Ecco: "La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermo in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto questo, mostro loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono a vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi".

Dopo aver detto questo, alito su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo"" (Jn 20,19-22).

Tutti i particolari di questo testo-chiave del Vangelo di Giovanni hanno una loro eloquenza, specialmente se li rileggiamo in riferimento alle parole pronunciate nello stesso Cenacolo all'inizio degli eventi pasquali. Ormai questi eventi - il triduum sacrum di Gesù, che il Padre ha consacrato con l'unzione e mandato nel mondo - raggiungono il loro compimento. Il Cristo, che "aveva reso lo spirito" sulla Croce (cfr. Jn 19,30), come Figlio dell'uomo e Agnello di Dio, una volta risorto, va dagli apostoli per "alitare su di loro" con quella potenza, di cui parla la Lettera ai Romani (cfr. Rm 1,4). La venuta del Signore riempie di gioia i presenti: "La loro afflizione si cambia in gioia" (cfr. Jn 16,20), come già aveva egli stesso promesso prima della sua passione. E soprattutto si avvera il principale annuncio del discorso di addio: il Cristo risorto, quasi avviando una nuova creazione, "porta" agli apostoli lo Spirito Santo. Lo porta a prezzo della sua "dipartita": dà loro questo Spirito quasi attraverso le ferite della sua crocifissione: "Mostro loro le mani e il costato". E' in forza di questa crocifissione che egli dice loro: "Ricevete lo Spirito Santo".

Si stabilisce così uno stretto legame tra l'invio del figlio e quello dello Spirito Santo. Non c'è invio dello Spirito Santo (dopo il peccato originale) senza la Croce e la Risurrezione: "Se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore" (Jn 16,7). Si stabilisce anche uno stretto legame tra la missione dello Spirito Santo e quella del figlio nella redenzione. La missione del Figlio, in un certo senso, trova il suo "compimento" nella redenzione. La missione dello Spirito Santo "attinge" alla redenzione: "Egli prenderà del mio e ve l'annuncerà" (Jn 16,15). La redenzione viene totalmente operata dal Figlio come l'Unto, che è venuto ed ha agito nella potenza dello Spirito Santo, offrendosi alla fine in sacrificio sul legno della Croce. E questa redenzione viene, al tempo stesso, operata costantemente nei cuori e nelle coscienze umane - nella storia del mondo - dallo Spirito Santo, che è l'"altro consolatore".

Lo Spirito Santo e il tempo della Chiesa

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25. "Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al figlio sulla terra (cfr.
Jn 17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare di continuo la Chiesa, e i credenti avessero così, mediante Cristo, accesso al Padre in un solo Spirito (cfr. Ep 2,18). E' questi lo Spirito di vita, la sorgente dell'acqua zampillante fino alla vita eterna (cfr. Jn 4,14 Jn 7,38-39), colui per mezzo del quale il Padre ridona la vita agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali" (cfr. Rm 8,10-11; LG 4).

In questo modo il Concilio Vaticano II parla della nascita della Chiesa nel giorno della Pentecoste. Questo evento costituisce la definitiva manifestazione di ciò che si era compiuto nello stesso Cenacolo già la domenica di Pasqua. Il Cristo risorto venne e "porto" agli apostoli lo Spirito Santo. Lo diede loro dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo". Ciò che era avvenuto allora all'interno del Cenacolo, "a porte chiuse", più tardi, il giorno della Pentecoste, si manifesta anche all'esterno, davanti agli uomini. Si aprono le porte del Cenacolo, e gli apostoli si dirigono verso gli abitanti e i pellegrini convenuti a Gerusalemme in occasione della festa, per rendere testimonianza a Cristo nella potenza dello Spirito Santo. In questo modo si adempie l'annuncio: "Egli mi renderà testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio" (Jn 15,26s).

Leggiamo in un altro documento del Vaticano II: "Indubbiamente lo Spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato. Ma fu nel giorno della Pentecoste che egli discese sui discepoli, per rimanere con loro in eterno, e la Chiesa apparve pubblicamente di fronte alla moltitudine, ed ebbe inizio mediante la predicazione e la diffusione del Vangelo in mezzo ai pagani" (AGD 4). Il tempo della Chiesa ha avuto inizio con la "venuta", cioè con la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli riuniti nel Cenacolo di Gerusalemme insieme con Maria, la Madre del Signore (cfr. Ac 1,14). Il tempo della Chiesa ha avuto inizio nel momento in cui le promesse e gli annunci, che così esplicitamente si riferivano al consolatore, allo Spirito di verità, hanno cominciato ad avverarsi in tutta potenza ed evidenza sugli apostoli, determinando così la nascita della Chiesa. Di questo parlano diffusamente e in molti passi gli Atti degli Apostoli, dai quali risulta che, secondo la coscienza della prima comunità, di cui Luca esprime le certezze, lo Spirito Santo ha assunto la guida invisibile - ma in certo modo "percepibile" - di coloro che, dopo la dipartita del Signore Gesù, sentivano profondamente di essere rimasti orfani. Con la venuta dello Spirito essi si sono sentiti idonei a compiere la missione loro affidata. Si sono sentiti pieni di fortezza. Proprio questo ha operato in loro lo Spirito Santo, e questo egli opera continuamente nella Chiesa mediante i loro successori. La grazia dello Spirito Santo, infatti, che gli apostoli con l'imposizione delle mani diedero ai loro collaboratori, continua ad essere trasmessa nell'Ordinazione episcopale. I Vescovi poi col Sacramento dell'ordine rendono partecipi di tale dono spirituale i sacri ministri e provvedono a che, mediante il Sacramento della confermazione, ne siano corroborati tutti i rinati dall'acqua e dallo Spirito.

