GPII 1979 Insegnamenti - Lettera al Cardinale Cooray - Città del Vaticano (Roma)





Agli ordinandi sacerdoti - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Costruite la Chiesa con il vostro sacerdozio

Testo:

1. "Et tu puer propheta Altissimi vocaberis": "E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo" (Lc 1,76).

Queste parole parlano del Santo di oggi. Con queste parole il sacerdote Zaccaria saluto il proprio figlio, dopo aver riconquistato la capacità di parlare.

Con queste parole saluto il figlio, al quale, per sua volontà e con sorpresa di tutta la famiglia, diede il nome di Giovanni. Oggi la Chiesa ci ricorda questi avvenimenti, celebrando la solennità della nascita di san Giovanni Battista.

Si potrebbe chiamarla anche il giorno della chiamata di Giovanni, figlio di Zaccaria e di Elisabetta da Ain-Karim, per essere l'ultimo profeta dell'antica alleanza; per essere il messaggero e l'immediato precursore del Messia: Gesù Cristo.

Ecco colui, che viene al mondo in circostanze così insolite, porta già con sé la divina chiamata. Questa chiamata proviene dal disegno di Dio stesso, dal suo amore salvifico, ed è iscritta nella storia dell'uomo fin dal primo momento della concezione nel seno materno. Tutte le circostanze di questa concezione, come poi le circostanze della nascita di Giovanni ad Ain-Karim, indicano una chiamata insolita: "Praeibis ante faciem Domini parare vias eius", "perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade" (Lc 1,76).

Sappiamo che a questa chiamata Giovanni Battista ha risposto con tutta la sua vita. Sappiamo che ad essa egli è rimasto fedele fino all'ultimo respiro. E questo respiro fu reso nel carcere per ordine di Erode, in seguito al volere di Salomè che agiva su istigazione della vendicativa madre Erodiade.

Pero, tutto ciò la liturgia, oggi, non menziona, riservandovi un altro giorno. Oggi la liturgia ci ordina di rallegrarci per la sola nascita del Precursore del Signore. Ci ordina di rendere grazie a Dio per la chiamata di Giovanni Battista.


2. Quando in questo giorno, miei cari diaconi e candidati al presbiterato, vi presentate nella Basilica di San Pietro a Roma, desideriamo anche noi tutti rallegrarci per la vostra chiamata ad un'ulteriore partecipazione al sacerdozio di Cristo.

Nel cuore di ognuno di voi Dio ha iscritto il mistero di questa chiamata. Possiamo ripetere col profeta: "Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà" (Jr 31,3).

Ad un certo momento della vita vi siete resi conto di questa divina chiamata. E avete cominciato ad avviarvi, avete cominciato a camminare verso la sua realizzazione. La via al Sacramento dell'Ordine, che oggi ricevete dalle mie mani, passa attraverso una serie di tappe e di ambienti, di cui fanno parte la casa familiare, gli anni della scuola elementare e media, come pure gli studi superiori, l'ambiente degli amici, la vita parrocchiale. Anzitutto, pero, su questa via si trova il seminario ecclesiastico, al quale ognuno di noi va per trovare una risposta definitiva alla domanda riguardante la sua chiamata al sacerdozio. Ognuno di noi ci va, affinché, trovando in maniera sempre più matura tale risposta, possa prepararsi, nello stesso tempo, al Sacramento dell'Ordine in modo profondo e sistematico.

Oggi avete già alle spalle tutte queste esperienze. Non domandate più come quel giovane dal Vangelo: "Maestro buono, che cosa devo fare?" (Mc 10,17). Il Maestro vi ha già aiutato a trovare la risposta. Voi vi presentate perché la Chiesa possa imprimere su questa risposta il suo sigillo sacramentale.


3. Questo sigillo si imprime mediante tutta la liturgia del Sacramento dell'Ordine. Lo imprime il Vescovo, che agisce con la forza dello Spirito Santo e in comunione con il suo Presbyterium.

La forza dello Spirito Santo viene indicata e trasmessa dall'imposizione delle mani, accompagnata prima dal silenzio e poi dalla preghiera. Come segno del trasferimento di questa forza nelle vostre giovani mani, esse verranno unte col santo Crisma per essere degne di celebrare l'Eucaristia. Le mani umane non possono celebrare in altro modo se non nella forza dello Spirito Santo.

Celebrare l'Eucaristia vuol dire radunare il Popolo di Dio e costruire la Chiesa nella sua più piena identità.

Il momento che viviamo qui insieme è di grande importanza sia per ognuno di voi sia per la Chiesa intera.

La Chiesa ha pregato per ciascuno di questi chiamati, che oggi ricevono il sigillo sacramentale del Presbiterio. La Chiesa desidera che ognuno di voi la costruisca col proprio sacerdozio, col proprio servizio, il quale per la forza ottenuta da Cristo "raccoglie e non disperde" (Mt 12,30).


4. La Chiesa anche oggi prega. Pregano i vostri genitori, le famiglie, gli ambienti con i quali si è legata la vostra vita finora, i vostri seminari, le vostre diocesi, le vostre Congregazioni Religiose.

Preghiamo il Signore della messe che ha chiamato ognuno di voi come operai per la sua messe, affinché perseveriate in questa messe fino alla fine.

Così come Giovanni figlio di Zaccaria e di Elisabetta da Ain-Karim, il cui padre disse nel giorno della nascita: "Et tu puer propheta Altissimi vocaberis" (Lc 1,76).

