GPII 1979 Insegnamenti - All'Assemblea Generale dei Vescovi Italiani

All'Assemblea Generale dei Vescovi Italiani

Titolo: Dalla parola evangelica un forte invito al coraggio

Testo: Carissimi e venerati Confratelli dell'Episcopato Italiano! Ho desiderato vivamente di incontrarmi ancora con voi al termine della presente Assemblea Generale, non soltanto per il piacere che il rinnovato contatto o - più esattamente - la comunione certamente procura a me ed a voi, ma anche e soprattutto per esprimervi il mio apprezzamento sincero per l'impegno che ognuno di voi ha dimostrato in questi giorni faticosi. Sono appena tornato dalla visita a Montecassino, ed anche questa circostanza, per l'evocazione di fondamentali memorie che toccano congiuntamente la storia del Cristianesimo e la civiltà italica, mi fa sentire più profondamente il vincolo spirituale che mi lega a voi.

E voglio anche ringraziarvi per avermi pazientemente atteso, ben sapendo che non pochi di voi avrebbero dovuto far ritorno nelle rispettive sedi per urgenti esigenze di ministero.

1. Da parte mia, ho procurato di seguire - per quanto m'è stato possibile - i vostri lavori, dei quali ho rilevato con grande soddisfazione la serietà e la lucidità nella doverosa e preminente considerazione che avete dedicato al tema-problema dei "Seminari e Vocazioni Sacerdotali". Di un tale argomento ho già parlato durante la concelebrazione nella Cappella Sistina, ma la sua intrinseca rilevanza e i qualificati contributi che ad esso han dato gli Eccellentissimi Relatori mi suggeriscono di aggiungere qualche ulteriore considerazione al riguardo.

Non c'è dubbio che i dati statistici, che sono stati presentati, debbano offrire il necessario punto di riferimento per un'esatta valutazione del problema; ma, come Pastori animati da viva fede e da prudente realismo, dovremo sempre tener presente che il rimedio più efficace, la soluzione adeguata è in una incessante, coraggiosa, fervida iniziativa vocazionale. Non è lecito pensare al problema in termini numerici e burocratici o in chiave di un semplice reclutamento: la vocazione è e resta un dono eletto di Dio, che, lungi dal dispensare dalla collaborazione umana, piuttosto la presuppone e la stimola. Né è lecito pensare alla sua soluzione eliminando o attenuando quelle tipiche caratteristiche del sacerdozio, che ne configurano inscindibilmente la nobiltà e la difficoltà: non si tratta di abbassare la linea perché sia superato l'ostacolo! All'altezza dell'ideale bisogna corrispondere con la generosità della donazione e la capacità di sacrificio.

Fratelli, voi capite che è necessario un coordinato sforzo pastorale per quel risveglio delle vocazioni, che è nei voti non soltanto di noi qui riuniti, ma dell'intero Popolo di Dio, alla cui evangelizzazione, con l'ausilio indispensabile dei Presbiteri, noi siamo deputati. E' a questo sforzo che voi avete dedicato, nel corso della presente assemblea, rilievi e propositi. Io faccio miei gli uni e gli altri, offrendovi la mia più solidale ed aperta collaborazione.


2. Ho ascoltato il Comunicato conclusivo, redatto al termine dei vostri lavori; sono lieto di esprimere la mia convinta adesione alle indicazioni, che in esso sono contenute. L'intenzione che vi ha ispirato è stata di esprimere collegialmente, nella ricchezza degli apporti offerti da voi in questi giorni, una linea operativa unitaria. Anche in tal modo - io penso - si rafforza e si accresce la coscienza comunitaria dell'intero Episcopato e la sua capacità, altresi, di indicare con la dovuta ponderazione una chiara posizione che, pur nel riguardo alle diverse circostanze, impegna responsabilmente ciascuno dei membri della Conferenza. In un'ora tanto importante per la vita della Nazione, animati da un alto senso del dovere, voi avete opportunamente sollecitato la dignità e la coerenza della retta coscienza cristiana. E come potrei io non sottolineare l'importanza e la validità di una tale impostazione, che nel mutare degli eventi o nella diversità delle contingenze socio-culturali assume il valore stesso di un principio? E' il vostro un appello che, in linea oggettiva, merita di essere condiviso e che auspico sia accolto e seguito.


