Dives in misericordia




Lettera enciclica - "Dives in Misericordia"

Lettera enciclica del sommo pontefice Giovanni Paolo II sulla Misericordia divina

Venerati fratelli, Carissimi figli e figlie, Salute e Apostolica Benedizione!

I. CHI VEDE ME, VEDE IL PADRE

(cfr. Jn 14,9)

1. Rivelazione della Misericordia

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"Dio ricco di misericordia" (cfr.
Ep 2,4) è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l'ha manifestato e fatto conoscere (cfr. Jn 1,18 He 1,1s). Memorabile, al riguardo, è il momento in cui Filippo, uno dei dodici apostoli, rivolgendosi a Cristo, disse: a Signore, mostraci il Padre e ci basta; e Gesù così gli rispose: "Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai conosciuto... Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Jn 14,8s).

Queste parole furono pronunciate durante il discorso di addio, al termine della Cena pasquale, a cui seguirono gli eventi di quei santi giorni, durante i quali doveva una volta per sempre trovar conferma il fatto che "Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo" (Ep 2,4s).

Seguendo la dottrina del Concilio Vaticano II e aderendo alle particolari necessità dei tempi in cui viviamo, ho dedicato l'Enciclica "Redemptor Hominis" alla verità intorno all'uomo, che nella sua pienezza e profondità ci viene rivelata in Cristo. Un'esigenza di non minore importanza, in questi tempi critici e non facili, mi spinge a scoprire nello stesso Cristo ancora una volta il volto del Padre, che è "misericordioso e Dio di ogni consolazione" (2Co 1,3). Si legge, infatti, nella Costituzione "Gaudium et Spes": "Cristo, che è il nuovo Adamo, ...svela ...pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione": egli lo fa "proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore" (GS 22). Le parole citate attestano chiaramente che la manifestazione dell'uomo, nella piena dignità della sua natura, non può aver luogo senza il riferimento - non soltanto concettuale, ma integralmente esistenziale - a Dio. L'uomo e la sua vocazione suprema si svelano in Cristo mediante la rivelazione del mistero del Padre e del suo amore.

E' per questo che conviene ora volgerci a quel mistero: lo suggeriscono molteplici esperienze della Chiesa e dell'uomo contemporaneo; lo esigono anche le invocazioni di tanti cuori umani, le loro sofferenze e speranze, le loro angosce ed attese. Se è vero che ogni uomo, in un certo senso, è la via della Chiesa, come ho affermato nell'Enciclica "Redemptor Hominis", al tempo stesso il Vangelo e tutta la Tradizione ci indicano costantemente che dobbiamo percorrere questa via con ogni uomo, così come Cristo l'ha tracciata, rivelando in se stesso il Padre e il suo amore (cfr. GS 22). In Gesù Cristo ogni cammino verso l'uomo, quale è stato una volta per sempre assegnato alla Chiesa nel mutevole contesto dei tempi, è simultaneamente un andare incontro al Padre e al suo amore. Il Concilio Vaticano II ha confermato questa verità a misura dei nostri tempi.

Quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull'uomo, quanto più è, per così dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre.

Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e perfino a contrapporre il teocentrismo e l'antropocentrismo, la Chiesa invece, seguendo il Cristo, cerca di congiungerli nella storia dell'uomo in maniera organica e profonda. E questo è anche uno dei principii fondamentali, e forse il più importante, del Magistero dell'ultimo Concilio. Se, dunque, nella fase attuale della storia della Chiesa, ci proponiamo come compito preminente di attuare la dottrina del grande Concilio, dobbiamo appunto richiamarci a questo principio con fede, con mente aperta e col cuore. Già nella citata mia Enciclica ho cercato di rilevare che l'approfondimento e il multiforme arricchimento della coscienza della Chiesa, frutto del medesimo Concilio, deve aprire più ampiamente il nostro intelletto ed il nostro cuore a Cristo stesso. Oggi desidero dire che l'apertura verso Cristo, che come Redentore del mondo rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso, non può compiersi altrimenti che attraverso un sempre più maturo riferimento al Padre ed al suo amore.