La vostra perseveranza sia il frutto delle preghiere che oggi eleviamo.

Perseverate come profeti dell'Altissimo! Perseverate come sacerdoti di Gesù Cristo! Portate frutti abbondanti. Amen.

Data: 1979-06-24

Data estesa: Domenica 24 Giugno 1979.





Alle Pontificie Opere Missionarie - Il fondamentale valore della missione evangelizzatrice


Diletti fratelli nell'Episcopato, figlie e figli carissimi.

E' con particolare effusione di sentimenti che oggi vi accolgo, ringraziandovi anche per aver espresso il desiderio di questo incontro. A tutti porgo il mio saluto più cordiale, scorgendo in voi e nei molti aderenti alle Pontificie Opere Missionarie, che voi qui rappresentate, dei membri particolarmente attivi della Chiesa italiana, che hanno maturato il proprio senso di responsabilità nei confronti delle esigenze missionarie del Popolo di Dio.

Nel sessantesimo anniversario dell'enciclica "Maximum Illud", emanata dal mio predecessore Benedetto XV di venerata memoria, il vostro Convegno ha opportunamente scelto come proprio tema di studio "La missione nel cuore della Chiesa".

La Chiesa, infatti, è nata missionaria. Nel giorno stesso della prima Pentecoste, secondo il racconto degli "Atti degli Apostoli" (cfr. Ac 2), popoli di varia provenienza furono spettatori e insieme destinatari e primi beneficiari di ciò che lo Spirito di Dio potentemente opero nei Discepoli raccolti nel Cenacolo di Gerusalemme. Irresistibilmente investiti da quello Spirito, essi non potevano non proclamare in diverse lingue "le grandi opere di Dio" (Ac 2,11). A questi primi araldi fa eco l'Apostolo della Genti quando afferma: "Predicare il vangelo... è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo!" (1Co 9,16). Tutto ciò vale in primo luogo e personalmente per i singoli missionari, in base alla loro specifica vocazione. Ma vale pure, per estensione, per tutta la comunità cristiana, i cui membri già in base alla sola chiamata battesimale devono "splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita" (Ph 2,15-16), cioè irradiare e partecipare quel tesoro di fede e di comunione che ogni cristiano possiede.

Giustamente, quindi, si espresse il Concilio Vaticano II: "L'attività missionaria scaturisce direttamente dalla natura stessa della Chiesa, nel senso che ne diffonde la fede salvatrice, ne allarga e perfeziona l'universale unità, si regge sulla sua apostolicità, realizza l'impegno collegiale della Gerarchia, testimonia infine, diffonde e promuove la sua santità" (AGD 6). Ed è in questo senso di comune partecipazione che va letta pure la citata enciclica del Papa Benedetto XV quando, in anticipo sui tempi, invitava i Vescovi a concedere alcune Vocazioni Presbiterali diocesane per i bisogni più vasti e urgenti della Chiesa universale (cfr. Benedetto XV, "Maximum Illud": AAS 11 (1919) 452).

La missione, dunque, non è un impegno marginale né tantomeno superfluo.

Dire che esso sta nel cuore della Chiesa significa sottolineare che si tratta di questione vitale per la comunità cristiana. Non per nulla san Paolo paragona l'annuncio del Vangelo all'azione del piantare (cfr. 1Co 3,6), del gettare le fondamenta (cfr. 1Co 3,10) e del generare (1Co 4,15). Sono tutte immagini, che descrivono altrettante attività di primaria importanza, e che convergono tutte nell'evidenziare il valore basilare della missione evangelizzatrice. E non sono attività che si compiano una volta per tutte, poiché si tratta di coltivare il seme gettato, di edificare la costruzione iniziata, di educare ciò che è nato, "finché non sia formato Cristo in voi" (Ga 4,19). Ciò richiede una costante e premurosa attenzione; infatti, secondo la parabola di Gesù, non e, purtroppo, impossibile addormentarsi e favorire così l'intervento del "nemico" seminatore di zizzania (cfr. Mt 13,24ss).

Voi, membri delle Pontificie Opere Missionarie, siete certamente tra coloro che vigilano con diligenza e sollecitudine, perché l'azione missionaria della Chiesa sia davvero feconda e continua, e perché mai nella Chiesa venga meno la coscienza viva della sua responsabilità in proposito. A voi, perciò, vanno il mio plauso e il mio incoraggiamento più cordiali, con l'auspicio sincero ed affidato alle mani del Signore per una sempre maggiore incidenza della vostra provvida azione.

In pegno di tali voti, sono lieto di impartire la più larga benedizione apostolica a tutti voi, estendendola in particolar modo ai benemeriti missionari che operano in tutto il mondo.

Data: 1979-06-28

Data estesa: Giovedì 28 Giugno 1979.





Ai Legionari di Cristo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Costruire sulle fondamenta della fedeltà a Cristo

Testo: Amatissimi figli Legionari di Cristo.

Nel giorno in cui la liturgia commemora la festa di una grande figura ecclesiale, sant'Ireneo, ci riuniamo davanti a questa grotta di Lourdes, vicino all'altare del Signore, per offrirgli con l'Eucaristia il tributo della nostra azione di grazia, della nostra lode supplicante e della nostra fede rinnovata.

Sapendo da dove vengono molti di voi, il Papa non può fare a meno di ricordare e rivivere tanti momenti indimenticabili trascorsi nella vostra Patria originaria, il Messico; il vostro entusiasmo mi rinnova l'eco di quelle moltitudini affettuosamente vicine ed acclamanti.

