GPII 1979 Insegnamenti - Ai lavoratori di Pomezia (Roma)


2. Nel trovarmi in mezzo a voi in questo pomeriggio, mi si offre anche l'opportunità di dar voce ai problemi che assillano questo centro industriale, che in brevi anni ha registrato un incremento di popolazione veramente enorme. Nel 1939 gli abitanti non superavano le 1.500 persone, oggi a 40 anni di distanza avete superato la cifra di 30.000 abitanti, con 264 Aziende. Tutto questo fa si che Pomezia, pur essendo una zona notevolmente industrializzata e con un tessuto economico particolarmente vivace, sia alle prese con molti problemi dovuti soprattutto alla carenza di infrastrutture, necessarie ad una più ampia presenza di imprese e lavoratori. Vi sono difficoltà e disagi nella vita sociale: e mi permetto di invocare l'opera sollecita delle autorità competenti, esprimendo il mio incoraggiamento e il mio plauso per quanti dedicano cure e mezzi per dare a voi abitanti di Pomezia condizioni sempre più giuste e più stabili per la vostra attività e per il vostro benessere.


3. In questa udienza, in cui per la prima volta mi incontro in forma, per così dire, ufficiale col mondo del lavoro in Italia, desidero intrecciare un dialogo con voi ed interrogarvi per conoscere il vostro stato d'animo nei confronti della Chiesa, che nutre per voi profonda gratitudine e simpatia per quello che siete e per quello che fate. Talvolta invece negli ambienti del lavoro è diffusa l'opinione contraria. La Chiesa, si dice, si occupa dei valori morali e religiosi e si disinteressa dei valori economici e temporali, come non comprendesse la realtà in cui si trova il lavoratore. E così si dubita o si diffida delle parole e dei gesti benevoli della Chiesa. Taluni anzi si chiedono: che cosa ha a che fare la religione con l'industria?, non sono due realtà eterogenee? Non vengono a mescolare il sacro col profano? Carissimi fratelli e sorelle, vi rispondero con tutta franchezza che queste obiezioni non hanno ragion d'essere, quando si considera la vostra attività come parte di una attività più larga, che è quella propria dell'uomo, quella morale, e quando si tengono presenti le finalità a cui il vostro lavoro vuole arrivare, cioè alla vita dell'uomo nella sua totalità, nella sua dignità e nel suo superiore e immortale destino. Vi diro anzi che queste obiezioni potrebbero sbarrare l'ingresso, nel vostro settore, ai fattori spirituali, la cui mancanza è causa di vere e reali deficienze, di disordini, di pericoli e di danni. L'elemento cristiano, anziché suscitare inquietudini, le fa ben superare, perché porta nella fabbrica pace, giustizia ed unità. Per questo nelle grandi encicliche sociali - come la "Rerum Novarum" di Leone XIII, la "Quadragesimo Anno" di Pio XI, la "Mater et Magistra" e la "Pacem in Terris" di Giovanni XXIII e la "Populorum Progressio" di Paolo VI - i Sommi Pontefici non si sono mai stancati di affermare che è necessario il coefficiente religioso per dare migliore soluzione ai rapporti umani derivanti dall'organizzazione industriale, e ciò non già per impiegare l'elemento religioso come elemento alienante, ma per scoprire invece, alla sua luce, la carenza fondamentale di ogni sistema che pretenda di considerare come puramente economici i rapporti umani nei luoghi di lavoro, e per suggerire quali altri rapporti devono integrarli, anzi rigenerarli secondo la visione cristiana della vita: prima l'uomo, poi il resto. E' bello notare come la religione cristiana proclami il primato di Dio su tutte le cose e metta per ciò stesso in essere, nelle realtà temporali, il primato dell'uomo. E' bello anche osservare come tale primato costituisca il motivo che stimola e giustifica quel dinamismo sociale e quel progresso civile, a cui il fenomeno industriale imprime il suo moto inevitabile. Ed è proprio in virtù del riconoscimento di tale primato che oggi si sta uscendo dallo stadio primitivo dell'era industriale, quando si credeva che l'armonia sociale risultasse soltanto dal determinismo delle condizioni economiche in gioco, mentre è a tutti noto come tanti malanni sono causati dalla ricerca del benessere umano fondato esclusivamente ed unicamente sui beni economici e su un'impostazione materialistica della vita, la quale non serve ma asserve l'uomo.