3. L'ampiezza delle discussioni, la gravità dei temi trattati e la capacità nel decidere, che anche in questi giorni avete dimostrato, sono un segno eloquente del vostro affetto per il popolo che vi è affidato, per questo popolo italiano, a cui - quasi per un naturale impulso - mi sento spinto a rivolgere una doverosa parola di gratitudine e di elogio. Si, voglio esprimere una pubblica e ben meritata lode al popolo buono e generoso, tenace e laborioso, che alle riconosciute virtù del tempo antico unisce il dinamismo e le realizzazioni geniali dell'età moderna.

Questo io pensavo stamane durante il viaggio che mi ha portato presso la Tomba venerata di san Benedetto, patrono ed esempio luminosissimo per l'intera Europa; anche visitando il vicino cimitero che accoglie accanto a quelli di tante altre vittime i resti dei figli della mia Polonia, che versarono il loro sangue in questa Terra, ripensavo alla vicenda dell'Italia che nei momenti di prova ha fatto sempre appello alle sue riposte e mirabili energie, ritrovando in esse il segreto e il coraggio per la ripresa. E ripensavo, insieme col Santo di Norcia, a Francesco d'Assisi e a Caterina da Siena che costituiscono una triade, cui si volge ammirato lo sguardo del mondo non soltanto cristiano. E ripensavo al rapporto, multiforme ed emblematico, che ha segnato nei secoli la storia della Chiesa e dell'Italia, così ricca di ammirate testimonianze della fede cristiana.

Fratelli carissimi, questa espressione di lode sgorga spontanea dal mio cuore, e io vi prego di parteciparla ai vostri sacerdoti e ai vostri fedeli quando rientrerete in sede.


4. Permettete, infine, venerati e cari fratelli, che adesso io tocchi un altro argomento, il quale riveste un'importanza fondamentale per l'attività stessa della vostra Conferenza.

a) Già da tempo il Cardinale Antonio Poma, che ormai da dieci anni ricopre la carica di Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha chiesto che fossero accolte le sue dimissioni da questo ufficio. Tale domanda egli aveva deposto già nelle mani di Papa Paolo VI e poi di Papa Giovanni Paolo I; successivamente si è rivolto anche a me, esponendo il medesimo suo desiderio. Io l'ho pregato di voler mantenere ancora l'incarico per un certo tempo. Tutti sappiamo quanto è stata importante per la Comunità Episcopale d'Italia la presidenza del Cardinale Arcivescovo di Bologna durante gli anni che hanno visto l'applicazione fedele e generosa delle norme emanate dalla Sede apostolica in esecuzione delle disposizioni del Concilio Ecumenico Vaticano II: voglio dire qui davanti a tutti voi che il Cardinale Poma mi è stato sempre personalmente molto vicino fin dai tempi del Concilio, durante il quale ho potuto ammirare la sua preparazione, il suo zelo, la sua prudenza, la sua bontà. In questo decennio della sua presidenza si sono altresi delineate sempre più nettamente le strutture, le competenze e i compiti della Conferenza Episcopale Italiana, che ha assunto una dimensione sempre più organica, incisiva ed essenziale, prendendo le opportune iniziative per incrementare la vita spirituale del Paese, in una visione ad un tempo oggettiva e ricca di speranza, critica e stimolante, dei problemi più gravi sul piano della pastorale d'insieme. Ne fa fede, tra l'altro, l'interesse che suscitano nell'opinione pubblica le sue decisioni e i suoi documenti: i meriti del Cardinale Poma, pur avvolti dalla sua modestia, sono certamente molto grandi nel ruolo crescente preso dalla CEI: e sono lieto di dargliene atto oggi, pubblicamente e con profonda gratitudine.

b) A seguito di queste dimissioni, mi sono trovato di fronte ad un problema che tutti riteniamo molto importante.

Lo Statuto della CEI prevede all'articolo 25: "In considerazione dei particolari vincoli dell'Episcopato d'Italia con il Papa, Vescovo di Roma, la nomina del Presidente della Conferenza è riservata al Sommo Pontefice".

