GPII 1979 Insegnamenti - Presso la tomba di san Giovanni Neumann - Filadelfia (USA)

Presso la tomba di san Giovanni Neumann - Filadelfia (USA)

Testo: Cari fratelli e sorelle in Cristo.

Sono venuto alla Chiesa di San Pietro a pregare sulla tomba di san Giovanni Neumann, missionario zelante, pastore sacrificato, figlio fedele di sant'Alfonso nella Congregazione del SS. Redentore, e quarto Vescovo di Filadelfia.

Stando in questa Chiesa penso all'unico motivo di tutta la vita di san Giovanni Neumann: il suo amore per Cristo. Le sue preghiere ci mostrano questo amore; perché fin da quando era bambino egli soleva dire: "Gesù, per te voglio vivere, per te voglio morire, voglio essere tutto tuo in vita; voglio essere tutto tuo in morte" (Nicola Ferrante, "S. Giovanni Neumann, C.SS.R., Pioniere del Vangelo", p. 25). E da sacerdote così prego nella sua prima Messa: "Signore, dammi la santità".

Miei fratelli e sorelle in Cristo: questa è la lezione che impariamo dalla vita di san Giovanni Neumann, e questo è il messaggio che io oggi vi lascio: quello che veramente importa nella vita è che siamo amati da Cristo e che lo amiamo da parte nostra. In paragone con l'amore di Gesù ogni altra cosa è inutile.

Maria, Madre del Perpetuo Soccorso, interceda per noi; san Giovanni Neumann preghi per noi; e con l'aiuto delle loro preghiere possiamo noi perseverare nella fede, essere lieti nella speranza e fortificati nel nostro amore per Gesù Cristo, nostro Redentore e nostro Signore.

Data: 1979-10-04

Data estesa: Giovedì 4 Ottobre 1979.


Nella Cattedrale ucraina di Filadelfia (USA)

Titolo: Il ruolo della tradizione ucraina nella Chiesa cattolica

Testo: Sia lodato Gesù Cristo! Con questo saluto cristiano mi rivolgo a voi, cari fratelli e sorelle, nella vostra nativa lingua ucraina, prima di incominciare a parlarvi in inglese.

In primo luogo saluto tutta la Gerarchia qui presente, tanto della Metropoli di Filadelfia, come anche di Pittsburgh. In modo particolare saluto il neo nominato Metropolita di Filadelfia. Saluto tutti i cari Sacerdoti, Religiosi e Religiose. Saluto cordialmente tutti voi, cari fedeli della metropolia ucraina di Filadelfia, che vi siete raccolti qui, in questo tempio della santissima Madre di Dio, per onorare nella mia persona il successore di san Pietro sulla cattedra di Roma, Vicario di Cristo sulla terra.

Su tutti voi, cari fratelli e sorelle, invoco copiose grazie dal Dio onnipotente, per intercessione dell'Immacolata Vergine Maria, a cui è dedicata la vostra cattedrale.

Cari fratelli e sorelle, "Ora in Cristo Gesù... siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù" (Ep 2,13 Ep 2,19-20). Con queste parole l'apostolo Paolo ricorda agli Efesini la straordinaria benedizione che essi hanno ricevuta divenendo membri della Chiesa. Queste parole sono valide ancora oggi. Voi fate parte della Casa di Dio. Voi, membri della tradizione ucraina, fate parte di un edificio costruito sul fondamento degli apostoli e dei profeti con lo stesso Gesù Cristo quale pietra angolare. Tutto è avvenuto secondo il piano provvidenziale di Dio.

Diversi anni fa, il mio amato predecessore, Paolo VI, dono una pietra della tomba di san Pietro per la costruzione di questa magnifica cattedrale dedicata a Maria Immacolata. Paolo VI volle che questo dono fosse un simbolo visibile dell'amore e della stima della Sede Apostolica di Roma per la Chiesa Ucraina. Nello stesso tempo, questa pietra doveva costituire un segno della fedeltà della Chiesa Ucraina alla Sede di Pietro. Con questo gesto profondamente simbolico, Paolo VI riaffermava l'insegnamento dell'apostolo Paolo contenuto nella lettera agli Efesini.

Oggi, quale successore di Paolo VI nella cattedra di Pietro, vengo a rendervi visita in questa magnifica nuova Cattedrale. Sono felice di questa occasione, e ne approfitto per assicurarvi, quale pastore universale della Chiesa, che quanti sono eredi della tradizione ucraina hanno un ruolo importante e ben definito da svolgere in seno alla Chiesa cattolica.