Non bisogna dimenticare, a questo proposito, che il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro; se così non fosse, l'uomo ritornerebbe ad essere schiavo. Ora se l'uomo è il primo valore, noi non possiamo diminuirlo e come decapitarlo, negandogli la sua essenziale proiezione verso la trascendenza, cioè verso Dio, il quale ha fatto dell'uomo il collaboratore. In questa visione superiore, il lavoro, pena ed insieme premio dell'attività umana, comporta un altro rapporto, quello cioè essenzialmente religioso, che è stato felicemente espresso nella formula benedettina: "ora et labora"! Il fatto religioso conferisce al lavoro umano una spiritualità animatrice e redentrice. Tale parentela tra lavoro e religione riflette l'alleanza misteriosa, ma reale, che intercede tra l'agire umano e quello provvidenziale di Dio. Causa prima che regge e governa il creato.


4. Ecco, fratelli carissimi, le ragioni per cui la Chiesa, come accennavo sopra, non può guardare al lavoratore senza un sentimento sincero di simpatia; simpatia che significa partecipazione alla sua sofferenza, comprensione e disposizione alla stima, all'amicizia ed all'amore; che significa ancora riconoscimento e proclamazione della sua dignità di uomo, di fratello e di persona inviolabile, sul cui volto è stampata l'immagine di Dio.

Simpatia che sgorga anche e soprattutto dal fatto che Cristo fu uomo dal lavoro manuale; fu alle dipendenze di san Giuseppe, fu il "figlio del fabbro" (Mt 13,55), Cristo è sempre con voi, è sempre in mezzo a voi: dove l'uomo suda, lavori e soffre egli è presente. Posso dirvi che sono venuto qui a cercarlo fra voi, che spendete qui la vostra penosa fatica, come lui un tempo nella bottega di Nazaret.

In nome di lui quindi vi benedico tutti e vi stringo la mano in segno di fraterna benevolenza.

Data: 1979-09-14

Data estesa: Venerdì 14 Settembre 1979.





Lettera al Cardinale Seper - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Per il 25° di Espiscopato

Testo: Al Nostro Venerabile Fratello Cardinale Franjo Seper.

Con particolare affetto e profondissima stima ci rivolgiamo a te, approssimandosi il felice evento della tua vita, che hai consacrato a Dio e alla Chiesa: infatti tra poco celebrerai il venticinquesimo anniversario della pienezza del tuo sacerdozio.

Cogliamo l'occasione di rallegrarci con te, dell'anniversario dell'Episcopato e di ringraziare con te il Signore, fonte inesauribile di ogni bene, per tanti doni che ha elargito a te e attraverso di te ad altri in questo periodo.

Il ricordo del giorno nel quale sei stato ordinato col sacro rito come successore degli Apostoli, farà si che questo dono particolare si presenti al tuo animo in una nuova luce e ti riempia di nuova gioia spirituale. Ti è stato dato infatti di "provvedere alla Chiesa cattolica con paternità episcopale" (S. Agostino, "Ep. 253": PL 33, 1069); con queste parole sono espressi bene e l'eccelso incarico e la lode insigne del sacro Pastore.

Con questa disposizione d'animo hai svolto l'incarico episcopale che ti è stato affidato: prima come Coadiutore del Presule di Zagabria di allora, poi come Vescovo di questa sede a pieno diritto. Sappiamo che hai lavorato in quella vigna del Signore con zelo e sollecitudine. Insigne per i tuoi meriti, nella tua opera pastorale, sei stato cooptato nel Collegio dei Cardinali da Paolo VI, sostro predecessore di recente memoria, cioè sei diventato partecipe dell'esimio "Presbiterio" della Chiesa Romana, alla quale sei sempre stato fedele.

Questo tuo animo ossequiente alla Sede di Pietro e al capo visibile della Chiesa rifulse in modo particolare quando hai assunto l'incarico di Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della fede, abbandonando così la tua patria; incarico che ancor oggi ricopri, intento al bene spirituale di tutta la Famiglia cattolica.

Noi dunque preghiamo Dio insistentemente di concederti, in questo anniversario, abbondanza di grazia divina e di consolazione. La beatissima Vergine Maria, che è saldissimo presidio di coloro che sono stati chiamati dal Signore e che con tutto il cuore veneri e ami, ti assista propizia.

Sia infine segno della singolare benevolenza e del nostro amore, la benedizione apostolica che impartiamo a te, Nostro Venerabile Fratello, e a tutti coloro che con te celebrano il venticinquesimo del tuo Episcopato.

Data: 1979-09-14

Data estesa: Venerdì 14 Settembre 1979.





Ordinazione episcopale di Mons. Tomko - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Un nuovo anello della successione apostolica

Testo: Cari fratelli e Sorelle!