2. Incarnazione della Misericordia

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Dio, che "abita una luce inaccessibile" (
1Tm 6,16), parla nello stesso tempo all'uomo col linguaggio di tutto il cosmo: "Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità" (Rm 1,20). Questa indiretta e imperfetta conoscenza, opera dell'intelletto che cerca Dio per mezzo delle creature attraverso il mondo visibile, non è ancora "visione del Padre". "Dio nessuno l'ha mai visto", scrive san Giovanni per dar maggior rilievo alla verità, secondo cui "proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Jn 1,18). Questa "rivelazione" manifesta Dio nell'insondabile mistero del suo essere - uno e trino - circondato di "luce inaccessibile" (1Tm 6,16). Mediante questa "rivelazione" di Cristo, tuttavia, conosciamo Dio innanzitutto nel suo rapporto di amore verso l'uomo: nella sua "filantropia" (Tt 3,4). E' proprio qui che "le sue perfezioni invisibili" diventano in modo particolare "visibili", incomparabilmente più visibili che attraverso tutte le altre "opere da lui compiute": esse diventano visibili in Cristo e per mezzo di Cristo, per il tramite delle sue azioni e parole e, infine, mediante la sua morte in croce e la sua risurrezione.

In tal modo, in Cristo e mediante Cristo, diventa anche particolarmente visibile Dio nella sua misericordia, cioè si mette in risalto quell'attributo della divinità, che già l'Antico Testamento, valendosi di diversi concetti e termini, ha definito "misericordia". Cristo conferisce a tutta la tradizione vetero-testamentaria della misericordia divina un significato definitivo. Non soltanto parla di essa e la spiega con l'uso di similitudini e di parabole, ma soprattutto egli stesso la incarna e la personifica. Egli stesso è, in un certo senso, la misericordia. Per chi la vede in lui - e in lui la trova - Dio diventa particolarmente "visibile" quale Padre "ricco di misericordia" (cfr. Ep 2,4).

La mentalità contemporanea, forse più di quella dell'uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende, altresi, ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l'idea stessa della misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l'uomo, il quale, grazie all'enorme sviluppo della scienza e della tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, è diventato padrone ed ha soggiogato e dominato la terra (cfr. Gn 1,28).

Tale dominio sulla terra, inteso talvolta unilateralmente e superficialmente, sembra che non lasci spazio alla misericordia. A questo proposito possiamo, tuttavia, rifarci con profitto all'immagine "della condizione dell'uomo nel mondo contemporaneo", qual è delineata all'inizio della Costituzione "Gaudium et Spes".

Vi leggiamo, tra l'altro, le seguenti frasi: "Stando così le cose, il mondo si presenta oggi potente e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell'odio. Inoltre, l'uomo si rende conto che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli" (GS 9).

La situazione del mondo contemporaneo manifesta non soltanto trasformazioni tali da far sperare in un futuro migliore dell'uomo sulla terra, ma rivela pure molteplici minacce, che oltrepassano di molto quelle finora conosciute. Senza cessare di denunciare tali minacce in diverse circostanze (come negli interventi all'ONU, all'UNESCO, alla FAO ed altrove), la Chiesa deve esaminarle, al tempo stesso, alla luce della verità ricevuta da Dio.

Rivelata in Cristo, la verità intorno a Dio "Padre delle misericordie" (2Co 1,3) ci consente di "vederlo" particolarmente vicino all'uomo, soprattutto quando questi soffre, quando viene minacciato nel nucleo stesso della sua esistenza e della sua dignità. Ed è per questo che, nell'odierna situazione della Chiesa e del mondo, molti uomini e molti ambienti guidati da un vivo senso di fede, si rivolgono, direi, quasi spontaneamente alla misericordia di Dio. Essi sono spinti certamente a farlo da Cristo stesso il quale mediante il suo Spirito opera nell'intimo dei cuori umani. Rivelato da lui, infatti, il mistero di Dio "Padre delle misericordie" diventa, nel contesto delle odierne minacce contro l'uomo, quasi un singolare appello che s'indirizza alla Chiesa.