Secondo la testimonianza della storia, nella Chiesa si sono sviluppati numerosi riti e tradizioni, da quando essa si è sparsa, da Gerusalemme, nelle nazioni e si è incarnata nel linguaggio, nella cultura e nelle tradizioni umane dei vari popoli che accettarono il Vangelo con cuore aperto. Questi riti e tradizioni diversi, ben lungi dall'essere un segno di deviazione, infedeltà o divisione, sono stati infatti una prova inoppugnabile della presenza dello Spirito Santo che continuamente rinnova ed arricchisce la Chiesa, il regno di Cristo già presente in mistero (cfr. LG 3).

Le varie tradizioni all'interno della Chiesa sono l'espressione della molteplicità dei modi con cui il Vangelo può radicarsi e fiorire nella vita del Popolo di Dio. Sono il segno vivente della ricchezza della Chiesa. Ciascuno, mentre è unito a tutti gli altri nella "stessa fede, gli stessi sacramenti e lo stesso governo" (OE 2), si manifesta nondimeno con la propria liturgia, disciplina ecclesiastica e patrimonio spirituale. Ogni tradizione unisce alle espressioni artistiche particolari e alle semplici intuizioni spirituali una propria particolare esperienza vissuta di fedeltà a Cristo.

E' in vista di queste considerazioni che il Concilio Vaticano II ha dichiarato: "La storia, le tradizioni e molte istituzioni ecclesiastiche dimostrano quanto le Chiese orientali si siano rese benemerite di tutta la Chiesa.

Per questo il Sacro Concilio non solo circonda di doverosa stima e di giusta lode questo loro patrimonio ecclesiastico e spirituale, ma lo considera fermamente quale patrimonio di tutta la Chiesa di Cristo" (OE 5).

E' da tanto tempo che io stimo moltissimo il popolo ucraino. Ho saputo delle molte sofferenze ed ingiustizie che avete dovuto sopportare. Questi fatti sono stati e continuano ad essere motivo di grande preoccupazione per me. Sono anche cosciente delle difficoltà della Chiesa cattolica ucraina attraverso i secoli per rimanere fedele al Vangelo e unita al successore di Pietro. Non posso dimenticare gli innumerevoli martiri ucraini dei tempi passati ed anche recenti i cui nomi in gran parte sono rimasti sconosciuti, che hanno preferito perdere la loro vita piuttosto che la loro fede. Ricordo ciò per far comprendere la mia profonda stima per la Chiesa ucraina e per la sua provata fedeltà nella sofferenza.

Vorrei anche parlare di quelle cose che voi avete conservato come il vostro patrimonio spirituale particolare: la lingua liturgica slava, la musica ecclesiastica e le molteplici forme di pietà che si sono sviluppate nel corso dei secoli e che continuano a nutrire la vostra vita. Il vostro apprezzamento per questi tesori della tradizione ucraina è dimostrato dall'attaccamento che voi avete mantenuto verso la Chiesa ucraina e dal modo nel quale avete continuato a vivere la fede secondo la sua singolare tradizione.

Fratelli e sorelle in Cristo, voglio ricordare alla vostra presenza le parole che Gesù ha pronunciato alla vigilia della sua morte sulla croce: "Padre... fa' che siano una sola cosa" (Jn 17,11). Non dobbiamo mai dimenticare questa preghiera; infatti, dobbiamo cercare mezzi e strade sempre migliori per salvaguardare e rafforzare i legami che ci uniscono in un'unica Chiesa. Ricordate le parole di san Paolo: siete stati "edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, con Cristo Gesù come pietra angolare" (Ep 2,20). L'unità di questo edificio spirituale che è la Chiesa, viene mantenuta dalla fedeltà alla pietra angolare, che è Cristo e agli insegnamenti degli apostoli conservati e spiegati nella tradizione della Chiesa. Una reale unità di dottrina ci lega.

L'unità cattolica significa anche il riconoscimento del successore di san Pietro e del suo ministero inteso a rafforzare e a preservare intatta la comunione della Chiesa universale, salvaguardando all'interno di essa l'esistenza delle legittime tradizioni particolari. La Chiesa ucraina, come pure le altre Chiese orientali, ha il diritto e il dovere, in conformità con gli insegnamenti del Concilio (cfr. OE 5), di conservare il suo proprio patrimonio ecclesiale e spirituale. Proprio perché queste particolari tradizioni vengono ad arricchire la Chiesa universale, la Sede Apostolica di Roma si preoccupa vivamente di proteggerle e promuoverle. A loro volta, le comunità ecclesiali che seguono queste tradizioni sono chiamate ad aderire con amore e rispetto ad alcune particolari forme di disciplina che il mio predecessore ed io, per assolvere le nostre responsabilità pastorali nei riguardi della Chiesa universale, abbiamo ritenuto necessarie per il bene di tutto il Corpo di Cristo.