1. Ecco il nostro fratello Giuseppe, che lo Spirito Santo "stabilisce" (cfr. Ep 4,11) oggi come vescovo della Chiesa; lo include mediante il mio servizio nella cerchia di questo Collegio che, in eredità dagli Apostoli, riceve non soltanto i vivi segni di tutto il Popolo di Dio, ma anche un particolare potere sacerdotale, magisteriale e pastorale nei confronti degli altri.

E' questo un momento solenne ed importante non soltanto per il vescovo che viene consacrato, ma per tutta la Chiesa. Il nostro fratello Giuseppe deve assumere l'importante carica di Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, dell'organo che, secondo la decisione dell'ultimo Concilio, è diventato un'espressione particolarmente fruttuosa e lo strumento della collegialità vescovile.


2. Ed ecco, in questo momento, fra il nuovo ordinando e Cristo vivente nella Chiesa si svolge un singolare dialogo, le cui tre tappe vengono tracciate dalle odierne letture della liturgia della Parola.

Nella prima tappa siamo testimoni di quanto dice Colui che ci conosce eternamente, Colui che sa quello che c'è in ogni uomo (Jn 2,25): "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo" (Jr 1,4); e l'uomo da lui chiamato, sembra rispondere: "Ahimè, Signore Dio, ecco, io non so parlare" (Jr 1,6); a sua volta, il Signore del cuore umano dice: "Va' da coloro a cui ti mandero e annunzia ciò che ti ordinero... Non temerli: io sono con te per proteggerti" (Jr 1,7-8).

Ecco la prima tappa.


3. Nella seconda tappa parla soltanto il Signore e il chiamato ascolta. Il Signore, nel suo discorso, esprime le esigenze con le parole dell'Apostolo Paolo della lettera a Timoteo: "Ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani... soffri anche tu insieme con me per il vangelo, aiutato dalla forza di Dio... (Cristo) ha vinto la morte e a fatto risplendere la vita e l'immortalità per mezzo del vangelo... Prendi come modello le sue parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. Custodisci il buon deposito con l'aiuto dello Spirito Santo che abita in noi" (2Tm 1,6-8 2Tm 1,10 2Tm 1,13).

Queste parole provengono da Paolo che le indirizzo a Timoteo. Si racchiude in esse una splendida espressione della successione apostolica. La consacrazione vescovile, che riceve oggi dalle mani di Giovanni Paolo, Vescovo di Roma, il nostro fratello Giuseppe, fa parte di essa e ne è un nuovo anello.


4. E infine la terza tappa. Nel Vangelo parla Cristo stesso. Alle esigenze espresse poco fa aggiunge il suo proprio esempio e modello. "Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore... Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre" (Jn 10,11 Jn 10,14-15).

Le parole di Cristo risuonano con un'eco particolare nell'anima di ciascuno che, insieme con l'imposizione delle mani, riceve l'ufficio pastorale, la sollecitudine e la responsabilità. Proprio con questa sua allegoria, con questo esempio Cristo obbliga il più profondamente ciascuno di noi. Egli vuole che noi siamo come è lui: il buon Pastore.

Ecco le tre tappe del dialogo che, durante l'odierna liturgia, si svolge fra Cristo, vivente nella Chiesa, e il nostro fratello Giuseppe, che riceve l'ordinazione vescovile. Sarebbe difficile aggiungere altro a queste parole del Signore. Sono piene di saggezza e di supremo amore. Noi tutti che ascoltiamo, cerchiamo di sostenere con la preghiera il nostro fratello, perché queste parole diventino il programma della sua vita e il contenuto del nuovo ministero nella Chiesa.

(E continua in lingua slovacca:)

5. In modo particolare lo sostengono oggi con la preghiera le persone a lui più vicine, soprattutto i suoi genitori, la sorella e il cognato, e altri parenti, i quali sono potuti venire qui dalla natia Slovacchia; poi i suoi confratelli nel sacerdozio, i pellegrini di Kosice, Presov, Trnava e Bratislava, altri pellegrini provenienti da tutta l'Europa, e anche dal Canada, dagli Stati Uniti d'America e dall'Australia, come pure coloro che spiritualmente si uniscono con noi in questo importante momento.

I miei pensieri, insieme a quelli del novello vescovo vanno, in questo momento, verso quelle parti, dalle quali egli proviene. Verso il declivo meridionale delle Tatra da dove non è già lontano Udavské, il suo nido natale: la Chiesa da cui proviene e nella quale è entrato mediante il Battesimo e la Cresima, mediante il costume cristiano della sua famiglia, l'esempio dei genitori, l'amicizia dei coetanei. I nostri pensieri vanno anche verso quella parrocchia dove, in mezzo alla comunità cristiana, fece i primi passi e dove, certamente, udi le prime parole della chiamata di Cristo al sacerdozio.