Contemplando davanti a me i tanto numerosi membri della vostra famiglia religiosa, accompagnati dal vostro fondatore, mi vengono in mente le parole della Genesi, che abbiamo appena letto nella prima lettura di questa Messa. Queste ci parlano della divina assistenza che moltiplica la discendenza con il favore della sua benedizione. E' stata anche la benedizione del Signore, quella che ha fatto germogliare fecondamente quella fondazione del non lontano anno 1941, e che, avendo ricevuto il decreto di elogio solo 14 anni fa, conta oggi più di 130 sacerdoti e quasi 700 membri; distribuiti in diverse case e nazioni, operano già, o vi si preparano, per diffondere il regno di Cristo nella società, attraverso varie forme di apostolato specifico.

Siete, cari figli, una giovane famiglia religiosa, che cerca un crescente dinamismo, per offrire alla Chiesa un nuovo apporto di energie vive, nel momento attuale. Precisamente perché conosco questi vostri ideali, la mia voce vuole invitarvi, con gli accenti evangelici appena ascoltati, ad imitare l'uomo prudente che edifico la propria casa sulla roccia.

Per voi che avete, come carattere specifico, la spiritualità cristocentrica, costruire sulla roccia il vostro edificio individuale e comunitario vorrà dire sforzarvi per crescere sempre nella sublime conoscenza di Cristo, osservandolo per plasmare il suo messaggio nella vostra vita, ben radicati nella fede e nella carità, per essere capaci di curare in ogni istante gli interessi di Cristo. così potrete acquistare quella solidezza interiore che sfida la pioggia, i fiumi e i venti (cfr. Mt 7,25), per costruire il regno di Dio nella società attuale, nella gioventù - con cui di frequente lavorate - tanto bisognosa di certezze vissute, di certezze derivate da una fede inalterabile e dalla fiducia in Cristo. Il Cristo di Dio, morto e risuscitato, fatto principio di nuova vita per noi, sempre presente al nostro fianco come garanzia di vittoria di fronte alle avversità.

Parte importante di questa solidità nella vostra vita sarà anche la piena fedeltà alla Chiesa e al Concilio Vaticano II, senza sviamenti di nessun tipo, ma in perfetta coerenza con ciò che il Signore vi chiede e il Magistero propone nel momento attuale.

In questo cammino, sarà per voi di grande aiuto la fedeltà potenziata nei confronti di questi grandi amori che devono essere un distintivo, in accordo con la vostra vocazione, di ogni Legionario: amore per Cristo crocifisso e amore per la Vergine. Se siete fedeli a queste meraviglioso programma, non dovete temere: il vostro edificio spirituale riposa su basi solide.

Affinché vi manteniate fedeli a questi ideali, desidero ricordarvi di ricorrere frequentemente alla preghiera. E l'unico modo di rinnovarsi interiormente, di ottenere nuova luce che orienti i vostri passi, di appoggiare la debolezza personale sulla forza è la solidità del potere divino. In una parola: è l'unico modo per mantenere una perenne gioventù di spirito, nella disponibilità a Dio e agli altri.

Solo così potrete vivere pienamente l'allegria traboccante della vostra vocazione di prescelti per il servizio di Cristo e della Chiesa. Un'allegria che è testimonianza della presenza del Signore, e che rinvigorisce nel dono generoso al fratello. E' questo il desiderio che vi lascio, dicendolo con parole della liturgia di oggi: "Signore, ricordati di me quando mostrerai la tua bontà al tuo popolo; vieni da me quando darai la salvezza, perché io conosca la felicità dei tuoi eletti, gioisca con la gioia del tuo popolo ed esulti con la tua eredità".

Una parola per concludere. So che fra voi ci sono i giovani che durante la mia permanenza in Messico prestarono la loro generosa ed entusiastica collaborazione nella Delegazione apostolica.

Giunga a loro la testimonianza del mio profondo apprezzamento e della mia gratitudine. Sono gli stessi sentimenti che estendo anche, alla presenza delle loro sorelle della Congregazione residenti a Roma, alle Religiose Clarisse del Santissimo Sacramento che tanto si prodigarono a Città del Messico durante la mia permanenza nella stessa Rappresentanza Pontificia.

Ed ora, portiamo all'altare del Signore tutte queste intenzioni.

Data: 1979-06-28

Data estesa: Giovedì 28 Giugno 1979.





Ad una delegazione ortodossa - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La fede negli Apostoli salda base dei rapporti ecumenici

Testo: Siate i benvenuti cari fratelli che venite a unirvi alla Chiesa di Roma per celebrare i santi apostoli Pietro e Paolo. Per colui che voi rappresentate e per ciò che rappresentate, la vostra presenza - per onorare la memoria dei santi apostoli Pietro e Paolo - accresce la gioia che noi proviamo. Ve ne sono profondamente riconoscente.

L'annuale scambio delle delegazioni tra Roma e Costantinopoli per le feste dei santi protettori della nostra Chiesa non è solo una occasione di incontro che potrebbe diventare un'abitudine.

La partecipazione di una delegazione cattolica alla festa di sant'Andrea, fratello di san Pietro, presso il patriarcato ecumenico, e quella di una delegazione ortodossa a Roma per la festa dei santi Pietro e Paolo, con partecipazione reciproca alla celebrazione liturgica della memoria dei santi apostoli protettori delle nostre Chiese, hanno un significato molto ricco e sono piene di speranza. La fede apostolica, deposito che essi ci hanno trasmesso, è la base salda di tutti i nostri contatti.

