Dives in misericordia 11

11. Fonti di inquietudine

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Pertanto, nel nostro mondo aumenta il senso di minaccia. Aumenta quel timore esistenziale collegato soprattutto - come ho già accennato nell'Enciclica "Redemptor Hominis" - con la prospettiva di un conflitto, che, in considerazione degli odierni arsenali atomici, potrebbe significare la parziale autodistruzione dell'umanità. Tuttavia, la minaccia non concerne soltanto ciò che gli uomini possono fare agli uomini, servendosi dei mezzi della tecnica militare; essa riguarda anche molti altri pericoli, che sono il prodotto di una civiltà materialistica, la quale - nonostante dichiarazioni "umanistiche" - accetta il primato delle cose sulla persona. L'uomo contemporaneo ha, dunque, paura che, con l'uso dei mezzi inventati da questo tipo di civiltà, i singoli individui ed anche gli ambienti, le comunità, le società, le nazioni, possano rimanere vittima del sopruso di altri individui, ambienti, società. La storia del nostro secolo ne offre esempi in abbondanza. Malgrado tutte le dichiarazioni sui diritti dell'uomo nella sua dimensione integrale, cioè nella sua esistenza corporea e spirituale, non possiamo dire che questi esempi appartengano soltanto al passato.

L'uomo ha giustamente paura di restar vittima di una oppressione che lo privi della libertà interiore, della possibilità di esternare la verità di cui è convinto, della fede che professa, della facoltà di obbedire alla voce della coscienza che gli indica la retta via da seguire. I mezzi tecnici a disposizione della civiltà odierna celano, infatti, non soltanto la possibilità di un'autodistruzione per via di un conflitto militare, ma anche la possibilità di un soggiogamento a pacifico" degli individui, degli ambiti di vita, di società intere e di nazioni, che per qualsiasi motivo possono riuscire scomodi per coloro i quali dispongono dei relativi mezzi e sono pronti a servirsene senza scrupolo. Si pensi anche alla tortura, tuttora esistente nel mondo, esercitata sistematicamente dall'autorità come strumento di dominio o di sopraffazione politica, e impunemente praticata dai subalterni.

Così, dunque, accanto alla coscienza della minaccia biologica, cresce la coscienza di un'altra minaccia, che ancor più distrugge ciò che è essenzialmente umano, ciò che è intimamente collegato con la dignità della persona, con il suo diritto alla verità e alla libertà.

E tutto ciò si svolge sullo sfondo del gigantesco rimorso costituito dal fatto che, accanto agli uomini ed alle società agiate e sazie, viventi nell'abbondanza, soggette al consumismo e al godimento, non mancano nella stessa famiglia umana né gli individui, né i gruppi sociali che soffrono la fame. Non mancano i bambini che muoiono di fame sotto gli occhi delle loro madri. Non mancano in varie parti del mondo, in vari sistemi socio-economici, intere aree di miseria, di deficienza e di sottosviluppo. Tale fatto è universalmente noto. Lo stato di diseguaglianza tra uomini e popoli non soltanto perdura, ma aumenta.

Avviene tuttora che, accanto a coloro che sono agiati e vivono nell'abbondanza, esistono quelli che vivono nell'indigenza, soffrono la miseria e spesso addirittura muoiono di fame; e il loro numero raggiunge decine e centinaia di milioni. E per questo che l'inquietudine morale è destinata a divenire ancor più profonda. Evidentemente, un fondamentale difetto o, piuttosto un complesso di difetti, anzi un meccanismo difettoso sta alla base dell'economia contemporanea e della civiltà materialistica, la quale non consente alla famiglia umana di staccarsi, direi, da situazioni così radicalmente ingiuste.

Questa immagine del mondo d'oggi, in cui esiste tanto male sia fisico che morale, tale da farne un mondo aggrovigliato in contraddizioni e tensioni e, in pari tempo, pieno di minacce dirette contro la libertà umana, la coscienza e la religione, spiega l'inquietudine a cui va soggetto l'uomo contemporaneo. Tale inquietudine è avvertita non soltanto da coloro che sono svantaggiati od oppressi, ma anche da coloro che fruiscono dei privilegi della ricchezza, del progresso, del potere. E, sebbene non manchino anche quelli che cercano di scorgere le cause di tale inquietudine, oppure di reagire con i mezzi provvisori offerti loro dalla tecnica, dalla ricchezza o dal potere, tuttavia nel più profondo dell'animo umano quell'inquietudine supera tutti i mezzi provvisori. Essa riguarda - come hanno giustamente rilevato le analisi del Concilio Vaticano II - i problemi fondamentali di tutta l'esistenza umana. Questa inquietudine è legata con il senso stesso dell'esistenza dell'uomo nel mondo, ed è inquietudine per l'avvenire dell'uomo e di tutta l'umanità; essa esige risoluzioni decisive, che sembrano ormai imporsi al genere umano.

