GPII 1979 Insegnamenti - Alle delegazioni dei Governi argentino e cileno - Città del Vaticano (Roma)


2. Ho risposto affermativamente alla sollecitazione per una mediazione, nonostante le difficoltà inerenti ad una così grave responsabilità, spinto dal mio desiderio di tutelare il bene supremo dell'armonia fra le Nazioni. A dare tale risposta positiva mi animo la volontà di pace manifestata dai vostri governi, i quali - interpretando fedelmente gli aneliti profondi dei vostri Paesi - presero a Montevideo l'impegno solenne di non ricorrere alla forza nelle relazioni fra Stati, di realizzare un ritorno graduale alla situazione militare esistente all'inizio del 1977, e di astenersi dall'adottare misure che possano alterare l'armonia in qualsiasi settore.

L'assumere questo triplice obbligo ha onorato i vostri Governi e i vostri Paesi e mi ha convinto ad accettare la mediazione; il fedele e costante compimento di questo Accordo costituisce un motivo di onore per le vostre Autorità e le vostre Nazioni e crea le condizioni di necessaria serenità perché non siano pregiudicate le possibilità di riuscita della mediazione.


3. Mi congratulo per la fiducia che i vostri Governi e voi avete per il Mediatore e per chi, da parte della Santa Sede, partecipa ai negoziati riguardanti la mediazione. Questa predisposizione è una premessa necessaria perché il Mediatore si senta sicuro nei suoi sforzi per avvicinare le posizioni divergenti, sforzi che costituiscono l'essenza stessa della mediazione, la quale non si conclude con decisioni, ma viene praticata mediante consigli. Sostenendosi con questa fiducia, il mediatore, dopo aver chiesto a Dio di illuminarlo, presenta dei suggerimenti alle Parti con lo scopo di realizzare la sua opera di avvicinamento, indirizzata a salvaguardare gli interessi fondamentali di entrambe, il bene supremo della pace.


4. Basandomi su questa fiducia-frutto anche dei legami che uniscono i vostri Popoli alla Sede Apostolica mi sembra conveniente comunicarvi alcune idee che mi ha suggerito l'esame degli aspetti controversi del contrasto. Ve le riferisco con la speranza di contribuire alla ricerca del cammino, del metodo di lavoro che possa meglio guidarvi all'accordo pacifico, giusto, onorevole e definitivo, che tutti ci auguriamo. E ve lo propongo perché conosco la predisposizione favorevole con cui - come viene assicurato nel primo Accordo di Montevideo - le prenderete in considerazione: - mi sembra che converrebbe organizzare i negoziati cercando, in primo luogo, i punti di convergenza delle posizioni di entrambi le Parti; anche se la controversia appare abbastanza complicata, non è impossibile trovare tali punti, tenendo presente inoltre che dall'inizio dell'anno scorso le vostre rispettive Autorità si erano riproposte di avere conversazioni dirette mirate a raggiungere un accordo. Insistere su questo aspetto, cioè nella ricerca dei punti di convergenza, non sarà inutile, ma anzi proficuo; - considero opportuno, inoltre, riflettiate sulle possibilità che le vostre Nazioni hanno di collaborare in tutta una serie di attività, all'interno e anche al di fuori della zona australe. Dallo sviluppo di queste vie possono derivare indubbi vantaggi per il benessere di entrambi i Popoli e anche - perché no? - per altre Nazioni. Credo che la scoperta e la conseguente preparazione di ampi settori di cooperazione, creerebbero le condizioni favorevoli per la ricerca e la scoperta della soluzione completa per le questioni più complicate del contrasto: soluzione completa e definitiva a cui è doveroso arrivare; - è necessario ristabilire, sostenere e rafforzare un clima di fiducia reciproca, lasciando da parte di conseguenza, anche il sospetto o il timore di mire di una Parte, che potrebbero essere pregiudiziali per l'altra; questo clima di reciproca fiducia deve essere la linfa che vivifica tutti gli interessati, cioè tutti coloro che in qualche modo si occupano della mediazione o semplicemente vivono nelle vostre Nazioni.

Penso che ciò che vi ho appena detto dovrebbe essere la base positiva su cui sviluppare e continuare i negoziati sui diversi punti controversi. Si tratta ora di una questione di metodo, che sembra imporsi, se si tengono presenti gli scarsi risultati del precedente periodo, quando - come si sa - le discussioni furono in definitiva infruttuose e culminarono in momenti di grandissima tensione, essendo state accompagnate da preparativi militari. Il nuovo procedere credo che dovrebbe caratterizzare le vostre attività per i prossimi mesi. Vi esorto calorosamente ad impegnare la vostra intelligenza e la vostra volontà per ricercare questo nuovo metodo.

E' innegabile il grande influsso che oggi esercitano i mezzi di comunicazione sociale. E' augurabile che questi appoggino gli sforzi delle autorità competenti che hanno scelto il cammino della mediazione, e che interpretino e sostengano i sentimenti autentici dei figli delle due Nazioni sorelle, che desiderano mantenere questa pace che manco fra loro. E' gradito e consolatore il constatare che non c'è mai stato un conflitto bellico fra i due paesi, e vale la pena pertanto, di evitare tutto ciò che potrebbe suscitare sentimenti contrari alla soluzione del contrasto attraverso la mediazione.


5. Queste sono le idee che mi è sembrato giusto esporvi nella situazione attuale.

Abbiate la sicurezza che non vi manca, né vi deve mancare, il mio ricordo costante nella preghiera: chiedo a Dio che vi conceda di portare a termine un lavoro fruttuoso, e che io vi possa assistere con i consigli e i suggerimenti più utili in ogni circostanza. Presento queste intenzioni per mezzo di Maria, la Vergine santissima, Nostra Signora, Madre del Buon Consiglio e Regina della Pace.