Oggi abbracciamo in modo particolare, col ricordo e con l'amore, tutto quel paese e tutta la nazione perché oggi è il giorno di Maria Vergine Addolorata, che in Slovacchia, proprio in questo giorno è venerata come la principale Patrona celeste. Essendo presente sotto la croce, essa si è unita nel modo più pieno al suo Figlio, nostro Redentore. Essendo presente sotto la croce, rimane per noi il più splendido modello della fortezza materna quando, con una intrepida forza dello spirito, sembra ripetere: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto (Lc 1,38). Essendo presente sotto la croce, accetta come suoi figli ognuno di noi, così come accetto Giovanni.

Così essa accetta oggi anche questo figlio della terra slovacca che nella Cappella Sistina a Roma riceve, dalle mani del Papa, la consacrazione vescovile. E sembra dire a tutti i figli e le figlie della lontana Slovacchia: Rimanete con me! Rimanete con Cristo! Siete i figli del supremo amore, col quale Dio stesso "ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna" (Jn 3,16).

(E conclude l'omelia in lingua ceca:) Ci sono anche confratelli boemi del novello arcivescovo, i suoi colleghi di studi al Pontificio Collegio Nepomuceno, i quali pure lo accompagnano con le loro preghiere. Anche alla cara nazione sorella ceca va in questo momento il ricordo di noi tutti e l'assicurazione che è sempre vicina al cuore del Papa.

Data: 1979-09-15

Data estesa: Sabato 15 Settembre 1979.





Commemorazione di Paolo VI - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La croce di Cristo fondamento della sua grandezza

Testo:

1. Nel Vangelo d'oggi San Marco riferisce lo stesso avvenimento, descritto da San Matteo nel capitolo 1

6. Nei pressi di Cesarea di Filippo Gesù interroga i discepoli: "Chi dice la gente che io sia?" (Mc 8,27). Dopo le diverse risposte, prende la parola Pietro e dice "Tu sei Cristo" (Mc 8,29) (che vuol dire "il Messia"). Nel Vangelo di Matteo la risposta è: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Poi segue la benedizione, rivolta a Pietro a motivo della sua fede, e la promessa che incomincia con le parole: "Tu sei Pietro" (pietra, roccia) (Mt 16,18). Testo sublime, che tutti conosciamo a memoria.

Nella redazione di Marco invece, immediatamente dopo la confessione di Pietro "Tu sei il Cristo", Gesù passa all'annuncio della sua morte: "Il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire... poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare" (Mc 8,31). E allora Pietro, come leggiamo, "si mise a rimproverarlo" (Mc 8,32). Secondo Matteo questo rimprovero suono: "Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai" (Mt 16,22). Pietro non vuole che Cristo parli della passione e morte. Non è capace di accettarle con il suo cuore che ama in maniera umana. Chi ama vuole preservare la persona amata dal male, perfino nel pensiero, perfino nell'immaginazione. Tuttavia, Cristo riprovera Pietro, severamente lo rimprovera. Questo rimprovero che troviamo nell'odierno Evangelo di Marco è ancora più significativo nel testo di Matteo, per il contrasto con le parole precedenti, con cui Cristo aveva benedetto Pietro ed annunziato il suo primato nella Chiesa.

E' proprio il primato che non permette di sottrarsi al mistero della Croce, non permette di allontanarsi, neanche di un pollice, dalla sua realtà salvifica.


2. Ci siamo riuniti oggi nella Basilica di San Pietro per commemorare il primo anniversario della morte del Papa Paolo VI. Lo abbiamo già fatto nel giorno stesso dell'anniversario: il 6 agosto, nella festa della Trasfigurazione del Signore, in quella casa, a Castel Gandolfo, nella quale un anno fa egli concluse la sua giornata terrena. Oggi lo facciamo in modo solenne nella Basilica Vaticana, dove già da più di un anno riposano, nelle grotte, le spoglie mortali del grande Papa.

La sua grandezza trova il fondamento nel mistero della croce di Cristo. Come successore di Pietro, egli accetto quella benedizione e tutto il contenuto della promessa messianica che era stata pronunciata nella regione di Cesarea di Filippo, ed accetto, in tutta la sua pienezza, il mistero della croce. Ha portato questa croce non soltanto nelle sue mani, camminando, tutti gli anni, sulle orme della "via Crucis" nel Colosseo romano. L'ha portata dentro di sé, nel suo cuore, in tutta la sua missione: "...non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo" (Ga 6,14). Queste parole dell'Apostolo, il cui nome egli aveva assunto nell'anno 1963 all'inizio del pontificato, sono state confermate da tutta la sua vita.