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12. Basta la giustizia? Non è difficile costatare che nel mondo contemporaneo il senso della giustizia si è risvegliato su vasta scala; e senza dubbio esso pone maggiormente in rilievo ciò che contrasta con la giustizia sia nei rapporti tra gli uomini, i gruppi sociali o le "classi", sia tra i singoli popoli e stati e, infine, tra interi sistemi politici ed anche tra interi, cosiddetti, mondi. Questa profonda e multiforme corrente, alla cui base la coscienza umana contemporanea ha posto la giustizia, attesta il carattere etico delle tendoni e delle lotte che pervadono il mondo.

La Chiesa condivide con gli uomini del nostro tempo questo profondo e ardente desiderio di una vita giusta sotto ogni aspetto, e non omette neppure di sottoporre alla riflessione i vari aspetti di quella giustizia, quale la vita degli uomini e delle società esige. Ne è conferma il campo della dottrina sociale cattolica, ampiamente sviluppata nell'arco dell'ultimo secolo. Sulle orme di tale insegnamento procedono sia l'educazione e la formazione delle coscienze umane nello spirito della giustizia, da anche le singole iniziative, specie nell'ambito dell'apostolato dei laici, che appunto in tale spirito si vanno sviluppando.

Tuttavia, sarebbe difficile non avvedersi che molto spesso i programmi, che prendono aiuto dall'idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, dei gruppi e delle società umane, in pratica subiscono deformazioni. Benché essi continuino a richiamarsi alla medesima idea di giustizia, tuttavia l'esperienza dimostra che sulla giustizia hanno preso il sopravvento altre forze negative, quali il rancore, l'odio e perfino la crudeltà. In tal caso, la brama di annientare il nemico, di limitare la sua libertà, o addirittura di imporgli una dipendenza totale, diventa il motivo fondamentale dell'azione; e ciò contrasta con l'essenza della giustizia che, per sua natura, tende a stabilire l'eguaglianza e l'equiparazione tra le parti in conflitto. Questa specie di abuso dell'idea di giustizia e la pratica alterazione di essa attestano quanto l'azione umana possa allontanarsi dalla giustizia stessa, pur se venga intrapresa nel suo nome. Non invano Cristo contestava ai suoi ascoltatori, fedeli alla dottrina dell'Antico Testamento, l'atteggiamento che si manifestava nelle parole: "Occhio per occhio e dente per dente" (
Mt 5,38). Questa era la forma di alterazione della giustizia in quel tempo; e le forme di oggi continuano a modellarsi su di essa. E' ovvio, infatti, che in nome di una presunta giustizia (ad esempio, storica o di classe) talvolta si annienta il prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari diritti umani.

L'esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all'annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l'amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni. E' stata appunto l'esperienza storica che, fra l'altro, ha portato a formulare l'asserzione: summum ius, summa iniuria. Tale affermazione non svaluta la giustizia e non attenua il significato dell'ordine che su di essa si instaura; ma indica solamente, sotto altro aspetto, la necessità di attingere alle forze dello spirito, ancor più profonde, che condizionano l'ordine stesso della giustizia.

Avendo davanti agli occhi l'immagine della generazione a cui apparteniamo, la Chiesa condivide l'inquietudine di tanti uomini contemporanei.

D'altronde, deve anche preoccupare il declino di molti valori fondamentali, che costituiscono un bene incontestabile non soltanto della morale cristiana, ma semplicemente della morale umana, della cultura morale, quali il rispetto per la vita umana sin dal momento del concepimento, il rispetto per il matrimonio nella sua unità indissolubile, il rispetto per la stabilità della famiglia. Il permissivismo morale colpisce soprattutto questo ambito più sensibile della vita e della convivenza umana. Di pari passo con ciò vanno la crisi della verità nei rapporti interumani, la mancanza di responsabilità nel parlare, il rapporto puramente utilitario dell'uomo con l'uomo, il venir meno del senso dell'autentico bene comune e la facilità con cui questo viene alienato. Infine, c'è la desacralizzazione che si trasforma spesso in "disumanizzazione": l'uomo e la società, per i quali niente è "sacro", decadono moralmente, nonostante ogni apparenza.