Faccio voti affinché i vostri negoziati siano fecondi, positivi, colmi di saggezza e prudenza, portati avanti dalla buona volontà di tutti, sapendo - come di fatto sapete - che vi accompagna la simpatia dei vostri connazionali e che molti popoli vi seguono con interesse. Pensando a tutto ciò vi imparto la mia paterna benedizione, da estendere alle vostre Nazioni, come testimonianza del mio affetto e del mio desiderio che si riesca a superare le difficoltà di varia indole, a beneficio della prosperità e della fiducia cristiane di tutti i vostri compatrioti.

Data: 1979-09-27

Data estesa: Giovedì 27 Settembre 1979.



In memoria di Giovanni Paolo I - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'insondabile mistero della vita e della morte

Testo: Signori Cardinali, fratelli e figli carissimi!

1. Con l'aiuto delle letture della Liturgia odierna vogliamo rivivere quel giorno di un anno fa, quando Dio richiamo a sé così inaspettatamente Papa Giovanni Paolo I. Non tanto il giorno d'oggi, quanto la notte dal 28 al 29 settembre segna il primo anniversario della morte di questo successore sulla sede di san Pietro, che appena per trentatré giorni dalla sua elezione poté rimanervi. "Magis ostensus quam datus": se ne è andato quasi prima che facesse in tempo ad iniziare il suo pontificato. Abbiamo già meditato questa sua inaspettata partenza, visitando il suo paese natale, Canale d'Agordo il 26 agosto, cioè nel giorno in cui, mediante i voti dei Cardinali in conclave, egli era stato chiamato ad essere Vescovo di Roma.

Oggi conviene a noi celebrare l'Eucaristia per la prima volta nell'anniversario della sua morte.


2. Ascoltando le letture della Liturgia, per due volte ci troviamo dinanzi all'alternativa della vita, che il cuore umano sembra spesso contrapporre alla morte.

Marta che si rivolge a Cristo con le parole: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto" (Jn 11,21). Spesso gli uomini dicono presso la salma delle persone care: "Eppure poteva non morire; poteva vivere ancora...".

Certamente anche dopo la inaspettata morte di Giovanni Paolo I molti dicevano, pensavano e sentivano così; "Eppure poteva vivere ancora...; perché se ne è andato così presto?". Marta, sorella di Lazzaro, passa dal suo umano "eppure poteva..., se tu, Cristo, fossi stato qui..." all'atto della più grande fede e speranza: "Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà" (Jn 11,22).

Solo a Cristo ci si può rivolgere con tali parole; solo egli ha confermato che ha potere sulla morte umana. Tuttavia, il cuore umano spesso contrappone alla morte - a questa morte che già è diventata un fatto, a questa morte di cui ognuno sa che, in definitiva, è inevitabile - un'alternativa della possibilità della vita: Eppure poteva ancora vivere...


3. Lasciamo allora che risuoni ancora la voce apostolica di san Paolo in queste nostre meditazioni. Anche egli contrappone la necessità della morte alla possibilità della vita; lo fa, pero, in maniera pienamente corrispondente a questa luce della fede, della speranza e della carità, che bruciavano nel suo cuore: "Sono messo alle strette, infatti, tra queste due cose: da una parte, il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne" (Ph 1,23).

L'uomo che vive la fede come Paolo, che ama come lui, diventa, in un certo senso, il padrone della propria morte. Questa non lo sorprende mai.

In qualunque momento venga, sarà accettata sempre come una alternativa di vita, come una dimensione che compie tutto il suo senso. "Per me, infatti, il vivere è Cristo, e il morire è un guadagno" (Ph 1,20). Se Cristo dà alla vita tutto il senso, allora l'uomo può pensare alla morte così. così può aspettarla! E così può accettarla!

4. Penetriamo col pensiero le parole delle odierne letture liturgiche e cerchiamo di seguirne il significato. Percepiamo che esse vogliono avviarci alla risposta riguardante quella morte avvenuta, un anno fa, così improvvisamente e che oggi non soltanto ricordiamo ma, in un certo senso, riviviamo. Queste letture vogliono darci la risposta alla domanda: come moriva Giovanni Paolo I? Facciamo allora una seconda domanda: Che cosa sarebbe stata questa vita, se non fosse stata interrotta la notte dal 28 al 29 settembre dell'anno scorso? Ed anche a questa domanda troviamo la risposta nel testo di Paolo: "...il vivere nel corpo significa lavorare con frutto" (Fil.1,22). così, dunque, non soltanto la vita dà la testimonianza alla morte, ma anche la morte alla vita.


5. E questa testimonianza, che la morte di Giovanni Paolo I ha dato alla sua vita, diventa al tempo stesso il testamento del suo pontificato: "Restero e continuero a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede" (Fil

1,25).

Quale è la parola principale di quel testamento? Forse questa che parla della "gioia della fede". Il Signore ha dato a Giovanni Paolo I trentatré giorni sulla Sede di san Pietro, affinché potesse esprimere questa gioia, questa gioia quasi di bambino.

Tale gioia nella fede è necessaria, perché possano compiersi le ulteriori parole di questo testamento: che possiamo combattere unanimi per la fede del vangelo (cfr. Ph 1,27). Riceviamo, infatti, i due indelebili segni: il segno di Figlio di Dio nel Battesimo, e il segno di confessore, pronto a combattere per la fede del Vangelo nella Cresima. Giovanni Paolo I, successore di Pietro, manifesto nella sua vita ambedue questi segni e li porto ben impressi nella sua anima, davanti alla Maestà di Dio. Come ogni vero cristiano.


