Dominum et vivificantem 39

Lo Spirito, che trasforma la sofferenza in amore salvifico

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39. Lo Spirito, che scruta le profondità di Dio, è stato chiamato da Gesù nel discorso del Cenacolo il Paraclito, Infatti, sin dall'inizio "viene invocato" per "convincere il mondo quanto al peccato". Egli viene invocato in modo definitivo per mezzo della Croce di Cristo. Convincere del peccato vuol dire dimostrare il male in esso contenuto. Il che equivale a rivelare il mistero dell'iniquità. Non è possibile raggiungere il male del peccato in tutta la sua dolorosa realtà senza "scrutare le profondità di Dio". Sin dall'inizio l'oscuro mistero del peccato è apparso nel mondo sullo sfondo del riferimento al Creatore della libertà umana.

Esso è apparso come un atto di volontà della creatura-uomo contrario alla volontà di Dio: alla volontà salvifica di Dio; anzi è apparso in opposizione alla verità, sulla base della menzogna ormai definitivamente "giudicata": menzogna che ha posto in stato di accusa, in stato di permanente sospetto, lo stesso amore creativo e salvifico. L'uomo ha seguito il "padre della menzogna", ponendosi contro il Padre della vita e lo Spirito di verità.

Il "convincere del peccato" non dovrà, dunque, significare anche il rivelare la sofferenza? Rivelare il dolore, inconcepibile ed inesprimibile, che, a causa del peccato, il Libro sacro nella sua visione antropomorfica sembra intravvedere nelle "profondità di Dio" e, in un certo senso, nel cuore stesso dell'ineffabile Trinità? La Chiesa, ispirandosi alla Rivelazione, crede e professa che il peccato è offesa di Dio. Che cosa nell'imperscrutabile intimità del Padre, del Verbo e dello Spirito Santo corrisponde a questa "offesa", a questo rifiuto dello Spirito che è amore e dono? La concezione di Dio, come essere necessariamente perfettissimo, esclude certamente da Dio ogni dolore, derivante da carenze o ferite; ma nelle "profondità di Dio" c'è un amore di Padre che, dinanzi al peccato dell'uomo, secondo il linguaggio biblico, reagisce fino al punto di dire: "Sono pentito di aver fatto l'uomo" (cfr.
Gn 6,7). "Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra... E il Signore si penti di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addoloro in cuor suo... Il Signore disse: "Sono pentito di averli fatti"" (Gn 6,5-7). Ma più spesso il Libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per l'uomo, quasi condividendo il suo dolore. In definitiva, questo imperscrutabile e indicibile "dolore" di padre genererà soprattutto la mirabile economia dell'amore redentivo in Gesù Cristo, affinché, per mezzo del mistero della pietà, nella storia dell'uomo l'amore possa rivelarsi più forte del peccato. Perché prevalga il "dono"! Lo Spirito Santo, che secondo le parole di Gesù "convince del peccato", è l'amore del Padre e del Figlio e, come tale, è il dono trinitario e, al tempo stesso, l'eterna fonte di ogni elargizione divina al creato. Proprio in lui possiamo concepire come personificata e attuata in modo trascendente quella misericordia, che la tradizione patristica e teologica, sulla linea dell'Antico e del Nuovo Testamento, attribuisce a Dio. Nell'uomo la misericordia include dolore e compassione per le miserie del prossimo. In Dio lo Spirito-amore traduce la considerazione del peccato umano in una nuova elargizione di amore salvifico. Da lui, nell'unità col Padre e col Figlio, nasce l'economia della salvezza, che riempie la storia dell'uomo con i doni della redenzione. Se il peccato, rifiutando l'amore, ha generato la "sofferenza" dell'uomo, che in qualche modo si è riversata su tutta la creazione (cfr. Rm 8,20-22), lo Spirito Santo entrerà nella sofferenza umana e cosmica con una nuova elargizione di amore, che redimerà il mondo. E sulla bocca di Gesù Redentore, nella cui umanità si invera la "sofferenza" di Dio, risuonerà una parola in cui si manifesta l'eterno amore, pieno di misericordia: "Misereor" (cfr. Mt 15,32 Mc 8,2). così la parte dello Spirito Santo il "convincere del peccato" diventa un manifestare davanti alla creazione "sottomessa alla caducità" e, soprattutto, nel profondo delle coscienze umane, come il peccato viene vinto mediante il sacrificio dell'Agnello di Dio, il quale è divenuto "fino alla morte" il servo obbediente che, riparando alla disobbedienza dell'uomo, opera la redenzione del mondo. In questo modo lo Spirito di verità, il Paraclito, "convince del peccato".