Rendendomi conto che il menzionato principio poneva dinanzi al Papa, che non proviene dalla cerchia dell'Episcopato Italiano, un compito molto difficile e, nello stesso tempo, volendo agire non in contrasto con tale norma, ho ritenuto opportuno - data la necessità di provvedere alla nomina del nuovo Presidente - di ricorrere ai Presidenti delle Conferenze Regionali, chiedendo di esprimere le loro opinioni per assicurare la successione del Cardinale Poma.

A conclusione di questi contatti, ho deciso di rivolgermi all'Arcivescovo di Torino, Monsignor Anastasio Alberto Ballestrero, proponendogli di accettare la carica di Presidente della CEI, essendo stato egli indicato dalla maggioranza dei Presuli consultati. Poiché Monsignor Ballestrero ha accettato la nomina, desidero ora comunicare a tutti voi qui presenti che da oggi egli è, per il periodo di tre anni - come prevede lo Statuto - il Presidente della CEI.

A lui vorrei, pertanto, esprimere le mie cordiali congratulazioni e i miei fraterni auguri, sicuro di interpretare i sentimenti di tutti.

Nello spirito della parola evangelica, che ho voluto già ricordare durante la recente concelebrazione, io rinnovo a voi un forte invito alla fiducia e al coraggio, nella certezza dell'indefettibile assistenza di Dio, nel vui nome vi benedico di cuore unitamente ai vostri fedeli. Data: 1979-05-18

Data estesa: Venerdì 18 Maggio 1979.





Agli studenti ortodossi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Viviamo e presentiamo insieme tutta la realtà del Vangelo

Testo: Carissimi.

Di vero cuore vi porgo il benvenuto e il mio più cordiale saluto.

Teologi impegnati in diversi modi al servizio della vostra Chiesa, siete venuti in questa Città per specializzarvi e, allo stesso tempo, per conoscere, in modo diretto, il grande sforzo di riflessione teologica e di rinnovamento pastorale condotto a tutti i livelli della vita della Chiesa cattolica, soprattutto dopo il recente Concilio. Uno sforzo di approfondimento spirituale, di purificante tensione verso l'essenziale, di fedeltà sempre più dinamica e coerente verso il nostro unico Signore e verso tutti gli aspetti del suo messaggio di salvezza, che dobbiamo annunciare agli uomini e alle donne di oggi.

In questo vasto campo della missione della Chiesa nel mondo contemporaneo, le possibilità di collaborazione tra la Chiesa cattolica e le venerabili Chiese ortodosse, alle quali voi appartenete, sono vaste poiché scaturiscono dalla comunione, anche se non ancora piena, che già ci unisce.

D'altra parte, è proprio sforzandoci di vivere e di presentare insieme tutta la realtà del Vangelo data alla Chiesa e trasmessa, di generazione in generazione, fino a noi, che potremo meglio dissipare e superare le divergenze ereditate dalle incomprensioni del passato.

Non solo questa collaborazione è possibile sin da ora, ma essa è necessaria, se veramente noi vogliamo essere fedeli al Cristo. Egli vuole la nostra unità egli ha pregato per la nostra unità. Oggi più che mai, in un mondo che reclama autenticità e coerenza, la nostra divisione è una contro-testimonianza intollerabile. E' come se negassimo nella nostra vita quello che professiamo ed annunciamo.

Ho voluto parteciparvi questi pensieri, ricevendovi qui per la prima volta, per chiedervi di dire ai vostri Vescovi, ai vostri Patriarchi, la mia ferma volontà di collaborare con loro per progredire verso la piena unità, manifestando nella vita delle nostre Chiese quell'unità che già esiste tra noi. E' necessario che quella carità senza inganno, in cui ci siamo ritrovati e reincontrati in questi ultimi anni, diventi inventiva e coraggiosa per trovare sentieri sicuri e rapidi che ci conducano a quella piena comunione, che suggellerà la nostra fedeltà al nostro unico Signore.

Ecco il messaggio che vi chiedo di trasmettere a coloro che vi hanno inviato a studiare nei diversi Istituti della Chiesa di Roma, la Chiesa che presiede alla carità.

A voi, cari studenti, auguro che questo soggiorno romano sia fecondo, innanzitutto per la vostra crescita in Cristo sotto l'azione dello Spirito Santo.

