GPII 1979 Insegnamenti - Al Collegio di Difesa della NATO - Città del Vaticano (Roma)

Al Collegio di Difesa della NATO - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La dignità della persona fondamento della pace

Testo: Cari amici.

Il mio predecessore Paolo VI si rallegrava per le molteplici visite che nel corso degli anni riceveva da parte dell'Accademia, del personale e dei membri del Collegio di Difesa della NATO. Oggi io desidero estendere a tutti voi il mio personale e cordiale benvenuto in Vaticano. Saluto con vivo piacere voi e le vostre famiglie, condividendo per la prima volta la gioia della presenza dei bambini; vorrei inoltre riflettere brevemente insieme a voi sul contributo che voi potete dare al servizio della pace nel mondo. Nel mio messaggio per la Giornata mondiale della pace di questo anno cercavo di attirare l'attenzione sullo stretto rapporto che intercorre tra pace ed educazione. In ragione del fatto che voi rappresentate un'istituzione educativa, sono convinto che voi abbiate una particolare possibilità di riflettere sul tema della pace nel senso di occasioni speciali per lo studio dei presupposti e delle condizioni per la pace, i suoi fattori e requisiti.

Vivendo e studiando in un clima di solidarietà internazionale voi siete in grado di meditare sui principi della pace, di consolidarla negli ideali e di rafforzare i gesti che la promuovono. Ed è effettivamente così: le condizioni per l'edificazione della pace dipendono dalla decisione con la quale si abbracciano i principi per la sua realizzazione. Mi auguro pertanto che al centro delle vostre attività ci sia una riflessione sui grandi principi connessi alla pace insieme con un vostra rinnovata decisione per la loro realizzazione.

A questo riguardo è estremamente necessario coltivare in tutti gli individui e i popoli la fiducia reciproca come impegno derivante dal legame che ci unisce quali figli di Dio! La sensibilità verso gli immensi bisogni dell'umanità provoca spontaneamente il rifiuto della corsa agli armamenti, la quale è del resto incompatibile con la lotta alla fame, alle malattie, al sottosviluppo e all'analfabetismo. La meditazione sulla sacralità della vita umana, sull'esigenza di giustizia e sull'inaccettabilità della violenza nelle sue molte manifestazioni si rivelano argomenti necessari di una riflessione che intenda sostenere la pace.

Sinteticamente si può dire che la causa della pace mondiale viene effettivamente sostenuta ogni qualvolta si affermi la dignità della persona umana. La dignità inviolabile di ogni individuo e di tutti i popoli, nella verità completa della loro origine, della loro esistenza e del loro destino è fondamentale rispetto alla questione della pace mondiale.

E' mio desiderio che voi stessi abbiate pensieri di pace, che promuoviate una cultura della pace nella giovane generazione e che sosteniate le condizioni che portano alla pace in modo attivo e perseverante. Iddio vi ricompensi, ora e sempre, con la pace nei cuori e nelle vostre famiglie.

Data: 1979-02-08

Data estesa: Giovedì 8 Febbraio 1979.





A un gruppo di giornalisti austriaci - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il premio "Macchina fotografica d'oro"

Testo: Eminenza reverendissima, gentili signore ed egregi signori.

Con la vostra visita odierna, accompagnati da Sua Eminenza Reverendissima il Cardinal König, volete ricordare un avvenimento che lo scorso anno, attraverso la trasmissione in mondovisione, ha avuto un'eco rilevante e positiva a livello mondiale. Questo avvenimento è la santa Messa celebrata in occasione dell'inizio del mio pontificato; voi appartenenti alla redazione della rivista radiotelevisiva "Horzu" avete indicato tale trasmissione come il più importante avvenimento del teleschermo del 1978.

Anche tutti gli altri avvenimenti dello scorso anno che riguardano il ministero del Papa, come la liturgia d'inizio cui abbiamo accennato, aumentano, con l'aiuto dei moderni mezzi di comunicazione, l'interesse della gente per la persona del Papa. Trasmissioni e commenti riguardo l'organo più alto della Chiesa cattolica riscontrando attualmente notevole interesse e attenzione. Ciò colma noi tutti di grande gioia.

In questo senso intendo anche il premio della vostra rivista "La macchina fotografica d'oro", che io accetto volentieri e per cui vi ringrazio molto. Il mio ringraziamento va, insieme a voi, a tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita della trasmissione di un così importante avvenimento ecclesiastico.

E se posso aggiungere ancora una preghiera personale, vi chiedo questo: aiutate con la vostra rivista, attraverso commenti intelligenti e introduzioni adatte, tutti gli ascoltatori e i telespettatori ad una comprensione religiosa più profonda di tali trasmissioni, e formate voi stessi ad un uso critico ed equilibrato dei moderni mezzi di comunicazione, cosicché queste conquiste della tecnica portino ad un vero progresso morale e spirituale. La mia benedizione apostolica e i miei auguri accompagnino tutti voi.