6. Celebriamo l'Eucaristia: la liturgia della morte e della risurrezione di Cristo. Essa diventa particolarmente eloquente, quando la celebriamo in occasione della morte dell'uomo, durante il funerale o nell'anniversario della morte. A questo proposito non posso non ricordare quanto ebbe a dire, interprete dell'universale commozione, il venerato Cardinale Decano durante la mesta cerimonia funebre dell'anno scorso, in Piazza San Pietro; "Ci domandiamo: perché così presto? L'apostolo ci previene con la nota esclamazione, ammirata e adorante: "Quanto sono imperscrutabili i giudizi di Dio, ed inaccessibili le sue vie!... Chi ha mai potuto conoscere il pensiero del Signore?" (Rm 11,33). Si ripropone così in tutta la sua immane e quasi opprimente grandezza, l'insondabile mistero della vita e della morte (cfr. "L'Osservatore Romano", 6 ottobre 1978, p. 1).

Di fronte a questo mistero, che per la ragione è davvero impenetrabile e insolubile, all'uomo non giunge dall'uomo nessuna voce di risposta. In ordine ad esso che altro possiamo udire oltre quel che udi Marta dalla bocca di Cristo? "Tuo fratello risusciterà... Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?" (Jn 11,23-25).

Il Papa defunto rispose a questa domanda con la fede di tutta la Chiesa: Credo nella risurrezione dei morti; credo nella vita del mondo che verrà! Ed in pari tempo confesso con la fede personale della sua vita: "Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia" (Ph 1,20).

"Io so che il mio Vendicatore è vivo... Dopo che questa mia pelle sarà distrutta,.. vedro Dio" (Gb 19,25-26).

Data: 1979-09-28

Data estesa: Venerdì 28 Settembre 1979.





Ad un gruppo di scienziati - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Studiare il mondo per conoscere l'uomo

Testo: Sono particolarmente lieto di ricevere oggi gli organizzatori, i relatori e i partecipanti al Convegno internazionale sul Problema del cosmo. L'autorità dell'Istituto che lo ha promosso, la competenza degli illustri relatori, l'interesse del tema dei lavori hanno a buon diritto attirato l'attenzione di un vasto pubblico, ed anche la mia, su questa importante iniziativa scientifica.

L'Istituto dell'Enciclopedia Italiana si è infatti guadagnata larga stima fra gli uomini di cultura di tutto il mondo per la sua ormai più che cinquantennale tradizione di ricerca nei più diversi campi della cultura. Una ricerca solida e seria, che mira alla verità, animata dall'assillo morale di una oggettività che non si lasci deviare da mode passeggere o da interessi di parte, e tuttavia una ricerca ben consapevole del continuo progredire delle conoscenze scientifiche, e presente sulle frontiere dell'affascinante avventura dell'uomo del XX secolo, che sta per affacciarsi alle soglie di un nuovo millennio.

E ora questo nuovo frutto del lavoro dell'Istituto, l'Enciclopedia del Novecento, già col suo stesso titolo esprime un programma, In queste due parole sono infatti significate insieme la volontà di forgiare e di esprimere una cultura presente al nostro tempo e la tensione interiore verso l'unità di questa cultura.

E poiché in un'opera di così ampio respiro, attenta a tutte le vie per cui l'uomo cerca sinceramente il vero, non possono mancare uno spazio e un accento adeguato per la tematica religiosa, mi rallegro in particolare per l'importanza che a tale tematica e stata attribuita, segno eloquente della profondità e della serietà della sua impostazione.

Proprio dall'ampio programma di ricerca che confluisce in questa Enciclopedia per prenderne poi nuovamente le mosse, è sorto, nell'anno centenario della nascita di Albert Einstein, il vostro Convegno su "Il problema del cosmo".

Tema ricco di un fascino immenso per l'uomo d'oggi, come per l'uomo di ieri; per l'uomo di sempre.

Quale stupenda scienza è la vostra, che nel campo delle ricerche sulla natura si colloca in certo modo al vertice di tutte le altre, in quanto la sua indagine non si riferisce ad un dominio particolare della natura stessa e dei suoi fenomeni, ma con un magnifico slancio, che esalta e nobilita la mente dell'uomo, cerca addirittura di abbracciare l'immensità dell'universo, di penetrarne la struttura, di percorrerne l'evoluzione. La cosmologia, una scienza della totalità di quel che esiste come essere sperimentalmente osservabile, è quindi dotata di un suo statuto epistemologico particolare, che la colloca forse più di ogni altra ai confini con la filosofia e con la religione, poiché la scienza della totalità conduce spontaneamente alla domanda sulla totalità stessa, domanda che non trova le sue risposte all'interno di tale totalità.

E' con profonda emozione che io parlo oggi con voi, cultori di una scienza così vasta, che vi dispiega dinanzi l'intera creazione. La vostra scienza è per l'uomo una via maestra alla meraviglia. La contemplazione del firmamento è stata sempre per l'uomo fonte di assoluto stupore, fin dai tempi più antichi; ma voi oggi guidate noi, uomini del XX secolo, sulle strade di una meraviglia nuova.

Sono strade che passano attraverso il faticoso e paziente cammino della ragione, che ha interrogato la natura con sagacia e costanza, con un'austera disciplina che in certo modo ha messo da parte il compiacimento della contemplazione della bellezza del cielo per sondarne sempre più profondamente e sistematicamente gli abissi. Strumenti sempre più potenti e ingegnosi - telescopi, radiotelescopi, sonde spaziali - hanno permesso di svelare alle nostre menti e ai nostri occhi attoniti oggetti e fenomeni che la nostra fantasia non avrebbe mai osato immaginare - ammassi stellari, galassie e gruppi di galassie, quasars e pulsars... - essi hanno allargato i confini delle nostre conoscenze a distanze di anni luce, ci hanno permesso di risalire nel tempo fino al più remoto passato, quasi alle origini di quel processo di espansione dell'universo che costituisce una delle scoperte più straordinarie e inattese del nostro tempo. La ragione scientifica, dopo un lungo cammino, ci fa quindi riscoprire le cose con meraviglia nuova; ci induce a riproporre con rinnovata intensità alcune delle grandi domande dell'uomo di sempre: da dove veniamo? dove andiamo?; ci porta a misurarci ancora una volta sulle frontiere del mistero, quel mistero di cui Einstein ha detto che è "il sentimento fondamentale, che sta accanto alla culla della vera arte e della vera scienza" e, aggiungiamo noi, della vera metafisica e della vera religione.