Paolo VI: apostolo del Crocifisso, così come lo fu Paolo apostolo. E così, come Paolo apostolo, egli avrebbe potuto completare quella sua confessione del vanto nella croce di Cristo, dicendo "per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo" (Ga 6,14). E forse tali parole costituiscono una chiave essenziale per la comprensione della vita di Paolo VI, così come l'hanno costituita per la comprensione della vita e della missione di san Paolo.


3. La croce, così come insinuano nella liturgia odierna il profeta Isaia e poi il Salmo 114 (115), ha una sua dimensione interiore, e Paolo VI ha conosciuto questa dimensione interiore della croce. Eppure, non gli furono estranei gli "insulti" e gli "sputi" (cfr. Is 50,6) che ha subito come maestro e servitore della verità.

Eppure, alla sua anima non furono estranee quella "tristezza e angoscia" (Ps 114,3) di cui parla il salmista. Tristezza e angoscia, che nascono dal senso di responsabilità per i più santi valori, per la grande causa che Dio affida all'uomo, possono essere superate soltanto nella preghiera; possono essere superate soltanto con la forza della fiducia senza limiti: "Buono e giusto è il Signore, il nostro Dio è misericordioso. Il Signore protegge gli umili: ero misero ed egli mi ha salvato" (Ps 114,5-6). Paolo VI era l'uomo di tale profonda, difficile - e proprio per questo - incrollabile fiducia. E proprio grazie ad essa, egli la pietra, la roccia sulla quale, in questo eccezionale periodo di grande cambiamento dopo il Concilio Vaticano II, si costruiva la Chiesa.

Alle prove interiori ed esteriori della Chiesa rispondeva con quella incrollabile fede, speranza e fiducia, che facevano di lui il Pietro dei nostri tempi. La grande saggezza e l'umiltà hanno accompagnato questa fede e questa speranza e le hanno rese proprio così ferme e inflessibili.


4. Ci insegnava con la parola e con le opere quella fede salvifica, di cui in modo tanto convincente parla oggi, nella seconda lettura, san Giacomo: "la fede, se non ha le opere, è morta in se stessa" (Jc 2,17).

Ci insegnava, dunque Paolo VI, la fede viva; insegnava a tutta la Chiesa la vita della fede a misura della nostra epoca. Che cosa altro, se non tale insegnamento della fede viva legata alle opere sono le sue grandi encicliche, in particolare la "Populorum Progressio" e, in un'altra dimensione, la "Humanae Vitae"? Oggi lo si capisce forse meglio che non una diecina di anni fa. La coerenza fra la fede e la vita deve trapelare da ogni opera. Deve manifestarsi in ogni campo del nostro agire.


5. Sarebbe difficile non far risuonare, in occasione dell'odierno ricordo del grande Papa, la sua voce, non far ascoltare le sue parole, sempre così piene di fede e di carità.

"Dinanzi... alla morte, al totale e definitivo distacco dalla vita presente, sento il dovere di celebrare il dono, la fortuna, la bellezza, il destino di questa stessa fugace esistenza: Signore, ti ringrazio che mi hai chiamato alla vita, ed ancor più che, facendomi cristiano, mi hai rigenerato e destinato alla pienezza della vita... Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare te, o Signore, dopo quello della vita naturale, del dono, anche superiore, della fede e della grazia, in cui alla fine unicamente si rifugia il mio essere superstite?... Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica, chiamando ancora una volta su di essa la divina Bontà" ("Testamento", 30 giugno 1965: "Insegnamenti di Paolo VI", XVI (1978) 590).


6. Ascoltandole oggi, a poco più di un anno dalla sua morte, abbiamo ancora negli occhi quella dipartita. Se ne va affaticato e lascia dietro di sé una grande eredità. La morte lo stacca dai problemi di questa terra, dal ministero di questa Sede. Sembra dire, come un tempo ha detto Pietro: "Signore... comanda che io venga da te" (Mt 14,28). E il Signore lo lascia venire da lui.

Noi tutti che partecipiamo a questo sacrificio eucaristico, per raccomandare all'Eterno Padre l'anima di Paolo VI, ringraziamo per tutto ciò che ha fatto e per tutto ciò che egli è stato per la Chiesa.

"Beato te, Simone figlio di Giona" (Mt 16,17).

Data: 1979-09-16

Data estesa: Domenica 16 Settembre 1979.





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Preghiera per le "Visite ad limina Apostolorum"

Testo:

1. Eccomi nuovamente con voi per la recita dell'"Angelus" nello scenario suggestivo di questa Piazza, dominata dalla maestosa cupola di Michelangelo e delimitata dal poderoso colonnato del Bernini, che accoglie e racchiude quasi in un ideale abbraccio le genti di ogni Paese, che qui convengono per rendere omaggio alla memoria dell'apostolo Pietro e per ascoltare la voce dell'umile suo successore.