In larga parte, l'unità cattolica dipende dalla carità reciproca. Non dimentichiamo che l'unità della Chiesa è scaturita dalla Croce di Cristo, che ha infranto le barriere del peccato e le divisioni riconciliandoci con Dio e fra di noi, Gesù predisse questo atto unificatore quando disse: "...Quanto a me, allorché saro innalzato da terra, tutti attirero a me" (Jn 12,32). Se continueremo ad imitare l'amore di Gesù, nostro Salvatore, sulla Croce, e se persevereremo nell'amore reciproco, allora manterremo i vincoli di unità nella Chiesa e testimonieremo l'avverarsi della preghiera di Gesù: "Padre... fa' che siano una sola cosa" (Jn 17,11).

Come per il futuro, vi affido alla protezione di Maria Immacolata, Madre di Dio e Madre della Chiesa. So che voi la onorate con grande devozione. Questa magnifica cattedrale dedicata all'Immacolata Concezione dà eloquente testimonianza di questo vostro amore filiale. Da secoli, la nostra Madre Benedetta è stata la forza del vostro Popolo nelle sue sofferenze, e la sua amorosa intercessione è stata per lui motivo di gioia.

Continuate ad affidarvi alla sua protezione.

Continuate ad essere fedeli al suo figliolo, il nostro Signore Gesù Cristo, il Redentore del mondo.

E la grazia di nostro Signore Gesù Cristo sia con tutti voi.

Data: 1979-10-04

Data estesa: Giovedì 4 Ottobre 1979.



Ai Sacerdoti americani - Filadelfia (USA) - Unità nell'amore per cui Cristo ha pregato


Testo: Cari confratelli sacerdoti.

1. Celebrando questa messa, che riunisce insieme i presidenti degli organismi presbiterali, o Consigli, di tutte le diocesi degli Stati Uniti, il tema vitale che s'impone alla nostra riflessione è uno solo: il sacerdozio e la sua importanza centrale nella missione della Chiesa. Nell'enciclica "Redemptor Hominis" (RH 10) ho descritto tale compito con le seguenti parole: "Il compito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare della nostra, è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Cristo Gesù".

I Consigli presbiterali costituiscono una struttura nuova nella Chiesa, voluti dal Concilio Vaticano II e dalla recente legislazione della Chiesa. Questa nuova struttura dà una concreta espressione all'unità del Vescovo e dei presbiteri nel servizio pastorale del gregge di Cristo, e assiste il Vescovo nel suo compito specifico di governare la diocesi, fornendogli il consiglio di collaboratori rappresentativi scelti tra il presbiterio. La concelebrazione dell'odierna Eucaristia vuol essere un segno di conferma del bene compiuto dai vostri Consigli presbiterali durante gli anni passati, ed al tempo stesso un incoraggiamento a continuare con entusiasmo e decisione a perseguire quest'importante meta qual è quella di "promuovere la conformità della vita e dell'azione del popolo di Dio con il Vangelo" ("Ecclesiae Sanctae", 16 § 1). Ma al disopra di tutto il desiderio che questa messa costituisca una speciale occasione per parlare, attraverso di voi, a tutti i miei fratelli sacerdoti di questa nazione intorno al nostro sacerdozio.

Con grande amore ripeto le parole che vi ho scritto il Giovedì Santo: "Per voi io sono Vescovo, con voi sono sacerdote".

La nostra vocazione sacerdotale ci è stata data da Gesù stesso. E' una chiamata personale e individuale: siamo stati chiamati per nome, come Geremia. E' una chiamata al servizio; siamo mandati a predicare la Buona Novella di Dio, a dedicare "la cura del pastore al gregge di Dio". E' chiamata a una comunione di intenti e di azione: costituire un unico sacerdozio con Gesù e fra di noi, proprio come Gesù e il Padre sono una cosa sola: un'unità così ben simboleggiata in questa messa concelebrata.

Il sacerdozio non è soltanto un compito assegnatoci: è una vocazione, una chiamata a cui prestare continuamente ascolto. Ascoltare questa chiamata e rispondere generosamente a quanto essa comporta è compito di ogni sacerdote, ma è anche responsabilità del Consiglio Presbiterale. Questa responsabilità significa approfondire e comprendere il sacerdozio così come Cristo lo ha istituito, così come egli ha voluto che fosse e che rimanesse, così come la Chiesa fedelmente lo spiega e lo trasmette. Fedeltà alla chiamata al sacerdozio significa costruire questo sacerdozio insieme col popolo di Dio mediante una vita di servizio in accordo con le priorità apostoliche: concentrare tutto "nella preghiera e nel ministero della Parola" (Ac 6,4).