Ma anche per un altro motivo io apprezzo in modo particolare la vostra scienza. A differenza di tante altre scienze della natura, che oggi vengono coltivate e sviluppate con particolare sollecitudine perché pongono nelle mani dell'uomo il potere per trasformare il mondo in cui vive, la vostra scienza è, in certo senso, una scienza "gratuita". Essa non dà potere all'uomo per costruire né per distruggere, ma ne asseconda il desiderio puro, l'ideale profondo di conoscere. E questo, in un mondo fortemente tentato di utilitarismo e di sete di dominio, è un valore da testimoniare e da custodire. Io ve ne rendo atto.

Ma, in verità, conoscere il mondo non è cosa gratuita o inutile, anzi, è sommamente necessario per conoscere chi è l'uomo. Non per nulla la visione del cosmo delle diverse epoche e delle diverse culture è sempre stata strettamente legata e ha fortemente influito sulla visione che le stesse culture hanno avuto dell'uomo. Ora, se la conoscenza delle dimensioni smisurate del cosmo ha cancellato l'illusione che il nostro pianeta o il nostro sistema solare siano il centro fisico dell'universo, non per questo l'uomo ne è stato diminuito nella sua dignità. Anzi, l'avventura della scienza ci ha fatto scoprire e sperimentare con vivacità nuova l'immensità e la trascendenza dello spirito umano, capace di penetrare gli abissi dell'universo, di scrutarne le leggi, di tracciarne la storia elevandosi a un livello incomparabilmente più alto delle altre creature che lo circondano.

Riaffiorano perciò spontaneamente sulle labbra del credente del XX secolo le parole dell'antico salmista: "O Signore nostro Dio... Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli..." (Ps 8,2 Ps 8,4-6). Come già di fronte alla sublimità del creato, così anche di fronte all'uomo, indagatore dell'universo e delle sue leggi, il nostro animo trasale di stupore e di meraviglia, poiché anche qui esso tocca il mistero.

E non si tratta in fondo di un unico e grande mistero: quello che sta alla radice di tutte le cose, del cosmo e della sua origine, come pure di colui che è capace di indagarlo e di capirlo? Se l'universo è come una parola immensa che, anche se a fatica e lentamente, può infine venire decifrata e intesa, chi è che dice all'uomo questa parola? La voce e il pensiero del credente si sentono tremare dopo che voi lo avete condotto sulle vie e nelle profondità dell'immenso, e tuttavia io, testimone della fede alle soglie del terzo millennio, ne pronuncio ancora una volta con timore e con gioia il nome benedetto: Dio, creatore del cielo e della terra, il cui amore ci è rivelato in Cristo Signore.

Con questi sentimenti, tutti vi incoraggio nella prosecuzione dei vostri studi severi, mentre su di voi, sulle vostre fatiche scientifiche, e sui vostri cari invoco la ricchezza dei doni del Pantocrator, del Signore del cielo e della terra.

Data: 1979-09-28

Data estesa: Venerdì 28 Settembre 1979.





Al cardinale Paolo Bertoli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Delega di indulti e facoltà durante l'assenza del Papa

Testo: Al Nostro venerabile Fratello Cardinale Paolo Bertoli Camerlengo di Santa Romana Chiesa.

Come sai faremo un breve viaggio alla Sede delle Nazioni Unite durante il quale visiteremo anche la Chiesa della Repubblica Irlandese e degli Stati Uniti, spinti da zelo pastorale.

Seguendo l'uso ordinario, vogliamo affidare a un Padre Cardinale di sbrigare gli affari che necessitano del nostro intervento, durante la nostra assenza, qualora ve ne fosse bisogno.

Intendiamo incaricare te, Venerabile Nostro fratello, di tale compito, delegandoti la facoltà di concedere, durante il tempo del nostro viaggio, se vi fosse un pericolo nel ritardo, dopo aver ascoltato il Sacro Dicastero cui ciò interessa, e mantenendo ciò che deve essere mantenuto, indulti, facoltà e grazie, che noi siamo soliti concedere, e di provvedere, se si presentasse un caso particolarmente grave e se la competente Sacra Congregazione della Curia Romana lo richiedesse, all'amministrazione di una diocesi con la nomina di un Amministratore Apostolico.

Conosci l'importanza di questo nostro nuovo viaggio. Ci farai perciò cosa gradita se invocherai per noi l'aiuto di Dio onnipotente e della Beata Madre Maria, perché si possano portare ad effetto i buoni intendimenti di questo nostro viaggio.

Infine la benedizione apostolica, impartita con tutto il cuore, sia auspice di doni celesti che chiediamo per te e segno della benevolenza con la quale ti abbracciamo nel Signore.

Data: 1979-09-28

Data estesa: Venerdì 28 Settembre 1979.





All'aeroporto di Fiumicino - Roma

Titolo: Un lungo viaggio di carattere pastorale

Testo: Ringrazio di cuore coloro che sono qui presenti, in particolare i Signori Cardinali, i Membri del Corpo Diplomatico, i Rappresentanti del Governo Italiano.

Il mio pensiero riconoscente va anche a tutti quelli che, in questo momento, mi seguono col loro affetto e la loro speranza.