Una salda vita spirituale personale è la condizione indispensabile per ogni lavoro teologico e la sorgente a cui ogni vero servizio di Chiesa deve continuamente alimentarsi e rinnovarsi. E possa questo soggiorno essere anche fruttuoso per la vostra preparazione ai compiti che domani vi saranno affidati.

Data: 1979-05-19

Data estesa: Sabato 19 Maggio 1979.





Agli Alpini d'Italia - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Con sacrificio e coraggio si insegna a trasformare la storia

Testo: Carissimi Alpini d'Italia! Siate i benvenuti in questa storica Piazza di San Pietro! Celebrando quest'anno a Roma il vostro periodico raduno, denso di memorie, di nostalgie, di poesia e di amicizia, avete anche voluto incontrarvi col Papa.

Alpini d'Italia! Anziani, reduci da tante battaglie, feriti forse e mutilati, graduati e umili soldati, Cappellani militari, decorati e benemeriti, giovani che appartenete a questo corpo generoso e coraggioso, ricevete il mio saluto più cordiale.

Vi ringrazio sentitamente di essere venuti! Vi ringrazio in particolare dei vostri sentimenti di fede, di stima, di simpatia e di ossequio, e vorrei che ognuno sentisse nel profondo del suo animo quanto la Chiesa e il Papa vi amano; amano ogni uomo pellegrinante sulla terra! L'incontro di oggi divenga per voi tutti una pagina gioiosa della vostra vita, che torni per voi e per i vostri cari di conforto e di sprone ad essere sempre migliori.

Ma vorrei che insieme alla gioia così spontanea e calorosa dell'incontro, portaste con voi anche il ricordo della parola del Papa, che vi parla in nome di Cristo, Redentore dell'uomo.

1. Voi uomini temprati dalle vicende drammatiche e dolorose della storia, insegnate al mondo a vedere negli avvenimenti la mano della Provvidenza divina che guida la storia.

La situazione internazionale, sempre precaria e instabile, il risorgere continuo della violenza politica e sociale, il senso diffuso di insoddisfazione e di inquietudine, le pesanti preoccupazioni per l'avvenire dell'umanità, le amare delusioni di numerosi ceti della società, le incognite che gravano sul futuro di tutti e altre cause ancora, possono insinuare il veleno del pessimismo e spingere all'evasione, all'indifferenza, talvolta all'ironia spregiudicata ed inerte, e in certi casi perfino alla disperazione! Ebbene, le vicende disagiate e gloriose della vostra vita insegnano ad avere il coraggio di accettare la storia, che significa in fondo amare il proprio tempo, senza vani rimpianti e senza mitiche utopie, convinti che ognuno ha una missione da compiere e che la vita è un dono ricevuto e una ricchezza che si deve donare, comunque siano i tempi, sereni o intricati, pacifici o tribolati.

Per questo pero occorre la "pedagogia della volontà", ossia è necessario l'allenamento al sacrificio e alla rinunzia, l'impegno nella formazione di caratteri saldi e seri, l'educazione alla virtù della fortezza interiore per superare le difficoltà, per non cedere alla pigrizia, per mantenere la fedeltà alla parola e al dovere.

Oggi particolarmente il mondo ha bisogno di uomini tenaci e coraggiosi che guardino in alto, come l'alpino che scala la ripida parete per raggiungere la vetta e né l'abisso del sottostante precipizio né la dura roccia o l'avverso ghiaccio possono fermarlo.

Molti oggi si sentono fragili e smarriti; ed è anche comprensibile, data la conoscenza più concreta e immediata delle vicende umane e la mentalità di facile consumismo. Ed è perciò tanto più necessario ritornare ad insegnare lo spirito di sacrificio e di coraggio.


2. Ma non basta accettare la storia: voi ci insegnate che bisogna "trasformare" la storia! Quanti di voi potrebbero raccontare le loro avventure in pace e in guerra, ora tragiche e meste, ora allegre e serene! E che cosa si può ricavare da questo patrimonio di vita vissuta? Una sola conclusione e un solo imperativo: la storia deve essere trasformata mediante la "civiltà dell'amore", che fu la costante preoccupazione di Papa Paolo VI, di venerata e sempre presente memoria.

E perciò io dico a voi, Alpini d'Italia, come dico a tutti gli uomini della terra: Amate! Questo è il "comandamento nuovo" di Cristo: "Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati" (Jn 15,12).