Così, in certo modo, si perpetua nella Chiesa la grazia di Pentecoste.

Come scrive il Concilio, "lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (cfr. 1Co 3,16 1Co 6,19), e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione a figli (cfr. Ga 4,6 Rm 8,15-16 Rm 8,26). Egli introduce la Chiesa in tutta intera la verità (cfr. Jn 16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la edifica e dirige con i diversi doni gerarchici e carismatici, la arricchisce dei suoi frutti (cfr. Ep 4,11-12 1Co 12,4 Ga 5,22). Con la forza del Vangelo mantiene la Chiesa continuamente giovane, costantemente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo" (LG 4).

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26. I passi riportati dalla Costituzione conciliare "Lumen Gentium" ci dicono che, con la venuta dello Spirito Santo, ebbe inizio il tempo della Chiesa, Essi ci dicono pure che questo tempo, il tempo della Chiesa, perdura. Perdura attraverso i secoli e le generazioni. Nel nostro secolo, in cui l'umanità si è ormai avvicinata al termine del secondo Millennio dopo Cristo, questo tempo della Chiesa si è espresso in modo speciale mediante il Concilio Vaticano II, come Concilio del nostro secolo, Si sa, infatti, che questo è stato in maniera speciale il Concilio "ecclesiologico": un concilio sul tema della Chiesa. Al tempo stesso, l'insegnamento di questo Concilio è essenzialmente "pneumatologico": permeato della verità sullo Spirito Santo, come anima della Chiesa. Possiamo dire che nel suo ricco magistero il Concilio Vaticano II contiene propriamente tutto ciò "che lo Spirito dice alle Chiese" (cfr.
Ap 2,29 Ap 6,13 Ap 6,22) in ordine alla presente fase della storia della salvezza.

Seguendo la guida dello Spirito di verità e rendendo testimonianza insieme con lui, il Concilio ha dato una speciale conferma della presenza dello Spirito Santo consolatore. In certo senso, esso l'ha reso nuovamente "presente" nella nostra difficile epoca. Alla luce di questa convinzione si comprende meglio la grande importanza di tutte le iniziative miranti alla realizzazione del Vaticano II, del suo magistero e del suo indirizzo pastorale ed ecumenico, In questo senso vanno anche ben considerate e valutate le successive Assemblee del Sinodo dei Vescovi, che mirano a far si che i frutti della verità e dell'amore - i frutti autentici dello Spirito Santo - diventino un bene duraturo del Popolo di Dio nel suo pellegrinare terreno lungo il corso dei secoli. E' indispensabile questo lavoro della Chiesa, mirante alla verifica ed al consolidamento dei frutti salvifici dello Spirito, elargiti nel Concilio. A questo scopo bisogna saperli attentamente "discernere" da tutto ciò che, invece, può provenire soprattutto dal "principe di questo mondo" (cfr. Jn 12,31 Jn 14,30 Jn 16,11). Questo discernimento è tanto più necessario nella realizzazione dell'opera del Concilio, in quanto questo si è aperto largamente al mondo contemporaneo, come appare chiaramente dalle importanti Costituzioni conciliari "Gaudium et Spes" e "Lumen Gentium".

Leggiamo nella Costituzione pastorale: "La loro comunità (dei discepoli di Cristo)... è composta di uomini, i quali, riuniti insieme in Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il Regno del Padre, e hanno ricevuto un messaggio di salvezza da propagare a tutti. perciò, essa si sente realmente ed intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia" (GS 1). "La Chiesa sa bene che soltanto Dio, al cui servizio è consacrata, dà risposta ai più profondi desideri del cuore umano, che non può mai essere pienamente saziato dai beni terreni" (GS 41). "Lo Spirito di Dio... con mirabile provvidenza dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra" (GS 26).