Mi è caro leggere nella vostra odierna presenza, particolarmente numerosa e festante, l'intenzione di recare il vostro saluto ed il vostro benvenuto al Papa che ritorna nella sua casa, dopo un'assenza di circa due mesi.

E' un pensiero delicato e gentile, del quale vi sono sinceramente grato.


2. Ci incontriamo a questo appuntamento di preghiera, quando è terminata da poco tempo la Santa Messa, che ho celebrato nella Basilica Vaticana per invocare il riposo eterno all'anima grande e benedetta di Papa Paolo VI, il quale da ormai più di un anno ha lasciato questa terra "drammatica e magnifica" - come egli l'ha definita nel suo testamento - per entrare con Cristo nell'amore eterno di Dio.

La commemorazione del mio predecessore, che ha amato la Chiesa e l'umanità con intensità straordinaria, spendendosi con infaticabile dedizione, ci sia di stimolo a mettere in pratica nella nostra vita quanto egli ci ha insegnato nei quindici anni del suo instancabile servizio del Popolo di Dio.


3. Anche oggi desidero rivolgermi con il pensiero e con il cuore ai miei fratelli nell'Episcopato che in questo anno visitano "le soglie degli Apostoli" ("Limina Apostolorum"). Desidero che queste visite trovino la loro eco nella nostra comune preghiera dell'"Angelus". Esse servono anche in questo modo al rafforzamento dei legami, mediante i quali si costruisce costantemente la collegialità dell'Episcopato nella Chiesa. Le visite "ad limina" sono una forma particolare di tale rafforzamento. Gli incontri con i Vescovi di tanti Paesi ci offrono l'occasione di renderci conto insieme di tutto ciò che, mediante la nostra comune missione nell'unica Chiesa di Cristo, ci unisce e congiunge: i comuni doveri, le comuni sollecitudini, le comuni gioie e tristezze, le comuni preoccupazioni e speranze. In questo spirito saluto tutti i miei fratelli nell'episcopato che visitano le "soglie degli Apostoli" e in questo spirito mi incontro con loro.

Nello stesso spirito desidero pure pregare ora insieme con voi e con quanti ci ascoltano, per tutti i Vescovi del mondo e per le varie Chiese, a servizio delle quali lo Spirito Santo li ha costituiti come pastori (cfr. Ep 4,11).


4. Il mio pensiero va oggi in particolare ai Vescovi delle Antille e dei Caraibi, che vennero in udienza lo scorso 4 maggio. Ricordo con piacere il fraterno incontro che potei avere con loro, e le preziose notizie che essi mi fornirono sulla vita delle loro Chiese.

Si tratta di comunità cristiane in espansione, con un clero indigeno già ben organizzato, che a mano a mano si sostituisce ai missionari provenienti dall'esterno. E' interessante, a questo proposito, l'aumento delle vocazioni sacerdotali, avvenuto in questi anni: l'età media del clero si aggira sui 47 anni, contro i 51 del resto del mondo. Un ruolo importante nell'opera di evangelizzazione svolgono i catechisti, alla cui formazione i Vescovi dedicano cure particolari. Molto si conta sulle giovani generazioni, che giungono ora alla ribalta della vita ecclesiale e sociale di quei Paesi. La speranza dei Vescovi è che queste nuove leve, nutrite alla mensa della Parola di Dio e del Pane eucaristico, possano crescere sane e generose e divenire così segno della vitalità e del dinamismo delle loro rispettive comunità.

Alcuni dati statistici: su di una popolazione di circa dieci milioni e mezzo di abitanti, i cattolici sono circa cinque milioni, cioè quasi il 48 per cento. I sacerdoti sono circa

1.500, di cui un migliaio sono religiosi. I Vescovi residenziali sono 17, ai quali si aggiungono 7 Vescovi a riposo.

Servano queste notizie, necessariamente succinte, a stabilire un ideale "ponte spirituale" tra noi e quei nostri fratelli delle lontane isole dei Caraibi e salga per essi dai nostri cuori la preghiera fiduciosa e filiale a Maria.

A vari pellegrinaggi Desidero rivolgere un pensiero ed un saluto ai vari pellegrinaggi parrocchiali, in particolare a quelli che sono costituiti da gruppi giovanili.

Saluto volentieri fra l'altro le ragazze della Parrocchia di Ponso, in diocesi di Padova, ed auguro loro di essere davvero, com'è nei loro propositi, la speranza del Papa e della Chiesa.