Questi contatti, che vanno intensificandosi sempre più, ci avvicinano sempre di più alla piena unità tanto desiderata. I tempi, le circostanze avverse, le debolezze e gli errori degli uomini, nel passato hanno spinto le nostre Chiese ad ignorarsi, a volte perfino ad osteggiarsi reciprocamente. Oggi, per grazia di Dio e in virtù della buona volontà degli uomini attenti all'ascolto del Signore, la decisione di far tutto per ristabilire la piena unità è salda sia da una parte che dall'altra. I contatti tra le Chiese, tanto quelli tra coloro che hanno responsabilità particolari quanto quelli tra i loro fedeli, contribuiscono ad insegnarci a vivere insieme nella preghiera, nella consultazione, in vista di comuni soluzioni da dare ai problemi che si pongono oggi alle Chiese, nel reciproco aiuto, nella vita fraterna. Per questo mi rallegro particolarmente dell'incontro di oggi.

Aprendo quest'anno la settimana di preghiera per l'unità, avevo suggerito di far anche salire a Dio una preghiera di azione di grazie. E' Dio, infatti, che ha suscitato il desiderio dell'unità e ne ha benedetto la ricerca facendoci prendere coscienza in maniera più lucida della profondità della comunione che esiste tra le nostre Chiese. Il dialogo teologico che ci prepariamo a cominciare, in questo contesto avrà un ruolo determinante. Esso è chiamato a risolvere le difficoltà dottrinali e canoniche che costituiscono fino ad oggi un impedimento alla piena unità. Per questo dialogo dobbiamo implorare incessantemente la luce e la forza dello Spirito Santo che ci darà il coraggio delle decisioni da prendere.

Vi posso assicurare che la Chiesa cattolica affronta questo dialogo con un fervente desiderio di ristabilire la piena unità, con franchezza e onestà verso i suoi fratelli ortodossi, nello spirito di obbedienza al Signore che ha fondato la sua Chiesa una e unica, che la vuole pienamente unita perché essa sia segno e mezzo di unione intima con Dio e di unità di tutta l'umanità, e strumento efficace della predicazione del Regno di Dio fra gli uomini.

Vi ringrazio ancora una volta della vostra presenza a Roma in queste solenni circostanze. Al di là delle vostre persone, saluto cordialmente il nostro venerato fratello, il Patriarca Dimitrios, e vi prego di assicurarlo della nostra affezione e della nostra solidarietà.

Data: 1979-06-28

Data estesa: Giovedì 28 Giugno 1979.





Ai giornalisti cattolici del Belgio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il ruolo dell'informazione a servizio della verità

Testo: Signor Presidente, Signore, Signori.

La tradizione che vi porta a consegnarmi il prodotto delle "Etrennes pontificales" è tra quelle che fanno onore all'Associazione dei Giornalisti Cattolici del Belgio che la vostra delegazione rappresenta, all'Unione dei Giornali Cattolici del Belgio che si associa, e, oso dire, al popolo belga che risponde così generosamente ai vostri inviti.

L'iniziativa che riprendete di anno in anno con successo crescente, manifesta innanzitutto il vostro leale attaccamento alla Sede di Pietro, un attaccamento che non temete di manifestare sulla vostra stampa e che, di fatto, costituisce un esempio trascinante per i vostri compatrioti. Ne sono molto colpito. La comunione di spirito e di cuore con il Papa, la solidarietà con lui per gli immensi bisogni che si presentano alla sua carità, sono accenti apprezzabili dello spirito cattolico.

Vi esprimo dunque i miei rallegramenti e la mia viva gratitudine. E, al di là delle vostre persone, ringrazio i numerosi donatori che, attraverso la loro risposta e la loro offerta, sono entrati in questa immensa catena di solidarietà.

Li ringrazio in nome di tutti quelli che beneficeranno della loro generosità, e voi sapete fino a qual punto si faccia ricorso alla carità del Papa! Per quanto vi riguarda, formulo i miei voti per il compimento della vostra funzione di giornalisti. E' un compito faticoso, ne ho ancor meglio preso coscienza nel corso dei miei recenti viaggi! Vi incoraggio a servire così la verità e la fraternità, con uno spirito libero, allo stesso tempo rispettosi delle convinzioni degli altri e forti delle vostre convinzioni di uomini e di cristiani.

Benedico di gran cuore voi, le vostre famiglie e la grande famiglia di coloro che si sono associati alla vostra campagna delle "Etrennes pontificales" e di cui siete qui interpreti.

Sono stato anche toccato dall'evocazione delicata che avete fatto dei legami d'amicizia e solidarietà che sono stati tessuti da lunga data tra i figli del Belgio e i figli della Polonia. Dio benedica tutto il popolo belga! Data: 1979-06-28

Data estesa: Giovedì 28 Giugno 1979.





Omelia per la solennità degli Apostoli Pietro e Paolo - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'incrollabile fondamento della fede della Chiesa

Testo:

1. La liturgia odierna ci conduce, come ogni anno, nella regione di Cesarea di Filippo, dove Simone, figlio di Giona ha sentito dalla bocca di Cristo queste parole: "Beato te... perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).

Simone ha sentito queste parole dalla bocca di Cristo quando alla domanda: "La gente chi dice che sia il figlio dell'uomo?" (Mt 16,13) egli solo ha dato tale risposta: "Tu sei il Messia ("Christos"), il figlio del Dio vivente" (Mt

16,16).

