GPII 1979 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La grazia del Natale tocchi il cuore dei rapitori

Testo: Due pensieri oggi accompagnano la nostra preghiera dell'"Angelus": il 50° anniversario dell'enciclica "Mens nostra", e la benedizione dei presepi.

1. Il prossimo 20 dicembre ricorre il 50° anniversario della pubblicazione dell'enciclica "Mens nostra" del mio venerato predecessore Pio XI sugli Esercizi Spirituali. E' un documento che ha inciso fortemente nella pastorale degli ultimi decenni; è sapienza rileggerlo attentamente.

Pio XI raccomandava il metodo di sant'Ignazio, guida sicura in questo cammino per lo speciale carisma ricevuto da Dio a vantaggio di tutta la Chiesa. Da tale storico documento, pastori d'anime e istituti religiosi hanno preso ispirazione e incoraggiamento ad aprire case di esercizi, che si possono ben definire "polmoni della vita spirituale" per le anime e per le comunità cristiane, poiché gli esercizi sono un insieme di meditazioni e di preghiere nell'atmosfera di raccoglimento e di silenzio, e soprattutto una particolare spinta interiore suscitata dallo Spirito Santo per aprire ampi spazi dell'anima all'azione della grazia.

Il cristiano nel forte dinamismo degli esercizi è aiutato ad entrare nell'ambito dei pensieri di Dio, dei suoi disegni per affidarsi a lui, Verità ed Amore, così da prendere decisioni impegnative nella sequela di Cristo, misurando chiaramente i suoi doni e le proprie responsabilità.

Spero che la ricorrenza di questo cinquantesimo sia provvidenziale occasione perché sacerdoti, religiosi e laici continuino ad essere fedeli a questa esperienza e le diano incremento: faccio questo invito a tutti i sinceri ricercatori della verità. La scuola degli esercizi spirituali sia sempre un efficace rimedio al male dell'uomo moderno trascinato dal vortice delle vicende umane a vivere fuori di sé, troppo preso dalle cose esteriori; sia fucina di uomini nuovi, di autentici cristiani, di apostoli impegnati. E' il voto che affido all'intercessione della Madonna: la contemplativa per eccellenza, la maestra sapiente degli esercizi spirituali.


2. Mi rivolgo, ora, con particolare tenerezza, a voi tutti bambini e bambine, fanciulli e fanciulle delle Scuole Elementari di Roma, che, insieme ai vostri genitori e al Provveditore agli Studi, siete venuti così numerosi per far benedire dal Papa, come già l'anno scorso, le immagini del Bambinello, che poi deporrete nel presepio preparato nelle vostre case.

Mi compiaccio sinceramente con voi per questa suggestiva cerimonia, che con la sua forza evocatrice, richiama alla nostra mente la scena umana e divina del presepio, il quale, dal tempo della sua prima rappresentazione, fatta, come è noto, da san Francesco a Greccio nella notte di Natale del 1223, non ha mai cessato e non cessa, con le sue più varie tradizioni ricche di arte, di poesia e di folklore, di avvincere il sentimento popolare e la pietà cristiana.

Qui a Roma poi, oltre al culto verso il piccolo Bambino dei presepi natalizi, trova una particolare espressione, durante tutto l'anno, la devozione al Santo Bambino nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli, al quale i piccoli rivolgono preghiere e indirizzano letterine, che depongono ai suoi piedi.

In questo tempo che precede il Natale, disponete il vostro animo ad accogliere con fede e con amore il Bambino Gesù, come i pastori che si incamminarono verso la grotta: "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere" (Lc 2,15). Come loro, anche voi sappiate trarre ispirazione dal presepio per glorificare e lodare Dio, per diventare più buoni e più bravi, e per ravvivare la fede in Colui che "giace in un rifugio terreno, ma regna nello splendore celeste" (cfr. S. Ambrogio, "Ex. in Lucam", II, 43).

Desidero poi invitarvi a pregare per le vocazioni. In questo periodo di attesa del Signore, infatti, la grazia di Dio viene concessa alla Chiesa in modo più generoso, e in forma più efficace giunge a quanti le aprono i loro cuori.

L'Avvento è un tempo di particolare buon raccolto spirituale.