Nella presente Enciclica desidero accogliere questo appello; desidero attingere all'eterno ed insieme, per la sua semplicità e profondità, incomparabile linguaggio della rivelazione e della fede per esprimere proprio con esso, ancora una volta, dinanzi a Dio ed agli uomini le grandi preoccupazioni del nostro tempo.

Infatti, la rivelazione e la fede ci insegnano non tanto a meditare in astratto il mistero di Dio come "Padre delle misericordie", ma a ricorrere a questa stessa misericordia nel nome di Cristo e in unione con lui. Cristo non ha forse detto che il nostro Padre, il quale "vede nel segreto" (Mt 6,4 Mt 6,6 Mt 6,18), attende, si direbbe, continuamente che noi, richiamandoci a lui in ogni necessità, scrutiamo sempre il suo mistero: il mistero del Padre e del suo amore? (cfr. Ep 3,18 Lc 11,5-13).

Desidero, quindi, che queste considerazioni rendano più vicino a tutti tale mistero e diventino, nello stesso tempo, un vibrante appello della Chiesa per la misericordia, di cui l'uomo e il mondo contemporaneo hanno tanto bisogno. E ne hanno bisogno, anche se sovente non lo sanno.



II. MESSAGGIO MESSIANICO

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3. Quando Cristo inizio a fare e ad insegnare Dinanzi ai suoi compaesani, a Nazaret, Cristo fa riferimento alle parole del profeta Isaia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore" (Lc 4,18s). Queste frasi, secondo Luca, sono la sua prima dichiarazione messianica, a cui fanno seguito i fatti e le parole conosciute per mezzo del Vangelo. Mediante quei fatti e quelle parole Cristo rende presente il Padre tra gli uomini. E' quanto mai significativo che questi uomini siano soprattutto i poveri, privi dei mezzi di sussistenza, coloro che sono privi della libertà, i ciechi che non vedono la bellezza del creato, coloro che vivono nell'afflizione del cuore, oppure soffrono a causa dell'ingiustizia sociale, ed infine i peccatori. Soprattutto nei riguardi di questi ultimi il Messia diviene un segno particolarmente leggibile di Dio che è amore, diviene segno del Padre. In tale segno visibile, al pari degli uomini di allora, anche gli uomini dei nostri tempi possono vedere il Padre.

E' significativo che, quando i messi inviati da Giovanni Battista giunsero da Gesù per domandargli: "Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?" (
Lc 7,19) egli, rifacendosi alla stessa testimonianza, con cui aveva inaugurato l'insegnamento a Nazaret, abbia risposto: "Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona novella", ed abbia poi concluso: "E beato è chiunque non si sarà scandalizzato di me!" (Lc 7,22s).

Gesù, soprattutto con il suo stile di vita e con le sue azioni, ha rivelato come nel mondo in cui viviamo è presente l'amore, l'amore operante, l'amore che si rivolge all'uomo ed abbraccia tutto ciò che forma la sua umanità.

Tale amore si fa particolarmente notare nel contatto con la sofferenza, l'ingiustizia, la povertà, a contatto con tutta la "condizione umana" storica, che in vari modi manifesta la limitatezza e la fragilità dell'uomo, sia fisica che morale. Appunto il modo e l'ambito, in cui si manifesta l'amore, viene denominato nel linguaggio biblico "misericordia".

Cristo, quindi, rivela Dio che è Padre, che è "amore", come si esprimerà nella sua prima Lettera san Giovanni (1Jn 4,16); rivela Dio "ricco di misericordia", come leggiamo in san Paolo (cfr. Ep 2,4). Tale verità, più che tema di un insegnamento, è una realtà a noi resa presente da Cristo. Il render presente il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza di Cristo stesso, la fondamentale verifica della sua missione di Messia; lo confermano le parole da lui pronunciate prima nella sinagoga di Nazaret, poi dinanzi ai suoi discepoli ed agli inviati di Giovanni Battista.