Lascio Roma e il suolo della diletta Italia per compiere un lungo viaggio di carattere eminentemente pastorale, in coerente sintonia col mio supremo servizio nei confronti della Chiesa.

Mi reco, anzitutto, in Irlanda, l'"Isola dei Santi", in occasione del centenario del Santuario della Madonna di Knock, in seguito all'invito rivoltomi dall'Episcopato di quella Nazione. Desidero esprimere agli Irlandesi il doveroso apprezzamento per la fedeltà adamantina, che nei secoli essi hanno manifestato a Cristo, alla Chiesa e alla Sede Apostolica; ed altresi il vivo ringraziamento per il dinamico ardore missionario, che li ha sempre animati nel diffondere in tutto il mondo il messaggio del Vangelo. Auspico di vero cuore che questa mia visita contribuisca a mutare quell'atmosfera di tensione che, specie in questi ultimi tempi, ha provocato lacerazioni e anche purtroppo rovina e morte.

Accogliendo l'invito del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Dr.

Kurt Waldheim, mi reco poi all'ONU. Seguo, in questo, le orme del mio predecessore Paolo VI, di venerata memoria, il quale quattordici anni or sono, il 4 ottobre

1965, tenne in quella prestigiosa sede un discorso, che ebbe vasta eco nell'opinione pubblica internazionale. Le parole che io pronuncero in quella assemblea saranno una ideale continuazione di quell'appello profetico del grande Papa a favore della pace e della concordia fra i Popoli.

Infine, su invito della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d'America, nonché del Presidente Carter, faro una visita ad alcune città di quella grande Nazione. Mi incontrero particolarmente con i figli della Chiesa cattolica, per confermarli e confortarli nella fede, e anche con gli altri fratelli cristiani, come con i membri di altre comunità non cristiane, per intensificare gli sforzi comuni verso quella perfetta unità, voluta da Cristo.

Voglia il Signore guidare in questi giorni i miei passi ed assistermi con la sua grazia, perché siano raggiunte le finalità spirituali, che sono alla base di questo mio nuovo viaggio. A tale scopo chiedo a tutti, specialmente agli ammalati e ai bambini, un ricordo nella preghiera.

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1979-09-29

Data estesa: Sabato 29 Settembre 1979.





All'arrivo all'aeroporto - Dublino (Irlanda)

Titolo: Come servitore di Cristo sulle orme di san Patrizio

Testo: Sia lodato Gesù Cristo! E' con immensa gioia e con profonda gratitudine alla Santissima Trinità che metto piede oggi in terra irlandese. Vengo a voi come servitore di Gesù Cristo, come araldo del suo Vangelo di giustizia e d'amore, come Vescovo di Roma, come successore dell'apostolo Pietro. E con le parole di Pietro vi manifesto i sentimenti del mio cuore: "Pace a voi tutti che siete in Cristo" (1P 5,14).

Esprimo il mio profondo apprezzamento per il saluto di Sua Eccellenza il Presidente d'Irlanda il quale, a nome di tutti i cittadini, mi accoglie con la calda ospitalità della sua terra.

Sono inoltre grato ai miei fratelli nell'Episcopato, che sono qui ad accogliermi nel nome di tutta la Chiesa d'Irlanda che io amo molto. Sono molto felice di camminare insieme con voi - sulle orme di san Patrizio sulla via del Vangelo che egli vi lascio come una grande eredità - nella convinzione che Cristo è qui: "Cristo davanti a me, Cristo dietro a me;... Cristo nel cuore di ogni uomo che pensa a me, Cristo sulla bocca di ogni uomo che parla di me".

In questo momento del mio arrivo sento la necessità di esprimere la mia considerazione per le tradizioni cristiane di questa terra, così come la gratitudine della Chiesa cattolica per il glorioso contributo dato attraverso i secoli dall'Irlanda per la diffusione della fede. Da questa città capitale invio i miei saluti a tutti gli irlandesi che sono nel mondo.

E nell'invocare le benedizioni di Dio sull'Irlanda affido tutto il popolo irlandese alle preghiere della Beata Vergine Maria, all'intercessione di Maria, Madre di Gesù e Regina della Pace, sotto la cui protezione pongo la mia visita pastorale.

Sia lodato Gesù Cristo! Data: 1979-09-29

Data estesa: Sabato 29 Settembre 1979.





Omelia al Phoenix Park - Dublino (Irlanda)

Titolo: Dall'Eucaristia la forza per un'esistenza cristiana

Testo: Diletti figli in Gesù Cristo, 1. Come san Patrizio, io pure ho sentito "la voce dell'Irlanda" che mi chiamava e sono venuto a voi, a tutti voi in Irlanda.

Fin dai primissimi inizi della sua fede, l'Irlanda è stata legata alla Sede Apostolica di Roma. Le antiche memorie attestano che il vostro primo vescovo, Palladio, fu mandato in Irlanda dal papa Celestino, e che san Patrizio, succeduto a Palladio, venne "confermato nella fede" dal papa Leone il Grande. Tra i detti attribuiti a Patrizio è famoso quello rivolto alla "Chiesa degli Irlandesi, anzi dei Romani", indicando loro come pregare per essere "cristiani come lo sono i romani".

Quest'unione di carità fra l'Irlanda e la Santa Chiesa di Roma è rimasta inviolabile e infrangibile durante i secoli. Voi cattolici irlandesi avete ricevuto ed emanato l'unità e la pace della Chiesa cattolica, apprezzandola al di sopra di ogni altro tesoro di questa terra. La vostra gente ha diffuso quest'amore per la Chiesa cattolica dovunque è giunta, in ogni epoca della vostra storia. Ciò fu opera dei primi monaci e dei missionari nelle epoche oscure dell'Europa, degli scampati alle persecuzioni, degli esiliati e dei missionari - uomini e donne - del secolo scorso e di quello presente.