VII. LA MISERICORDIA DI DIO NELLA MISSIONE DELLA CHIESA


In relazione a tale immagine della nostra generazione, che non può non suscitare una profonda inquietudine, tornano in mente le parole che, a motivo dell'incarnazione del Figlio di Dio, risonarono nel Magnificat di Maria e che cantano la "misericordia... di generazione in generazione". Conservando sempre nel cuore l'eloquenza di queste ispirate parole, ed applicandole alle esperienze e alle sofferenze proprie della grande famiglia umana, occorre che la Chiesa del nostro tempo prenda più profonda e particolare coscienza della necessità di render testimonianza alla misericordia di Dio in tutta la sua missione, sulle orme della tradizione dell'antica e della nuova Alleanza e, soprattutto, dello stesso Gesù Cristo e dei suoi apostoli. La Chiesa deve rendere testimonianza alla misericordia di Dio rivelata in Cristo, nell'intera sua missione di Messia, professandola in primo luogo come verità salvifica di fede e necessaria ad una vita coerente con la fede, poi cercando di introdurla e di incarnarla nella vita sia dei suoi fedeli sia, per quanto possibile, in quella di tutti gli uomini di buona volontà. Infine, la Chiesa - professando la misericordia e rimanendole sempre fedele - ha il diritto e il dovere di richiamarsi alla misericordia di Dio, implorandola di fronte a tutti i fenomeni del male fisico e morale, dinanzi a tutte le minacce che gravano sull'intero orizzonte della vita dell'umanità contemporanea.

La Chiesa professa la misericordia di Dio e la proclama

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13. La Chiesa deve professare e proclamare la misericordia divina in tutta la verità, quale ci è tramandata dalla rivelazione. Abbiamo cercato, nelle pagine precedenti del presente documento, di delineare almeno il profilo di questa verità, che trova così ricca espressione in tutta la Sacra Scrittura e nella Sacra Tradizione. Nella vita quotidiana della Chiesa la verità circa la misericordia di Dio, espressa nella Bibbia, risuona quale eco perenne attraverso numerose letture della Sacra Liturgia. La percepisce l'autentico senso della fede del Popolo di Dio, come attestano varie espressioni della pietà personale e comunitaria. Sarebbe certamente difficile elencarle e riassumerle tutte, poiché la maggior parte di esse è vivamente iscritta nell'intimo dei cuori e delle coscienze umane. Se alcuni teologi affermano che la misericordia è il più grande fra gli attributi e le perfezioni di Dio, la Bibbia, la Tradizione e tutta la vita di fede del Popolo di Dio ne forniscono peculiari testimonianze. Non si tratta qui della perfezione dell'inscrutabile essenza di Dio nel mistero della divinità stessa, ma della perfezione e dell'attributo per cui l'uomo nell'intima verità della sua esistenza, s'incontra particolarmente da vicino e particolarmente spesso con il Dio vivo.

Conformemente alle parole che Cristo rivolse a Filippo (cfr.
Jn 14,9s), "la visione del Padre" - visione di Dio mediante la fede - trova appunto nell'incontro con la sua misericordia un singolare momento di interiore semplicità e verità, simile a quella che riscontriamo nella parabola del figliol prodigo.

"Chi ha visto me, ha visto il Padre" (cfr. Jn 14,9s). La Chiesa professa la misericordia di Dio, la Chiesa ne vive nella sua ampia esperienza di fede ed anche nel suo insegnamento, contemplando costantemente Cristo, concentrandosi in lui, sulla sua vita e sul suo Vangelo, sulla sua croce e risurrezione, sull'intero suo mistero. Tutto ciò che forma la "visione" di Cristo nella viva fede e nell'insegnamento della Chiesa ci avvicina alla "visione del Padre" nella santità della sua misericordia. La Chiesa sembra professare in modo particolare la misericordia di Dio e venerarla, rivolgendosi al Cuore di Cristo. Infatti, proprio l'accostarsi a Cristo nel mistero del suo Cuore ci consente di soffermarci su questo punto - in un certo senso, centrale e, nello stesso tempo, più accessibile sul piano umano - della rivelazione dell'amore misericordioso del Padre, che ha costituito il contenuto centrale della missione messianica del Figlio dell'Uomo.

La Chiesa vive una vita autentica, quando professa e proclama la misericordia - il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore - e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore, di cui essa è depositaria e dispensatrice. Gran significato ha in questo ambito la costante meditazione della parola di Dio e, soprattutto, la partecipazione cosciente e matura all'Eucaristia e al sacramento della penitenza o riconciliazione.

L'Eucaristia ci avvicina sempre a quell'amore, che è più potente della morte: "Ogni volta - infatti - che mangiamo di questo pane e beviamo di questo calice", non soltanto annunciamo la morte del Redentore, ma ne proclamiamo anche la risurrezione, "nell'attesa della sua venuta" nella gloria (cfr. 1Co 11,26). Lo stesso rito eucaristico, celebrato in memoria di colui che nella sua missione messianica ci ha rivelato il Padre, per mezzo della parola e della croce, attesta quell'inesauribile amore, in virtù del quale egli desidera sempre unirsi ed immedesimarsi con noi, andando incontro a tutti i cuori umani. E' il sacramento della penitenza o riconciliazione che appiana la strada ad ognuno, perfino quando è gravato di grandi colpe. In questo sacramento ogni uomo può sperimentare in modo singolare la misericordia, cioè quell'amore che è più potente del peccato. Se ne è parlato già nell'Enciclica "Redemptor Hominis"; converrà, tuttavia, tornare ancora una volta su questo tema fondamentale.