Data: 1979-02-08

Data estesa: Giovedì 8 Febbraio 1979.

Al termine di un concerto - L'opera d'arte è, nella sua ispirazione, religiosa


1. Desidero ringraziare, a nome di tutti i presenti, in primo luogo, gli organizzatori e gli artisti che ci hanno offerto questo momento di spirituale godimento: ad essi, e a quanti hanno collaborato alla felice riuscita di questa manifestazione, vada l'espressione della mia sincera e cordiale riconoscenza.

2. Il mio pensiero si rivolge, poi, al Maestro Krzysztof Penderecki. Non è la prima volta che io partecipo all'esecuzione di una sua opera. Ricordo la "Passio et mors Domini nostri Iesu Christi" secondo san Luca nel cortile accademico del Castello di Wawel; ricordo l'esecuzione della "Utrenia" nella chiesa di Santa Caterina a Cracovia. Mai avrei potuto immaginare che mi sarebbe stato concesso di poter ospitare il signor Penderecki nell'aula "Paolo VI" in Vaticano nei primi mesi del mio pontificato.

Sono profondamente commosso.3. Desidero congratularmi con lei, signor Maestro, per questo capolavoro, che nel suo contenuto riconferma la linea delle precedenti ricerche artistiche. E' per me difficile dire qualcosa di più per quanto riguarda la parte essenziale, l'aspetto strettamente musicale, per il quale mi debbo limitare a manifestare una semplice impressione.

Devo confessare che questa impressione è profonda. Per quanto concerne il contenuto, mi viene in mente una frase pronunciata, forse ancora prima della guerra, da un uomo d'arte a me ben noto: "Ogni grande opera d'arte è nella sua ispirazione e nella sua radice religiosa".

Penso che le grandi opere del Maestro Penderecki confermano questo principio.

Questa volta egli si è rivolto a Milton. Penso che il "Paradise Lost" sia diventato un'occasione per esprimere nel linguaggio così originale della sua composizione talune domande che l'uomo si pone; le domande che riguardano i problemi fondamentali della sua esistenza e del suo destino.

La risposta a queste domande, che troviamo nelle prime pagine della Sacra Scrittura, nei primi capitoli del libro della Genesi, non può non colpire per la sua profondità e per la sua logica.

Non si tratta di una semplice cronaca di alcuni avvenimenti; sono li registrate le esperienze fondamentali alle quali l'uomo, nella sua esistenza, deve ritornare sempre nonostante le precisazioni che l'ermeneutica biblica ha apportato in materia. Direi che i primi capitoli del libro della Genesi proteggono dal rischio di alienazioni ciò che in ognuno di noi vi è di sostanzialmente umano.

Voglio dunque congratularmi con lei, Maestro, per l'idea di rivolgersi a questa sorgente attraverso il poema del grande scrittore inglese.

Personalmente mi rallegro molto che tale opera musicale sia uscita dalla penna di un compositore polacco. Questa è ancora una testimonianza della matrice cristiana che penetra tutta la nostra cultura. E poiché il linguaggio della musica è più universale che quello della letteratura, auspico che questo frutto della creatività artistica di un mio connazionale possa diventare motivo di emozioni artistiche per tutti gli uomini contemporanei, indipendentemente dalla loro nazionalità.

E di questo ringrazio cordialmente il Signore.

Concludo con un plauso sincero ai singoli artisti, ai bravi solisti, ai componenti dell'orchestra del Teatro "alla Scala" e al coro dell'Opera di Chicago, che così magistralmente hanno saputo interpretare l'ispirata composizione.

A tutti la mia benedizione apostolica.

Data: 1979-02-09

Data estesa: Venerdì 9 Febbraio 1979.

Lettera al Cardinal James Robert Knox in vista del Congresso Eucaristico Internazionale di Lourdes

Testo: Al Signor Cardinale James Robert Knox, Presidente del Comitato Permanente per i Congressi Eucaristici Internazionali.

Il Congresso Eucaristico Internazionale, che si svolgerà a Lourdes nel 1981, costituirà per la Chiesa un tempo forte di preghiera e di rinnovamento spirituale. Il suo annuncio è sorgente di gioia e invito a prepararlo fin d'ora con cura, non solo a livello del Comitato che ella presiede, ma anche in rapporto ai numerosi Pastori e fedeli, che vi prenderanno parte attiva.