Sono venuto a voi come Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, per celebrare quest'unione con voi nel sacrificio eucaristico, qui a Dublino, capitale dell'Irlanda, per la prima volta nella storia del Paese. In questo momento, la mia posizione di pellegrino per Cristo in quella terra dalla quale tanti altri pellegrini per Cristo, "peregrini pro Christo", si diramarono attraverso l'Europa, le Americhe, l'Australia, l'Africa e l'Asia, mi fa vivere un momento di intensa commozione. Mi trovo qui in compagnia di tante centinaia di migliaia di irlandesi, uomini e donne, e penso quante volte, attraverso molti secoli, l'Eucaristia è stata celebrata in questa terra. Quanti e quanto diversi i luoghi in cui la messa è stata offerta nelle maestose cattedrali medievali e in quelle splendide moderne; nelle antiche chiese dei monasteri e in quelle moderne; alle messe dette sulla roccia, nelle forre e nelle foreste, da "preti braccati", e in povere cappelle coperte di paglia per un popolo povero di beni del mondo ma ricco delle cose dello spirito, in "case di veglia funebre" o nelle "station houses", o davanti alle grandi folle dei fedeli all'aperto, sulla sommità del Croagh Patrick e al Lough Derg. Poco importa dove venisse offerta la messa: per l'irlandese era sempre la messa la cosa importante. Quanti hanno trovato in essa la forza spirituale per vivere, anche nei tempi delle più grandi difficoltà e povertà, nei giorni di persecuzioni e di vessazioni. Cari fratelli e sorelle, cari figli e figlie d'Irlanda, consentitemi, insieme con voi, di dare un'occhiata a ritroso nella vostra storia, alla luce dell'Eucaristia qui celebrata per tanti secoli.


2. Dal Cenacolo di Gerusalemme, dall'Ultima Cena, in un certo senso, l'Eucaristia scrive la storia dei cuori umani e delle comunità umane. Pensiamo a tutti coloro i quali, nutriti del Corpo e del Sangue del Signore, sono vissuti e morti in quest'isola, portando in se stessi a motivo dell'Eucaristia, il pegno della vita eterna. Pensiamo alle tante generazioni di figli e figlie di questo Paese e, al tempo stesso, figli e figlie della Chiesa. Possa questa nostra Eucaristia essere celebrata nell'atmosfera della grande comunione dei santi. In questa messa noi formiamo una unione spirituale con tutte le generazioni che hanno adempiuta la Volontà di Dio attraverso i tempi, fino ad oggi. Siamo una sola cosa nella fede e nello spirito con l'ampia moltitudine che riempiva questo stesso Phoenix Park in occasione dell'ultima grande manifestazione eucaristica tenuta in questo luogo, al Congresso Eucaristico del 1932.

La fede in Cristo ha profondamente penetrato le coscienze e la vita dei vostri antenati. L'Eucaristia trasformo le loro anime per la vita eterna, in unione col Dio vivente. Possa quest'eccezionale incontro eucaristico odierno costituire al tempo stesso una preghiera per i defunti, per i vostri predecessori e antenati. Col loro aiuto, possa diventare più fruttuosa la preghiera per i vivi, per la presente generazione dei figli e figlie dell'Irlanda d'oggi, preparandoli alla fine del XX secolo in modo che siano all'altezza dei compiti che dovranno affrontare.


3. Si, l'Irlanda che ha superato tanti difficili momenti della sua storia, oggi è impegnata in maniera nuova, poiché non è immune dall'influsso di ideologie e orientamenti legati all'odierna civilizzazione e al progresso. Il potere dei mass-media di portare il mondo intero nelle vostre case produce un nuovo genere di conforto con valori e orientamenti finora alieni dalla società irlandese. Un invadente materialismo impone oggi il suo dominio sull'uomo in molte forme diverse e con un'aggressività che non risparmia nessuno. I principi più sacri, un tempo guida sicura per il comportamento degli individui e della società, sono stati completamente eliminati da false pretese concernenti la libertà, il carattere sacro della vita, l'indissolubilità del matrimonio, il genuino significato dell'umana sessualità, il giusto atteggiamento nei confronti dei beni materiali offertici dal progresso. Molta gente è oggi tentata dall'indulgenza verso se stessa e dal consumismo, e l'identità dell'uomo viene spesso definita in base a ciò che uno possiede. La prosperità e l'abbondanza, anche solo quando cominciano ad essere accessibili a più larghi strati della società, tendono a far si che il popolo si persuada di aver diritto a tutto quanto la prosperità può offrire, e di poter diventare sempre più egoista nelle sue richieste. Ognuno pretende piena libertà in tutti i settori del comportamento umano e nuovi modelli di moralità vanno proponendosi in nome d'una pretesa libertà. Quando la fibra morale d'una nazione è indebolita, quando il senso della responsabilità personale si è affievolito, allora è aperta la porta a giustificare le ingiustizie, la violenza in tutte le sue forme, e alla manipolazione della maggioranza da parte di pochi.

La sfida che è già fra di noi è costituita dalla tentazione di accettare come vera libertà ciò che in realtà è solo una nuova forma di schiavitù.


4. Si rende così sempre più urgente radicarci nella verità che viene da Cristo, che è "la via, la verità e la vita" (Jn 14,6) e nella forza che egli stesso ci offre mediante il suo Spirito. Specialmente nell'Eucaristia ci vengono dati la forza e l'amore del Signore.

Il Sacrificio del Corpo e del Sangue del Signore offerto per noi costituisce un atto di supremo amore da parte del Salvatore. E' la sua grande vittoria sul peccato e sulla morte: una vittoria di cui egli ci fa partecipi.

L'Eucaristia è una promessa di vita eterna, poiché Gesù stesso ci dice: "Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna, e io lo risuscitero nell'ultimo giorno" (Jn 6,54).