Questa risposta si trova al centro della storia di Simone, che Cristo ha cominciato a chiamare Pietro.

Il luogo, in cui essa è stata pronunciata, è un luogo storico. Quando il Papa Paolo VI, come pellegrino, visito la Terra Santa, a quel luogo dedico una particolare attenzione. Ogni successore di Pietro deve ritornare in quel luogo col pensiero e col cuore. Li è stata riconfermata la fede di Pietro: "Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17).

Cristo sente la confessione di Pietro, che poco prima e stata pronunciata. Cristo guarda nell'anima dell'Apostolo, che confessa. Benedice l'opera del Padre in questa anima. L'opera del Padre raggiunge l'intelletto, la volontà e il cuore, indipendentemente dalla "carne" e dal "sangue"; indipendentemente dalla natura e dai sensi. L'opera del Padre, mediante lo Spirito Santo, raggiunge l'anima del semplice uomo, del pescatore di Galilea. La luce interiore proveniente da quest'opera trova espressione nelle parole: "Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente" (Mt 16,16).

Le parole sono semplici. Ma in esse si esprime la verità sovrumana. La verità sovrumana, divina, si esprime con l'aiuto di parole semplici, molto semplici. Tali furono le parole di Maria nel momento dell'annunciazione. Tali furono le parole di Giovanni Battista al Giordano. Tali sono le parole di Simone nei pressi di Cesarea di Filippo: Simone, che Cristo ha chiamato Pietro.

Cristo guarda nell'anima di Simone. Sembra che ammiri l'opera compiuta in essa dal Padre, mediante lo Spirito Santo: ecco, confessando la verità rivelata sulla figliolanza divina del suo Maestro, Simone diventa partecipe della divina Conoscenza, di quella inscrutabile Scienza, che il Padre ha del Figlio, così come il Figlio ha del Padre.

E Cristo dice: "Beato te, Simone figlio di Giona" (Mt 16,17).


2. Queste parole si trovano nel centro stesso della storia di Simon Pietro.

Non è stata mai ritirata questa benedizione. così come non è stata mai offuscata, nell'anima di Pietro, quella confessione, che ha fatto allora, nei pressi di Cesarea di Filippo.

Con essa ha trascorso tutta la sua vita fino all'ultimo giorno. Ha trascorso con essa quella terribile notte della cattura di Cristo nel giardino del Getsemani; la notte della propria debolezza, della più grande debolezza, che si è manifestata nel rinnegare l'uomo... ma che non ha distrutto la fede nel figlio di Dio. La prova della croce è stata ricompensata dalla testimonianza della Risurrezione. Essa apporto alla confessione, fatta nella regione di Cesarea di Filippo, un argomento definitivo.

Pietro andava adesso, con questa sua fede nel Figlio di Dio, incontro alla missione, che il Signore gli aveva assegnato.

Quando per ordine di Erode, si è trovato nella prigione di Gerusalemme, incatenato e condannato a morte, sembro che tale missione sarebbe durata poco.

Invece Pietro fu liberato dalla stessa forza, dalla quale era stato chiamato. Gli era stata destinata una strada ancora lunga. Alla fine di questa strada, si è trovato, come indica una tradizione confermata d'altronde da molte rigorose ricerche, solo il 29 giugno dell'anno 68, di questa era, che convenzionalmente si conta dalla nascita di Cristo.

Alla fine di questa strada, l'Apostolo Pietro, già Simone figlio di Giona, si è trovato qui a Roma, qui, in questo luogo, sul quale ci troviamo adesso, sotto l'altare, dove si celebra l'Eucaristia.

"La carne e il sangue" sono stati distrutti fino alla fine; sono stati sottomessi alla morte. Ma ciò che un tempo gli aveva rivelato il Padre (cfr. Mt

16,17), è sopravvissuto alla morte della carne; è diventato l'inizio dell'eterno incontro col Maestro, al quale ha dato testimonianza fino alla fine. L'inizio della beata Visione del Figlio del Padre.

Ed è diventato anche l'incrollabile fondamento della fede della Chiesa.

La sua pietra, la roccia.

"Beato te, Simone figlio di Giona" (cfr. Mt 16,17).


3. Nella liturgia odierna, che unisce la commemorazione della morte e della gloria dei santi Apostoli Pietro e Paolo, leggiamo le seguenti parole della lettera a Timoteo: "Carissimo, quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione" (2Tm 4,6-8).

Certamente, fra tutti coloro che hanno amato la manifestazione del Signore, Paolo da Tarso è stato l'amante singolare, l'intrepido combattente, il testimone inflessibile.

"Il Signore... mi è stato vicino"; ricordiamo bene come e dove questo ha avuto luogo; ricordiamo quello che accadde vicino alle mura di Damasco? "Il Signore pero mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili" (2Tm 4,17).

Paolo, in un grandioso scorcio, disegna l'opera di tutta la sua vita. Ne parla di qui, da Roma, al suo diletto discepolo, quando si avvicina la fine della sua vita interamente dedicata al Vangelo.

Penetrante è - ancora in questa tappa - questa coscienza del peccato e della grazia; della grazia che supera il peccato, e apre la strada alla gloria: "Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno" (2Tm 4,18).

La Chiesa romana rievoca oggi, in modo particolare, nella sua memoria i due ultimi sguardi nella stessa direzione; nella direzione di Cristo crocifisso e risorto. Lo sguardo di Pietro agonizzante sulla croce e di Paolo morente sotto la spada.