Parte II Lo Spirito che convince il mondo quanto al peccato

Peccato, giustizia e giudizio

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27. Allorché Gesù, durante il discorso nel Cenacolo, annuncia la venuta dello Spirito Santo "a prezzo" della propria dipartita e promette: "Quando me ne saro andato, ve lo mandero", proprio nello stesso contesto aggiunge: "E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio" (Jn 16,7s). Il medesimo consolatore e Spirito di verità, già promesso come colui che "insegnerà" e "ricorderà", come colui che "renderà testimonianza", come colui che "guiderà alla verità tutta intera" con le parole ora citate viene annunciato come colui che "convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio".

Significativo sembra anche il contesto. Gesù collega questo annuncio dello Spirito Santo alle parole che indicano la propria "dipartita" mediante la Croce, ed anzi ne sottolineano la necessità: "E' bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore" (
Jn 16,7).

Ma ciò che più conta è la spiegazione che Gesù stesso aggiunge a queste tre parole: peccato, giustizia, giudizio. Dice infatti Gesù: "Egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato" (Jn 16,8-11). Nel pensiero di Gesù il peccato, la giustizia, il giudizio hanno un senso ben preciso, diverso da quello che forse qualcuno sarebbe propenso ad attribuire a queste parole indipendentemente dalla spiegazione di chi parla.

Questa spiegazione indica, altresi, come sia da intendere quel "convincere il mondo", che è proprio dell'azione dello Spirito Santo. Qui è importante sia il significato delle singole parole, sia il fatto che Gesù le abbia unite tra loro nella stessa frase.

"Il peccato", in questo passo, significa l'incredulità che Gesù incontro in mezzo ai "suoi", cominciando dai concittadini di Nazareth. Significa il rifiuto della sua missione, che porterà gli uomini a condannarlo a morte. Quando successivamente parla della "giustizia", Gesù sembra avere in mente quella giustizia definitiva, che il Padre gli renderà circondandolo con la gloria della risurrezione e dell'ascensione al Cielo: "Vado al Padre". A sua volta, nel contesto del "peccato" e della "giustizia" così intesi, "il giudizio" significa che lo Spirito di verità dimostrerà la colpa del "mondo" nella condanna di Gesù alla morte di Croce. Tuttavia, il Cristo non è venuto nel mondo solamente per giudicarlo e condannarlo: egli è venuto per salvarlo (cfr. Jn 3,17 Jn 12,47). Il convincere del peccato e della giustizia ha come scopo la salvezza del mondo, la salvezza degli uomini. Proprio questa verità sembra essere sottolineata dall'affermazione che "il giudizio" riguarda solamente "il principe di questo mondo", cioè Satana, colui che sin dall'inizio sfrutta l'opera della creazione contro la salvezza, contro l'alleanza e l'unione dell'uomo con Dio: egli è "già giudicato" sin dall'inizio. Se lo Spirito consolatore deve convincere il mondo proprio quanto al giudizio, è per continuare in esso l'opera salvifica di Cristo.

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28. Qui vogliamo concentrare la nostra attenzione principalmente su questa missione dello Spirito Santo, che è di "convincere il mondo quanto al peccato", ma rispettando al tempo stesso il contesto generale delle parole di Gesù nel Cenacolo. Lo Spirito Santo, che assume dal Figlio l'opera della redenzione del mondo, assume con ciò stesso il compito del salvifico "convincere del peccato".

Questo convincere è il costante riferimento alla "giustizia", cioè alla definitiva salvezza in Dio, al compimento dell'economia che ha come centro il Cristo crocifisso e glorificato. E questa economia salvifica di Dio sottrae, in certo senso, l'uomo dal "giudizio", cioè dalla dannazione, con la quale è stato colpito il peccato di Satana, "principe di questo mondo", colui che a causa del suo peccato è divenuto "dominatore di questo mondo di tenebra" (cfr.
Ep 6,12). Ed ecco che, mediante tale riferimento al "giudizio", si schiudono vasti orizzonti per la comprensione del "peccato", nonché della "giustizia". Lo Spirito Santo, mostrando sullo sfondo della Croce di Cristo il peccato nell'economia della salvezza (si potrebbe dire: "il peccato salvato"), fa comprendere come sia sua missione "convincere" anche del peccato che è già stato giudicato definitivamente ("il peccato condannato"). 29. Tutte le parole, pronunciate dal Redentore nel Cenacolo alla vigilia della sua passione, si inscrivono nel tempo della Chiesa: prima di tutto, quelle sullo Spirito Santo come Paraclito e Spirito di verità. Esse vi si inscrivono in modo sempre nuovo, in ogni generazione, in ogni epoca. Ciò è confermato, per quanto riguarda il nostro secolo, dall'insieme dell'insegnamento del Concilio Vaticano II, specialmente della Costituzione pastorale "Gaudium et Spes". Molti passi di questo documento indicano chiaramente che il Concilio, aprendosi alla luce dello Spirito di verità, si presenta come l'autentico depositario degli annunci e delle promesse fatte da Cristo agli apostoli ed alla Chiesa nel discorso di addio: in modo particolare, di quell'annuncio, secondo il quale lo Spirito Santo deve "convincere il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio".