Nel Vangelo di san Marco la vocazione sacerdotale dei Dodici Apostoli è come un bocciolo, la cui fioritura dispiega tutta una teologia del sacerdozio. Nel pieno del ministero di Gesù, noi leggiamo che egli "sali sul monte, chiamo a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costitui Dodici che stessero con lui ed anche per mandarli a predicare"; poi il passo evangelico elenca i nomi dei Dodici Apostoli (Mc 3,13-14). Noi qui scorgiamo tre aspetti significativi della chiamata di Gesù: per prima cosa egli chiamo i suoi primi sacerdoti individualmente e per nome; li chiamo al servizio della sua Parola, perché predicassero il Vangelo; e li fece suoi compagni, associandoli all'unità di vita e di azione che egli condivide col Padre nel più profondo della vita trinitaria.


2. Esploriamo questa triplice dimensione del nostro sacerdozio riflettendo sulle odierne letture bibliche. Infatti il Vangelo colloca nella tradizione della vocazione profetica la chiamata dei Dodici Apostoli da parte di Gesù. Quando un sacerdote riflette alla vocazione di Geremia all'ufficio profetico, rimane al tempo stesso rassicurato e scosso: "Non temere... perché io sono con te per proteggerti", dice il Signore a tutti quelli che chiama, "ecco, metto le mie parole sulla tua bocca". Chi non resterebbe confortato nell'udire queste rassicuranti parole divine? Quando noi consideriamo perché sono necessarie queste parole rassicuratrici, non vediamo forse in noi stessi quella stessa riluttanza che ritroviamo nella risposta di Geremia? Come lui, talvolta, il nostro concetto di questo ministero è troppo legato alla terra: manchiamo di fiducia in Colui che ci chiama. Possiamo anche rimanere attaccati a una nostra visione del ministero, pensando che esso dipenda troppo dai nostri talenti e capacità, ed a volte dimenticando che è Dio che ci chiama, come chiamo Geremia dal grembo materno. La cosa principale non è né il nostro lavoro né la nostra capacità; siamo chiamati a pronunciare le parole di Dio, non le nostre; ad amministrare i sacramenti che egli ha affidato alla Chiesa; chiamare il popolo ad un amore che egli per primo ha reso possibile.

Perciò arrendersi alla chiamata di Dio dev'essere compiuto con estrema fiducia e senza riserve. La nostra resa alla volontà di Dio dev'essere totale: il si detto una volta per sempre modellandosi sul si detto da Gesù stesso. Come ci dice san Paolo: "Come Dio mantiene la sua parola, io dichiaro che la mia parola verso di voi non è ora si e ora no, ma in lui c'è stato il si" (2Co 1,18-19).

Questa chiamata di Dio è una grazia: è un dono, un tesoro "che noi abbiamo in vasi di creta, perché appaia che la potenza straordinaria viene da Dio e non da noi" (2Co 4,7). Ma questo dono non è dato al sacerdote prima di tutto per lui stesso, è anzi un dono di Dio all'intera Chiesa e per la sua missione nel mondo. Il sacerdozio è un segno sacramentale stabile il quale dimostra che l'amore del Buon Pastore per il suo gregge non verrà mai meno. Nella mia lettera ai sacerdoti, lo scorso Giovedì Santo, ho sviluppato quest'aspetto del sacerdozio come dono di Dio: il nostro sacerdozio - dicevo - "costituisce un particolare "ministerium", cioè è "servizio" nei riguardi della comunità dei credenti. Non trae pero origine da questa comunità, come se fosse essa a "chiamare" o a "delegare". Il sacerdozio sacramentale è, invero, dono per questa comunità e proviene da Cristo stesso, dalla pienezza del suo sacerdozio" (Giovanni Paolo II, "Lettera a tutti i sacerdoti in occasione del Giovedì Santo", 8 aprile 1979).

In quest'offerta di doni al suo popolo è il divin donatore a prendere l'iniziativa; è lui che chiama "chi lui stesso ha stabilito".