Appunto perché esiste il peccato nel mondo, che "Dio ha tanto amato... da dare il suo Figlio unigenito" (Jn 3,16), Dio che "è amore" (1Jn 4,8) non può rivelarsi altrimenti se non come misericordia. Questa corrisponde non soltanto alla più profonda verità di quell'amore che è Dio, ma anche a tutta l'interiore verità dell'uomo e del mondo che è la sua patria temporanea.

La misericordia in se stessa, come perfezione di Dio infinito, è anche infinita. Infinita, quindi, ed inesauribile è la prontezza del Padre nell'accogliere i figli prodighi che tornano alla sua casa. Sono infinite la prontezza e la forza di perdono, che scaturiscono continuamente dal mirabile valore del sacrificio del Figlio. Nessun peccato umano prevale su questa forza e nemmeno la limita. Da parte dell'uomo può limitarla soltanto la mancanza di buona volontà, la mancanza di prontezza nella conversione e nella penitenza, cioè il perdurare nell'ostinazione, contrastando la grazia e la verità, specie di fronte alla testimonianza della croce e della risurrezione di Cristo.

Pertanto, la Chiesa professa e proclama la conversione. La conversione a Dio consiste sempre nello scoprire la sua misericordia, cioè quell'amore che è paziente e benigno (cfr. 1Co 13,4) a misura del Creatore e Padre: l'amore, a cui "Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo" (2Co 1,3), è fedele fino alle estreme conseguenze nella storia dell'alleanza con l'uomo: fino alla croce, alla morte e risurrezione del Figlio. La conversione a Dio è sempre frutto del "ritrovamento" di questo Padre, che è ricco di misericordia.

L'autentica conoscenza del Dio della misericordia, dell'amore benigno è una costante ed inesauribile fonte di conversione, non soltanto come momentaneo atto interiore, ma anche come stabile disposizione, come stato d'animo. Coloro che in tal modo arrivano a conoscere Dio, che in tal modo lo "vedono", non possono vivere altrimenti che convertendosi continuamente a lui. Vivono, dunque, in statu conversionis; ed è questo stato che traccia la più profonda componente del pellegrinaggio di ogni uomo sulla terra in statu viatoris. E' evidente che la Chiesa professa la misericordia di Dio, rivelata in Cristo crocifisso e risorto, non soltanto con la parola del suo insegnamento, ma soprattutto con la più profonda pulsazione della vita di tutto il Popolo di Dio. Mediante questa testimonianza di vita la Chiesa compie la missione propria del Popolo di Dio, missione che è partecipazione e, in un certo senso, continuazione di quella messianica di Cristo stesso.

La Chiesa contemporanea è profondamente consapevole che soltanto sulla base della misericordia di Dio potrà dare attuazione ai compiti che scaturiscono dalla dottrina del Concilio Vaticano II e, in primo luogo, al compito ecumenico che tende ad unire quanti confessano Cristo. Avviando molteplici sforzi in tale direzione, la Chiesa confessa con umiltà che solo quell'amore, che è più potente della debolezza delle divisioni umane, può realizzare definitivamente quella unità, che Cristo implorava dal Padre e che lo Spirito non cessa di chiedere per noi "con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26).

La Chiesa cerca di attuare la misericordia

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14. Gesù Cristo ha insegnato che l'uomo non soltanto riceve e sperimenta la misericordia di Dio, ma che è pure chiamato a "usar misericordia" verso gli altri: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia" (
Mt 5,7). La Chiesa vede in queste parole un appello all'azione e si sforza di praticare la misericordia.

Se tutte le beatitudini del Discorso della montagna indicano la via della conversione e del cambiamento della vita, quella che riguarda i misericordiosi è, a tale proposito, particolarmente eloquente. L'uomo giunge all'amore misericordioso di Dio, alla sua misericordia, in quanto egli stesso interiormente si trasforma nello spirito di tale amore verso il prossimo.

Questo processo autenticamente evangelico non è soltanto una svolta spirituale realizzata una volta per sempre, ma è tutto uno stile di vita, una caratteristica essenziale e continua della vocazione cristiana. Esso consiste nella costante scoperta e nella perseverante attuazione dell'amore come forza unificante ed insieme elevante, nonostante tutte le difficoltà di natura psicologica e sociale; si tratta, infatti di un amore misericordioso che, per sua essenza, è amore creatore. L'amore misericordioso, nei rapporti reciproci tra gli uomini, non è mai un atto o un processo unilaterale. Perfino nei casi, in cui tutto sembrerebbe indicare che soltanto una parte sia quella che dona ed offre, e l'altra quella che soltanto riceve e prende (ad esempio, nel caso del medico che cura, del maestro che insegna, dei genitori che mantengono ed educano i figli, del benefattore che soccorre i bisognosi), in verità, tuttavia, anche colui che dona viene sempre beneficato. In ogni caso, anche questi può facilmente ritrovarsi nella posizione di colui che riceve, che ottiene un beneficio, che prova l'amore misericordioso, che si trova ad essere oggetto di misericordia.