"Gesù Cristo, pane spezzato per un mondo nuovo": questo è il tema prescelto dal Comitato Permanente dei Congressi Eucaristici Internazionali, tema oggi confermato dal nuovo Papa. Per ben cogliere quale novità specifica e radicale Gesù Cristo introduce in ogni fedele che partecipa all'Eucaristia, nella Chiesa e, perciò, nella società, converrà che il Congresso metta bene in luce, innanzitutto, le basi della dottrina eucaristica, così com'essa è stata ricevuta, meditata e vissuta, a partire dagli Apostoli, senza interruzione, dai martiri, dai Padri della Chiesa, dalla cristianità medievale, dai Concili, dalla pietà moderna, dalle legittime ricerche della nostra età. Come san Paolo (cfr. 1Co 11,23), i pastori e i teologi del Congresso dovranno trasmettere ciò ch'essi stessi hanno ricevuto dalla Tradizione vivente, guidata dallo Spirito Santo. Apparirà così, nell'integrità del suo mistero, il senso pieno del "Pane spezzato"; questo Pane, in effetti, si riferisce interamente, non soltanto ad una condivisione generosa quale deriva dall'esempio di Gesù, ma anche al sacrificio di Cristo, il quale ha donato il suo corpo e versato il suo sangue per togliere il peccato del mondo (cfr. Jn 1,29), per distruggere il muro tra i fratelli nemici (cfr. Ep 2,14) e aprir loro l'accesso all'Amore del Padre (cfr. Rm 5,2). Sono queste le parole più importanti del Salvatore riferite da san Giovanni: "Il pane che io daro è la mia carne per la vita del mondo" (Jn 6,51). E l'apostolo Paolo proclama a sua volta: "Il calice della benedizione, che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane, che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?" (1Co 10,16). E' partendo da questa Tradizione vissuta che il Congresso potrà approfondire ed esprimere agli uomini d'oggi come e perché il "mondo nuovo" è legato all'Eucaristia, e l'Eucaristia, da parte sua, è legata alla Passione e alla Risurrezione del Cristo.

Quale grazia sarà il prendere più chiara coscienza del fatto che questo Sacrificio ci è reso presente in ciascuna azione eucaristica, e che i credenti possono assimilarne il frutto come quotidiano nutrimento, e prolungarne gli effetti nella loro stessa vita! Il primo tempo, il tempo iniziale di tale Congresso, sarà dunque quello della contemplazione del "mistero della fede", quello dell'adorazione, in unione con la Vergine Maria che "conservava tutte queste cose nel suo cuore" (cfr. Lc 1,19 Lc 1,51). E' appunto la forza di questo inaudito messaggio, di questa "follia" e "sapienza" di Dio (cfr. 1Co 1,21), che deve colpire il mondo! Felice incontro quello di Lourdes se varrà a promuovere questa comprensione autentica dell'Eucaristia, suscitare un rinnovato rendimento di grazie per tale dono, portare ad un accostamento più rispettoso, ad una sua celebrazione più degna, ad un desiderio più ardente di comunicare ad essa con frutto mediante una migliore preparazione! "Cristo ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (1Jn 3,16). Un "uomo nuovo" (Col 1,10), un mondo nuovo contrassegnato da rapporti filiali verso Dio e fraterni tra gli uomini, diciamo un'umanità nuova: tali sono i frutti che ci si attende dal Pane di Vita che la Chiesa spezza e distribuisce nel nome di Cristo.

E' necessario affermare questo: il livello più profondo dove si realizza, in coloro che si comunicano, questo legame con il Corpo di Cristo, questa "osmosi" della sua carità divina, sfugge al sentimento e alle misure umane; esso appartiene all'ordine della Grazia, alla misteriosa partecipazione, nella fede, alla Vita del Cristo risuscitato secondo lo spirito di santità (cfr. Rm 1,4).

Ma normalmente devono scaturirne grandi conseguenze morali, quelle che san Paolo enumera nella seconda parte di ciascuna delle sue Lettere. Queste conseguenze sono nello stesso tempo delle esigenze e degli inviti, poiché suppongono la disponibilità e la responsabilità dei partecipanti. Quali profonde implicazioni, per i rapporti innanzitutto tra coloro che si comunicano: "L'Eucaristia fa la Chiesa", essa riunisce come le membra di un corpo coloro che partecipano allo stesso Corpo di Cristo: "Che tutti siano una cosa sola" (Jn 17,21)! E quali conseguenze anche per la stessa società, per il modo di avvicinare gli uomini fratelli, soprattutto i più poveri, di servirli, di condividere con loro il pane della terra e il pane dell'amore, di costruire con loro un mondo più giusto, più degno dei figli di Dio, e nello stesso tempo di preparare per il futuro un mondo nuovo, in cui Dio stesso apporterà il rinnovamento definitivo e la comunione totale e senza fine (cfr. Ap 21,1 Ap 21,5 GS 39 GS 45).

Il Congresso di Lourdes avrà per compito quello di verificare, in qualche modo, tutto il dinamismo spirituale ed etico che il Cristo Eucaristico determina in coloro che di lui si nutrono con le disposizioni richieste. Esso si preoccuperà di inquadrare tutte queste possibilità di trasformazione personale e sociale nel contesto degli atteggiamenti e delle beatitudini evangeliche, in funzione della conversione, perché è questa che sta al centro del rinnovamento cristiano.