Ciò indica già il testo, nel quale il Concilio spiega come intende il "mondo": "Il mondo che esso (il Concilio stesso) ha presente è perciò quello degli uomini, ossia l'intera famiglia umana nel contesto di tutte quelle realtà, entro le quali essa vive; il mondo che è teatro della storia del genere umano e reca i segni dei suoi sforzi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato dall'amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma liberato da Cristo crocifisso, e risorto, con la sconfitta del Maligno, affinché, secondo il disegno di Dio, sia trasformato e giunga al suo compimento" (GS 2). In riferimento a questo testo molto sintetico bisogna leggere nella medesima Costituzione gli altri passi, intesi ad esporre con tutto il realismo della fede la situazione del peccato nel mondo contemporaneo, nonché di spiegare la sua essenza, partendo da diversi punti di vista. Quando Gesù, la vigilia di Pasqua, parla dello Spirito Santo come di colui che "convincerà il mondo quanto al peccato", da una parte si deve dare a questa affermazione la portata più vasta possibile, in quanto comprende tutto l'insieme dei peccati nella storia dell'umanità. D'altra parte, pero, quando Gesù spiega che questo peccato consiste nel fatto che "non credono in lui", tale portata sembra restringersi a coloro che hanno rifiutato la missione messianica del Figlio dell'uomo, condannandolo alla morte di Croce. Ma è difficile non notare come questa portata più "ridotta" e storicamente precisata dal significato del peccato si dilati fino ad assumere un'ampiezza universale a motivo dell'universalità della redenzione, che si è compiuta per mezzo della Croce. La rivelazione del mistero della redenzione apre la strada a una comprensione, nella quale ogni peccato, dovunque ed in qualsiasi momento commesso, viene riferito alla Croce di Cristo - e, dunque, indirettamente anche al peccato di coloro che "non hanno creduto in lui", condannando Gesù Cristo alla morte di Croce.

Da questo punto di vista occorre ritornare all'evento della Pentecoste.

La testimonianza del giorno della Pentecoste

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30. Nel giorno della Pentecoste trovarono la loro più esatta e diretta conferma gli annunci di Cristo nel discorso di addio e, in particolare, l'annuncio del quale stiamo trattando: "Il consolatore... convincerà il mondo quanto al peccato".

Quel giorno, sugli apostoli raccolti in preghiera insieme con Maria, Madre di Gesù, nello stesso Cenacolo, discese lo Spirito Santo promesso, come leggiamo negli Atti degli Apostoli: "Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi" (
Ac 2,4), "riconducendo in tal modo all'unità le razze disperse e offrendo al Padre le primizie di tutte le nazioni".

E' chiaro il rapporto tra l'annuncio fatto da Cristo e questo evento.

Noi vi scorgiamo il primo e fondamentale compimento della promessa del Paraclito.

Questi viene, mandato dal Padre, "dopo" la dipartita di Cristo, "a prezzo" di essa. Questa è dapprima una dipartita mediante la morte in Croce, e poi, quaranta giorni dopo la risurrezione, mediante l'ascensione al Cielo. Ancora nel momento dell'ascensione Gesù ordina agli apostoli "di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre"; "sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni"; "riceverete forza dallo Spirito Santo, che scenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria fino agli estremi confini della terra" (Ac 1,4 Ac 1,5 Ac 1,8).

Queste ultime parole racchiudono un'eco, o un ricordo dell'annuncio fatto nel Cenacolo. E il giorno della Pentecoste tale annuncio si avvera in tutta esattezza. Agendo sotto l'influsso dello Spirito Santo, ricevuto dagli apostoli durante la preghiera nel Cenacolo, davanti ad una moltitudine di gente di diverse lingue, radunata per la festa, Pietro si presenta e parla. Proclama ciò che certamente non avrebbe avuto il coraggio di dire in precedenza: "Uomini d'Israele, ...Gesù di Nazareth - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso opero fra voi per opera sua - dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere" (Ac 2,22-24).

Gesù aveva predetto e promesso: "Egli mi renderà testimonianza, ...e anche voi mi renderete testimonianza". Nel primo discorso di Pietro a Gerusalemme tale "testimonianza" trova il suo chiaro inizio: è la testimonianza intorno a Cristo crocifisso e risorto. Quella dello Spirito-Paraclito e degli apostoli. E nel contenuto stesso di tale prima testimonianza lo Spirito di verità per bocca di Pietro "convince il mondo quanto al peccato": prima di tutto, quanto al peccato che è il rifiuto del Cristo fino alla condanna a morte, fino alla Croce sul Golgota. Proclamazioni di analogo contenuto si ripeteranno, secondo il testo degli Atti degli Apostoli, in altre occasioni e in diversi luoghi.