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40. Il valore redentivo del sacrificio di Cristo è espresso con parole molto significative dall'autore della Lettera agli Ebrei, il quale, dopo aver ricordato i sacrifici dell'Antica Alleanza, in cui "il sangue dei capri e dei vitelli... purifica nella carne", soggiunge: "Quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno offri se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente?" (He 9,13s). Pur consapevoli di altre possibili interpretazioni, le nostre considerazioni sulla presenza dello Spirito Santo in tutta la vita di Cristo ci portano a ravvisare in questo testo come un invito a riflettere sulla presenza del medesimo Spirito anche nel sacrificio redentore del Verbo Incarnato.

Riflettiamo prima sulle parole iniziali che trattano di questo sacrificio e, in seguito, separatamente, sulla "purificazione della coscienza", da esso operata. E', infatti, un sacrificio offerto "con (= per opera di) uno Spirito eterno", il quale da esso "attinge" la forza di "convincere del peccato" in ordine alla salvezza. E' lo stesso Spirito Santo che, secondo la promessa del Cenacolo, Gesù Cristo "porterà" agli apostoli il giorno della sua risurrezione, presentandosi loro con le ferite della crocifissione, e che "darà" loro "per la remissione dei peccati": "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi" (Jn 20,22s).

Sappiamo che "Dio consacro in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazareth", come diceva Simon Pietro nella casa del centurione Cornelio (
Ac 10,38). Conosciamo il mistero pasquale della sua "dipartita", secondo il Vangelo di Giovanni. Le parole della Lettera agli Ebrei ora ci spiegano in quale modo Cristo "offri se stesso senza macchia a Dio", e come ciò fece "con uno Spirito eterno". Nel sacrificio del Figlio dell'uomo lo Spirito Santo è presente ed agisce così come agiva nel suo concepimento, nella sua venuta al mondo, nella sua vita nascosta e nel suo ministero pubblico. Secondo la Lettera agli Ebrei, sulla via della sua "dipartita" attraverso il Getsemani e il Golgota, lo stesso Cristo Gesù nella propria umanità si è aperto totalmente a questa azione dello Spirito-Paraclito, che dalla sofferenza fa emergere l'eterno amore salvifico. Egli è stato, dunque, "esaudito per la sua pietà. Pur essendo Figlio, imparo l'obbedienza dalle cose che pati" (He 5,7s). In questo modo tale Lettera dimostra come l'umanità, sottomessa al peccato nei discendenti del primo Adamo, in Gesù Cristo è diventata perfettamente sottomessa a Dio ed a lui unita e, nello stesso tempo, piena di misericordia verso gli uomini. Si ha così una nuova umanità, che in Gesù Cristo mediante la sofferenza della Croce è ritornata all'amore, tradito da Adamo col peccato. Essa si è ritrovata nella stessa fonte divina dell'elargizione originaria: nello Spirito, che "scruta le profondità di Dio" ed è amore e dono egli stesso.

Il Figlio di Dio Gesù Cristo, come uomo, nell'ardente preghiera della sua passione, permise allo Spirito Santo, che già aveva penetrato fino in fondo la sua umanità, di trasformarla in un sacrificio perfetto mediante l'atto della sua morte, come vittima di amore sulla Croce. Da solo egli fece questa oblazione. Come unico sacerdote, "offri se stesso senza macchia a Dio" (He 9,14). Nella sua umanità era degno di divenire un tale sacrificio, poiché e gli solo era "senza macchia". Ma l'offri "con uno Spirito eterno": il che vuol dire che lo Spirito Santo agi in modo speciale in questa assoluta autodonazione del Figlio dell'uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo.

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41. Nell'Antico Testamento più volte si parla del "fuoco dal cielo", che bruciava le oblazioni presentate dagli uomini (cfr.
Lv 9,24 1Reg Lv 18,38 2Par Lv 7,1). Per analogia si può dire che lo Spirito Santo è il "fuoco dal cielo", che opera nel profondo del mistero della Croce. Provenendo dal Padre, egli indirizza verso il Padre il sacrificio del Figlio, introducendolo nella divina realtà della comunione trinitaria. Se il peccato ha generato la sofferenza, ora il dolore di Dio in Cristo crocifisso acquista per mezzo dello Spirito Santo la sua piena espressione umana. Si ha così un paradossale mistero d'amore: in Cristo soffre un Dio rifiutato dalla propria creatura: "Non credono in me!"; ma, nello stesso tempo, dal profondo di questa sofferenza - e, indirettamente, dal profondo dello stesso peccato "di non aver creduto" - lo Spirito trae una nuova misura del dono fatto all'uomo e alla creazione fin dall'inizio. Nel profondo del mistero della Croce agisce l'amore, che riporta nuovamente l'uomo a partecipare alla vita, che è in Dio stesso.