- Amate la vostra famiglia, la vostra casa, e rimanete fedeli nell'amore! - Amate il vostro paese, il vostro quartiere, la vostra città! Ognuno dia il suo contributo di impegno, di servizio, di carità, specialmente verso i sofferenti e i bisognosi, per creare centri di solidarietà, affinché nessuno si senta solo ed emarginato a causa dell'egoismo.

- Amate l'Italia, la vostra cara Patria, che pur tra tanti travagli e contrasti, è sempre la vostra terra, ricca di storia, di bellezza, di genio e di bontà! - Amate l'Europa, la quale per millenni ha riversato nella storia le ricchezze incalcolabili dell'intelligenza e del sentimento.

- Amate il mondo intero, perché siamo tutti fratelli e ognuno deve portare nel suo cuore tutta l'umanità! Quanti profughi, disoccupati, sinistrati, senza casa e senza pane attendono il nostro amore! Ricordiamo una figura ben nota in Italia e all'estero: il Cappellano degli Alpini Don Carlo Gnocchi! Egli, ritornato dalla spaventosa esperienza della campagna bellica in Russia, si impegno ad amare ancora di più e fondo l'Opera di assistenza per i mutilatini ed i poliomielitici.


3. Infine, vorrei ancora aggiungere: eleviamo la storia mediante la fede in Gesù Cristo! Per qual motivo Dio si è incarnato? Perché Gesù Cristo, il Verbo di Dio, ha voluto inserirsi nella nostra storia umana? Solo per salvarla, rivelando i valori trascendenti e ultramondani di tutte le nostre azioni. Questa è la verità che tanto rende sublime la nostra esistenza: siamo destinati a Dio, all'eternità, alla felicità eterna che dipende dalle nostre libere scelte. Gesù è venuto per testimoniare e garantire la verità" (Jn 18,37).

Il noto scrittore francese François Mauriac, nell'introduzione alla sua celebre "Vita di Gesù" (Ed. Mondadori, Milano 1943), scriveva: "C'è stato bisogno che Dio s'immergesse nell'umanità e che ad un preciso momento della storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano, fatto di carne e di sangue, pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi getti in ginocchio... Io non credo che a ciò che tocco, che a ciò che vedo, che a ciò che si incorpora nella mia sostanza; ed è perciò che ho fede nel Cristo".

Bisogna aver fede in Cristo per salvare l'uomo! Per elevare la storia, bisogna salvare gli uomini! E Cristo ci dice: "Venite a me, voi tutti che soffrite e siete affaticati, e io vi ristorero" (Mt 11,28). Egli solo ha parole di vita eterna! Egli solo è la salvezza dell'uomo.

Alpini d'Italia! Cristo vuol fare anche di voi degli strumenti di pace e di salvezza! Ascoltate la sua voce! Testimoniate il suo amore! Vi assista Maria santissima, che voi chiamate la "Madonna degli Alpini"! Vi accompagni la mia propiziatrice benedizione, che desidero estendere a tutti i vostri cari, a tutte le vostre famiglie! Data: 1979-05-19

Data estesa: Sabato 19 Maggio 1979.





Concelebrazione con i Vescovi polacchi - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Gratitudine interiore per il dono dello Spirito

Testo:

1. La gioia del periodo pasquale detta alla Chiesa nella odierna liturgia parole di viva gratitudine. Ecco: "Si è manifestato l'amore di Dio per noi"; si è manifestato in questo, che "Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo"; lo ha mandato "perché noi avessimo la vita per lui" (1Jn 4,9); lo ha mandato "come vittima di espiazione per i nostri peccati" (1Jn 4,10).

Questo sacrificio offerto sul Calvario il Venerdì Santo è stato accettato. Ed ecco la Domenica di Pasqua ci ha portato la certezza della Vita.

Colui che ha spezzato i sigilli del sepolcro, ha manifestato la vittoria sulla morte, e con ciò ha rivelato la Vita che abbiamo "per lui" (1Jn 4,9).

A questa Vita sono chiamati tutti gli uomini: "Dio non fa preferenze di persone" (Ac 10,34 cfr. Ga 2,6). E lo Spirito Santo, come lo testimonia nella liturgia di oggi San Pietro, "scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso" (Ac 10,44).