31
31. Fin da questa iniziale testimonianza della Pentecoste, l'azione dello Spirito di verità, che "convince il mondo quanto al peccato" del rifiuto di Cristo, è legata in modo organico con la testimonianza da rendere il mistero pasquale: al mistero del Crocifisso e del Risorto. E in questo legame lo stesso "convincere quanto al peccato" rivela la propria dimensione salvifica. E', infatti, un "convincere" che ha come scopo non la sola accusa del mondo, tanto meno la sua condanna. Gesù Cristo non è venuto al mondo per giudicarlo e condannarlo, ma per salvarlo (cfr.
Jn 3,17 Jn 12,47). Ciò viene sottolineato già in questo primo discorso, quando Pietro esclama: "Sappia, dunque, con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù, che voi avete crocifisso" (Ac 2,36). E in seguito, quando i presenti domandano a Pietro e agli apostoli: "Che cosa dobbiamo fare, fratelli?", ecco la risposta: "Pentitevi, e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo" (Ac 2,37s).

In questo modo il "convincere quanto al peccato" diventa insieme un convincere circa la remissione dei peccati, nella potenza dello Spirito Santo.

Pietro nel discorso di Gerusalemme esorta alla conversione, come Gesù esortava i suoi ascoltatori all'inizio della sua attività messianica (cfr. Mc 1,15). La conversione richiede la convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio interiore della coscienza, e questo, essendo una verifica dell'azione dello Spirito di verità nell'intimo dell'uomo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio dell'elargizione della grazia e dell'amore: "Ricevete lo Spirito Santo" (Jn 20,22). così in questo "convincere quanto al peccato" scopriamo una duplice elargizione: il dono della verità della coscienza e il dono della certezza della redenzione. Lo Spirito di verità è il consolatore.

Il convincere del peccato, mediante il ministero dell'annuncio apostolico nella Chiesa nascente, viene riferito - sotto l'impulso dello Spirito effuso nella Pentecoste - alla potenza redentrice di Cristo crocifisso e risorto.

Così si adempie la promessa relativa allo Spirito Santo, fatta prima di Pasqua: "Egli prenderà del mio e ve l'annuncerà". Quando dunque, durante l'evento della Pentecoste, Pietro parla del peccato di coloro che "non hanno creduto" (cfr. Jn 16,9) ed hanno consegnato ad una morte ignominiosa Gesù di Nazareth, egli rende testimonianza alla vittoria sul peccato: vittoria che si è compiuta, in certo senso, mediante il peccato più grande che l'uomo poteva commettere: l'uccisione di Gesù, Figlio di Dio, consostanziale al Padre! Similmente, la morte del Figlio di Dio vince la morte umana: "Ero mors tua, o mors" (Os 13,14 cfr. 1Co 15,55), come il peccato di aver crocifisso il Figlio di Dio "vince" il peccato umano! Quel peccato che si consumo c Gerusalemme il giorno del Venerdi Santo -- e anche ogni peccato dell'uomo. Infatti, al più grande peccato da parte dell'uomo corrisponde, nel cuore del Redentore, l'oblazione del supremo amore, che supera il male di tutti i peccati degli uomini. Sulla base di questa certezza la Chiesa nella liturgia romana non esita a ripetere ogni anno, durante la Veglia pasquale, "O felix culpa!", nell'annuncio della risurrezione dato dal diacono col canto dell'"Exultet".

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32. Di questa verità ineffabile, pero, nessuno può "convincere il mondo", l'uomo, l'umana coscienza, se non egli stesso, lo Spirito di verità. Egli è lo Spirito, che "scruta le profondità di Dio" (cfr.
1Co 2,10). Di fronte al mistero del peccato bisogna scrutare "le profondità di Dio" fino in fondo. Non basta scrutare la coscienza umana, quale intimo mistero dell'uomo, ma bisogna penetrare nell'intimo mistero di Dio, in quelle "profondità di Dio" che si riassumono nella sintesi: al Padre - nel Figlio - per mezzo dello Spirito Santo. E' proprio lo Spirito Santo che le "scruta", e da esse trae la risposta di Dio al peccato dell'uomo. Con questa risposta si chiude il procedimento del "convincere quanto al peccato", come mette in evidenza l'evento della Pentecoste.

Convincendo il "mondo" del peccato del Golgota, della morte dell'Agnello innocente, come avviene nel giorno della Pentecoste, lo Spirito Santo convince anche di ogni peccato commesso in ogni luogo ed in qualsiasi momento nella storia dell'uomo: egli dimostra, infatti, il suo rapporto con la Croce di Cristo. Il "convincere" è la dimostrazione del male del peccato, di ogni peccato, in relazione alla Croce di Cristo. Il peccato, mostrato in questa relazione, viene riconosciuto nell'intera dimensione del male, che gli è propria, per il "mistero dell'iniquità" (cfr. 2Th 2,7), che in sé contiene e nasconde. L'uomo non conosce questa dimensione - non la conosce in alcun modo al di fuori della Croce di Cristo. perciò, non può essere "convinto" di essa se non dallo Spirito Santo: Spirito di verità, ma anche consolatore.