Lo Spirito Santo come amore e dono discende, in un certo senso, nel cuore stesso del sacrificio che viene offerto sulla Croce. Riferendoci alla tradizione biblica, possiamo dire: egli consuma questo sacrificio col fuoco dell'amore, che unisce il Figlio col Padre nella comunione trinitaria. E poiché il sacrificio della Croce è un atto proprio di Cristo, anche in questo sacrificio egli "riceve" lo Spirito Santo. Lo riceve in modo tale, che poi egli - ed egli solo con Dio Padre - può "darlo" agli apostoli, alla Chiesa, all'umanità. Egli solo lo "manda" dal Padre (cfr. Jn 15,26). Egli solo si presenta davanti agli apostoli riuniti nel Cenacolo, "alita su di loro" e dice: "Ricevete lo Spirito Santo a chi rimetterete i peccati saranno rimessi" (Jn 20,22s), come aveva preannunciato Giovanni Battista: "Egli vi battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco" (Mt 3,11). Con quelle parole di Gesù lo Spirito Santo è rivelato ed insieme è reso presente come amore che opera nel profondo del mistero pasquale, come fonte della potenza salvifica della Croce di Cristo, come dono della vita nuova ed eterna.

Questa verità sullo Spirito Santo trova quotidiana espressione nella liturgia romana, quando il sacerdote, prima della comunione, pronuncia quelle significative parole: "Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo...".

E nella III Preghiera Eucaristica, riferendosi alla stessa economia salvifica, il sacerdote chiede a Dio che lo Spirito Santo "faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito".

Il sangue, che purifica la coscienza

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42. Abbiamo detto che, al culmine del mistero pasquale, lo Spirito Santo è definitivamente rivelato e reso presente in un modo nuovo. Il Cristo risorto dice agli apostoli: "Ricevete lo Spirito Santo". Viene in questo modo rivelato lo Spirito Santo, perché le parole di Cristo costituiscono la conferma delle promesse e degli annunci del discorso nel Cenacolo. E con ciò il Paraclito viene anche reso presente in un modo nuovo. Egli, in realtà, operava sin dall'inizio nel mistero della creazione e lungo tutta la storia dell'antica Alleanza di Dio con l'uomo. La sua azione è stata pienamente confermata dalla missione del Figlio dell'uomo come Messia, che è venuto nella potenza dello Spirito Santo. Al culmine della missione messianica di Gesù, lo Spirito Santo diventa presente nel mistero pasquale in tutta la sua soggettività divina: come colui che deve ora continuare l'opera salvifica, radicata nel sacrificio della Croce. Senza dubbio quest'opera viene affidata da Gesù ad uomini: agli apostoli, alla Chiesa. Tuttavia, in questi uomini e per mezzo di essi, lo Spirito Santo rimane il trascendente soggetto protagonista della realizzazione di tale opera nello spirito dell'uomo e nella storia del mondo: l'invisibile e, al tempo stesso, onnipresente Paraclito! Lo Spirito che "soffia dove vuole" (cfr.
Jn 3,8).

Le parole, pronunciate da Cristo risorto, il giorno "primo dopo il sabato", mettono in particolare rilievo la presenza del Paraclito consolatore, come di colui che "convince il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio". Infatti, solo in questo rapporto, si spiegano le parole che Gesù pone in diretto riferimento col "dono" dello Spirito Santo agli apostoli. Egli dice: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi" (Jn 20,22s). Gesù conferisce agli apostoli il potere di rimettere i peccati, perché lo trasmettano ai loro successori nella Chiesa. Tuttavia, questo potere, concesso ad uomini, presuppone e include l'azione salvifica dello Spirito Santo. Divenendo "luce dei cuori", cioè delle coscienze, lo Spirito Santo "convince del peccato", ossia fa conoscere all'uomo il suo male e, nello stesso tempo, lo orienta verso il bene. Grazie alla molteplicità dei suoi doni, per cui è invocato come il "settiforme", ogni genere di peccato dell'uomo può essere raggiunto dalla potenza salvifica di Dio. In realtà - come dice san Bonaventura - "in virtù dei sette doni dello Spirito Santo tutti i mali sono distrutti e sono prodotti tutti i beni".

Sotto l'influsso del consolatore si compie, dunque, quella conversione del cuore umano, che è condizione indispensabile del perdono dei peccati. Senza una vera conversione, che implica una interiore contrizione e senza un sincero e fermo proposito di cambiamento, i peccati rimangono "non rimessi", come dice Gesù e con lui la Tradizione dell'Antica e della Nuova Alleanza. Infatti, le prime parole pronunciate da Gesù all'inizio del suo ministero, secondo il Vangelo di Marco, sono queste: "Convertitevi e credete nel vangelo" (Mc 1,15). La conferma di questa esortazione è il "convincere quanto al peccato" che lo Spirito Santo intraprende in modo nuovo in forza della redenzione, operata dal sangue del Figlio dell'uomo. perciò la Lettera agli Ebrei dice che questo "sangue purifica la coscienza" (cfr. He 9,14). Esso, dunque, per così dire, apre allo Spirito Santo la via verso l'intimo dell'uomo, cioè il santuario delle coscienze umane.