In base ad un tal modo di manifestare la presenza di Dio che è Padre, amore e misericordia, Gesù fa della misericordia stessa uno dei principali temi della sua predicazione. Come al solito, anche qui egli insegna innanzitutto "in parabole", perché queste esprimono meglio l'essenza stessa delle cose. Basta ricordare la parabola del figliol prodigo (Lc 15,11-32), oppure quella del buon Samaritano (Lc 10,30-37), ma anche - per contrasto - la parabola del servo spietato (Mt 18,23-35). Sono molti i passi dell'insegnamento di Cristo, che manifestano l'amore-misericordia sotto un aspetto sempre nuovo. E' sufficiente avere davanti agli occhi il buon pastore, che va in cerca della pecorella smarrita (Mt 18,12ss; Lc 15,3-7), oppure la donna che spazza la casa in cerca della dramma perduta (Lc 15,8ss). L'evangelista, che tratta particolarmente questi temi nell'insegnamento di Cristo, è Luca, il cui Vangelo ha meritato di essere chiamato "il Vangelo della misericordia".

Quando si parla della predicazione, si apre un problema di capitale importanza in merito al significato dei termini ed al contenuto del concetto, soprattutto al contenuto del concetto di "misericordia" (in rapporto al concetto di "amore"). La comprensione di quel contenuto è la chiave per intendere la realtà stessa della misericordia. Ed è questo quel che per noi più importa. Tuttavia, prima di dedicare un'ulteriore parte delle nostre considerazioni a questo argomento, cioè di stabilire il significato dei vocaboli e il contenuto proprio del concetto di "misericordia", è necessario costatare che Cristo, nel rivelare l'amore-misericordia di Dio, esigeva al tempo stesso dagli uomini che si facessero anche guidare nella loro vita dall'amore e dalla misericordia. Questa esigenza fa parte dell'essenza stessa del messaggio messianico, e costituisce il midollo dell'ethos evangelico. Il Maestro lo esprime sia per mezzo del comandamento da lui definito come "il più grande" (Mt 22,38), sia in forma di benedizione, quando nel Discorso della montagna proclama: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia" (Mt 5,7).

In tal modo, il messaggio messianico sulla misericordia conserva una particolare dimensione divino-umana. Cristo - quale compimento delle profezie messianiche - divenendo l'incarnazione dell'amore che si manifesta con particolare forza nei riguardi dei sofferenti, degli infelici e dei peccatori, rende presente e in questo modo rivela più pienamente il Padre, che è Dio "ricco di misericordia". Contemporaneamente, divenendo per gli uomini modello dell'amore misericordioso verso gli altri, Cristo proclama con i fatti ancor più che con le parole, quell'appello alla misericordia, che è una delle componenti essenziali dell'ethos del Vangelo. In questo caso non si tratta solo di adempiere un comandamento o una esigenza di natura etica, ma anche di soddisfare una condizione di capitale importanza, affinché Dio si possa rivelare nella sua misericordia verso l'uomo: "I misericordiosi... troveranno misericordia".


III. L'ANTICO TESTAMENTO

4 Il concetto di "misericordia" nell'Antico Testamento ha una sua lunga e ricca storia. Dobbiamo risalire ad essa, affinché risplenda più pienamente la misericordia che Cristo ha rivelato. Rivelandola sia con i fatti sia con l'insegnamento, egli si rivolgeva a uomini, che non solo conoscevano il concetto di misericordia, ma anche, come popolo di Dio dell'Antica Alleanza, avevano tratto dalla loro plurisecolare storia una peculiare esperienza della misericordia di Dio. Questa esperienza fu sociale e comunitaria, come pure individuale e interiore.