Cristo crocifisso, in questo senso, è per noi il modello, l'ispirazione e l'incitamento più alto. Basandoci su questo sconvolgente modello, possiamo con tutta umiltà manifestare misericordia agli altri, sapendo che egli l'accoglie come dimostrata a se stesso (cfr. Mt 25,34-40). Sulla base di questo modello, dobbiamo anche purificare continuamente tutte le nostre azioni e tutte le nostre intenzioni, in cui la misericordia viene intesa e praticata in modo unilaterale, come bene fatto agli altri. Solo allora, in effetti, essa è realmente un atto di amore misericordioso: quando, attuandola, siamo profondamente convinti che, al tempo stesso, noi la sperimentiamo da parte di coloro che l'accettano da noi. Se manca questa bilateralità, questa reciprocità, le nostre azioni non sono ancora autentici atti di misericordia, né in noi si è ancora compiuta pienamente la conversione, la cui strada ci è stata manifestata da Cristo con la parola e con l'esempio fino alla croce, né partecipiamo ancora completamente alla magnifica fonte dell'amore misericordioso, che ci è stata da lui rivelata.

Così, dunque, la via che Cristo ci ha manifestato nel Discorso della montagna con la beatitudine dei misericordiosi, è molto più ricca di ciò che a volte possiamo avvertire nei comuni giudizi umani sul tema della misericordia.

Tali giudizi ritengono la misericordia come un atto o processo unilaterale, che presuppone e mantiene le distanze tra colui che usa misericordia e colui che ne viene gratificato, tra chi fa il bene e chi lo riceve. Di qui deriva la pretesa di liberare i rapporti interumani e sociali dalla misericordia e di basarli solamente sulla giustizia. Tuttavia, tali giudizi sulla misericordia non avvertono quel fondamentale legame tra la misericordia e la giustizia, del quale parla tutta la tradizione biblica e, soprattutto, la missione messianica di Gesù Cristo.

L'autentica misericordia è, per così dire, la fonte più profonda della giustizia.

Se quest'ultima è di per sé idonea ad "arbitrare" tra gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l'equa misura, l'amore invece, e soltanto l'amore (anche quell'amore benigno, che chiamiamo "misericordia"), è capace di restituire l'uomo a se stesso.

La misericordia autenticamente cristiana è pure, in certo senso, la più perfetta incarnazione dell'"eguaglianza" tra gli uomini, e quindi anche l'incarnazione più perfetta della giustizia, in quanto anche questa, nel suo ambito, mira allo stesso risultato. L'eguaglianza introdotta mediante la giustizia si limita, pero, all'ambito dei beni oggettivi ed estrinseci, mentre l'amore e la misericordia fanno si che gli uomini s'incontrino tra loro in quel valore che è l'uomo stesso, con la dignità che gli è propria. In pari tempo, l'"eguaglianza" degli uomini mediante l'amore "paziente e benigno" (cfr. 1Co 13,4) non cancella le differenze: colui che dona diventa più generoso, quando si sente contemporaneamente gratificato da colui che accoglie il suo dono; viceversa, colui che sa ricevere il dono con la consapevolezza che anch'egli, accogliendolo, fa del bene, serve da parte sua alla grande causa della dignità della persona, e ciò contribuisce a unire gli uomini fra di loro in modo più profondo.

Così, dunque, la misericordia diviene elemento indispensabile per plasmare i mutui rapporti tra gli uomini, nello spirito del più profondo rispetto di ciò che è umano e della reciproca fratellanza. E' impossibile ottenere questo vincolo tra gli uomini, se si vogliono regolare i mutui rapporti unicamente con la misura della giustizia. Questa, in ogni sfera dei rapporti interumani, deve subire, per così dire, una notevole "correzione" da parte di quell'amore, il quale - come proclama san Paolo - "è paziente" e "benigno" o, in altre parole, porta in sé i caratteri dell'amore misericordioso, tanto essenziali per il Vangelo e per il cristianesimo. Ricordiamo, inoltre, che l'amore misericordioso indica anche quella cordiale tenerezza e sensibilità, di cui tanto eloquentemente ci parla la parabola del figliol prodigo (cfr. Lc 15,11-32), o anche quelle della pecorella e della dramma smarrita (cfr. Lc 15,1-10). Pertanto, l'amore misericordioso è sommamente indispensabile tra coloro che sono più vicini: tra i coniugi, tra i genitori e i figli, tra gli amici; esso è indispensabile nell'educazione e nella pastorale.