L'opera di salvezza compiuta da Cristo non ha alcun limite nello spazio e nel tempo. Abbraccia ognuno e tutti. Cristo è morto sulla Croce per tutti e a tutti ha guadagnato questa Vita divina, la cui potenza si è manifestata nella sua Risurrezione.

A questa grande e universale gioia pasquale della Chiesa desidero, oggi, associare, in modo particolare, la gioia dei miei Connazionali, la gioia della Chiesa in Polonia, che esprime la presenza di tanti pellegrini da tutto il mondo con l'illustre ed amatissimo Primate di Polonia, Stefano Cardinale Wyszynski, con gli Arcivescovi e i Metropoliti di Cracovia e di Wroclaw e con tanti Rappresentanti dell'Episcopato Polacco. Celebrando questo Santissimo Sacrificio vogliamo esprimere a Dio, che è "Amore", la nostra gratitudine per il millennio della fede e della permanenza nell'unione con la Chiesa di Cristo. Per il millennio della presenza della Polonia, sempre fedele, presso questo centro spirituale della cattolicità e dell'universalità, che è la tomba di san Pietro a Roma come pure questa splendida Basilica costruita su di essa.


2. Il motivo della nostra particolare gioia è, quest'anno, il giubileo di san Stanislao, Vescovo di Cracovia e Martire. Ecco, son passati 900 anni da quando questo Vescovo subi il martirio per le mani del re Boleslao. Si è esposto alla morte, richiamando il re e chiedendogli di cambiare il suo atteggiamento. La spada reale non ha risparmiato il Vescovo; lo ha raggiunto durante la celebrazione del Santissimo Sacrificio, e di colpo lo ha privato della vita. Testimone di questo momento è rimasta la preziosissima reliquia del cranio del Vescovo, sul quale si trovano visibili ancor oggi i segni dei colpi mortali. Questa reliquia, custodita in un prezioso reliquiario, viene portata ogni anno, da molti secoli, dalla cattedrale a Wawel alla Chiesa di San Michele a Skalka (Rupella) nel mese di maggio, quando in Polonia vengono celebrate le solennità di san Stanislao. A questa processione, attraverso i secoli, partecipavano i re polacchi, i successori di quel Boleslao che al Vescovo aveva inferto la morte, e che, secondo la tradizione, fini la vita come penitente convertito.

L'inno liturgico in onore di san Stanislao veniva cantato come canto solenne della Nazione, che ha accolto il martire come il proprio patrono. Ecco le prime parole di quest'inno: "Gaude mater Polonia / Prole fecunda nobili / Summi Regis magnalia / Laude frequenta vigili".


3. Oggi io, primo Papa nella storia della Chiesa della stirpe dei Polacchi e dei Popoli slavi, celebro con gratitudine la memoria di san Stanislao, poiché fino ad alcuni mesi fa ero il suo successore nella sede Vescovile a Cracovia. E insieme con i miei Connazionali qui riuniti, esprimo la viva gratitudine a tutti coloro che partecipano qui a questa solennità. Fra due settimane avro la fortuna di recarmi in pellegrinaggio in Polonia, per ringraziare là Dio per il millennio della fede e della Chiesa, che è fondato su san Stanislao, come su una pietra angolare. E anche se questo avvenimento è soprattutto il giubileo della Chiesa in Polonia, lo esprimiamo anche nella dimensione della Chiesa universale, perché la Chiesa è una grande famiglia di Popoli e di Nazioni, dei quali al momento giusto, tutti hanno contribuito a farne una comunità mediante la propria testimonianza e il proprio dono, e hanno messo così in rilievo la loro partecipazione alla universale unità. Tale dono fu, 900 anni fa, il sacrificio di san Stanislao.


4. Cari Connazionali! Non possiamo in altro modo comprendere, dopo 900 anni, il grande mistero di san Stanislao, se non risalendo allo stesso Mistero pasquale di Cristo. così ha fatto anche l'Episcopato Polacco nella sua lettera pastorale, che prepara tutti i Polacchi, in Patria e oltre i suoi confini, a questo anniversario solenne.