Israele, infatti, fu il popolo dell'alleanza con Dio, alleanza che molte volte infranse. Quando prendeva coscienza della propria infedeltà - e lungo la storia d'Israele non mancarono profeti e uomini che risvegliavano tale coscienza -, faceva richiamo alla misericordia. In merito, i Libri dell'Antico Testamento ci riportano moltissime testimonianze. Tra i fatti ed i testi di maggior rilievo si possono ricordare: l'inizio della storia dei Giudici (cfr.
Jg 3,7ss), la preghiera di Salomone all'inaugurazione del Tempio (cfr. 1R 8,22-53), una parte dell'intervento profetico di Michea (cfr. Mi 7,18ss), le consolanti assicurazioni offerte da Isaia (cfr. Is 1,18 Is 51,4-16), la supplica degli Ebrei esiliati (cfr. Ba 2,11 Ba 3,8), il rinnovamento dell'alleanza dopo il ritorno dall'esilio (cfr. Ne 9 - 2Esd 9).

E' significativo che i profeti, nella loro predicazione, colleghino la misericordia, alla quale fanno spesso riferimento a causa dei peccati del popolo, con l'incisiva immagine dell'amore da parte di Dio. Il Signore ama Israele con l'amore di una particolare elezione, simile all'amore di uno sposo (cfr. Os 2,21-25 Is 54,6ss) e, perciò, perdona le sue colpe e perfino le infedeltà e i tradimenti. Se si trova di fronte alla penitenza, all'autentica conversione, egli riporta di nuovo il suo popolo alla grazia (cfr. Jr 31,20; Ez 39,25-29). Nella predicazione dei profeti la misericordia significa una speciale potenza dell'amore, che prevale sul peccato e sull'infedeltà del popolo eletto.

In questo ampio contesto "sociale", la misericordia appare come elemento correlativo dell'esperienza interiore delle singole persone, che versano in stato di colpa, o subiscono ogni genere di sofferenza e sventura. Sia il male fisico che il male morale, o peccato, fanno si che i figli e le figlie di Israele si rivolgano al Signore con un appello alla sua misericordia. In tal modo si rivolge a lui Davide nella coscienza della gravità della propria colpa (cfr. 2S 11 2S 12 2S 24,10); e si rivolge, dopo le sue ribellioni, pure Giobbe nella sua tremenda sventura (cfr. Iob); a lui si rivolge anche Ester, consapevole della minaccia mortale contro il proprio popolo (Est 4,17k ss). E altri esempi troviamo ancora nei Libri dell'Antico Testamento (cfr. Ne 9,30ss; Tb 3,2s.Tb 3,11s; Tb 8,16s; 1M 4,24).

All'origine di questo multiforme convincimento comunitario e personale, qual è comprovato da tutto l'Antico Testamento nel corso dei secoli, si colloca la fondamentale esperienza del popolo eletto, vissuta all'epoca dell'esodo: il Signore osservo la miseria del suo popolo ridotto in schiavitù, udi il suo grido, conobbe le sue angosce e decise di liberarlo (cfr. Ex 3,7s). In questo atto di salvezza compiuto dal Signore il profeta seppe individuare il suo amore e la sua compassione (cfr. Is 63,9). E' proprio qui che si radica la sicurezza di tutto il popolo e di ciascuno dei suoi membri nella misericordia divina, che si può invocare in ogni circostanza drammatica.

A ciò si aggiunge il fatto che la miseria dell'uomo è anche il suo peccato. Il popolo dell'antica Alleanza conobbe questa miseria fin dai tempi dell'esodo, allorché innalzo il vitello d'oro. Su tale gesto di rottura dell'alleanza il Signore stesso trionfo, quando si dichiaro solennemente a Mosè come "Dio di tenerezza e di grazia, lento all'ira e ricco di misericordia e di fedeltà" (Ex 34,6). E' in questa rivelazione centrale che il popolo eletto e ciascuno dei suoi componenti troveranno, dopo ogni colpa, la forza e la ragione per rivolgersi al Signore, per ricordargli ciò che egli aveva esattamente rivelato di se stesso (cfr. Nb 14,18; 2Esd Ne 9,17 Ps 86,15 [85],15; Sg 15,1 Si 2,11 Jl 2,13) e per implorarne il perdono.