Di qui, quando riflettiamo all'intimità tra il Signore e il suo profeta, il suo sacerdote - un'intimità che sgorga come risultante dalla chiamata con la quale egli ha preso l'iniziativa - noi siamo in grado di comprendere meglio certe caratteristiche del sacerdozio e renderci conto della loro rispondenza con la missione della Chiesa d'oggi come con quella del passato:a) Il sacerdozio è per sempre - "Tu es sacerdos in aeternum" - noi non riprendiamo il dono una volta offerto. Non è possibile che Dio, il quale ha dato impulso a dire si, ora voglia udire no! b) Né deve sorprendere il mondo che la chiamata di Dio mediante la Chiesa continui a proporci un ministero celibatario di amore e di servizio, sull'esempio di Nostro Signore Gesù Cristo. L'amore di Dio, infatti, ci ha toccati nelle profondità del nostro essere. E dopo secoli di esperienze, la Chiesa sa quanto profondamente convenga che i preti possano dare questa concreta risposta nelle loro vite per esprimere la totalità del si che hanno detto al Signore quando questi li chiamo per nome, al proprio servizio.

c) Il fatto che una chiamata personale, individuale al sacerdozio sia data dal Signore agli "uomini da lui prescelti" è in accordo con la tradizione profetica. Ciò dovrebbe aiutarci a comprendere che la tradizionale decisione della Chiesa di chiamare al sacerdozio degli uomini, e non chiamare delle donne, non comporta una dichiarazione di diritti umani né esclusione delle donne dalla santità e dalla missione della Chiesa. Piuttosto questa decisione esprime il convincimento della Chiesa circa questa particolare dimensione del dono del sacerdozio, mediante il quale Dio ha scelto di pascere il suo gregge.


3. Cari fratelli: "Il gregge di Dio è in mezzo a voi; dedicate ad esso le cure del pastore". Com'è strettamente legato all'essenza della nostra comprensione del sacerdozio il compito di pastore; nella storia della salvezza questa è un'immagine ricorrente della cura di Dio per il suo popolo. E solo nell'ufficio di Gesù, il Buon Pastore, può essere compreso il nostro pastorale ministero come sacerdoti.

Ricordate come, nel chiamare i Dodici, Gesù li chiamo ad essere i suoi compagni precisamente "per mandarli a predicare la Buona Novella". Il sacerdozio è missione e servizio; esso è mandato da Gesù per "prodigare al suo gregge una cura di pastore". Questa caratteristica del sacerdote - per richiamare una bella espressione su Gesù come "uomo-per-gli-altri" - ci mostra il senso genuino del "prodigare una cura di pastore". Esso sta a indicare la consapevolezza dell'umanità al mistero di Dio, alla profondità della redenzione che si realizza in Cristo Gesù. Il ministero sacerdotale è essenzialmente missionario: ciò significa essere mandati per gli altri, come Cristo fu mandato dal Padre suo, per la causa del Vangelo, ad evangelizzare. Secondo le parole di Paolo VI, "evangelizzare significa portare la Buona Novella a tutti gli strati dell'umanità... e rinnovarli" (EN 18). Alla base e al centro del suo dinamismo, l'evangelizzazione contiene una chiara enunciazione che la salvezza sta in Gesù Cristo, Figlio di Dio. Il suo nome, il suo insegnamento, la sua vita, le sue promesse, il suo regno e il suo mistero noi proclamiamo al mondo.

E l'efficacia di questa nostra proclamazione e quindi il vero successo del nostro sacerdozio dipendono dalla nostra fedeltà al Magistero mediante il quale la Chiesa custodisce "il buon deposito con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi" (2Tm 1,14).

Come modello di ogni ministero e apostolato nella Chiesa, il ministero sacerdotale non dev'essere mai concepito in termini di cosa acquisita; in quanto dono, esso è un dono che dev'essere proclamato e condiviso con gli altri. Non lo si vede chiaramente nell'insegnamento di Gesù, quando la madre di Giacomo e Giovanni domando che i suoi due figli sedessero alla destra e alla sinistra nel suo regno? "I capi delle nazioni dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo fra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt 20,25-28).

Proprio come Gesù fu perfettamente un uomo-per-gli-altri, dandosi completamente sulla croce, così il sacerdote è soprattutto servo e "uomo-per-gli-altri" quando agisce in persona Christi nell'Eucaristia, guidando la Chiesa in quella celebrazione in cui si rinnova il Sacrificio della Croce. Perciò nel quotidiano sacrificio eucaristico della Chiesa la Buona Novella, che gli Apostoli furono inviati ad annunziare, viene predicata nella sua pienezza; l'opera della nostra redenzione viene rinnovata.