Ai pellegrini slovacchi Saluto cordialmente e benedico i pellegrini della Slovacchia, venuti a Roma per salutare il loro connazionale Monsignor Jozef Tomko, in occasione della sua ordinazione episcopale ricevuta dalle mie mani ieri, nella festa dell'Addolorata, Patrona celeste della Slovacchia.

Ad un gruppo di fedeli tedeschi Saluto molto cordialmente, tra i numerosi gruppi presenti, il coro maschile di Santa Cecilia di Sundern in Westfalia. Mi congratulo con voi per il centenario della vostra associazione. Siate, con il vostro canto, messaggeri di gioia per l'edificazione spirituale del vostro prossimo e per il ringraziamento a Dio. Per questo imparto di cuore a voi ed a tutti i vostri cari la mia particolare benedizione apostolica.

Data: 1979-09-16

Data estesa: Domenica 16 Settembre 1979.





Alle Piccole Sorelle di Gesù - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La preghiera conduce l'uomo a Dio

Testo: Care Piccole Sorelle E' sempre per me una grande gioia ricevere le religiose, perché la loro vita totalmente consacrata al Signore costituisce una benedizione e una testimonianza senza pari nella Chiesa. Io sono particolarmente sensibile, voi lo sapete, alla vostra vocazione, con la quale mi sono familiarizzato già da lungo tempo.

Che vi diro dunque in poche parole? Desidero semplicemente incoraggiarvi nello sforzo di autentica fedeltà al padre Charles de Foucauld. Questa vostra vocazione comporta due responsabilità: quella di stare di fronte a Dio a nome degli uomini e delle donne con cui vivete, come anche di tutti gli altri; e quella di condividere la loro vita nel nome del Cristo incarnato.

Come fratel Charles di Gesù, voi consacrate lunghi tempi alla preghiera silenziosa e gratuita, spesso davanti al Santissimo Sacramento, e pregate anche con coloro che formano il vostro ambiente. Siate, alla presenza del Salvatore, nell'adorazione, nella lode e nell'intercessione, le ambasciatrici dei vostri fratelli e sorelle, dei loro desideri, dei loro bisogni. E' questa la specificità della vostra preghiera, ciò che le dona tutto il suo valore. Per mezzo vostro, in certo qual senso, e per la vostra preghiera gli uomini si avvicinano a Dio e alla sua salvezza.

Abbiate lo stesso realismo in ciò che riguarda la vostra amicizia nell'ambiente ove siete inserite, e questo suppone non solo scambi di simpatia, ma una condivisione di vita in modo profondo, costante, con l'attaccamento, la pazienza, il nascondimento che caratterizzano la vita di Nazaret e che sono la prova dell'amore. Questo è il vostro modo di dare la vita per coloro che amate secondo il Vangelo: gli operai, i malati, i prigionieri, gli analfabeti, i nomadi, gli isolati, i drogati, gli emarginati nei confronti della società e della Chiesa.

Nella vita interna delle vostre piccole comunità, sempre a dimensione familiare, come pure in seno a tutta la Congregazione, mettete a beneficio delle sorelle le ricchezze vostre personali e le responsabilità complementari, pur restando voi stesse.

Questa "incarnazione" e questa "autenticità" non vogliono dire "essere del mondo", soggette cioè ai venti di ogni genere, che circolano negli ambienti dove esercitate l'apostolato, non più che ad altre fantasie personali. Ciò esige che voi siate solidamente ancorate al nucleo essenziale della fede della Chiesa, alla spiritualità della vostra fondazione, all'etica cristiana, alla celebrazione dei misteri cristiani, e mi felicito con voi perché ogni anno, a turno, venite a rinnovare le vostre energie alle "Tre fontane", partecipando a una sessione che coincide con la professione delle suore. Quest'anno io saro assente da Roma al momento di questa professione; così ho desiderato ricevervi oggi, per assicurarvi della mia unione speciale con voi in questa circostanza.

Vi disperderete presto ai quattro angoli del mondo. E' l'esigenza della vostra vocazione: l'amore non conosce frontiere. Ma voi restate fedeli al centro della Chiesa, vicine alla tomba dell'apostolo Pietro, accanto alla quale avete pronunciato i vostri voti, unite al successore di questo apostolo, fondamento dell'unità della Chiesa. Siate certe che il Papa apprezza la vostra vita religiosa come pure la vostra testimonianza apostolica, e che egli è con voi con il suo pensiero, ovunque voi portiate il Vangelo. Egli stesso si raccomanda alle vostre preghiere e domanda al Signore di benedire voi, tutte le Piccole Sorelle che voi rappresentate e tutti coloro che vi sono cari. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1979-09-16

Data estesa: Domenica 16 Settembre 1979.