Questi due sguardi di fede - di quella fede che ha riempito la loro vita fino alla fine e ha posto i fondamenti della luce divina nella storia dell'uomo sulla terra - permangono nella nostra memoria. E in questo giorno ravviviamo la nostra fede in Cristo con una forza particolare.

In questa prospettiva sono lieto di salutare la delegazione inviata dall'amato fratello, il Patriarca ecumenico Dimitrios I, per associarsi a questa celebrazione dei corifei degli Apostoli, i santi Pietro e Paolo, testimoniando così come le relazioni tra le nostre due Chiese si intensificano sempre di più in un comune sforzo verso la piena unità.

Data: 1979-06-29

Data estesa: Venerdì 29 Giugno 1979.

Per la nomina di 14 Cardinali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Chiesa deve conformarsi al suo divino modello

Testo: Venerabili Fratelli, sono profondamente lieto di poter celebrare con voi questo Concistoro, il primo dacché, per arcana disposizione divina, sono stato innalzato alla Sede di Pietro. E' un grande avvenimento nella vita della Chiesa. Si tratta infatti di creare i nuovi Cardinali, i quali faranno poi parte del Sacro Collegio, di coloro che i Sommi Pontefici hanno come principali consiglieri e aiutanti nel governo della Chiesa universale. Soprattutto, secondo le norme stabilite, ad essi spetta il diritto e il dovere di eleggere il Romano Pontefice, successore di colui che Cristo ha costituito "principio e fondamento perpetuo e visibile dell'unità della fede e della comunione" (LG 18).

Sebbene sia relativamente ristretto il numero di quelli che oggi vengono aggiunti a questo Collegio - come sapete, esistono alcuni limiti circa il numero dei Cardinali - nondimeno anche questi nostri Venerabili Fratelli, che stanno per essere ascritti al Senato del Romano Pontefice, se è lecito parlare così, rappresentano in certo modo la Chiesa universale.

1. Non senza motivo e significato ho convocato questa eletta adunanza oggi, alla fine del mese di giugno. E' ben saputo che il mio predecessore, di indimenticabile memoria, il Papa Paolo VI, raduno spesso, press'a poco verso questo medesimo tempo, i Cardinali alla sua presenza, e rivolse loro parole molto gravi, alle volte anche per la nomina di nuovi membri del Sacro Collegio. Approfittava dell'occasione del giorno anniversario della sua elezione che era il 21 giugno o di quello di inizio solenne del pontificato, che era il 30, o del suo onomastico che era il 24. Soleva allora passare brevemente in rassegna i problemi interni della Chiesa. E' vero che lo stesso mio predecessore, seguendo l'uso degli ultimi Romani Pontefici, parlava al Collegio dei Cardinali anche nella vigilia di Natale per trattare di affari e questioni riguardanti la Chiesa e il mondo; ma di solito mosso da ragioni diverse che nel mese di giugno, e spesso svolgendo una tematica più ampia. Uniformandomi quindi a questa che è diventata come una tradizione, mi collego con il pontificato del mio predecessore, al quale mi legano anche moltissimi altri vincoli, come ho esposto più largamente nell'enciclica "Redemptor Hominis". Sicché oggi ripenso con particolare intensità il pontificato di Paolo VI, dal quale ci separa solo il brevissimo intervallo del ministero apostolico di Giovanni Paolo I, come successore di san Pietro.


2. Il tempo che è seguito al Concilio Vaticano II, si distingue - come tutti sanno - per il fatto che la Chiesa intera deve impegnarsi a realizzare le decisioni del medesimo Sinodo universale. Queste non mirano ad altro che al rinnovamento della Chiesa: occorre cioè - per usare le parole del mio precessore - che essa "riporti se stessa a quella conformità col suo divino modello, che costituisce il suo fondamentale dovere" (AAS 55 (1963) 850).

Tale rinnovamento, in base allo stesso Concilio, investe molti aspetti: il più importante riguarda lo sforzo costante che la Chiesa deve fare per approfondire continuamente la coscienza della propria missione salvifica; che è anche un perpetuo servire alla causa fondamentale dell'uomo, delle nazioni, di tutta la famiglia umana. Questa conoscenza deve comportare quella certezza circa il compito salvifico, che deriva da fede sicura e da umiltà sincera, e ci rende capaci di eseguire con animo grande l'opera di rinnovamento. Quest'opera va costantemente misurata per così esprimersi col "metro universale" del popolo ai Dio, il quale, mentre partecipa alla missione salvifica di Cristo stesso, insieme la completa in vario modo, secondo il "dono" che ognuno riceve, allo scopo di condurre a salvezza sé e gli altri.

Certamente è difficile misurare rettamente con i soli criteri umani di giudizio il processo di questo rinnovamento, inteso in senso così largo. Talora può anche accadere che sbagliamo nel giudicare quello che accade, perché la divina Provvidenza ha vie proprie per condurre gli uomini, la loro società, le nazioni, la Chiesa. Ne deriva necessariamente che ogni nostro criterio per fare il bilancio dello stato della Chiesa è insufficiente; eppure abbiamo necessità di tale bilancio, specialmente in certi tempi, come oggi. Occorre dunque che quando parliamo e giudichiamo di certi fatti, ci riportiamo sempre e anzitutto agli amorosi disegni di Dio, e ai suoi santi giudizi sulla condotta umana.