Il suo raggio d'azione, pero, non trova qui il suo termine. Se Paolo VI indicava a più riprese la "civiltà dell'amore" come fine, a cui debbono tendere tutti gli sforzi in campo sociale e culturale, come pure in campo economico e politico, occorre aggiungere che questo fine non sarà mai conseguito, se nelle nostre concezioni ed attuazioni, relative alle ampie e complesse sfere della convivenza umana, ci arresteremo al criterio dell'"occhio per occhio, dente per dente" (Mt 5,38) e non tenderemo, invece, a trasformarlo essenzialmente, completandolo con un altro spirito. Di certo, in tale direzione ci conduce anche il Concilio Vaticano II quando, parlando ripetutamente della necessità di rendere il mondo più umano (GS 40), individua la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo appunto nella realizzazione di tale compito. Il mondo degli uomini può diventare sempre più umano, solo se introdurremo nel multiforme ambito dei rapporti interumani e sociali, insieme alla giustizia, quell'"amore misericordioso" che costituisce il messaggio messianico del Vangelo.

Il mondo degli uomini potrà diventare "sempre più umano", solo quando in tutti i rapporti reciproci, che plasmano il suo volto morale, introdurremo il momento del perdono, così essenziale per il Vangelo. Il perdono attesta che nel mondo è presente l'amore più potente del peccato. Il perdono è, inoltre, la fondamentale condizione della riconciliazione, non soltanto nel rapporto di Dio con l'uomo, ma anche nelle reciproche relazioni tra gli uomini. Un mondo, da cui si eliminasse il perdono, sarebbe soltanto un mondo di giustizia fredda e irrispettosa, nel nome della quale ognuno rivendicherebbe i propri diritti nei confronti dell'altro; così gli egoismi di vario genere, sonnecchianti nell'uomo, potrebbero trasformare la vita e la convivenza umana in un sistema di oppressione dei più deboli da parte dei più forti, oppure in un'arena di permanente lotta degli uni contro gli altri.

perciò, la Chiesa deve considerare come uno dei suoi principali doveri - in ogni tappa della storia e, specialmente, nell'età contemporanea - quello di proclamare e di introdurre nella vita il mistero della misericordia, rivelato in sommo grado in Gesù Cristo. Questo mistero, non soltanto per la Chiesa stessa come comunità dei credenti, ma anche, in certo senso, per tutti gli uomini, è fonte di una vita diversa da quella che l'uomo, esposto alle forze prepotenti della triplice concupiscenza, operanti in lui (cfr. 1Jn 2,16), è in grado di costruire.

E' appunto in nome di questo mistero che Cristo ci insegna a perdonare sempre.

Quante volte ripetiamo le parole della preghiera, ch'egli stesso ci ha insegnato, chiedendo: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori", cioè a coloro che sono colpevoli di qualcosa nei nostri riguardi! (Mt 6,12). E' davvero difficile esprimere il profondo valore dell'atteggiamento, che tali parole tracciano e inculcano. Quante cose queste parole dicono ad ogni uomo sul suo simile ed anche su di lui stesso! La coscienza di essere debitori gli uni degli altri va di pari passo con la chiamata alla solidarietà fraterna, che san Paolo ha espresso nel conciso invito a sopportarsi "a vicenda con amore" (Ep 4,2 cfr. Ga 6,2). Quale lezione di umiltà è qui racchiusa nei riguardi dell'uomo, in pari tempo del prossimo e di se stessi! Quale scuola di buona volontà per la convivenza di ogni giorno, nelle varie condizioni della nostra esistenza! Se disattendessimo questa lezione, che cosa rimarrebbe di qualsiasi programma "umanistico" della vita e dell'educazione? Cristo sottolinea con tanta insistenza la necessità di perdonare gli altri, che a Pietro, il quale gli aveva chiesto quante volte avrebbe dovuto perdonare il prossimo, indico la cifra simbolica di "settanta volte sette" (Mt 18,22), volendo dire, con questo, che avrebbe dovuto saper perdonare a ciascuno ed ogni volta. E' ovvio che una così generosa esigenza di perdonare non annulla le oggettive esigenze della giustizia. La giustizia, propriamente intesa, costituisce, per così dire, lo scopo del perdono. In nessun passo del messaggio evangelico il perdono, e neanche la misericordia come sua fonte, significano indulgenza verso il male, verso lo scandalo, verso il torto o l'oltraggio arrecato. In ogni caso, la riparazione del male e dello scandalo, il risarcimento del torto, la soddisfazione dell'oltraggio sono condizione del perdono.

Così, dunque, la fondamentale struttura della giustizia penetra sempre nel campo della misericordia. Questa, pero, ha la forza di conferire alla giustizia un contenuto nuovo, che si esprime nel modo più semplice e pieno nel perdono. Esso, infatti, manifesta che, oltre al processo di "compensazione" e di "tregua", che è specifico della giustizia, è necessario l'amore, perché l'uomo si affermi come tale. L'adempimento delle condizioni della giustizia è indispensabile, soprattutto, affinché l'amore possa rivelare il proprio volto.