Così, nei fatti come nelle parole, il Signore ha rivelato la sua misericordia fin dai primordi del popolo che si è scelto e, nel corso della sua storia, questo popolo si è continuamente affidato, nelle disgrazie come nella presa di coscienza del suo peccato, al Dio delle misericordie. Tutte le sfumature dell'amore si manifestano nella misericordia del Signore verso i suoi: egli è il loro Padre (cfr. Is 63,16), poiché Israele è suo figlio. primogenito (cfr. Ex 4,22); egli è anche lo sposo di colei a cui il profeta annuncia un nome nuovo: ruhamah, "benamata", perché a lei sarà usata misericordia (cfr. Os 2,3).

Anche quando, esasperato dall'infedeltà del suo popolo, il Signore decide di farla finita con esso, sono ancora la tenerezza ed il suo amore generoso per il medesimo a fargli superare la collera (cfr. Os 11,7ss; Jr 31,20 Is 54,7s). E' facile allora comprendere perché i Salmisti, allorché desiderano cantare le più sublimi lodi del Signore, intonano inni al Dio dell'amore, della tenerezza, della misericordia e della fedeltà (cfr. Ps 103[102] e 145[144]).

Da tutto ciò si deduce che la misericordia non appartiene soltanto al concetto di Dio, ma è qualcosa che caratterizza la vita di tutto il popolo di Israele e dei suoi singoli figli e figlie: è il contenuto dell'intimità con il loro Signore, il contenuto del loro dialogo con lui. Proprio sotto questo aspetto, la misericordia viene presentata nei singoli Libri dell'Antico Testamento con una grande ricchezza di espressioni. Sarebbe forse difficile cercare in questi Libri una risposta puramente teorica alla domanda che cosa sia la misericordia in se stessa. Nondimeno, già la terminologia, che in essi è usata, può dirci moltissimo a tale proposito.

L'Antico Testamento proclama la misericordia del Signore mediante molti termini di significato affine; essi sono differenziati nel loro contenuto particolare, ma tendono, si potrebbe dire, da vari lati ad un unico contenuto fondamentale, per esprimere la sua ricchezza trascendentale e, al tempo stesso, per avvicinarla all'uomo sotto aspetti diversi. L'Antico Testamento incoraggia gli uomini sventurati, soprattutto quelli gravati dal peccato - come anche tutto Israele, che aveva aderito all'alleanza con Dio - a far appello alla misericordia, e concede loro di contare su di essa: la ricorda nei tempi di caduta e di sfiducia. In seguito, esso rende grazie e gloria per la misericordia, ogni volta che si sia manifestata e compiuta sia nella vita del popolo, sia in quella del singolo individuo.

In tal modo, la misericordia viene, in certo senso, contrapposta alla giustizia divina e si rivela, in molti casi, non solo più potente di essa, ma anche più profonda. Già l'Antico Testamento insegna che, sebbene la giustizia sia autentica virtù nell'uomo, e in Dio significhi la perfezione trascendente, tuttavia l'amore è più "grande" di essa: è più grande nel senso che è primario e fondamentale. L'amore, per così dire, condiziona la giustizia e, in definitiva, la giustizia serve la carità. Il primato e la superiorità dell'amore nei riguardi della giustizia (ciò è caratteristico di tutta la rivelazione) si manifestano proprio attraverso la misericordia. Ciò sembro tanto chiaro ai Salmisti ed ai Profeti che il termine stesso di giustizia fini per significare la salvezza realizzata dal Signore e la sua misericordia (cfr. Ps 40[39],11; 98[97],2s; Is 45,21 Is 51,5 Is 51,8 Is 56,1). La misericordia differisce dalla giustizia, pero non contrasta con essa, se ammettiamo nella storia dell'uomo - come fa appunto l'Antico Testamento - la presenza di Dio, il quale già come creatore si è legato con un particolare amore alla sua creatura. L'amore, per natura, esclude l'odio e il desiderio del male nei riguardi di colui, al quale una volta ha dato in dono se stesso: Nihil odisti eorum quae fecisti, "nulla tu disprezzi di quanto hai creato" (Sg 11,24). Queste parole indicano il fondamento profondo del rapporto tra la giustizia e la misericordia in Dio, nelle sue relazioni con l'uomo e con il mondo.