Perciò in questi giorni, conformemente allo spirito della Chiesa, bisogna pregare maggiormente, affinché nelle anime dei giovani maturi la grazia della vocazione, sia essa sacerdotale che religiosa.

La vocazione è sempre un dono di Dio a una determinata persona, ma essa è anche un dono alla Chiesa.

Questo dono si esprime nella risposta positiva alla chiamata di Cristo.

Tale risposta è un'offerta particolarmente preziosa, che possiamo deporre presso il presepio del Natale. Preghiamo quindi il Signore perché continui a chiamare al suo servizio e perché i chiamati rispondano generosamente al suo invito.

Per questa intenzione recitiamo pertanto ora l'"Angelus", dopo del quale benediro le statuette di Gesù Bambino che portate con voi.

Appello per il piccolo Marco Forgione La gioia di questa giornata, che vede attorno al Papa tanti bambini prepararsi serenamente al Santo Natale, è offuscata, purtroppo, dal pensiero che altri coetanei non sono in grado di guardare alle prossime festività con la stessa gioiosa speranza.

Ho presente in questo momento il piccolo Marco Forgione, rapito a Cosenza nel mese scorso e che l'antivigilia di Natale compirà il decimo anno di età. La sua voce e quella di altre persone che versano nella stessa dolorosa condizione, giunge al mio cuore, insieme a quella dei familiari, carica di ansia e di angoscia. E' questo dolore profondo di anime innocenti e di famiglie colpite nei più intimi affetti che mi induce a rivolgere un accorato appello ai rapitori: la grazia del Natale tocchi i loro cuori, li distolga dai loro propositi e li induca a restituire alle famiglie i loro cari, dando a tutti la gioia di poterli riabbracciare incolumi.

Data: 1979-12-16

Data estesa: Domenica 16 Dicembre 1979.

Alla parrocchia dei Santi XII Apostoli - Roma

Titolo: La prospettiva della vita eterna fonte di gioia cristiana

Testo: "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo" (Ph 1,2).

Con queste parole, indirizzate da san Paolo ai primi cristiani della città di Filippi, rivolgo il mio affettuoso saluto alla comunità parrocchiale dei Dodici Apostoli.

1. Esprimo, innanzitutto, un saluto al Cardinale Vicario e ai Presuli che hanno voluto partecipare a questa celebrazione eucaristica. Un saluto cordiale ai Membri della Curia Generalizia dei Padri Francescani Minori Conventuali, i quali dal 1463 hanno la cura pastorale di questa insigne Basilica. Un fraterno saluto al Parroco, Padre Domenico Camusi, e ai Religiosi che dedicano le loro energie al bene delle anime di questa zona del centro storico di Roma.

Desidero inoltre salutare i numerosi Religiosi che vivono nell'ambito della parrocchia: i Padri Serviti, i Missionari di San Vincenzo, i Padri Gesuiti della Pontificia Università Gregoriana e del Pontificio Istituto Biblico, che ho visitato ieri sera; né posso dimenticare le Religiose: le Suore di Maria Riparatrice, le Suore del Sacro Cuore, le Figlie di san Paolo, le Suore Polacche, che sono al servizo del Collegio Americano.

Un saluto particolare infine a tutti i fedeli: uomini, donne, bambini, bambine, ragazzi e ragazze, giovani, anziani, i quali formano le "pietre vive" (1P 2,5) di questa comunità parrocchiale, la quale - è vero - non è molto vasta - conta infatti circa 800 anime con 272 famiglie - ma non è meno ricca di vitalità e carica di problemi di carattere pastorale.


2. La terza domenica d'Avvento ci offre sempre accenti particolari ai gioia, che si manifestano con colori caldi nella sua veste liturgica. La gioia è antitesi della tristezza e del timore. E perciò, invitando alla gioia, il profeta Sofonia proclama: "Non temere, Sion, / non lasciarti cadere le braccia! / Il Signore tuo Dio in mezzo a te / è un Salvatore potente. / Esulterà di gioia per te, / ti rinnoverà con il suo amore, / si rallegrerà per te con grida di gioia, / come nei giorni di festa" (So 3,16-18).