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43. Il Concilio Vaticano II ha ricordato l'insegnamento cattolico sulla coscienza, parlando della vocazione dell'uomo e, in particolare, della dignità della persona umana. Proprio la coscienza decide in modo specifico di questa dignità. Essa, infatti, è "il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimo". Essa chiaramente "dice alle orecchie del cuore: Fa' questo, fuggi quest'altro". Una tale capacità di comandare il bene e di proibire il male, inserita dal Creatore nell'uomo, è la principale proprietà del soggetto personale. Ma, al tempo stesso, "nell'intimo della coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve invece obbedire" (cfr.
GS 16). La coscienza, dunque, non è una fonte autonoma ed esclusiva per decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva, che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e i divieti che sono alla base del comportamento umano, come traspare fin dalla pagina del Libro della Genesi, già richiamato (cfr. Gn 2,9 Gn 2,17). Proprio in questo senso la coscienza è l'"intimo sacrario", in cui "risuona la voce di Dio". Essa è "la voce di Dio" persino quando l'uomo riconosce esclusivamente in essa il principio dell'ordine morale, di cui umanamente non si può dubitare, anche senza un diretto riferimento al Creatore: proprio in questo riferimento la coscienza trova sempre il suo fondamento e la sua giustificazione.

L'evangelico "convincere quanto al peccato" sotto l'influsso dello Spirito di verità non può realizzarsi nell'uomo per altra via se non per quella della coscienza. Se la coscienza è retta, allora serve "per risolvere secondo verità i problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale"; allora "le persone e i gruppi sociali si allontanano del cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità" (GS 16).

Frutto della retta coscienza è, prima di tutto, il chiamare per nome il bene e il male, come fa ad esempio la stessa Costituzione pastorale: "Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente; gli sforzi di costrizione psicologica; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita infraumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, le prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili"; e, dopo aver chiamato per nome i molteplici peccati, così frequenti e diffusi nel nostro tempo, essa aggiunge: "Tutte queste cose e altre simili sono certamente vergognose e, mentre corrompono la civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano ben più di quelli che le subiscono; e offendono al massimo l'onore del Creatore" (GS 27).

Chiamando per nome i peccati che più disonorano l'uomo, e dimostrando che essi sono un male morale che grava negativamente su qualsiasi bilancio del progresso dell'umanità, il Concilio insieme descrive tutto ciò come una tappa "della lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre", che caratterizza "tutta la vita umana, sia individuale che collettiva" (cfr. GS 13). L'assemblea del Sinodo dei Vescovi del 1983 sulla riconciliazione e la penitenza ha precisato ancor meglio il significato personale e sociale del peccato dell'uomo.

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44. Ebbene, nel Cenacolo, la vigilia delle sua Passione, e poi la sera di Pasqua, Gesù Cristo si è appellato allo Spirito Santo come a colui, il quale testimonia che nella storia dell'umanità perdura il peccato. Tuttavia, il peccato è sottoposto alla potenza salvifica della redenzione. Il "convincere il mondo del peccato" non si esaurisce nel fatto che esso viene chiamato per nome e identificato per quello che è su tutta la scala che gli è propria. Nel convincere il mondo del peccato, lo Spirito di verità s'incontra con la voce delle coscienze umane.

Su questa via si giunge alla dimostrazione delle radici del peccato, che sono nell'intimo dell'uomo, come mette in rilievo la stessa Costituzione pastorale: "In verità, gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quello squilibrio più fondamentale, radicato nel cuore dell'uomo. E' nell'uomo stesso che molti elementi si contrastano a vicenda. Da una parte, infatti, come creatura fa l'esperienza dei suoi molteplici limiti; dall'altra, si sente illimitato nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore.

Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunciare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe" (
GS 10). Il testo conciliare fa qui riferimento alle note parole di san Paolo (cfr. Rm 7,14-15 Rm 7,19).

Il "convincere quanto al peccato", che accompagna la coscienza umana in ogni approfondita riflessione su se stessa, porta dunque alla scoperta delle sue radici nell'uomo, come anche dei condizionamenti della coscienza stessa nel corso della storia. Ritroviamo in questo modo quella realtà originaria del peccato, della quale si è già parlato. Lo Spirito Santo "convince quanto al peccato" in rapporto al mistero dell'inizio, indicando il fatto che l'uomo è un essere creato e, dunque, è in una totale dipendenza ontologica ed etica dal Creatore, e ricordando al tempo stesso, l'ereditaria peccaminosità della natura umana. Ma lo Spirito Santo consolatore "convince del peccato" sempre in relazione alla Croce di Cristo. In questa relazione il cristianesimo respinge ogni "fatalità" del peccato.