Ecco un frammento della lettera: "Riflettendo nella preghiera sul suo martirio, abbiamo in noi ancora non lontano il ricordo quaresimale della Passione del nostro Salvatore, Gesù Cristo. Egli stesso ha chiamato i suoi discepoli alla comunione in questo martirio: "Chi vuol essere mio discepolo, prenda la sua croce... e venga dietro a Me". Se - a partire dalla sua morte e risurrezione - i discepoli del Signore daranno, attraverso i secoli, il loro sangue a testimonianza della fede e dell'amore, questo avverrà sempre con lui e in lui. Egli li accoglie nel suo Cuore trafitto, così che siano una cosa sola con lui. Ogni martirio manifesta il suo senso e valore, diviene pienamente comprensibile e dà frutto soltanto attraverso il martirio di Cristo.

La croce di vita di san Stanislao e il suo martirio furono, nella loro sostanza, molto vicine alla croce e alla morte di Gesù Cristo sul Calvario. Ebbero un'eloquenza simile: Cristo difese la verità su suo Padre, l'Eterno Dio; difese la verità su di sé, come Figlio di Dio; difese anche la verità sull'uomo, sulla sua chiamata e sul suo destino, sulla sua inalienabile dignità di figlio e familiare di Dio. Difese l'uomo, che è sottoposto al potere terreno, ma ad un più alto livello sottoposto al potere di Dio...

Che il frutto di questo santo Giubileo sia la nostra fedeltà a questo Sangue, che Cristo ha versato sul Calvario per la redenzione dell'uomo, per la salvezza di ognuno di noi; la fedeltà alla Madre di Cristo Addolorata; la fedeltà al martirio di san Stanislao".

Con gioia cito queste parole. Esse ci permettono di capire meglio quello che dice la liturgia di san Stanislao: "vivit Victor sub gladio"! Nei fatti, nel 1079, sulla testa del vescovo di Cracovia, Stanislao da Szczepanow cadde una pesante spada e gli tolse la vita. E il vescovo fu vinto con questa spada.

Boleslao tolse dalla sua strada il suo oppositore. Un grande dramma storico si chiuse in un breve lasso di tempo. Tuttavia come la potenza della spada raggiunse il suo scopo nell'istante della morte, così da quello stesso istante la potenza dello spirito, che è Vita e Amore, incomincio a manifestarsi e a svilupparsi.

Questa potenza si irraggiava dalla sua reliquia, diffondendosi tra i popoli delle terre dei Piast e unificandoli. Poiché la spada e la forza materiale possono uccidere e distruggere, mentre vivificare e unire in modo duraturo può farlo soltanto l'amore, la potenza dello Spirito. E l'amore si manifesta anche nella morte "quando qualcuno dà la sua vita per gli amici" (Jn 15,13).

Rallegriamoci perché oggi possiamo lodare Dio per la manifestazione del suo amore nella morte di san Stanislao, servo dell'Eucaristia e servo del Popolo di Dio sulla cattedra di Cracovia.


5. La Chiesa in Polonia è grata alla Sede di Pietro, perché ha accolto mediante il Battesimo, nel 966, la Nazione nella grande comunità della famiglia dei Popoli.

La Chiesa in Polonia è grata alla Sede di San Pietro, perché il Vescovo e Martire san Stanislao da Szczepanow è stato elevato sugli altari e proclamato patrono dei Polacchi.

La Chiesa in Polonia, mediante la memoria del suo patrono, confessa la forza dello Spirito Santo, la forza dell'Amore, che è più forte della morte.

Con questa confessione desidera servire gli uomini del nostro tempo.

Desidera servire la Chiesa nella sua universale missione nel mondo contemporaneo.

Desidera contribuire al rafforzamento della fede, della speranza e della carità non solo nel suo popolo, ma anche nelle altre Nazioni e Popoli di Europa e di tutto il mondo.

Presso la tomba di san Pietro preghiamo con la più profonda umiltà, affinché tale testimonianza e tale prontezza di servire siano accettate mediante la Chiesa di Dio, che è "in tutta la terra". Preghiamo con umiltà, con amore e con la più profonda venerazione, affinché siano accettate da Dio onnipotente, scrutatore dei nostri cuori e Padre del secolo futuro.

Data: 1979-05-20

Data estesa: Domenica 20 Maggio 1979.