Quanto perfettamente i Padri del Concilio Vaticano II afferrarono questa verità fondamentale nel loro decreto sulla vita e ministero sacerdotale: "Gli altri sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla Sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati... Per questo l'Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l'evangelizzazione" (PO 5). Nella celebrazione dell'Eucaristia noi sacerdoti siamo proprio nel cuore del nostro ministero di servizio, nel "prodigare al gregge di Dio una cura di pastore". Tutti i nostri sforzi pastorali sono incompleti fin quando il nostro popolo non sarà guidato alla piena ed attiva partecipazione al Sacrificio Eucaristico.


4. Ricordiamo come Gesù chiamo i Dodici come suoi compagni. La chiamata al servizio sacerdotale include l'invito a una particolare intimità con Cristo.

L'esperienza vissuta dei sacerdoti in ogni generazione li ha portati a scoprire nelle loro vite e nel loro ministero l'assoluta centralità della loro unione personale con Gesù, dell'essere suoi compagni. Nessuno può, in effetti, portare agli altri la Buona Novella di Gesù se egli stesso per primo non si è fatto suo costante compagno attraverso la preghiera personale, se non ha appreso da Gesù il mistero che deve annunziare.

Questa unione con Gesù, modellata sulla sua unità col Padre, riveste un'ulteriore intrinseca dimensione, come mostra la sua preghiera durante l'Ultima Cena: "Perché siano una cosa sola, Padre, come noi" (Jn 17,11). Il suo sacerdozio è uno, e questa unità dev'essere attuale ed effettiva tra i compagni da lui scelti. Di qui l'unità tra i sacerdoti, vissuta in fraternità ed amicizia, diventa esigenza e parte integrante della vita d'un prete.

L'unità tra i sacerdoti non è un'unità o fraternità fine a se stessa.

Essa è per amore del Vangelo, per simboleggiare, nell'attuazione del sacerdozio, l'essenziale direzione alla quale il Vangelo chiama tutti quanti: l'unione d'amore con lui e vicendevolmente con gli altri. E solo questa unione può garantire pace, giustizia e dignità ad ogni essere umano. Senza dubbio è questo il significato soggiacente alla preghiera di Gesù, quando egli continua: "Prego anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola come tu, Padre, sei in me ed io in te" (Jn 17,20-21). Perciò come potrà il mondo credere che il Padre ha mandato Gesù se non vede in modo tangibile che coloro i quali credono in Cristo hanno ascoltato il suo comandamento di "amarsi a vicenda"? E come potranno i credenti essere assicurati che questo amore è concretamente possibile, se non hanno l'esempio dell'unità dei loro sacerdoti, di coloro che Gesù stesso si forma nel sacerdozio come suoi compagni? Miei fratelli sacerdoti: non abbiamo forse toccato il cuore dell'argomento: il nostro zelo per il sacerdozio stesso? Esso è inseparabile da quello per il servizio del popolo. Questa Messa concelebrata - la quale simbolizza così bene l'unità del nostro sacerdozio - offre a tutto il mondo la testimonianza di quell'unità per la quale Gesù prego il Padre suo a nostro vantaggio. Ma non deve diventare una pura manifestazione passeggera, che renderebbe sterile la parola di Gesù. Ogni Eucaristia rinnova questa preghiera per l'unità: "Ricordati, Signore, della tua Chiesa diffusa su tutta la terra; rendila perfetta nell'amore in unione con il nostro Papa Giovanni Paolo, il nostro vescovo e tutto l'ordine sacerdotale".

I vostri Consigli Presbiterali, come nuove strutture nella Chiesa, forniscono una meravigliosa opportunità di testimoniare visibilmente l'unico sacerdozio che voi partecipate con i vostri Vescovi e vicendevolmente, e per dimostrare che cosa dev'essere al centro del rinnovamento di ogni struttura ecclesiale: l'unità per la quale Cristo ha pregato.


5. All'inizio di questa omelia io vi ho addebitato il compito di assumere la responsabilita del vostro sacerdozio, un compito per ciascuno di voi personalmente, un compito da dividere con tutti i sacerdoti e che riguarda in modo particolare i vostri Consigli Presbiterali. La fede di tutta la Chiesa esige di avere ben chiara la comprensione esatta del sacerdozio e del suo posto nella missione della Chiesa. così la Chiesa dipende da voi nell'approfondire sempre più questa comprensione, e per metterla in pratica nelle vostre vite e nel vostro ministero. In altre parole: per partecipare il dono del vostro sacerdozio alla Chiesa rinnovando la risposta che avete già data all'invito di Cristo: "Vieni, seguimi", offrendo completamente voi stessi, come aveva fatto lui.