E' "una dura lotta contro le potenze delle tenebre, lotta che, cominciata fin dall'origine del mondo, continuerà, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno" - insegna il Concilio (GS 37). "Ma il Signore stesso è venuto a liberare l'uomo e dargli forza" (GS 13). L'uomo, dunque, lungi dal lasciarsi "irretire" nella sua condizione di peccato, appoggiandosi alla voce della propria coscienza, "deve combattere senza soste per aderire al bene, né può conseguire la sua unità interiore se non a prezzo di grandi fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio" (GS 37). Il Concilio giustamente vede il peccato come fattore della rottura, che grava sia sulla vita personale che su quella sociale dell'uomo; ma, nello stesso tempo, ricorda instancabilmente la possibilità della vittoria.

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45. Lo Spirito di verità, che "convince il mondo del peccato", s'incontra con quella fatica della coscienza umana, di cui i testi conciliari parlano in modo così suggestivo. Tale fatica della coscienza determina anche le vie delle conversioni umane: il voltare le spalle al peccato, per ricostruire la verità e l'amore nel cuore stesso dell'uomo. Si sa che riconoscere il male in se stessi a volte costa molto. Si sa che la coscienza non solo comanda o proibisce, ma giudica alla luce degli ordini e divieti interiori. Essa è anche fonte di rimorsi: l'uomo soffre interiormente a causa del male commesso. Non è questa sofferenza quasi un'eco lontana di quel "pentimento di aver creato l'uomo", che con linguaggio antropomorfico il Libro sacro attribuisce a Dio? di quella "riprovazione" che, inscrivendosi nel "cuore" della Trinità, in forza dell'eterno amore si traduce nel dolore della Croce, nell'obbedienza di Cristo fino alla morte? Quando lo Spirito di verità consente alla coscienza umana di partecipare a quel dolore, allora la sofferenza della coscienza diventa particolarmente profonda, ma anche particolarmente salvifica. Allora, mediante un atto di contrizione perfetta, si opera l'autentica conversione del cuore: è l'evangelica "metanoia".

La fatica del cuore umano, la fatica della coscienza, in cui si compie questa "metanoia", o conversione, è il riflesso di quel processo per cui la riprovazione viene trasformata in amore salvifico, che sa soffrire. Il dispensatore nascosto di questa forza salvatrice è lo Spirito Santo: egli, che viene chiamato dalla Chiesa "luce delle coscienze", penetra e riempie "la profondità dei cuori" umani. Mediante una tale conversione nello Spirito Santo, l'uomo si apre al perdono, alla remissione dei peccati. E in tutto questo mirabile dinamismo della conversione-remissione, si conferma la verità di ciò che scrive sant'Agostino sul mistero dell'uomo, commentando le parole del Salmo: "L'abisso chiama l'abisso". Proprio nei riguardi di questa "abissale profondità" dell'uomo, della coscienza umana, si compie la missione del Figlio e dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo "viene" in forza della "dipartita" di Cristo nel mistero pasquale: viene in ogni fatto concreto di conversione-remissione, in forza del sacrificio della Croce: in esso, infatti, "il sangue di Cristo... purifica le coscienze dalle opere morte, per servire il Dio vivente" (cfr.
He 9,14). Si adempiono così di continuo le parole sullo Spirito Santo come "un altro consolatore", le parole rivolte nel Cenacolo agli apostoli e indirettamente a tutti: "Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi" (Jn 14,17).

Il peccato contro lo Spirito Santo

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46. Sullo sfondo di ciò che abbiamo detto finora, diventano più comprensibili alcune altre parole, impressionanti e sconvolgenti, di Gesù. Le potremmo chiamare le parole del "non-perdono". Esse ci sono riferite dai Sinottici in rapporto ad un particolare peccato, che è chiamato "bestemmia contro lo Spirito Santo". Eccole come sono state riferite nella triplice loro redazione.

Matteo: "Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro" (
Mt 12,32).

Marco: "Tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini, e anche tutte le bestemmie che diranno, ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna" (Mc 3,28s).

Luca: "Chiunque parlerà contro il Figlio dell'uomo gli sarà perdonato, ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo non sarà perdonato" (Lc 12,10).

Perché la bestemmia contro lo Spirito Santo è imperdonabile? Come intendere questa bestemmia? Risponde san Tommaso d'Aquino che si tratta di un peccato "irremissibile secondo la sua natura, in quanto esclude quegli elementi, grazie ai quali avviene la remissione dei peccati".