Infatti, il peccato, mostrato in relazione alla Croce di Cristo, nello stesso tempo viene identificato nella piena dimensione del "mistero della pietà" (cfr. 1Tm 3,16), come ha indicato l'Esortazione Apostolica post-sinodale "Reconciliatio et Paenitentia". Anche questa dimensione del peccato l'uomo non la conosce in alcun modo al di fuori della Croce di Cristo. E anche di essa egli non può essere "convinto" se non dallo Spirito Santo: da colui che "scruta le profondità di Dio".

La testimonianza dell'inizio: la realtà originaria del peccato

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33. E' la dimensione del peccato che troviamo nella testimonianza dell'inizio, annotata nel Libro della Genesi (cfr.
Gn 1-3). E' il peccato che, secondo la Parola di Dio rivelata, costituisce il principio e la radice di tutti gli altri.

Ci troviamo di fronte alla realtà originaria del peccato nella storia dell'uomo e, al tempo stesso, nell'insieme dell'economia della salvezza. Si può dire che in questo peccato ha inizio il "mistero dell'iniquità", ma anche che è questo il peccato, in ordine al quale la potenza redentrice del "mistero della pietà" diventa particolarmente trasparente ed efficace. Ciò esprime san Paolo, quando alla "disobbedienza" del primo Adamo contrappone l'"obbedienza" di Cristo, il secondo Adamo: "L'obbedienza fino alla morte" (cfr. Rm 5,19 Ph 2,8).

Stando alla testimonianza dell'inizio, il peccato nella sua realtà originaria avviene nella volontà - e nella coscienza - dell'uomo, prima di tutto, come "disobbedienza", cioè come opposizione della volontà dell'uomo alla volontà di Dio. Questa disobbedienza originaria presuppone il rifiuto o, almeno, l'allontanamento dalla verità contenuta nella Parola di Dio, che crea il mondo.

Questa Parola è lo stesso Verbo, che era "in principio presso Dio", che "era Dio" e senza il quale "niente è stato fatto di tutto ciò che esiste", poiché "il mondo fu fatto per mezzo di lui" (cfr. Jn 1,1 Jn 1,2 Jn 1,3 Jn 1,10). E' il Verbo che è anche eterna legge, fonte di ogni legge, che regola il mondo e specialmente gli atti umani.

Quando dunque, alla vigilia della sua passione, Gesù Cristo parla del peccato di coloro che "non credono in lui", in queste sue parole, piene di dolore, vi è quasi un'eco lontana di quel peccato, che nella sua forma originaria si inscrive oscuramente nel mistero stesso della creazione. Colui che parla, infatti, è non solo il Figlio dell'uomo, ma anche colui che è "il primogenito di fronte ad ogni creatura", "poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose: ...per mezzo di lui e in vista di lui" (cfr. Col 1,15-18). Alla luce di questa verità si capisce che la "disobbedienza", nel mistero dell'inizio, presuppone in certo senso la stessa "non-fede", quel medesimo "non hanno creduto", che si ripeterà nei riguardi del mistero pasquale. Come abbiamo detto, si tratta del rifiuto o, almeno, dell'allontanamento dalla verità contenuta nella Parola del Padre. Il rifiuto si esprime in pratica come "disobbedienza", in un atto compiuto come effetto della tentazione, che proviene dal "padre della menzogna" (cfr. Jn 8,44).

Dunque, alla radice del peccato umano sta la menzogna come radicale rifiuto della verità contenuta nel Verbo del Padre, mediante il quale si esprime l'amorevole onnipotenza del Creatore: l'onnipotenza ed insieme l'amore "di Dio Padre, creatore del cielo e della terra".

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34. "Lo spirito di Dio", che secondo la descrizione biblica della creazione "aleggiava sulle acque" (cfr.
Gn 1,2), indica lo stesso "Spirito, che scruta le profondità di Dio": scruta le profondità del Padre e del Verbo-Figlio nel mistero della creazione. Non solo è il testimone diretto del loro reciproco amore, dal quale deriva la creazione, ma è egli stesso questo amore. Egli stesso, come amore, è l'eterno dono increato. In lui è la fonte e l'inizio di ogni elargizione alle creature. La testimonianza dell'inizio, che troviamo in tutta la Rivelazione, a cominciate dal Libro della Genesi, su questo punto è univoca. Creare vuol dire chiamare all'esistenza dal nulla; dunque, creare vuol dire donare l'esistenza. E se il mondo visibile viene creato per l'uomo, dunque all'uomo viene donato il mondo (cfr. Gn 1,26 Gn 1,28 Gn 1,29).