3. Uno dei principali strumenti per operare tale rinnovamento e unità, propria della Chiesa, sia locale che universale, cioè del Popolo di Dio, è senza dubbio la collegialità dei Vescovi. A questo proposito è giusto mettere in rilievo la riunione, dei vescovi dell'America Latina celebrata in Puebla. I suoi frutti di una coscienza più acuta della missione della Chiesa e del suo compito di evangelizzazione nell'America Latina, sulla scia del Concilio e dell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" già cominciano ad essere raccolti, e aprono alla speranza del futuro. Certamente gli argomenti che si sono colà trattati erano di somma attualità per il presente e il futuro. A tale riunione forse mi è stato concesso di apportare qualcosa avendo presieduto i suoi inizi.

Giova qui ripetere le parole che il mio predecessore Paolo VI disse alla chiusura della terza sessione del Concilio Vaticano II, esprimendosi così sulla collegialità: "E' questa intima ed essenziale relazione che fa dell'Episcopato un ceto unitario che trova nel Vescovo successore di Pietro non già una potestà diversa ed estranea, ma il suo centro e il suo capo" (ASS 56 (1964) 1011).

Bisogna aggiungere che in questi ultimi mesi la vita della Chiesa ha avuto altri eventi di questo genere, come il "Simposio" del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa, tenutosi a Roma, per trattare dei "giovani e la fede". Questi eventi sono stati una manifestazione significativa della coscienza collegiale e del dovere riguardante il ministero pastorale dei Vescovi e delle Conferenze Episcopali. Nessuno pero si può paragonare per importanza con quello di Puebla. Ho anche con piacere constatato l'egregio lavoro fatto dal Consiglio Episcopale Latino Americano, o CELAM, per la preparazione di quella assise, e l'intensa partecipazione di molti Presuli.


4. La riunione di Puebla ha fatto anche si che il mio primo viaggio, dall'inizio del pontificato, fosse al Messico, passando prima per la Repubblica di Santo Domingo. Ho così potuto visitare per quasi una settimana la Chiesa stabilita in quella regione.

Ancora ricordo con gratissima memoria quanti ho incontrato in quella breve visita. Soprattutto ringrazio Iddio e la sua Madre, che, specialmente per mezzo del Santuario di Guadalupe, ad essa dedicato, è diventata clementissima Madre e Signora, non solo del Messico, ma di tutta l'America, in particolare dell'America Latina. In modo speciale ricordo il Presidente della Repubblica di Santo Domingo e il Presidente del Messico, come pure i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose di ambedue le Nazioni.

Ma quella visita della Chiesa Messicana mi diede l'occasione di prendere contatto in modo quasi continuo col popolo cattolico di quello Stato, che, mosso dallo spirito di fede, ovunque viaggiavo, ovunque sostavo, mi si assiepava intorno con entusiasmo. Vada dunque la mia profonda riconoscenza alla divina Provvidenza, che mi ha concesso, per mezzo di questa visita all'inizio del mio pontificato, di poter testimoniare l'amore e la riverenza della Sede Apostolica verso quel Popolo che tante difficoltà ha sperimentato per la fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa.

Nel viaggio verso il Messico, mi sono anche fermato e ho celebrato la Santissima Eucaristia nel posto da dove inizio l'evangelizzazione dell'America; così come nel ritorno ho potuto incontrare la comunità cristiana delle Isole Bahamas.


5. Altrettanto grato mi sento per il recente viaggio in Polonia, con cui mi è stato concesso di rivedere la mia patria dal 2 al 9 giugno; visitare di nuovo cioè la terra, da dove il Signore nei suoi inscrutabili disegni mi ha chiamato alla cattedra romana di san Pietro. Il motivo principale del viaggio fu il giubileo di san Stanislao; si compiva il nono secolo da quando quel Vescovo della sede di Cracovia (che io stesso, quasi suo erede, ho fino a poco tempo fa retto) subi il martirio per mano del re.

Invitato dai Vescovi polacchi con a capo il Cardinale Wyszynski, ho celebrato il giubileo insieme con i cittadini della mia Nazione quasi seguendo il corso storico della patria: esso comincia a Gniezno e conduce a Cracovia passando attraverso il Monte Chiaro o "Jasna Gora". Mi fermai anzitutto a Varsavia, l'attuale capitale della Polonia e, mentre sostavo a Cracovia, ho celebrato la Santissima Eucaristia in Oswiecim (Auschwitz), che è diventata come il Golgota della nostra epoca, dove nel cosiddetto "bunker" della fame il beato Massimiliano Kolbe mori dopo aver offerto la sua vita per un compagno.

Mentre dunque facevo questo viaggio, guidato dalla storia, ho rinnovato il ringraziamento a Dio Uno e Trino per il dono del santo Battesimo che i miei concittadini ricevettero mille anni fa. Mi è stata inoltre concessa l'opportunità di salutare le vicine genti Slave, che entrarono nella Chiesa in quella stessa epoca. Infine ho chiesto i doni dello Spirito Santo per la loro perseveranza nella fede e nella speranza.

Mentre è ancora presente al mio ricordo questo servizio pontificale nella mia Patria, voglio di nuovo mettere in rilievo il significato dell'invito che mi rivolsero le pubbliche Autorità. Con esso non soltanto hanno riconosciuto di essere consapevoli che io - a cui è toccato di reggere la massima carica nella Chiesa Cattolica - ebbi origine dalla loro Nazione, ma hanno anche manifestato la dignità e la rilevanza, che competono all'indole internazionale di questa mia visita. Perciò sono molto grato alle Autorità sia della Repubblica sia della Chiesa, che l'hanno facilitata, in modo particolare poi all'immensa moltitudine di quelli che, essendo nati nello stesso Paese in cui io sono nato, mi sono venuti incontro nello spirito dell'unità religiosa.