Esse dicono che dobbiamo cercare le radici vivificanti e le ragioni intime di questo rapporto risalendo al "principio", nel mistero stesso della creazione. E già nel contesto dell'antica Alleanza esse preannunciano la piena rivelazione di Dio, che "è amore" (1Jn 4,16).

Col mistero della creazione è connesso il mistero della elezione, che ha in modo speciale plasmato la storia del popolo, il cui padre spirituale è Abramo in virtù della sua fede. Tuttavia, per mezzo di questo popolo che cammina lungo la storia sia dell'antica che della nuova Alleanza, quel mistero di elezione si riferisce ad ogni uomo, a tutta la grande famiglia umana: "Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà" (Ier 31,3). "Anche se i monti vacillassero..., non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace" (Is 54,10). Questa verità, proclamata un tempo ad Israele, porta in sé la prospettiva dell'intera storia dell'uomo: prospettiva, che è insieme temporale ed escatologica (Ion 4, 2.11; Ps 145,9 Si 18,8-14 Sg 11,23 Sg 12,1). Cristo rivela il Padre nella stessa prospettiva e su un terreno già preparato, come dimostrano ampie pagine degli scritti dell'Antico Testamento. Al termine di tale rivelazione, alla vigilia della sua morte, egli dice all'apostolo Filippo le memorabili parole: "Da tanto tempo sono con voi, e tu non mi hai conosciuto...? Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Jn 14,9).



IV. LA PARABOLA DEL FIGLIOL PRODIGO

5. Analogia

5 Già alle soglie del Nuovo Testamento risuona nel Vangelo di san Luca una singolare corrispondenza tra due voci sulla misericordia divina, in cui echeggia intensamente tutta la tradizione vetero-testamentaria. Qui trovano espressione quei contenuti semantici, legati alla terminologia differenziata dei Libri antichi. Ecco Maria che, entrata nella casa di Zaccaria, magnifica il Signore con tutta l'anima "per la sua misericordia", di cui "di generazione in generazione" divengono partecipi gli uomini, che vivono nel timore di Dio. Poco dopo, commemorando l'elezione di Israele, ella proclama la misericordia, della quale "si ricorda" da sempre colui che l'ha scelta. Successivamente, alla nascita di Giovanni Battista, nella stessa casa, suo padre Zaccaria, benedicendo il Dio di Israele, glorifica la misericordia che egli "ha concesso... ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza" (Lc 1,72).

Nell'insegnamento di Cristo stesso questa immagine, ereditata dall'Antico Testamento, si semplifica ed insieme si approfondisce. Ciò è forse più evidente nella parabola del figliol prodigo (cfr. Lc 15,11-32), in cui l'essenza della misericordia divina, benché la parola "misericordia" non vi ricorra, viene espressa tuttavia in modo particolarmente limpido. A ciò contribuisce non tanto la terminologia, come nei Libri vetero-testamentari, ma l'analogia che consente di comprendere più pienamente il mistero stesso della misericordia, quale dramma profondo che si svolge tra l'amore del padre e la prodigalità e il peccato del figlio.

Quel figlio, che riceve dal padre la porzione di patrimonio che gli spetta e lascia la casa per sperperarla in un paese lontano, "vivendo da dissoluto", è in certo senso l'uomo di tutti i tempi, cominciando da colui che per primo perdette l'eredità della grazia e della giustizia originaria. L'analogia è a questo punto molto ampia. La parabola tocca indirettamente ogni rottura dell'alleanza d'amore, ogni perdita della grazia, ogni peccato. In questa analogia è messa meno in rilievo l'infedeltà di tutto il popolo di Israele, rispetto a quanto avveniva nella tradizione profetica, sebbene a quell'infedeltà si possa anche estendere l'analogia del figliol prodigo. Quel figlio, "quando ebbe speso tutto..., comincio a trovarsi nel bisogno", tanto più che venne una grande carestia "in quel paese", in cui si era recato dopo aver lasciato la casa paterna.