Sotto questo aspetto, il messaggio del Congresso Eucaristico si congiungerà al messaggio permanente di Lourdes. La Vergine Immacolata aiuti i cuori a purificarsi in vista di questo grande incontro! Se mi sono preoccupato di richiamare questi orientamenti più significativi, è perché la Chiesa cattolica oggi ne ha particolarmente bisogno. Io incoraggio vivamente il lavoro che al riguardo sarà compiuto dal Comitato Internazionale e tutti coloro che, secondo le rispettive funzioni, collaboreranno alla preparazione e all'organizzazione dell'ospitalità, della liturgia, dell'insegnamento, degli interventi e degli incontri. Imploro su di essi la luce e la forza dello Spirito Santo.

La Città mariana, che già conosce tanti ammirevoli pellegrinaggi, costituisce uno sfondo incomparabile e quasi unico al mondo, per l'omaggio al Cristo Eucaristico e per l'irradiamento del suo messaggio.

A tutti i responsabili imparto di gran cuore la mia benedizione apostolica.

Data: 1979-01-01

Data estesa: Lunedì 1 Gennaio 1979.

Omelia nella Cappella Sistina - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Commento all'"Ave Maria"

Testo: Ave Maria...

Vorrei oggi essere in ispirito in quell'angolo di Francia, dove, da centoventuno anni, quelle parole non cessano di essere mormorate dalle labbra di migliaia di uomini e di donne, dal giorno in cui, in quel luogo precisamente, esse furono pronunziate da una fanciulla colma di sorpresa. La fanciulla si chiamava Bernardetta Soubirous, aveva quattordici anni, era la figlia di modesti lavoratori di Lourdes.

Ave Maria...

E' con queste parole che, sempre e dappertutto, noi salutiamo colei che le intese per la prima volta a Nazaret. Ricevendo il saluto essa fu chiamata per nome; è così che la chiamavano in famiglia e tutti quelli che la conoscevano nel vicinato; è con questo nome pure che fu scelta da Dio. L'Eterno la chiamo con questo nome: Maria! Myriam! Non di meno, quando Bernardetta le domando il nome essa non rispose "Maria", ma "Que soy era Immaculada Concepciou", "Io sono l'Immacolata-Concezione". così, a Lourdes, essa si chiamo col nome che Dio le ha dato dall'eternità; si, da ogni eternità, egli la scelse con questo nome e la destino ad essere la Madre di suo Figlio, il Verbo eterno. Questo appellativo, "Immacolata-Concezione", è finalmente molto più profondo e molto più importante di quello di cui si servivano i genitori o i conoscenti e che intese al momento dell'Annunciazione: "Ave Maria!".

Soffermiamoci a questo saluto. Milioni di labbra umane lo ripetono, ogni giorno, in ogni specie di lingua e di dialetti, in molteplici luoghi del globo.

Fra la grotta di Massabielle e il torrente del Gave, sono pure milioni di pellegrini che la ripetono nel corso dell'anno. Oggi, io voglio ridire questo "Ave Maria" con tutti facendomi pellegrino con lo spirito e il cuore, aspettando l'occasione di trovarmi di persona in quel luogo. Desidero chiamare la Madre del Cristo col nome che ella aveva sulla terra e desidero salutarla col saluto che si può qualificare "storico", in questo senso che è legato a un momento decisivo della storia della salvezza. Questo momento decisivo è, nello stesso tempo, quello del suo atto di fede, della risposta di fede: "Benedetta, tu che hai creduto!" (Lc 1,45).

Si, Maria, è questo giorno, questa ora che conta, nel momento in cui hai inteso tale saluto, col tuo nome: Myriam, Maria! Perché la storia della salvezza è inscritta nel tempo degli uomini, marcata dalle ore, i giorni, gli anni. Tale storia prende pure una dimensione di fede, nella risposta data al Dio vivente dal cuore umano. Fra tali risposte, quella che segue l'"Ave Maria" dell'Angelo, a Nazaret, mette in risalto il "fiat"! "che sia fatto di me secondo la tua parola!".

Felice, che hai creduto! E' Elisabetta che rivolge a Maria tale benedizione. Non al momento dell'Annunciazione, ma parecchie settimane dopo, quando Maria venne ad Ain-Karim.

E quelle parole di Elisabetta, che spiritualmente era la persona a lei più prossima, provocarono in Maria una nuova risposta di fede: "Magnificat!".

Noi siamo abituati ai termini di questo cantico. La Chiesa li ha fatti suoi. Li ripete al seguito della Madre del Cristo, per esprimere il più grande giubilo o semplicemente per ringraziare: "Grandi cose ha fatto di me l'Onnipotente / e Santo è il suo nome. / La sua misericordia si estende di età in età... / Ha rimbalzato i potenti dai loro troni, / ha sollevato gli umili; / ha colmato di beni gli affamati, / ha rinviato i ricchi con le mani vuote..." (Lc 1,49-50 Lc 1,52-53).