Il Santo Sacrificio della Messa vuol essere anche la celebrazione festosa della nostra salvezza. Nella Messa noi ringraziamo e lodiamo Iddio nostro Padre per averci dato la Redenzione mediante il prezioso Sangue di Gesù Cristo.

L'Eucaristia è anche il centro dell'unità della Chiesa, il suo tesoro più grande.

Secondo l'espressione del Concilio Vaticano II, l'Eucaristia contiene "tutto il bene spirituale della Chiesa" (PO 5).

Desidero oggi esprimere la gratitudine di Gesù Cristo e della sua Chiesa per la devozione dimostrata dall'Irlanda verso la Santa Eucaristia. Come successore di Pietro e Vicario di Cristo vi assicuro che la Messa è veramente la sorgente e il culmine della vostra vita cristiana.

Nelle mattine della domenica in Irlanda nessuno che osserva la gran folla che compie il cammino per andare o tornare dalla Messa può minimamente dubitare della devozione dell'Irlanda per la Messa. Per essi tutto il popolo cattolico è considerato fedele al comando del Signore: fate questo in memoria di me. Possa la domenica irlandese continuare sempre ad essere il giorno in cui tutto il popolo di Dio - il "pohal De" - compie il suo cammino verso la casa di Dio, che gli Irlandesi chiamano casa del popolo: la "teach an pohal". Ho pure appreso con grande gioia che un numero notevole di persone va alla Messa parecchie volte alla settimana e anche ogni giorno. Questa pratica è una grande sorgente di grazia e di crescita in santità.


5. Si, dall'Eucaristia noi tutti riceviamo la grazia e la forza per la vita di ogni giorno, per vivere un'esistenza veramente cristiana, nella gioia di conoscere che Dio ci ama, che Cristo è morto per noi e che lo Spirito Santo vive in noi.

La nostra piena partecipazione all'Eucaristia è la vera sorgente dello spirito cristiano che noi desideriamo vedere nella nostra vita personale e in tutti gli aspetti della società. Dovunque noi prestiamo l'opera nostra, in politica, in economia, nella cultura, in campo sociale o scientifico - non importa quale sia la nostra occupazione - l'Eucaristia è una sfida alla nostra vita quotidiana.

Cari fratelli e sorelle, dev'esserci sempre coerenza tra ciò che crediamo e ciò che facciamo. Non possiamo vivere sulle glorie della nostra passata storia cristiana. La nostra unione con Cristo nell'Eucaristia dev'essere manifestata nella verità delle nostre vite di oggi: nelle nostre azioni, nei nostri orientamenti, nel nostro stile di vita, nei nostri rapporti con gli altri.

Per ciascuno di noi l'Eucaristia è una chiamata a uno sforzo sempre maggiore per vivere da veri seguaci di Cristo: veritieri nel nostro parlare, generosi nelle nostre azioni, attenti, rispettosi della dignità e dei diritti di tutti, quali che siano il loro rango o le loro entrate, pronti al sacrificio personale, leali e giusti, generosi, prudenti, compassionevoli e controllati, aventi di mira il bene delle nostre famiglie, dei nostri giovani, del nostro Paese, dell'Europa e del mondo. La verità della nostra unione con Cristo nell'Eucaristia è attestata se noi veramente ameremo o no il nostro prossimo, uomini e donne, dal modo come trattiamo gli altri, specialmente le nostre famiglie: mariti e mogli, figli e genitori, fratelli e sorelle. E' attestata dallo sforzo che noi realmente compiamo o no per riconciliarci coi nostri nemici, per perdonare a quanti ci fanno del male o ci offendono. E' attestata se noi pratichiamo nella vita ciò che la fede ci insegna.

Dobbiamo sempre ricordarci ciò che Gesù ha detto: "Voi siete miei amici se farete ciò che io vi comando" (Jn 15,14).


6. L'Eucaristia è anche un grande appello alla conversione. Noi sappiamo che essa è un invito al Banchetto; che, nutrendoci dell'Eucaristia, riceviamo in essa il Corpo e il Sangue di Cristo, sotto le apparenze del pane e del vino. E precisamente perché è un invito, l'Eucaristia è e resta un appello alla conversione. Se la riceviamo come un appello, come un invito, essa produce in noi i suoi frutti particolari: trasforma la nostra vita, fa di noi un "uomo nuovo", una "nuova creatura" (cfr. Ga 6,15 Ep 2,15 2Co 5,17), ci aiuta non ad essere "vinti dal male, ma a vincere il male col bene" (cfr. Rm 12,21). L'Eucaristia aiuta a far trionfare in noi l'amore, l'amore sull'odio, lo zelo sull'indifferenza.

L'appello alla conversione nell'Eucaristia unisce l'Eucaristia all'altro grande Sacramento dell'amore di Dio, il Sacramento della Penitenza. Ogni volta che riceviamo il Sacramento della Penitenza o Riconciliazione, riceviamo il perdono di Cristo, e noi sappiamo che questo perdono ci viene attraverso i meriti della sua morte: quella morte che celebriamo nell'Eucaristia. Nel Sacramento della Riconciliazione, siamo tutti invitati a incontrare Cristo personalmente in questo modo, e a farlo frequentemente. Questo incontro con Gesù è talmente importante che nella mia prima lettera enciclica ho scritto queste parole: "La Chiesa, quindi, osservando fedelmente la plurisecolare prassi del Sacramento della Penitenza la pratica della confessione individuale, unita all'atto personale di dolore e al proposito di correggersi e di soddisfare difende il diritto particolare dell'anima umana. E' il diritto ad un più personale incontro dell'uomo con Cristo crocifisso che perdona, con Cristo che dice, per mezzo del ministro del Sacramento della Riconciliazione: "Ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mc 2,5); "Va', e d'ora in poi non peccare più" (Jn 8,11)". Per l'amore e la misericordia di Cristo, non c'è peccato tanto grande che non possa essere perdonato; non c'è peccatore che sarà respinto. Chiunque si pente sarà ricevuto da Gesù Cristo con perdono e immenso amore.