E in questa situazione "avrebbe voluto saziarsi" con qualunque cosa, magari anche "con le carrube che mangiavano i porci", da lui pascolati per conto di "uno degli abitanti di quella regione". Ma perfino questo gli veniva rifiutato.

L'analogia si sposta chiaramente verso l'interno dell'uomo. Il patrimonio che quel tale aveva ricevuto dal padre era una risorsa di beni materiali, ma più importante di questi beni era la sua dignità di figlio nella casa paterna. La situazione, in cui si venne a trovare al momento della perdita dei beni materiali, doveva renderlo cosciente della perdita di questa dignità.

Egli non vi aveva pensato prima, quando aveva chiesto al padre di dargli la parte del patrimonio che gli spettava per andar via. E sembra che non ne sia consapevole neppure adesso, quando dice a se stesso: "Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza, ed io qui muoio di fame"! Egli misura se stesso con il metro dei beni che aveva perduto, che non "possiede" più, mentre i salariati in casa di suo padre li "posseggono". Queste parole esprimono soprattutto il suo atteggiamento verso i beni materiali; nondimeno, sotto la superficie di esse, si cela il dramma della dignità perduta, la coscienza della figliolanza sciupata.

E' allora che egli prende la decisione: "Mi levero e andro da mio padre e gli diro: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni" (Lc 15,18s).

Parole, queste, che svelano più a fondo il problema essenziale. Attraverso la complessa situazione materiale, in cui il figliol prodigo era venuto a trovarsi a causa della sua leggerezza, a causa del peccato, era maturato il senso della dignità perduta. Quando egli decide di ritornare alla casa paterna, di chiedere al padre di essere accolto - non già in virtù del diritto di figlio, ma in condizione di mercenario -, sembra esteriormente agire a motivo della fame e della miseria, in cui è caduto; questo motivo è, pero, permeato dalla coscienza di una perdita più profonda: essere un garzone nella casa del proprio padre è certamente una grande umiliazione e vergogna. Nondimeno, il figliol prodigo è pronto ad affrontare tale umiliazione e vergogna. Egli si rende conto che non ha più alcun diritto, se non quello di essere mercenario nella casa del padre. La sua decisione è presa in piena coscienza di ciò che ha meritato e di ciò a cui può ancora aver diritto secondo le norme della giustizia. Proprio questo ragionamento dimostra che, al centro della coscienza del figliol prodigo, emerge il senso della dignità perduta, di quella dignità che scaturisce dal rapporto del figlio col padre. Ed è con tale decisione che egli si mette per strada.

Nella parabola del figliol prodigo non è usato neanche una sola volta il termine "giustizia", così come, nel testo originale, non è usato quello di "misericordia"; tuttavia, il rapporto della giustizia con l'amore, che si manifesta come misericordia, viene con grande precisione inscritto nel contenuto della parabola evangelica. Diviene più palese che l'amore si trasforma in misericordia, quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta. Il figliol prodigo, consumate le sostanze ricevute dal padre, merita- dopo il ritorno- di guadagnarsi da vivere lavorando nella casa paterna come mercenario, ed eventualmente, a poco a poco, di conseguire una certa provvista di beni materiali, forse pero mai più nella quantità, in cui li aveva sperperati. Tale sarebbe l'esigenza dell'ordine di giustizia, tanto più che quel figlio non soltanto aveva dissipato la parte del patrimonio spettantegli, ma inoltre aveva toccato sul vivo ed offeso il padre con la sua condotta. Questa, infatti, che a suo giudizio l'aveva privato della dignità filiale, non doveva essere indifferente al padre. Doveva farlo soffrire. Doveva anche, in qualche modo, coinvolgerlo. Eppure si trattava, in fin dei conti, del proprio figlio, e tale rapporto non poteva essere né alienato, né distrutto da nessun comportamento.

Il figliol prodigo ne è consapevole, ed è appunto tale consapevolezza a mostrargli chiaramente la dignità perduta ed a fargli valutare rettamente il posto, che ancora poteva spettargli nella casa del padre.




Dives in misericordia