A volte sentiamo dire: "Pregate per i sacerdoti". E oggi io rivolgo queste parole come un appello, come un'invocazione a tutti i fedeli della Chiesa negli Stati Uniti. Pregate per i sacerdoti, affinché ognuno di essi voglia costantemente ripetere il suo si alla vocazione ricevuta, rimanere saldo nel predicare il messaggio evangelico, e fedele per sempre come compagno di Nostro Signore Gesù Cristo.

Cari fratelli sacerdoti, poiché rinnoviamo il mistero pasquale e stiamo come discepoli ai piedi della Croce insieme con Maria, la Madre di Gesù, permettetemi di affidarvi ad essa. Nel suo amore troveremo la forza per la nostra debolezza, la gioia per i nostri cuori.

Data: 1979-10-04

Data estesa: Giovedì 4 Ottobre 1979.

Alla Comunità Rurale di San Patrizio - Des Moines (USA)

Titolo: Adorare Dio insieme

Testo: Cari fratelli e sorelle.

E' per me motivo di grande piacere essere qui oggi con voi, nel centro dell'America, nella graziosa chiesa di San Patrizio, in questa comunità irlandese.

Il mio viaggio pastorale attraverso gli Stati Uniti mi sarebbe parso incompleto senza una visita, anche breve, ad una comunità rurale come questa. Vorrei riandare con voi ad alcune riflessioni che questa particolare comunità desta nella mente e che sono dettate dall'incontro con le famiglie che costituiscono questa parrocchia rurale.

Proclamare Gesù Cristo e il suo Vangelo è il compito fondamentale che la Chiesa ha ricevuto dal suo Fondatore e che essa ha assunto fin dall'alba della prima Pentecoste. I primi cristiani furono fedeli alla missione che il Signore Gesù diede loro attraverso gli Apostoli: "Essi erano assidui alla predicazione degli Apostoli, alle riunioni comuni, alla frazione del pane e alle preghiere" (Ac 2,42). Questo è quello che ogni comunità di credenti deve fare: proclamare Cristo e il suo Vangelo in comunione e nella fede apostolica, nella preghiera e nella celebrazione dell'Eucaristia.

Quante parrocchie cattoliche hanno cominciato come la vostra agli inizi delle prime comunità in questa regione: una piccola chiesa, senza pretese, al centro di un gruppo di case coloniche, luogo e simbolo della preghiera e dell'incontro, cuore di una vera comunità cristiana dove la gente si può conoscere, partecipare i propri problemi e dare testimonianza insieme dell'amore a Gesù Cristo.

Nelle vostre fattorie voi siete vicini alla natura di Dio; nel vostro lavoro della terra voi seguite il ritmo delle stagioni e nei vostri cuori vi sentite vicini gli uni agli altri come figli di un Padre comune e quali fratelli e sorelle in Cristo. Che privilegio poter, come voi in questa zona, adorare Dio insieme, celebrare la vostra unità spirituale e aiutarvi reciprocamente ad affrontare le difficoltà della vita. Il sinodo dei Vescovi di Roma nel 1974 e Paolo VI nella sua esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" hanno dedicato notevole attenzione alle piccole comunità dove è possibile raggiungere una dimensione umana maggiore che non in una grande città o in una convulsa metropoli.

Fate che la vostra piccola comunità sia un autentico luogo di vita e di evangelizzazione cristiana, non isolandovi dalla diocesi o dalla Chiesa universale, sapendo che una comunità con un volto umano deve anche riflettere il volto di Cristo.

Siate riconoscenti a Dio per le benedizioni che vi concede, anche per la benedizione di appartenere a questa comunità parrocchiale rurale. Il Padre celeste vi benedica, benedica ciascuno di voi. La semplicità del vostro stile di vita e la concordia della vostra comunità siano terreno fertile per un crescente impegno verso Cristo Figlio di Dio e Salvatore del mondo.

Per parte mia ringrazio il Signore per l'opportunità che mi ha dato di venirvi a visitare e come Vicario di Cristo di rappresentarlo in mezzo a voi.

Grazie anche a voi per il cordiale benvenuto e per avermi concesso la vostra ospitalità mentre mi preparo per l'incontro con una più grande folla di gente ai "Living Farms".

La mia gratitudine va in modo particolare al Vescovo di Des Moines per il suo graditissimo invito. Egli ha sottolineato molte ragioni che rendono significativa la visita a Des Moines: città che è uno dei maggiori centri rurali di questo paese; sede della dinamica e meritevole "Conferenza Cattolica per la Vita Rurale", la cui storia è tanto strettamente legata al nome di un pastore e di un amico della gente rurale, Monsignor Luigi Ligutti; regione che si distingue per l'impegno comunitario e per l'attività sulla famiglia; diocesi che partecipa, insieme con tutti i vescovi cattolici di questa regione, in un più grande sforzo nella costruzione della comunità.