Con grande gioia ho appreso la notizia che i Vescovi irlandesi avevano chiesto ai loro fedeli di accostarsi alla Confessione come parte di una grande preparazione spirituale per la mia visita in Irlanda. Non avreste potuto darmi una gioia più grande o un dono più grande. E se oggi c'è ancora qualcuno che è esitante, per una ragione o per l'altra, ricordi questo: la persona che sa riconoscere la verità della colpa e ne chiede perdono a Cristo cresce nella propria dignità umana e manifesta grandezza spirituale.

Colgo l'occasione per domandare a voi tutti di continuare ad avere in particolare considerazione questo Sacramento, per sempre. Ricordiamo tutti le parole di Pio XII riguardo alla Confessione frequente: "Questa pratica fu introdotta nella Chiesa non senza l'ispirazione dello Spirito Santo" (AAS 35 (1943) 235).

Cari fratelli e sorelle, l'appello alla conversione e al pentimento viene da Cristo, e sempre ci guida a Cristo nell'Eucaristia.


7. Desidero pure a questo punto richiamare alla vostra attenzione un'importante verità enunziata dal Concilio Vaticano II, cioè: "La vita spirituale, tuttavia, non si restringe alla partecipazione alla liturgia" (SC 12). E perciò vi incoraggio pure ad altri esercizi di devozione che voi avete affettuosamente conservato per secoli, specialmente quelli che riguardano il Santo Sacramento. Questi atti di pietà onorano Dio e sono utili alla vostra vita cristiana; essi procurano gioia ai nostri cuori, e ci aiutano a stimare di più il culto liturgico della Chiesa.

La visita al Santissimo Sacramento - che è così diffusa in Irlanda e fa tanta parte della vostra pietà come dei vostri pellegrinaggi a Knock - è un grande tesoro della fede cattolica; esso nutre l'amore sociale e ci offre la possibilità di adorare e di ringraziare, di riparare e di supplicare. La benedizione del Santissimo Sacramento, le Ore Sante e le processioni eucaristiche sono altrettanti preziosi elementi della vostra eredità, in pieno accordo con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II.

In questo momento, è pure mia gioia riaffermare davanti all'Irlanda e a tutto il mondo il meraviglioso insegnamento della Chiesa cattolica riguardo alla consolante presenza di Cristo nel Santo Sacramento: la sua presenza reale nel senso più pieno: la presenza sostanziale per cui Cristo tutto e completo, Dio e uomo è presente (cfr. MF 39). L'Eucaristia, nella Messa e fuori della Messa, è il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, e merita quindi l'adorazione che si tributa a Dio vivente, e a lui solo (cfr. MF 55; Paolo VI, Discorso del 15 giugno 1978).

Così, cari fratelli e sorelle, ogni atto di riverenza, ogni genuflessione che fate davanti al Santissimo Sacramento è importante perché è un atto di fede in Cristo, un atto di amore per Cristo. E ogni segno di croce, ogni gesto di rispetto fatto ogni volta che passate davanti a una chiesa è pure un atto di fede.

Dio vi conservi in questa fede - questa santa cattolica fede - questa fede nel Santissimo Sacramento.

Finisco, cari fratelli e sorelle, diletti figli e figlie d'Irlanda, ricordando come la divina Provvidenza s'è servita di questa Isola ai confini dell'Europa per la conversione del continente europeo, quel continente che è stato per duemila anni il continente della prima evangelizzazione. Io stesso sono un figlio di quella nazione che ha ricevuto il Vangelo più di mille anni addietro, molti secoli dopo la vostra patria. Quando nel 1966, abbiamo ricordato il millennio del battesimo della Polonia, noi abbiamo ricordato pure con gratitudine i missionari irlandesi che, fra gli altri, parteciparono nel lavoro della prima evangelizzazione del Paese che si estende a Oriente e ad Occidente della Vistola.

Uno dei miei amici più cari, un famoso professore di Storia a Cracovia, dopo aver conosciuto la mia intenzione di visitare l'Irlanda, ha detto: "Quale benedizione il viaggio del Papa in Irlanda. Questo Paese se lo merita in maniera speciale". Io pure ho sempre pensato così. così ho pensato che il centenario del santuario della Madre di Dio a Knock costituisce, quest'anno, un'occasione provvidenziale per una visita del Papa in Irlanda. Ora, con questa visita, io sto esprimendo il mio sentimento di che cosa "merita" l'Irlanda, e sto anche soddisfacendo i profondi bisogni del mio cuore.

Io sto pagando un gran debito a Gesù Cristo, signore della storia e operatore della nostra salvezza.

Esprimo quindi la mia gioia di poter stare con voi oggi, 29 settembre

1979, festa dei santi arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, di poter celebrare il Santo Sacrificio della Messa e dare dinanzi a voi testimonianza a Cristo e al suo Mistero Pasquale.

Inoltre io posso proclamare la vivificante realtà della conversione mediante l'Eucaristia e il Sacramento della Penitenza, in mezzo alla presente generazione di figli e figlie dell'Irlanda. "Metanoeite"! Convertitevi! (Mc 1,15).

Convertitevi continuamente! Convertitevi ogni giorno; perché costantemente, ogni giorno, il Regno di Dio si avvicina. Sulla strada di questo mondo temporale, lasciate che Cristo divenga il Signore delle vostre anime, per la vita eterna.

Amen! Data: 1979-09-29

Data estesa: Sabato 29 Settembre 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Alle delegazioni dei Governi argentino e cileno - Città del Vaticano (Roma)