E contemporaneamente lo stesso uomo nella propria umanità riceve in dono una speciale "immagine e somiglianza" di Dio. Ciò significa non solo razionalità e libertà come proprietà costitutive della natura umana, ma anche, sin dall'inizio, capacità di un rapporto personale con Dio, come "io" e "tu" e, dunque, capacità di alleanza, che avrà luogo con la comunicazione salvifica di Dio all'uomo. Sullo sfondo dell'"immagine e somiglianza" di Dio, "il dono dello Spirito" significa, infine, chiamata all'amicizia, nella quale le trascendenti "profondità di Dio" vengono, in qualche modo, aperte alla partecipazione da parte dell'uomo. Il Concilio Vaticano II insegna: "Dio invisibile (cfr. Col 1,15 1Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Ex 33,11 Jn 15,14-15); e si intrattiene con loro (cfr. Ba 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé" (DV 2).

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35. Pertanto, lo Spirito, che "scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio", conosce sin dall'inizio "i segreti dell'uomo" (cfr. 1Co 2,10s). Proprio per questo egli solo può pienamente "convincere del peccato" che ci fu all'inizio, di quel peccato che è la radice di tutti gli altri e il focolaio della peccaminosità dell'uomo sulla terra, che non si spegne mai. Lo Spirito di verità conosce la realtà originaria del peccato, causato nella volontà dell'uomo ad opera del "padre della menzogna" (cfr.
Jn 16,11). Lo Spirito Santo convince, dunque, il mondo del peccato in rapporto a questo "giudizio", ma costantemente guidando verso la "giustizia", che è stata rivelata all'uomo insieme con la Croce di Cristo: mediante l'"obbedienza fino alla morte" (cfr. Ph 2,8).

Solo lo Spirito Santo può convincere del peccato dell'inizio umano, proprio egli che è l'amore del Padre e del Figlio, egli che è dono, mentre il peccato dell'inizio umano consiste nella menzogna e nel rifiuto del dono e dell'amore, i quali decidono dell'inizio del mondo e dell'uomo.

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36. Secondo la testimonianza dell'inizio, che troviamo nella Scrittura e nella Tradizione, dopo la prima (ed anche più completa) descrizione nel Libro della Genesi, il peccato nella sua forma originaria è inteso come "disobbedienza", il che significa semplicemente e direttamente trasgressione di un divieto posto da Dio (cfr. Gn 2,16s). Ma alla luce di tutto il contesto è pure palese che le radici di questa disobbedienza vanno ricercate in profondità nell'intera situazione reale dell'uomo. Chiamato all'esistenza, l'essere umano - uomo e donna - è una creatura. L'"immagine di Dio", consistente nella razionalità e nella libertà, dice la grandezza e la dignità del soggetto umano, che è persona. Ma questo soggetto personale è pur sempre una creatura: nella sua esistenza ed essenza dipende dal Creatore. Secondo la Genesi, "l'albero della conoscenza del bene e del male" doveva esprimere e costantemente ricordare all'uomo il "limite" invalicabile per un essere creato. In questo senso va inteso il divieto da parte di Dio: il Creatore proibisce all'uomo e alla donna di mangiare i frutti dell'albero della conoscenza del bene e del male. Le parole dell'istigazione, cioè della tentazione, come è formulata nel testo sacro, inducono a trasgredire questo divieto - cioè a superare quel "limite": "Quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio ("come dèi"), conoscendo il bene e il male" (cfr.
Gn 3,5). La "disobbedienza" significa appunto il superamento di quel limite, che rimane invalicabile alla volontà e libertà dell'uomo, come essere creato. Dio creatore è, infatti, l'unica e definitiva fonte dell'ordine morale nel mondo, da lui creato. L'uomo non può da se stesso decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo - non può "conoscere il bene e il male, come Dio". Si, Dio nel mondo creato rimane la prima e suprema fonte per decidere del bene e del male, mediante l'intima verità dell'essere, la quale è il riflesso del Verbo, l'eterno Figlio, consostanziale al Padre. All'uomo creato ad immagine di Dio lo Spirito Santo dà in dono la coscienza, affinché in essa l'immagine possa rispecchiare fedelmente il suo modello, che è insieme la sapienza e la legge eterna, fonte dell'ordine morale nell'uomo e nel mondo. La "disobbedienza", come dimensione originaria del peccato, significa rifiuto di questa fonte, per la pretesa dell'uomo di diventare fonte autonoma ed esclusiva nel decidere del bene e del male. Lo Spirito, che "scruta le profondità di Dio" e che, al tempo stesso, è per l'uomo la luce della coscienza e la fonte dell'ordine morale, conosce in tutta la sua pienezza questa dimensione del peccato, che si inscrive nel mistero dell'inizio umano. E non cessa di "convincerne il mondo" in rapporto alla Croce di Cristo sul Golgota.