Sentiamo ormai la vicinanza del Natale. L'Avvento ci avvicina ad esso attraverso le sue quattro domeniche, di cui l'odierna è la terza. Lo stesso invito alla gioia ripete san Paolo nella lettera ai Filippesi. Mentre il profeta ha annunziato la presenza del Signore in Sion, l'Apostolo preannuncia la sua vicinanza: "Rallegratevi nel Signore, sempre: ve lo ripeto ancora, rallegratevi.

La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!" (Ph 4,4-5).


3. La consapevolezza della vicinanza di Dio, che viene per "essere con noi" (Emmanuele), deve rispecchiarsi in tutta la nostra condotta. E di questo ci parla la liturgia odierna soprattutto per bocca di san Giovanni Battista, che predicava presso il Giordano. Diversi uomini vengono da lui per domandargli: "Che cosa dobbiamo fare?" (Lc 3,10). Le risposte sono varie.

Una per i pubblicani, un'altra per i soldati: invita i primi all'onestà professionale; gli altri a rispettare il prossimo nei semplici problemi umani. E tutti invita allo stesso atteggiamento, al quale avevano invitato i profeti in tutta la tradizione dell'Antico Testamento: a condividere tutto con gli altri; a mettersi al loro servizio secondo la propria abbondanza; a compiere opere di benevolenza e di misericordia.

Queste risposte di Giovanni presso il Giordano le potremmo allargare e moltiplicare, trasferendole anche ai nostri tempi, alle condizioni in cui vivono gli uomini d'oggi. La sensazione della vicinanza di Dio provoca sempre domande simili a quelle che sono state poste a Giovanni presso il Giordano: "Che cosa devo fare?". "Che cosa dobbiamo fare?". La Chiesa non cessa di rispondere a queste domande. Basta leggere con attenzione i documenti del Concilio Vaticano II per constatare a quante domande dell'uomo contemporaneo il Concilio abbia dato le risposte adatte. Risposte indirizzate a tutti i cristiani e ai singoli gruppi, ai Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi, ai laici, alle famiglie, alla gioventù, agli uomini della cultura e della scienza, agli uomini dell'economia e della politica, agli uomini del lavoro...


4. Bisogna, tuttavia, che quella domanda: "Che cosa dobbiamo fare?" sia rivolta non solo da tutti ma anche da ciascuno. Non solo dai singoli gruppi e comunità in base alla loro responsabilità sociale, ma anche nel profondo della coscienza di ciascuno di noi. Cosa devo fare? Quali sono i miei concreti doveri? Come devo servire il vero bene ed evitare il male? Come devo realizzare i compiti della mia vita? L'Avvento conduce ciascuno di noi, per così dire, "nell'interna stanza del suo cuore" per vivere qui la vicinanza di Dio, rispondendo alla domanda, che questo cuore umano deve porsi nell'insieme della verità interiore.

E quando, così sinceramente e onestamente, ci poniamo questa domanda, al cospetto di Dio, allora si compie sempre ciò di cui parla Giovanni presso il Giordano nella sua suggestiva metafora: ecco il ventilabro per ripulire l'aia.

Esso permette all'agricoltore di raccogliere il frumento nel granaio, la pula da bruciare col fuoco (inestinguibile) (cfr. Lc 3,17). Proprio così bisogna fare più di una volta. Bisogna concentrarsi dentro di sé, con l'aiuto di questa luce, che lo Spirito Santo non ci risparmierà, delineare in sé e separare il bene e il male.

Chiamare per nome l'uno e l'altro, non ingannare se stessi. Allora, questo sarà un vero "Battesimo", che rinnoverà l'anima. Colui che "è vicino" (Ph 4,5) viene a battezzarci in Spirito Santo e fuoco (cfr. Lc 3,18).

L'Avvento - preparazione alla grande solennità dell'Incarnazione - deve essere collegato con tale purificazione. Si rianimi la prassi del sacramento della Penitenza. Se quella gioia della vicinanza del Signore, annunciata dalla domenica odierna, deve essere vera, dobbiamo purificare i nostri cuori. La liturgia d'oggi ci indica la duplice fonte della gioia: la prima è quella che deriva dall'onesta realizzazione dei nostri compiti della vita; la seconda è quella che ci vien data dalla purificazione sacramentale e dall'assoluzione dei peccati, che gravano sulla nostra anima.