Secondo una tale esegesi la "bestemmia" non consiste propriamente nell'offendere con le parole lo Spirito Santo; consiste, invece, nel rifiuto di accettare la salvezza che Dio offre all'uomo mediante lo Spirito Santo, operante in virtù del sacrificio della Croce. Se l'uomo rifiuta quel "convincere quanto al peccato", che proviene dallo Spirito Santo ed ha carattere salvifico, egli insieme rifiuta la "venuta" del consolatore - quella "venuta" che si è attuata nel mistero pasquale, in unità con la potenza redentrice del sangue di Cristo: il sangue che "purifica la coscienza dalle opere morte".

Sappiamo che frutto di una tale purificazione è la remissione dei peccati. Pertanto, chi rifiuta lo Spirito e il sangue rimane nelle "opere morte", nel peccato. E la bestemmia contro lo Spirito Santo consiste proprio nel rifiuto radicale di accettare questa remissione, di cui egli è l'intimo dispensatore e che presuppone la reale conversione, da lui operata nella coscienza. Se Gesù dice che la bestemmia contro lo Spirito Santo non può essere rimessa né in questa vita né in quella futura, è perché questa "non-remissione" è legata, come a sua causa, alla "non-penitenza", cioè al radicale rifiuto di raggiungere le fonti della redenzione, le quali, tuttavia, rimangono "sempre" aperte nell'economia della salvezza, in cui si compie la missione dello Spirito Santo. Questi ha l'infinita potenza di attingere a queste fonti: "Prenderà del mio", ha detto Gesù. In questo modo egli completa nelle anime umane l'opera della redenzione, compiuta da Cristo, dispensandone i frutti. Ora la bestemmia contro lo Spirito Santo è il peccato commesso dall'uomo, che rivendica un suo presunto "diritto" di perseverare nel male - in qualsiasi peccato - e rifiuta così la redenzione. L'uomo resta chiuso nel peccato, rendendo da parte sua impossibile la sua conversione e, dunque, anche la remissione dei peccati, che ritiene non essenziale o non importante per la sua vita. E', questa, una condizione di rovina spirituale, perché la bestemmia contro lo Spirito Santo non permette all'uomo di uscire dalla sua autoprigionia e di aprirsi alle fonti divine della purificazione delle coscienze e della remissione dei peccati.

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47. L'azione dello Spirito di verità, che tende al salvifico "convincere quanto al peccato", incontra nell'uomo che si trova in tale condizione una resistenza interiore, quasi un'impermeabilità della coscienza, uno stato d'animo che si direbbe consolidato in ragione di una libera scelta: è ciò che la Sacra Scrittura di solito chiama "durezza di cuore" (cfr. Ps 81[80],13;
Jr 7,24; Mc 3,5). Nella nostra epoca a questo atteggiamento di mente e di cuore corrisponde forse la perdita del senso del peccato, alla quale dedica molte pagine l'Esortazione Apostolica "Reconciliatio et Paenitentia". Già il Papa Pio XII aveva affermato che "il peccato del secolo è la perdita del senso del peccato", e tale perdita va di pari passo con la "perdita del senso di Dio". Nell'esortazione citata leggiamo: "In realtà, Dio è la radice e il fine supremo dell'uomo, e questi porta in sé un germe divino. perciò, la realtà di Dio che svela e illumina il mistero dell'uomo. E' vano, quindi, sperare che prenda consistenza un senso del peccato nei confronti dell'uomo e dei valori umani, se manca il senso dell'offesa commessa contro Dio, cioè il senso vero del peccato".

La Chiesa, perciò, non cessa di implorare da Dio la grazia che non venga meno la rettitudine nelle coscienze umane, che non si attenui la loro sana sensibilità dinanzi al bene e al male. Questa rettitudine e sensibilità sono profondamente legate all'intima azione dello Spirito di verità. In questa luce acquistano particolare eloquenza le esortazioni dell'Apostolo: "Non spegnete lo Spirito"; "Non vogliate rattristare lo Spirito Santo" (1Th 5,19 Ep 4,30).

Soprattutto, pero, la Chiesa non cessa di implorare con sommo fervore che non aumenti nel mondo quel peccato chiamato dal Vangelo "bestemmia contro lo Spirito Santo"; che esso, anzi, retroceda nelle anime degli uomini - e per riflesso negli stessi ambienti e nelle varie forme della società -, cedendo il posto all'apertura delle coscienze, necessaria per l'azione salvifica dello Spirito Santo. La Chiesa implora che il pericoloso peccato contro lo Spirito lasci il posto ad una santa disponibilità ad accettare la sua missione di consolatore, quando egli viene per "convincere il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio".