Alle "quipes Notre-Dame" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il Vangelo sia lievito delle relazioni familiari

Testo: Cari fratelli e sorelle.

Sono lieto di incontrare i responsabili regionali o superregionali delle "quipes Notre-Dame". In questo primo contatto, anche se breve, vogliate accogliere la stima, l'incoraggiamento e la fiducia che vorrei esprimere al vostro movimento, nella linea di tutto ciò che vi ha già detto il mio venerato predecessore Paolo VI. Mi rallegro della vitalità delle quipes, della loro diffusione in vari paesi, in particolare tra le giovani coppie.

Voi volete vivere l'amore coniugale e l'amore dei genitori alla luce del vangelo e degli insegnamenti della Chiesa, in un clima che tiene in gran conto la preghiera, la condivisione tra le coppie e gli scambi profondi tra gli sposi su tutti i problemi umani e spirituali. Il lievito del Vangelo deve innanzitutto permeare le realtà quotidiane e fondamentali delle relazioni familiari. Bisogna rinnovare, così, le cellule della Chiesa e della società alla loro base. Il Papa conta sul contributo del vostro movimento di spiritualità matrimoniale.

Io incoraggio i membri delle quipes a cercare sempre la perfezione della loro vita cristiana attraverso il sacramento del matrimonio, e mi auguro che molti altri sposi cristiani facciano lo stesso. Quali ricchezze, quali esigenze, quale dinamismo ne verrebbe, se questo sacramento fosse vissuto di giorno in giorno nella fede, a immagine del dono mutuo di Cristo alla sua Chiesa! Quale forza, se gli sposi hanno la semplicità di aiutarsi, sotto lo sguardo del Signore, a progredire nella loro fede, nell'amore reciproco, all'occorrenza nel perdono vicendevole, nell'impegno comune a servire la loro famiglia, la comunità ecclesiale, l'ambiente sociale! Quale esempio per i figli che, assieme ai loro genitori, fanno la prima esperienza del mistero della Chiesa! Voi stessi avete già provato, specialmente le coppie da tempo legate al movimento, che tutto ciò è talora molto esigente e corroborante. Lo so, voi non siete, più degli altri, al riparo dalle tentazioni, dalle prove che conoscono le altre famiglie, dalle contraddizioni che l'ideale familiare incontra nella società contemporanea. Ma voi prendete umilmente i mezzi adatti per superarle. Vi stia a cuore di alimentare le vostre convinzioni, le vostre meditazioni e la vostra azione alle vere sorgenti della parola di Dio letta nella Chiesa, alla dottrina e all'etica cristiana richiamata dal magistero, all'autenticità spirituale del matrimonio e degli altri sacramenti con l'aiuto dei sacerdoti posti a vostra disposizione.

Vi auguro di rendere partecipi delle vostre convinzioni e della vostra esperienza la pastorale familiare della Chiesa nei vostri rispettivi paesi, associandovi, secondo le possibilità, agli immensi sforzi compiuti o che si compiranno in questo campo. Bisogna infatti far brillare, agli occhi delle nuove generazioni, il meraviglioso piano di Dio sull'amore coniugale, la procreazione, l'educazione familiare, ma ciò non sarà credibile se non con la testimonianza di coloro che lo vivono, con tutte le risorse delle fede.

In effetti, la Chiesa intera deve impegnarsi in questo sforzo. Da parte mia, colgo l'occasione delle udienze generali del Mercoledì per offrire elementi di riflessione sulla famiglia. Il prossimo Sinodo dei Vescovi tratterà il tema "i doveri della famiglia cristiana": siete invitati non solo a prestarvi interesse e attenzione, ma a portare il vostro contributo alla sua preparazione, facendo conoscere, all'interno delle vostre comunità diocesane, le vostre riflessioni sui differenti punti del programma, pubblicati dalla Segreteria del Sinodo. Sta di fatto che i doveri della famiglia cristiana non si potranno trattare in maniera cristiana se non si approfondisce la teologia del matrimonio, con le sue ricchezze di grazia a dimensione ecclesiale, e se non si vive in pratica questa spiritualità all'interno delle coppie.

Con questi sentimenti, esprimo tutta la mia fiducia a voi e agli uomini e donne delle quipes Notre-Dame, ai loro cappellani, incoraggiandovi a continuare i vostri sforzi nella Chiesa, secondo la dottrina della stessa Chiesa, in collegamento con i pastori e gli altri movimenti la cui azione è complementare alla vostra. Di tutto cuore benedico voi, i vostri cari e in particolare i vostri bambini.

Data: 1979-09-17

Data estesa: Lunedì 17 Settembre 1979.




GPII 1979 Insegnamenti - Ai lavoratori di Pomezia (Roma)