Il mio saluto e il mio augurio va anche a tutto lo Stato dello Iowa, alle autorità civili e a tutta la popolazione che mi ha generosamente riservato una cordiale ospitalità. Dio vi benedica attraverso l'intercessione di Maria, Madre di Gesù e Madre della Chiesa.

Data: 1979-10-04

Data estesa: Giovedì 4 Ottobre 1979.

Omelia presso le "Living History Farms" - Des Moines (USA)

Testo: Cari fratelli e sorelle in Cristo.

Qui, nel cuore dell'America rurale, in mezzo ai campi ubertosi e generosi nel periodo del raccolto, io vengo a celebrare l'Eucaristia.

Poiché sono tra voi in questo periodo del raccolto autunnale, quelle parole che sono ripetute ogni volta che i fedeli si riuniscono per la Messa mi sembrano quanto mai appropriate: "Benedetto sei tu, Signore, Dio dell'universo; dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell'uomo".

Poiché sono sempre stato vicino alla natura, consentitemi di parlarvi oggi dell'agricoltura, della terra e di ciò che la terra e il lavoro dell'uomo hanno prodotto.

1. La terra è dono che Dio ha fatto all'umanità fin dall'inizio dei tempi. E' un dono di Dio, dato dall'amore del Creatore come mezzo di sostentamento per la vita che egli aveva creato. Ma la terra non è soltanto un dono di Dio; essa è anche una responsabilità per l'uomo. L'uomo, creato lui stesso dalla polvere della terra (Gn 3,7), ne fu designato padrone (Gn 1,26).

Al fine di dare frutti la terra sarebbe dipesa dalla genialità e dall'abilità, dal sudore e dalla fatica dell'uomo a cui Dio l'aveva affidata. così il cibo che avrebbe sostenuto la vita sulla terra fu voluto da Dio in modo che risultasse l'insieme di ciò che la terra ha dato e il lavoro umano ha fatto.

A tutti i proprietari di azienda e ai lavoratori della terra io desidero dire: la Chiesa ha un'immensa stima del vostro lavoro. Lo stesso Gesù Cristo ha dimostrato la sua considerazione per il lavoro agricolo quando descrisse Dio, suo Padre, come un "vignaiolo" per sostenere e nutrire la vita. Voi eseguite il comandamento dato da Dio fin dagli inizi: "Riempite la terra e dominatela" (Gn

1,2B) Qui, nel cuore agricolo dell'America, le vallate e le colline sono state ricoperte di grano, i greggi e le mandrie si sono moltiplicate più volte.

Attraverso un aspro lavoro voi siete diventati padroni della terra e la terra vi si è sottomessa.

Per opera dell'abbondanza e della fecondità che le moderne attrezzature agricole hanno favorito, voi date alimento a milioni di persone che direttamente non lavorano la terra, ma che vivono grazie ai vostri prodotti. Memore di questo, faccio mie le parole del mio venerato predecessore Paolo VI: "La dignità di coloro che lavorano la terra e di tutti coloro che sono impegnati, a vari livelli, di ricerca e di azione nel campo dello sviluppo agricolo, deve essere instancabilmente riconosciuta e promossa" (Paolo VI, Messaggio al "World food Conference", 9 novembre 1974, 4).

Quali sono gli atteggiamenti dell'uomo nei confronti della terra? Come sempre dobbiamo rispondere ispirandoci a Gesù, perché, come dice san Paolo, "dovete avere in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù" (Ph 2,5).

Nella vita di Gesù troviamo vera comprensione verso ciò che riguarda la terra. Nel suo insegnamento egli si è riferito agli "uccelli dell'aria" (Mt 6,26), ai "gigli del campo" (Mt 7,17). Egli poi parlo del seminatore che ando a seminare (Mt 13,4) e si riferi al suo Padre Celeste quale "vignaiolo" (Jn 15,1) e disse di se stesso che era il Buon Pastore (Jn 10,14). Questa vicinanza alla natura, questi spontanei riferimenti alla creazione quale dono di Dio, così come il benedire il lavoro domestico, elemento caratteristico, anche ai giorni nostri, di ogni fattoria, furono momenti che fecero parte della vita di Gesù. Pertanto vi invito a far si che le vostre azioni siano simili a quelle di Gesù Cristo.


GPII 1979 Insegnamenti - Presso la tomba di san Giovanni Neumann - Filadelfia (USA)