Nell'analizzare la parabola del figliol prodigo, abbiamo già richiamato l'attenzione sul fatto che colui che perdona e colui che viene perdonato si incontrano in un punto essenziale, che è la dignità, ossia l'essenziale valore dell'uomo, che non può andar perduto e la cui affermazione, o il cui ritrovamento è fonte della più grande gioia (cfr. Lc 15,32).

La Chiesa ritiene giustamente come proprio dovere, come scopo della propria missione, quello di custodire l'autenticità del perdono, tanto nella vita e nel comportamento, quanto nell'educazione e nella pastorale. Essa la protegge non altrimenti che custodendo la sua fonte, cioè il mistero della misericordia di Dio stesso, rivelato in Gesù Cristo.

Alla base della missione della Chiesa, in tutte le sfere di cui parlano numerose indicazioni del più recente Concilio e la plurisecolare esperienza dell'apostolato, non vi è altro che l'attingere alle fonti del Salvatore (cfr. Is 12,3): è questo che traccia molteplici orientamenti alla missione della Chiesa nella vita dei singoli cristiani, delle singole comunità ed anche dell'intero Popolo di Dio. Questo "attingere alle fonti del Salvatore" non può essere realizzato in altro modo, se non nello spirito di quella povertà, a cui ci ha chiamato il Signore con la parola e con l'esempio: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10,8). così, in tutte le vie della vita e del ministero della Chiesa - attraverso la povertà evangelica dei ministri e dispensatori, e dell'intero popolo, che rende testimonianza "alle grandi opere" del suo Signore - si è manifestato ancor meglio il Dio "ricco di misericordia".

VIII. PREGHIERA DELLA CHIESA DEI NOSTRI TEMPI


La Chiesa fa appello alla misericordia divina

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15. La Chiesa proclama la verità della misericordia di Dio, rivelata in Cristo crocifisso e risorto, e la professa in vari modi. Inoltre, essa cerca di attuare la misericordia verso gli uomini attraverso gli uomini, vedendo in ciò un'indispensabile condizione della sollecitudine per un mondo migliore e "più umano", oggi e domani. Tuttavia, in nessun momento e in nessun periodo storico - specialmente in un'epoca così critica come la nostra - la Chiesa può dimenticare la preghiera, che è grido alla misericordia di Dio dinanzi alle molteplici forme di male che gravano sull'umanità e la minacciano. Proprio questo è il fondamentale diritto-dovere della Chiesa, in Cristo Gesù: è il diritto-dovere della Chiesa verso Dio e verso gli uomini. Quanto più la coscienza umana, soccombendo alla secolarizzazione, perde il senso del significato stesso della parola "misericordia", quanto più, allontanandosi da Dio, si distanzia dal mistero della misericordia, tanto più la Chiesa ha d diritto e il dovere di far appello al Dio della misericordia "con forti grida" (cfr.
He 5,7). Queste "forti grida" debbono essere proprie della Chiesa dei nostri tempi, rivolte a Dio per implorare la sua misericordia, la cui certa manifestazione essa professa e proclama come avvenuta in Gesù crocifisso e risorto, cioè nel mistero pasquale. E' questo mistero che porta in sé la più completa rivelazione della misericordia, cioè di quell'amore che è più potente della morte, più potente del peccato e di ogni male, dell'amore che solleva l'uomo dalle abissali cadute e lo libera dalle più grandi minacce.

L'uomo contemporaneo sente queste minacce. Ciò che a tale riguardo è stato detto sopra è soltanto un semplice abbozzo. L'uomo contemporaneo si interroga spesso, con profonda ansia, circa la soluzione delle terribili tensioni, che si sono accumulate sul mondo e si intrecciano in mezzo agli uomini. E, se talvolta non ha il coraggio di pronunciare la parola "misericordia", oppure nella sua coscienza, priva di contenuto religioso, non ne trova l'equivalente, tanto più bisogna che la Chiesa pronunci questa parola, non soltanto in nome proprio, ma anche in nome di tutti gli uomini contemporanei.

E', dunque, necessario che tutto quanto ho detto nel presente documento sulla misericordia si trasformi in un'ardente preghiera: si trasformi di continuo in un grido che implori la misericordia secondo le necessità dell'uomo nel mondo contemporaneo. Questo grido sia denso di tutta quella verità sulla misericordia, che ha trovato così ricca espressione nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, come anche nell'autentica vita di fede di tante generazioni del Popolo di Dio. Con tale grido ci richiamiamo, come gli scrittori sacri, al Dio che non può disprezzare nulla di ciò che ha creato (cfr. Sg 11,24 Ps 145[144],9; Gn 1,31), al Dio che è fedele a se stesso, alla sua paternità e al suo amore. E, come i profeti, facciamo appello a quell'amore che ha caratteristiche materne e, a somiglianza di una madre, segue ciascuno dei suoi figli, ogni pecorella smarrita, anche se ci fossero milioni di tali smarrimenti, anche se nel mondo l'iniquità prevalesse sull'onestà, anche se l'umanità contemporanea meritasse per i suoi peccati un nuovo "diluvio", come un tempo lo merito la generazione di Noè.