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48. Nel suo discorso di addio Gesù ha unito questi tre ambiti del "convincere" come componenti della missione del Paraclito: il peccato, la giustizia e il giudizio. Essi segnano lo spazio di quel mistero della pietà, che nella storia dell'uomo si oppone al peccato, al mistero dell'iniquità. Da un lato, come si esprime sant'Agostino, c'è l'"amore di sé fino al disprezzo di Dio"; dall'altro, c'è l'"amore di Dio fino al disprezzo di sé". La Chiesa di continuo innalza la sua preghiera e presta il suo servizio, perché la storia delle coscienze e la storia delle società nella grande famiglia umana non si abbassino verso il polo del peccato col rifiuto dei comandamenti divini "fino al disprezzo di Dio", ma piuttosto si elevino verso l'amore, in cui si rivela lo Spirito che dà la vita.

Coloro che si lasciano "convincere quanto al peccato" dallo Spirito Santo, si lasciano anche convincere quanto "alla giustizia e al giudizio". Lo Spirito di verità, che aiuta gli uomini, le coscienze umane, a conoscere la verità del peccato, al tempo stesso fa si che conoscano la verità di quella giustizia che entro nella storia dell'uomo con Gesù Cristo. In questo modo, coloro che "convinti del peccato" si convertono sotto l'azione del consolatore, vengono, in un certo senso, condotti fuori dall'orbita del "giudizio": di quel "giudizio", col quale "il principe di questo mondo è stato giudicato" (cfr.
Jn 16,11). La conversione, nella profondità del suo mistero divino-umano, significa la rottura di ogni vincolo col quale il peccato lega l'uomo nell'insieme del mistero dell'iniquità.

Coloro che si convertono, dunque, vengono condotti dallo Spirito Santo fuori dall'orbita del "giudizio", e introdotti in quella giustizia, che è in Cristo Gesù, e vi è perché la riceve dal Padre (cfr. Jn 16,15), come un riflesso della santità trinitaria. Questa è la giustizia del Vangelo e della redenzione, la giustizia del Discorso della montagna e della Croce, che opera la purificazione della coscienza mediante il sangue dell'Agnello. E' la giustizia che il Padre rende al Figlio ed a tutti coloro, che sono uniti a lui nella verità e nell'amore.

In questa giustizia lo Spirito Santo, Spirito del Padre e del Figlio, che "convince il mondo quanto al peccato", si rivela e si rende presente nell'uomo come Spirito di vita eterna.


Parte III Lo Spirito che dà la vita

Motivo del Giubileo del Duemila: Cristo, il quale fu concepito di Spirito Santo

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49. Allo Spirito Santo si volgono il pensiero e il cuore della Chiesa in questa fine del ventesimo secolo e nella prospettiva del terzo Millennio dalla venuta di Gesù Cristo nel mondo, mentre guardiamo verso il grande Giubileo con cui la Chiesa celebrerà l'evento. Tale venuta, infatti, si misura, secondo il computo del tempo, come un evento che appartiene alla storia dell'uomo sulla terra. La misura del tempo adoperata comunemente definisce gli anni, i secoli e i millenni secondo che trascorrono prima o dopo la nascita di Cristo. Ma bisogna anche tener presente che questo evento significa per noi cristiani, secondo l'Apostolo, la "pienezza del tempo" (cfr.
Ga 4,4), perché in esso la storia dell'uomo è stata completamente penetrata dalla "misura" di Dio stesso: una trascendente presenza del "nunc" eterno. "Colui che è, che era e che viene"; colui che è "l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine" (Ap 1,8 Ap 22,13). "Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16). "Quando venne la pienezza del tempo, Dio mando il suo Figlio, nato da donna..., perché ricevessimo l'adozione a figli" (Ga 4,4s). E questa incarnazione del Figlio-Verbo è avvenuta per opera dello Spirito Santo. I due evangelisti, ai quali dobbiamo il racconto della nascita e dell'infanzia di Gesù di Nazareth, si pronunciano in questa questione allo stesso modo. Secondo Luca, all'annunciazione della nascita di Gesù, Maria domanda: "Come avverrà questo? Non conosco uomo", e riceve questa risposta: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà, dunque, santo e chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,34s).

Matteo narra direttamente: "Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme, si trovo incinta per opera dello Spirito Santo" (Mt 1,18). Turbato da questo stato di cose, Giuseppe riceve durante il sonno la seguente spiegazione: "Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20s).

perciò, la Chiesa sin dall'inizio professa il mistero dell'incarnazione, questo mistero-chiave della fede, riferendosi allo Spirito Santo. Recita il Simbolo Apostolico: "Il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria Vergine". Non diversamente il Simbolo niceno-costantinopolitano attesta: "Per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo".

"Per opera dello Spirito Santo" si è fatto uomo colui che la Chiesa, con le parole dello stesso Simbolo, confessa essere Figlio consostanziale al Padre: "Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato". Si è fatto uomo "incarnandosi nel seno della Vergine Maria". Ecco che cosa si è compiuto, quando "venne la pienezza del tempo".