Noi ascoltiamo spesso queste parole! Le ripetiamo molto spesso. Proviamo un giorno, almeno una volta, perché non oggi, a fermarci innanzi alla mirabile trasparenza del Cuore di Maria: è in esso e attraverso esso che Dio parla. Parla ad un livello che trascende le parole quotidiane dell'uomo, e forse anche le parole di cui si serviva ogni giorno Myriam, la giovinetta di Nazaret, parente di Elisabetta e di Zaccaria, fidanzata da poco con Giuseppe. In realtà, Maria non è come la sposa dello Spirito Santo? Ebbene, è lo Spirito che dà una tale trasparenza al suo cuore - il cuore semplice e umile d'una fanciulla di Nazaret - grazie "alle promesse fatte ad Abramo e alla su discendenza per sempre" (Lc 1,55).

Dio è anche misteriosamente presente in tutta la storia degli uomini, delle generazioni che si succedono, dei popoli, capace di suscitarvi, in maniera meravigliosa, una trasparenza, una speranza, un appello alla santità, una purificazione, una conversione. In questo senso, è presente nella storia degli umili... e dei potenti; si, nella storia degli affamati, degli oppressi, degli emarginati, che si sanno amati da lui e ritrovano con lui coraggio, dignità, speranza; nella storia anche dei ricchi, degli oppressori, degli uomini sazi d'ogni cosa, che non sfuggono al giudizio di Dio e sono invitati anch'essi all'umiltà, alla giustizia, al condividere i beni per entrare nel suo Regno. Dio è presente nella storia dei responsabili e delle vittime della civiltà dei consumi che si diffonde: vuol liberare l'uomo dalla schiavitù delle cose e rimetterlo incessantemente sul cammino dell'amore delle persone - di Dio e dei suoi fratelli - con lo spirito di purezza, di povertà, di semplicità.

Le parole mirabili del Magnificat, voglio oggi meditarle con tutti quelli che partecipano a questo sacrificio eucaristico, con tutti i pellegrini di Lourdes, con tutta la Chiesa.

Alcuni s'interrogano oggi sulla missione della Chiesa. Ma la Chiesa del nostro tempo non può intravvedere nelle parole di Maria la verità sulla sua missione? Non contengono ciò che noi possiamo, ciò che vogliamo, ciò che dobbiamo annunziare, proclamare e realizzare in questo vasto campo in cui sono collegati "evangelizzazione" e "promozione umana", in cui la prima richiama la seconda? Il Magnificat non permette forse di rispondere alla domanda di sapere di quale progresso, di quale promozione si tratta, di sapere pure ciò che significa "evangelizzare", annunziare la Buona Novella agli uomini di oggi? Perché questo "oggi" con le sue miserie e i segni di speranza, costituisce in tutti i paesi una sfida alla missione "profetica" della Chiesa, e nello stesso tempo alla sua missione "materna". Si tratta di aprire i cuori e le mentalità al Cristo, al Vangelo, alla sua scala di valori, per contribuire all'elevazione di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, per stabilire un mondo meno indegno dell'uomo e del disegno di Dio su lui, e preparare nello stesso tempo il regno dei cieli.

Cari fratelli e sorelle, è con profonda emozione che celebro oggi questa messa in lingua francese, nella Cappella Sistina. Posso in tal modo unirmi spiritualmente, nella liturgia eucaristica, con tutti coloro che parlano questa lingua, ed essi sono numerosi!, diffusi in molti paesi e rappresentati qui, a Roma e in questa assemblea. Posso, in particolare, riunire in ispirito tutti i figli e le figlie della Chiesa di questa grande nazione francese, di cui la storia è legata, in maniera speciale, alla storia del Vangelo in Europa e nel mondo intero.

Noi abbiamo l'impressione di trovarci a Lourdes, dove affluiscono continuamente pellegrini di Francia e d'ogni paese: - a Lourdes che festeggia quest'anno, con Nevers, il centenario della morte di Bernardetta; - a Lourdes dove il messaggio di Maria, trasmesso da Bernardetta, invita incessantemente le anime alla preghiera, alla penitenza, alla conversione, alla purificazione, alla gioia dell'assemblea cristiana, in una parola ad una fede più vigorosa; - a Lourdes dove tanti ammalati trovano, se non la guarigione del corpo, per lo meno un senso cristiano alle sofferenze, la pace dell'amore di Dio e l'accoglienza sollecita dei loro fratelli; - a Lourdes in cui ogni anno si ritrovano in riunioni plenarie i Vescovi francesi, che sono felice di salutare molto cordialmente, dalla Sede dell'Apostolo Pietro; - a Lourdes che prepara il Congresso eucaristico del 1981. Noi abbiamo cominciato insieme a preparare la celebrazione del centenario del primo Congresso eucaristico internazionale che ebbe luogo a Lilla nel 1881.