Facciamo ricorso a quell'amore paterno, che ci è stato rivelato da Cristo nella sua missione messianica, e che raggiunse il culmine nella sua croce, nella sua morte e risurrezione! Facciamo ricorso a Dio mediante Cristo, memori delle parole del Magnificat di Maria, che proclamano la misericordia "di generazione in generazione"! Imploriamo la misericordia divina per la generazione contemporanea! La Chiesa che, sul modello di Maria, cerca di essere anche madre degli uomini in Dio, esprima in questa preghiera la sua materna sollecitudine ed insieme il fiducioso amore, da cui appunto nasce la più ardente necessità della preghiera.

Eleviamo le nostre suppliche, guidati dalla fede, dalla speranza, dalla carità, che Cristo ha innestato nei nostri cuori. Questo atteggiamento è parimenti amore verso Dio, che l'uomo contemporaneo a volte ha molto allontanato da sé, reso estraneo a se stesso, proclamando in vari modi che gli è "superfluo". Questo è, quindi, amore verso Dio, la cui offesa-ripulsa da parte dell'uomo contemporaneo sentiamo profondamente, pronti a gridare con Cristo in croce: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,34). Questo è, al tempo stesso, amore verso gli uomini, verso tutti gli uomini senza eccezione e divisione alcuna: senza differenza di razza, di cultura, di lingua, di concezione del mondo, senza distinzione tra amici e nemici. Questo è amore verso gli uomini - e desidera ogni vero bene per ciascuno di essi e per ogni comunità umana, per ogni famiglia, ogni nazione, ogni gruppo sociale, per i giovani, gli adulti, i genitori, gli anziani, gli ammalati - verso tutti, senza eccezione. Questo è amore, ossia premurosa sollecitudine per garantire a ciascuno ogni autentico bene ed allontanare e scongiurare qualsiasi male.

E, se taluno dei contemporanei non condivide la fede e la speranza che mi inducono, quale servo di Cristo e ministro dei misteri di Dio (cfr. 1Co 4,1), a implorare in questa ora della storia la misericordia di Dio per l'umanità, egli cerchi almeno di comprendere il motivo di questa premura. Essa è dettata dall'amore verso l'uomo, verso tutto ciò che è umano e che, secondo l'intuizione di gran parte dei contemporanei, è minacciato da un pericolo immenso. Il mistero di Cristo che, svelandoci la grande vocazione dell'uomo, mi ha spinto a ribadire nell'enciclica "Redemptor Hominis", la sua incomparabile dignità, mi obbliga, al tempo stesso, a proclamare la misericordia quale amore misericordioso di Dio, rivelato nello stesso mistero di Cristo. Esso mi obbliga anche a richiamarmi a tale misericordia e ad implorarla in questa difficile, critica fase della storia della Chiesa e del mondo, mentre ci avviamo al termine del secondo Millennio.

Nel nome di Gesù Cristo crocifisso e risorto, nello spirito della sua missione messianica, che continua nella storia dell'umanità, eleviamo la nostra voce e supplichiamo perché, in questa tappa della storia, si riveli ancora una volta quell'amore che è nel Padre, e per opera del Figlio e dello Spirito Santo si dimostri presente nel mondo contemporaneo, e più potente del male: più potente del peccato e della morte. Supplichiamo per intercessione di Colei che non cessa di proclamare "la misericordia di generazione in generazione", ed anche di coloro per i quali si sono compiutamente realizzate le parole del Discorso della montagna: "Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia" (Mt 5,7).

Nel continuare il grande compito di attuare il Concilio Vaticano II, in cui giustamente possiamo vedere una nuova fase dell'autorealizzazione della Chiesa - su misura dell'epoca, in cui ci tocca di vivere -, la Chiesa stessa deve essere costantemente guidata dalla piena coscienza che in quest'opera non le è lecito, a nessun patto, di ripiegarsi su se stessa. La ragione del suo essere è, infatti, quella di rivelare Dio, cioè quel Padre che ci consente di essere "visto" nel Cristo (cfr. Jn 14,9). Per quanto forte possa essere la resistenza della storia umana, per quanto marcata l'eterogeneità della civiltà contemporanea, per quanto grande la negazione di Dio nel mondo umano, tuttavia tanto più grande deve essere la vicinanza a quel mistero che, nascosto da secoli in Dio, è poi stato realmente partecipato nel tempo all'uomo mediante Gesù Cristo.

Con la mia Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 novembre, Domenica I d'Avvento, dell'anno 1980, terzo di Pontificato.

Data: 1980-11-30 Data estesa: Domenica 30 Novembre 1980.

Dives in misericordia 11