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50. Il grande Giubileo, conclusivo del secondo Millennio, al quale la Chiesa già si prepara, ha direttamente un profilo cristologico: si tratta, infatti, di celebrare la nascita di Gesù Cristo. Nello stesso tempo, esso ha un profilo pneumatologico, poiché il mistero dell'incarnazione si è compiuto "per opera dello Spirito Santo". L'ha "operato" quello Spirito che - consostanziale al Padre e al Figlio - è, nell'assoluto mistero di Dio uno e trino, la Persona-amore, il dono increato, che è fonte eterna di ogni elargizione proveniente da Dio nell'ordine della creazione, il principio diretto e, in certo senso, il soggetto dell'autocomunicazione di Dio nell'ordine della grazia. Di questa elargizione, di questa divina autocomunicazione il mistero dell'incarnazione costituisce il culmine. In effetti, la concezione e la nascita di Gesù Cristo sono la più grande opera compiuta dallo Spirito Santo nella storia della creazione e della salvezza: la suprema grazia la "grazia dell'unione", fonte di ogni altra grazia, come spiega san Tommaso. A questa opera si riferisce il grande Giubileo e si riferisce anche - se penetriamo nel suo profondo - all'artefice di quest'opera, alla Persona dello Spirito Santo. Alla "pienezza del tempo" corrisponde, infatti, una particolare pienezza dell'autocomunicazione di Dio uno e trino nello Spirito Santo. "Per opera dello Spirito Santo" si compie il mistero dell'"unione ipostatica", cioè dell'unione della natura divina e della natura umana, della divinità e dell'umanità nell'unica Persona del Verbo-Figlio. Quando Maria, al momento dell'annunciazione, pronuncia il suo "fiat": "Avvenga di me quello che hai detto" (
Lc 1,38), ella concepisce in modo verginale un uomo, il Figlio dell'uomo, che è il Figlio di Dio. Mediante una tale "umanizzazione" del Verbo-Figlio, l'autocomunicazione di Dio raggiunge la sua pienezza definitiva nella storia della creazione e della salvezza. Questa pienezza acquista una particolare densità ed eloquenza espressiva nel testo del Vangelo di Giovanni: "Il Verbo si fece carne" (Jn 1,14). L'incarnazione di Dio-Figlio significa l'assunzione all'unità con Dio non solo della natura umana, ma in essa, in un certo senso, di tutto ciò che è "carne": di tutta l'umanità, di tutto il mondo visibile e materiale. L'incarnazione, dunque, ha anche un suo significato cosmico, una sua cosmica dimensione. Il "generato prima di ogni creatura" (Col 1,15), incarnandosi nell'umanità individuale di Cristo, si unisce in qualche modo con l'intera realtà dell'uomo, il quale è anche "carne" - e in essa con ogni "carne", con tutta la creazione.

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51. Tutto ciò si compie per opera dello Spirito Santo e, dunque, appartiene al contenuto del futuro grande Giubileo. La Chiesa non può prepararsi ad esso in nessun altro modo, se non nello Spirito Santo. Ciò che "nella pienezza del tempo" si è compiuto per opera dello Spirito Santo, solo per opera sua può ora emergere dalla memoria della Chiesa. Per opera sua può rendersi presente nella nuova fase della storia dell'uomo sulla terra: l'anno Duemila dalla nascita di Cristo.

Lo Spirito Santo, che con la sua potenza adombro il corpo verginale di Maria, dando in lei inizio alla maternità divina, nello stesso tempo rese il suo cuore perfettamente obbediente nei riguardi di quell'autocomunicazione di Dio, che superava ogni concetto e ogni facoltà dell'uomo. "Beata colei che ha creduto!" (
Lc 1,45): così viene salutata Maria dalla sua parente Elisabetta, anche lei "piena di Spirito Santo" (cfr. Lc 1,41). Nelle parole di saluto a colei che "ha creduto" sembra delinearsi un lontano (ma, in effetti, molto vicino) contrasto nei riguardi di tutti coloro, dei quali Cristo dirà che "non hanno creduto" (cfr. Jn 16,9).

Maria è entrata nella storia della salvezza del mondo mediante l'obbedienza della fede. E la fede, nella sua più profonda essenza, è l'apertura del cuore umano davanti al dono: davanti all'autocomunicazione di Dio nello Spirito Santo. Scrive san Paolo: "Il Signore è lo Spirito, e dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà" (2Co 3,17). Quando Dio uno e trino si apre all'uomo nello Spirito Santo, questa sua "apertura" rivela ed insieme dona alla creatura-uomo la pienezza della libertà. Tale pienezza si è manifestata in modo sublime proprio mediante la fede di Maria, mediante "l'obbedienza della fede" (cfr. Rm 1,5): davvero, "beata colei che ha creduto!".


Dominum et vivificantem 39