Vorrei soprattutto ripetere, volgendomi verso la terra di Francia, verso tutta la Chiesa che è in Francia: beata te, che hai ricevuto la fede fin dalle origini. Non lasciarla scemare, o dissolversi! Fortifica la tua fede! E irradiala! Con questo spirito di fede, ci avviciniamo ora all'altare per celebrare il Sacrificio del Cristo: il Sacrificio del Pane che noi consacriamo e che spezziamo per la vita del mondo (cfr. 1Co 10,16 Jn 6,51). E' il tema del Congresso eucaristico al quale insieme ci prepariamo: per la vita del mondo, per la salvezza del mondo! Amen! Data: 1979-02-10

Data estesa: Sabato 10 Febbraio 1979.

A malati e pellegrini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Dignità e maestà dell'uomo che soffre

Testo: Carissimi fratelli e sorelle.

1. Saluto voi tutti che siete oggi qui presenti. Vi saluto in modo particolarmente cordiale e con grande emozione. Proprio oggi, 11 febbraio, giorno nel quale la liturgia della Chiesa ricorda ogni anno l'apparizione della Madonna a Lourdes, saluto voi, che siete soliti di recarvi in pellegrinaggio a quel santuario, e voi, che aiutate i pellegrini malati: sacerdoti, medici, infermiere, membri del servizio di sanità, di trasporto, di assistenza. Vi ringrazio perché quest'oggi avete riempito la Basilica di San Pietro, e con la vostra presenza fate onore al Papa, rendendolo quasi partecipe dei vostri annuali pellegrinaggi a Lourdes, della vostra comunità, della vostra preghiera, della vostra speranza e anche di ogni vostra personale rinuncia e di quella reciproca donazione e sacrificio, che caratterizzano la vostra amicizia e solidarietà. Questa Basilica e la Cattedra di san Pietro hanno bisogno della vostra presenza. Questa vostra presenza è necessaria a tutta la Chiesa, a tutta l'umanità. Il Papa vi è per questo riconoscente, immensamente riconoscente. Infatti l'incontro odierno è, senza dubbio, unito alla gioia, che scaturisce da una fede viva, ma anche a una non lieve fatica e sacrificio.

2. Il Signore Gesù, nel Vangelo di oggi, incontra un uomo gravemente malato: un lebbroso, che gli chiede: "Se vuoi, puoi guarirmi" (Mc 1,41). E subito dopo, Gesù gli proibisce di divulgare il miracolo compiuto, cioè di parlare della sua guarigione. E benché sappiamo che "Gesù andava... predicando il Vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità" (Mt 9,35), tuttavia la restrizione, "la riserva" di Cristo riguardo alla guarigione da lui effettuata è significativa.

Forse c'è qui una lontana previsione di quella "riserva", di quella cautela con cui la Chiesa esamina tutte le presunte guarigioni miracolose, ad esempio quelle che da oltre cento anni si sono verificate a Lourdes. E' noto a quali severi controlli medici venga sottoposta ognuna di esse.

La Chiesa prega per la salute di tutti i malati, di tutti i sofferenti, di tutti gli inguaribili, umanamente condannati a una invalidità irreversibile.

Prega per i malati e prega con i malati. Con la più grande riconoscenza accoglie ogni guarigione, anche se parziale e graduale. E nello stesso tempo, con tutto il suo atteggiamento fa capire - come Cristo - che la guarigione è qualcosa di eccezionale, che dal punto di vista dell'"economia" divina della salvezza è un fatto straordinario e quasi "supplementare".

3. Questa economia divina della salvezza - come l'ha rivelata Cristo - manifesta indubbiamente nella liberazione dell'uomo da quel male, che è la sofferenza "fisica". Ancor più pero si manifesta nella trasformazione interiore di quel male, che è la sofferenza spirituale, nel bene "salvifico", nel bene che santifica colui che soffre e anche per gli altri per mezzo suo. E perciò il testo della liturgia odierna, sulla quale dobbiamo soprattutto soffermarci, non sono le parole: "Lo voglio, guarisci", sii purificato, ma le parole: "Fatti mio imitatore". E' San Paolo che si rivolge con queste parole ai Corinzi: "Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo" (1Co 11,1). Prima di lui Cristo stesso molte volte aveva detto: "Vieni e seguimi" (cfr. Mt 8,22 Mt 19,21 Mc 2,14 Lc 18,22 Jn 21,22).