Recita del Regina Coeli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Le nuove Chiese: centri di aggregazione umana e cristiana

Testo: Cari fratelli e sorelle.

1. La nostra consueta preghiera domenicale ha oggi un motivo ed un contenuto tutto speciale. A Roma, infatti, la domenica odierna è dedicata alla "Giornata per le nuove chiese e per l'assistenza religiosa alla periferia della Città", e non voglio passare sotto silenzio questa importante ricorrenza.

Si, anche Roma ha bisogno di nuove chiese, nonostante le molte e antiche già presenti nel suo centro storico. Sono i nuovi quartieri che richiedono queste costruzioni, perché siano centri vivi di aggregazione tanto cristiana quanto umana. Come dicevo nella visita alla parrocchia di San Giuseppe a Forte Boccea nel marzo scorso, "l'edificio materiale, nel quale il popolo fedele si raccoglie per ascoltare la Parola di Dio e partecipare alla celebrazione dei divini ministeri, rappresenta un coefficiente di primaria importanza per la crescita e il consolidamento di quella comunità di fede, di speranza e d'amore che è la parrocchia" (Giovanni Paolo II, "Discorso" del 18 marzo 1979).

Pertanto, esorto tutti a prendere a cuore questo problema, sia con la preghiera che con un concreto interessamento.


2. Ed ora desidero ancora una volta salutare i miei connazionali che sono giunti qui dai diversi paesi e continenti nei quali vivono come emigrati.

Cari fratelli e sorelle, poiché la vostra visita è collegata al giubileo di san Stanislao, permettete che legga un breve frammento della Lettera apostolica da me inviata, in occasione di questo giubileo, a tutta la Chiesa polacca.

San Stanislao ci ha lasciato una realtà particolare.

"E' l'eredità della fede, della speranza e della carità che danno la vera e piena misura della vita dell'uomo e della società. E' l'eredità della prodezza e del coraggio di professare la verità che decidono della nobiltà dello spirito umano. E' l'eredità della preoccupazione riguardo alla salvezza, bene spirituale e materiale dei miei connazionali e di tutti, bene che dobbiamo servire con instancabile perseveranza. Allo stesso tempo è anche l'eredità della libertà che si esprime proprio in questo servizio e nella dedizione dell'amore. Si tratta di quella meravigliosa tradizione di unificazione e di unità alla quale, come testimoniano i fatti, contribui nella storia del popolo polacco lo stesso san Stanislao, la sua morte, il suo culto e in particolar modo la sua canonizzazione".

Dalla tradizione di san Stanislao la Chiesa polacca desidera "trarre delle conclusioni per la vita quotidiana, trovare un sostegno nella lotta contro le debolezze, i vizi e quei peccati che in modo particolare minacciano il bene dei polacchi e della Polonia. Desidera trovare un nuovo sostegno per la speranza e la fede nel futuro della sua missione e del suo servizio per la salvezza di ognuno e di tutti".


3. Come già sapete l'altro ieri è terminata qui a Roma la Sessione Plenaria della Conferenza Episcopale Italiana. E' stato un avvenimento importante, perché ha avuto come tema centrale di riflessione e di dibattito il problema molto attuale delle vocazioni e dei seminari. Tutti conoscono il recente fenomeno di crisi, che ha toccato questi settori. Tuttavia, si legge con piacere nel Documento finale dei Vescovi Italiani che ci sono "segni consolanti di una ritrovata vitalità all'interno delle nostre chiese" ("Documento finale dei Vescovi Italiani", 1) che "fioriscono gruppi e movimenti di fede generosa e di forte impegno pastorale" (e che si nota "una qualche ripresa delle vocazioni al sacerdozio, tale da lasciar sperare che sia in via di superamento quel disagio di cui le chiese italiane, e non solo esse, hanno sofferto in questi anni" ("Documento finale dei Vescovi Italiani", 2).

Ringraziamone il Signore, e impegniamoci ancor più ad offrire in questo campo il nostro apporto responsabile. Inoltre, non dimentichiamo di pregare, come facciamo ora col "Regina Caeli, laetare" affinché questi germi di speranza siano resi sempre più fecondi e fruttuosi dalla grazia divina.

Data: 1979-05-20

Data estesa: Domenica 20 Maggio 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - All'Assemblea Generale dei Vescovi Italiani