5. "Il Signore è vicino!", annuncia san Paolo nella lettera ai Filippesi. Con questo fatto si collega l'invito alla speranza. Poiché, in quanto la nostra vita può opprimere ognuno di noi con un molteplice peso, "Dio è la mia salvezza" (Is 12,2). Se il Signore si avvicina a noi lo fa affinché possiamo attingere "acqua con gioia alle sorgenti della salvezza" (Is 12,3), affinché possiamo conoscere le "sue opere", quelle che ha compiuto e compie continuamente per il bene dell'uomo.

La prima di tutte queste opere è il creato, il bene naturale, materiale e spirituale che ne scaturisce. Ecco, ci avviciniamo alla nuova splendida opera del Dio Vivente, il nuovo "mirabile Dei": ecco, vivremo di nuovo nella liturgia della Chiesa il mistero dell'Incarnazione di Dio. Dio-Figlio è diventato uomo; il Verbo si è fatto carne per innestare nel cuore dell'uomo la forza e la dignità soprannaturali: "ha dato potere di diventare figli di Dio" (Jn 1,12).

Ed ecco, come guardando verso il Giordano, che nella liturgia di ogni anno è il ricordo di questo grande Mistero, l'Apostolo grida: "Non angustiatevi per nulla!, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti" (Ph 4,6).

Non angustiatevi per nulla! Perfino così. Non dobbiamo realizzare i nostri doveri e i nostri compiti con tutta scrupolosità, come abbiamo sentito dalla bocca di Giovanni Battista? Certamente. Richiede da noi tutto ciò la vicinanza di Dio. Contemporaneamente pero la stessa vicinanza di Dio, la sua Incarnazione, la sua salvifica volontà nei confronti dell'uomo, richiedono da noi che non ci lasciamo assorbire completamente dalle sollecitudini temporali; che non viviamo in modo tale come se fosse importante solo "questo mondo", che non perdiamo la prospettiva dell'eternità. La venuta di Cristo, l'Incarnazione del Figlio di Dio, richiede da noi che apriamo nuovamente nei nostri cuori questa prospettiva divina. E questo proprio vuol dire l'Avvento! Questo vuol dire l'odierno "Rallegratevi". La divina prospettiva della vita, che sorpassa le frontiere della temporaneità, è la fonte della nostra gioia.


6. Questa prospettiva è anche la fonte della pace spirituale. Per l'uomo contemporaneo, che ha diversi motivi per l'inquietudine e per la paura, devono avere un particolare significato le ultime parole della seconda lettura d'oggi: "La pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù" (Ph 4,7). Ecco l'augurio della Chiesa ad ognuno di noi nella vicinanza del Natale.

A nome della Chiesa, auguro questa "pace di Dio" ai padri e alle madri della parrocchia, perché, nella piena fedeltà alla loro missione coniugale, sappiano aiutare, con la loro vita e col loro esempio, i loro figli a maturare e crescere nella fede cristiana.

Auguro questa pace ai giovani e alle giovani della parrocchia, perché siano sempre convinti che la violenza non dà gioia, ma semina odio, sangue, morte, disordine, e che la società, da loro segnata ed intravista, sarà frutto dei loro sacrifici, del loro impegno, del loro lavoro, nel rispetto solidale verso gli altri.

Auguro questa pace agli anziani e agli ammalati della parrocchia, perché siano consapevoli che le loro preghiere e le loro sofferenze sono beni preziosi per la crescita della Chiesa.

Così sia! Data: 1979-12-16

Data estesa: Domenica 16 Dicembre 1979.





All'Aeronautica Militare Italiana - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Sentite sempre la presenza di Dio e la dignità dell'uomo

Testo: Illustri Signori! Sono sinceramente lieto per questo nostro incontro, il quale si aggiunge ai tanti che, dalla mia elevazione alla cattedra di Pietro, ho potuto avere con rappresentanti dell'Aeronautica Militare Italiana, in occasione dei miei viaggi apostolici. Intendo salutare cordialmente, in voi e con voi, tutti i vostri colleghi sparsi nell'Italia e nel mondo.

In questa comune letizia desidero aggiungere e rinnovare la mia profonda gratitudine per la disponibilità, la delicatezza, lo spirito di sacrificio e di dedizione, che avete dimostrato verso di me durante i voli che ho compiuto in questo primo anno di pontificato. Il Signore ricompensi tale generosità con quella bontà che egli sa e suole elargire a quanti sanno donare con gioia.