Queste parole non hanno la forza di guarire, non liberano dalla sofferenza. Hanno pero una forza trasformatrice. Sono una chiamata a diventare un uomo nuovo, a diventare particolarmente simile a Cristo, per ritrovare in questa somiglianza, attraverso la grazia, tutto il bene interiore in ciò che di per se stesso è un male, che fa soffrire, che limita, che forse umilia o mette in disagio. Cristo che dice all'uomo sofferente "vieni e seguimi" è lo stesso Cristo che soffre: Cristo del Getsemani, Cristo flagellato, Cristo incoronato di spine, Cristo sulla via della croce, Cristo in croce... E' lo stesso Cristo, che fino in fondo ha bevuto il calice della sofferenza umana "datogli dal Padre" (cfr. Jn 18,11). Lo stesso Cristo, che ha assunto tutto il male della condizione umana sulla terra tranne il peccato, per ritrarne il bene salvifico: il bene della redenzione, il bene della purificazione e della riconciliazione con Dio, il bene della grazia.

Se dice a ciascuno di voi, cari fratelli e sorelle: "Vieni e seguimi", vi invita e vi chiama a partecipare alla stessa trasformazione, alla stessa trasmutazione del male della sofferenza in bene salvifico: della redenzione, della grazia, della purificazione, della conversione... per sé e per gli altri.

Proprio per questo, san Paolo, che voleva essere così appassionatamente imitatore di Cristo, afferma in un altro luogo: "completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo" (cfr. Col 1,24).

Ciascuno di voi può di queste parole fare l'essenza della propria vita e della propria vocazione. Vi auguro una tale trasformazione che è "un miracolo interiore", ancor più grande del miracolo della guarigione; questa trasformazione, che corrisponde alla normale via dell'economia salvifica di Dio, come ce l'ha presentata Gesù Cristo. Vi auguro questa grazia e la imploro su ciascuno di voi, cari fratelli e sorelle.4. "Ero malato - dice Gesù di se stesso - e m'avete visitato" (Mt 25,36). Secondo la logica della stessa economia della salvezza, lui che si immedesima in ciascun sofferente, attende - in quest'uomo - altri uomini che "vengano a visitarlo".

Attende che si sprigioni la compassione umana, la solidarietà, la bontà, l'amore, la pazienza, la sollecitudine in tutte le varie forme. Attende lo sprigionarsi di ciò che c'è di nobile, di elevato nel cuore umano: "M'avete visitato".

Gesù, che è presente nel nostro prossimo sofferente, vuole essere presente in ogni nostro atto di carità e di servizio, che si esprime anche in ogni bicchiere d'acqua che diamo "nel suo nome" (cfr. Mc 9,41). Gesù vuole che dalla sofferenza, e attorno alla sofferenza, cresca l'amore, la solidarietà d'amore, cioè la somma di quel bene, che è possibile nel nostro mondo umano. Bene che non tramonta mai.

Il Papa, che vuol essere servo di questo amore, bacia la fronte e bacia le mani di tutti coloro che contribuiscono alla presenza di questo amore e alla sua crescita nel nostro mondo. Egli sa, infatti, e crede di baciare le mani e la fronte di Cristo stesso, che è misticamente presente in coloro che soffrono e in coloro che, per amore, servono chi soffre.

Con questo "bacio spirituale" di Cristo apprestiamoci, cari fratelli e sorelle, a celebrare e a partecipare a questo sacrificio, in cui dalla eternità è inserito il sacrificio di ciascuno di voi. E forse oggi conviene in modo particolare ricordare che, secondo la Lettera agli Ebrei, celebrando questo sacrificio e pregando "cum clamore valido" (He 5,7), Cristo viene esaudito dal Padre: Cristo delle nostre sofferenze, Cristo dei nostri sacrifici, Cristo del nostro Getsemani, Cristo delle nostre difficili trasformazioni, Cristo del nostro servizio fedele al prossimo, Cristo dei nostri pellegrinaggi a Lourdes, Cristo della nostra comunità, oggi, nella Basilica di San Pietro, Cristo nostro Redentore, Cristo nostro Fratello! Amen.

Carissimi fratelli e sorelle.

Permettete che ritorni ancora su quel grande evento che è stato per me il viaggio nel Messico, tanto più che la Conferenza dell'Episcopato latino-americano continua ancora a Puebla i suoi lavori, la cui fine è imminente.

Quel viaggio racchiude in sé moltissimi temi che bisognerà sviluppare e addirittura, in certi casi, riprendere da capo. Tutto questo viaggio è rimasto profondamente impresso nella mia mente e nel mio cuore, cominciando dall'arrivo a Santo Domingo, dove approdo la prima volta Cristoforo Colombo, dove la prima volta fu celebrata la santa Messa nel "nuovo mondo", dove fu eretta la prima sede vescovile.

Tuttavia, oggi desidero soprattutto parlare del mio incontro con i malati. Tale incontro avrà luogo, nella Basilica di San Pietro, oggi pomeriggio, mentre ho ancora nella mente e nel cuore tutti gli incontri con i malati nel Messico, e in particolare quello avvenuto nella chiesa dei Padri Domenicani a Oaxaca.