6. Paolo VI, che non possiamo dimenticare, ha introdotto nei suoi numerosi viaggi questo modo di svolgere il ministero pontificio. Che tali viaggi possano giovare in avvenire a manifestare l'unità del Popolo di Dio nei vari luoghi della terra, nelle diverse regioni e nazioni. Parallelamente a questi eventi che abbiamo con grande gioia ricordato, è proceduta e procede l'opera costante e ordinata della Chiesa, che si concentra anzitutto sui compiti che il Collegio Episcopale si propone di svolgere sotto la guida del successore di san Pietro.

Strumento tutto particolare di tale cooperazione collegiale in quanto estesa alla Chiesa universale è diventato il Sinodo dei Vescovi. Fra breve tempo sarà pubblicata un'esortazione apostolica, in cui verranno raccolti i frutti dei lavori della Sessione Ordinaria del Sinodo dei Vescovi celebrata nel 1977, che aveva per oggetto la catechesi. Parimenti già si sta preparando la Sessione seguente del 1980, che dovrà esaminare l'argomento, già debitamente approvato: "I compiti della famiglia cristiana nel mondo del nostro tempo". La Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, dopo che il suo Consiglio eletto nella Sessione precedente li ha vagliati in adunanza generale, ha inviato dappertutto dei "Lineamenti", perché vengano ampiamente discussi nelle Conferenze Episcopali.


7. Per quel che concerne i Centri di studio cattolici di livello universitario è avvenuta una cosa di particolare rilievo, la promulgazione della costituzione apostolica "Sapientia christiana", che nel tempo ivi fissato, sostituirà la vigente costituzione "Deus scientiarum Dominus". Da quel momento non avranno più vigore le "Normae quaedam" emanate nel 1968, obbligatorie per il tempo necessario a preparare la nuova costituzione secondo la volontà e la mente del Concilio Vaticano II.

Per preparare tale costituzione si sono impiegati parecchi anni; per non parlare di tutto il lavoro compiuto, basti ricordare che sono state consultate tutte le Conferenze Episcopali e tutti i Centri di Studio cattolici di livello universitario.

Speriamo dunque che le discipline sacre ricevano nuovo impulso e siano in grado di consolidare la fede, dirigere bene la morale, cacciare gli errori, nell'ossequio al Magistero della Chiesa.


8. Finalmente non va dimenticato, ma ricordato almeno brevemente l'ecumenismo, che è stato uno dei principali intenti del Sinodo universale (cfr. UR 1). In sintesi si può dire che in questi mesi sono state tenute varie riunioni con i rappresentanti delle religioni cristiane non ancora congiunte con noi in unità piena; mentre ci rallegriamo di cuore di ciò, esortiamo istantemente tutti - perché "la sollecitudine per fare l'unione riguarda tutta la Chiesa" (UR 5) - a perseverare sempre più alacremente nel nobile sforzo per rifare questa unità, voluta da Cristo.

E si può anche aggiungere che si sono avuti vari contatti coi non cristiani, cercando di obbedire al Concilio Vaticano II, il quale ha ordinato che in questo modo "cooperiamo a edificare il mondo nella vera pace" (cfr. GS 92).

Ecco quanto, venerabili fratelli, il cuore mi spingeva a dire. I santi apostoli Pietro e Paolo, di cui ieri abbiamo celebrato la solennità, e che hanno testimoniato il loro amore a Cristo col sangue, proteggano questa Chiesa Romana e questa Sede Apostolica, con le quali voi avete uno speciale legame; soprattutto pero chiedo l'aiuto dell'alma Madre di Dio, alla quale affido con fiducia voi e tutti i fratelli e figli miei. Per darvi poi forza nell'eccelso grado che occupate nella santa Chiesa, vi imparto con tutto il cuore la benedizione apostolica.

E ora sono lieto di elencare i distintissimi Presuli che ho ritenuti degni di essere aggregati al vostro eminentissimo Collegio in questo Sacro Concistoro: Agostino Casaroli, Arcivescovo titolare di Cartagine, Pro-Segretario di Stato; Giuseppe Caprio, Arcivescovo titolare di Apollonia, Pro-Presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede apostolica; Marco Cè, Patriarca di Venezia; Egano Righi Lambertini, Arcivescovo titolare di Doclea, Nunzio apostolico in Francia; Joseph-Marie Trinh van-Can, Arcivescovo di Hanoi; Ernesto Civardi, Arcivescovo titolare di Sardica, Segretario della Sacra Congregazione per i Vescovi; Ernesto Corripio Ahumada, Arcivescovo di Mexico; Joseph Asajiro Satowaki, Arcivescovo di Nagasaki; Anastasio Alberto Ballestrero, Arcivescovo di Torino; Roger Etchegaray, Arcivescovo di Marseille; Gerald Emmett Carter, Arcivescovo di Toronto; Franciszek Macharski, Arcivescovo di Cracovia; Thomas O' Fiaich, Arcivescovo di Armagh; Wladyslaw Rubin, Vescovo titolare di Serta, Ausiliare dell'Em.mo Sig. Cardinale Arcivescovo di Gniezno, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi.

Data: 1979-06-30

Data estesa: Sabato 30 Giugno 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Lettera al Cardinale Cooray - Città del Vaticano (Roma)