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37. Secondo la testimonianza dell'inizio, Dio nella creazione ha rivelato se stesso come onnipotenza, che è amore. Nello stesso tempo ha rivelato all'uomo che, come "immagine e somiglianza" del suo Creatore, egli è chiamato a partecipare alla verità e all'amore. Questa partecipazione significa una vita di unione con Dio, che è la "vita eterna". Ma l'uomo, sotto l'influenza del "padre della menzogna", si è distaccato da questa partecipazione. In quale misura? Certamente non nella misura del peccato di un puro spirito, nella misura del peccato di Satana. Lo spirito umano è incapace di raggiungere una tale misura. Nella stessa descrizione della Genesi è facile notare la differenza di grado tra "il soffio del male" da parte di colui che "è peccatore (ossia permane nel peccato) fin dal principio" (
1Jn 3,8) e che già "è stato giudicato" (Jn 16,11), ed il male della disobbedienza da parte dell'uomo.

Questa disobbedienza, tuttavia, significa pur sempre il voltare le spalle a Dio e, in un certo senso, il chiudersi della libertà umana nei suoi riguardi. Significa anche una certa apertura di questa libertà - della conoscenza e della volontà umana - verso colui che è il "padre della menzogna". Questo atto di scelta consapevole non è solo "disobbedienza", ma porta con sé anche una certa adesione alla motivazione contenuta nella prima istigazione al peccato e incessantemente rinnovata durante tutta la storia dell'uomo sulla terra: "Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene il male".

Ci troviamo qui al centro stesso di ciò che si potrebbe chiamare l'"anti-Verbo", cioè l'"anti-verità". Viene, infatti, falsata la verità dell'uomo: chi è l'uomo e quali sono i limiti invalicabili del suo essere e della sua libertà. Questa "anti-verità" è possibile, perché nello stesso tempo viene falsata completamente la verità su chi è Dio. Il Dio creatore viene posto in stato di sospetto, anzi addirittura in stato di accusa, nella coscienza della creatura. Per la prima volta nella storia dell'uomo appare il perverso "genio del sospetto".

Esso cerca di "falsare" il Bene stesso, il Bene assoluto, che proprio nell'opera della creazione si è manifestato come il bene che dona in modo ineffabile: come "bonum diffusivum sui", come amore creativo. Chi può pienamente "convincere del peccato", ossia di questa motivazione della disobbedienza originaria dell'uomo, se non colui che solo è il dono e la fonte di ogni elargizione, se non lo Spirito, che "scruta le profondità di Dio" ed è l'amore del Padre e del Figlio?

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38. Infatti, malgrado tutta la testimonianza della creazione e della economia salvifica ad essa inerente, lo spirito delle tenebre (cfr.
Ep 6,12 Lc 22,53) è capace di mostrare Dio come nemico della propria creatura e, prima di tutto, come nemico dell'uomo, come fonte di pericolo e di minaccia per l'uomo. In questo modo viene innestato da Satana nella psicologia dell'uomo il germe dell'opposizione nei riguardi di colui che "sin dall'inizio" deve essere considerato come nemico dell'uomo - e non come Padre. L'uomo viene sfidato a diventare l'avversario di Dio! L'analisi del peccato nella sua originaria dimensione indica che, ad opera del "padre della menzogna", vi sarà lungo la storia dell'umanità una costante pressione al rifiuto di Dio da parte dell'uomo, fino all'odio: "Amore di sé fino al disprezzo di Dio", come si esprime sant'Agostino. L'uomo sarà incline a vedere in Dio prima di tutto una propria limitazione, e non la fonte della propria liberazione e la pienezza del bene. Ciò vediamo confermato nell'epoca moderna, nella quale le ideologie atee tendono a sradicare la religione in base al presupposto che essa determini una radicale "alienazione" dell'uomo, come se l'uomo venisse espropriato della propria umanità, quando, accettando l'idea di Dio, attribuisce a lui ciò che appartiene all'uomo, ed esclusivamente all'uomo! Di qui un processo di pensiero e di prassi storico-sociologica, in cui il rifiuto di Dio è pervenuto fino alla dichiarazione della sua "morte". Un'assurdità, questa, concettuale e verbale! Ma l'ideologia della "morte di Dio" minaccia piuttosto l'uomo, come indica il Vaticano II, quando, sottoponendo ad analisi la questione dell'"autonomia delle cose temporali", scrive: "La creatura... senza il Creatore svanisce... Anzi, l'oblio di Dio priva di luce la creatura stessa" (GS 36). L'ideologia della "morte di Dio" nei suoi effetti dimostra facilmente di essere, sul piano teoretico e pratico, l'ideologia della "morte dell'uomo".


Dominum et vivificantem 22