Sono grato a quanti hanno organizzato quell'incontro: ai sacerdoti, ai medici, agli addetti al servizio sanitario. Grazie a loro ho potuto avvicinarmi a tanti malati, miei fratelli e sorelle, in terra messicana. Ho potuto posare la mia mano sul loro capo, ho potuto pronunciare una parola di compassione, di conforto, ho potuto chiedere la loro preghiera.

Io conto molto sulla preghiera dei malati, sull'intercessione presso Dio di coloro che soffrono. Essi sono tanto vicini a Cristo! Ed io mi avvicino a loro, consapevole che Cristo è presente in essi.

La sofferenza del prossimo, la sofferenza d'un altro uomo in tutto uguale a me, suscita sempre in coloro che non soffrono un certo disagio, quasi un senso d'imbarazzo. Viene istintivamente una domanda: perché lui, e non io? Non è lecito sottrarsi a questo interrogativo, che è l'espressione elementare della solidarietà umana. Penso che sia questa fondamentale solidarietà che ha creato la medicina e l'intero servizio sanitario nella sua evoluzione storica fino ai giorni nostri.

Dobbiamo quindi soffermarci davanti alla sofferenza, davanti all'uomo che soffre, per riscoprire questo legame essenziale tra il mio e il suo "io" umano. Dobbiamo soffermarci davanti all'uomo che soffre, per attestare a lui e, per quanto possibile, insieme con lui, tutta la dignità della sofferenza, direi tutta la maestà della sofferenza. Dobbiamo chinare il capo davanti a fratelli o sorelle, che sono deboli e indifesi, privi proprio di quel che a noi è stato concesso e di cui godiamo ogni giorno.

Questi sono soltanto alcuni aspetti di quella grande prova che tanto costa all'uomo, ma che nello stesso tempo lo purifica, come purifica colui che cerca di essere solidale con l'altro, con l'"io" umano sofferente.

Cristo ha detto: "Ero malato e m'avete visitato" (Mt 25,36).

Preghiamo oggi per tutti i malati che ho incontrato sulle vie del mio viaggio nel Messico, e anche per coloro, ancor più numerosi, con cui non ho potuto incontrarmi; preghiamo poi per coloro che parteciperanno oggi alla Messa nella Basilica di San Pietro e per tutti quelli che soffrono, ovunque si trovino.

Siamo vostri debitori, carissimi fratelli e sorelle sofferenti. Il Papa è vostro debitore! Pregate per noi! Inoltre, il mio pensiero va al Santuario di Lourdes, poiché oggi ricorre il giorno anniversario della prima visione avuta da santa Bernardetta; inoltre, come già sapete, proprio là avrà luogo il prossimo Congresso Eucaristico Internazionale, che si celebrerà nell'anno 1981 sul tema impegnativo: "Gesù Cristo, pane spezzato per la salvezza del mondo".

Anche questa iniziativa, perciò, raccomando caldamente alle vostre preghiere, mentre tutti insieme invochiamo la Madonna.

(Recita l'Angelus e prosegue:) Oggi poi si compiono cinquant'anni dalla firma dei Patti Lateranensi tra la Santa Sede e l'Italia. Uno dei Patti, come sapete, è il Trattato che costitui lo Stato della Città del Vaticano, restituendo così al Papa e ai suoi organi di governo apostolico la piena e visibile indipendenza di fronte all'Italia e a tutti i popoli del mondo, affinché sempre più libera, imparziale, supernazionale possa essere e apparire l'azione di Maestro e di Pastore che spetta al successore di Pietro nei riguardi di tutti i credenti. L'altro Patto è il Concordato che regola le questioni che interessano la vita della Chiesa nell'ambito dello Stato italiano, e in particolare la piena libertà religiosa, la vita delle istituzioni cattoliche, il riconoscimento del matrimonio religioso, l'insegnamento della religione nelle scuole.

In questo momento il mio pensiero riverente e grato va alla memoria del grande Pontefice Pio XI, che volle la soluzione felice della Questione Romana, e che col Concordato si preoccupo del bene spirituale della nazione italiana e in particolare della gioventù.

Preghiamo per questa figura di grande Papa e degli altri insigni pontefici che gli succedettero, preghiamo perché l'auspicata revisione del Concordato sia portata presto a felice compimento, come mi auguro, e come desiderarono ardentemente Paolo VI e Giovanni Paolo I, e perché all'Italia siano sempre preservati i tesori della sua fede bimillenaria e della libertà e della pace religiosa.

Data: 1979-02-11

Data estesa: Domenica 11 Febbraio 1979.

Udienza generale - Riconoscersi in Cristo


GPII 1979 Insegnamenti - Al Collegio di Difesa della NATO - Città del Vaticano (Roma)