A questi doverosi sentimenti unisco anche un sincero e cordiale apprezzamento per la vostra impegnativa e, per certi aspetti, entusiasmante attività. Il mito greco di Icaro, il desiderio ardente dell'uomo di potersi attaccare fisicamente dalla terra per librarsi liberamente nello spazio, il sogno di libertà e di dominio sulle cose, con l'invenzione dell'aeromobile sono diventati realtà. L'uomo, mediante questa straordinaria e rivoluzionaria invenzione scientifica, ha accorciato le distanze, ha allargato ancor più il già vasto orizzonte della sua conoscenza; ma la sua fame di verità, se per certi aspetti è stata saziata, per altri si è smisuratamente accresciuta. Anche nell'ebrezza del volo tra gli spazi sterminati del cielo, l'uomo si porta sempre conficcati dentro il cuore i grandi problemi concernenti il significato e il fine della sua esistenza.

Faccio pertanto voti che nel vostro lavoro, nei vostri viaggi aerei possiate sentire profondamente la presenza di Dio e la dignità dell'uomo, come magnificamente le sentiva e le esprimeva Davide nel Salmo 8: "O Signore, nostro Dio, quanto è grande il tuo nome su tutta la terra; sopra i cieli si innalza la tua magnificenza... Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, il figlio dell'uomo perché te ne curi?" (Ps 8,2 Ps 8, .

La Madonna di Loreto, vostra celeste Patrona, assista e protegga sempre maternamente voi, i vostri familiari e le persone che vi sono care.

Rinnovandovi l'augurio, rivolto a tutti gli aviatori italiani nel mio pellegrinaggio il Santuario di Loreto, che cioè la vostra opera, il vostro lavoro, il vostro coraggio possano servire al bene e alla pace dell'umanità, vi imparto di cuore la mia apostolica benedizione.

Data: 1979-12-17

Data estesa: Lunedì 17 Dicembre 1979.





Alla Messa per gli universitari - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: L'Avvento è una dimensione della stessa vita umana

Testo:

1. Fra una settimana sarà Natale e tornerete sicuramente nelle vostre famiglie.

Verranno sospese le lezioni e gli altri doveri anche nelle scuole superiori di Roma. La grande famiglia universitaria cederà il posto, nella vostra vita, a quella piccola famiglia domestica, che viene prima di essa. La festa di Natale conferma, in modo particolare, il primato della famiglia nella vita di ognuno di noi. In questo tempo, in cui Dio nasce come Uomo, ogni uomo torni in quel luogo dove è nato, presso quegli esseri umani che sono i suoi genitori: presso il padre e la madre, presso i figli degli stessi genitori: i fratelli e le sorelle.

Ciascuno si ritrovi in quell'ambiente fondamentale, in quella casa che egli ha diritto e dovere di chiamare la sua casa: la casa familiare. Proprio in quella notte, nella quale Dio nasce come Bambino privo di casa, tutti coloro che, con la fede e con il cuore, si rivolgono a quel Bambino sentono una particolare nostalgia di casa.

Ho desiderato molto di incontrarmi con voi proprio adesso, mentre ancora ci prepariamo in questa grande festa. Ho desiderato di incontrarmi con voi, con l'ambiente universitario di Roma, mentre ancora è tempo d'Avvento. Come abbiamo fatto nei giorni precedenti la Pasqua, così facciamo anche oggi. E' bello che siete venuti, che siete oggi insieme con me. Ritengo mio diritto di incontrarmi con voi in prossimità del Natale, così come abbiamo fatto prima della Pasqua. Vi saluto molto cordialmente in questa Basilica di San Pietro. Saluto tutti: professori e studenti. Quelli che ho già incontrato. E i nuovi, che oggi sono qui per la prima volta. Saluto pure quelli che, per qualsiasi motivo, non sono venuti.

In questi giorni di Avvento, in cui la Chiesa dice a Cristo che sta per venire: "Vieni, Signore, non tardare", vorrei ripetere a ciascuno il medesimo invito: "Non tardare".


2. Il Vangelo di oggi è molto interessante. Si potrebbe dire che si contiene in esso, in un certo senso, una concisa lezione di caratteriologia. Si potrebbe dire che questo brano è stato scritto per gli uomini che vogliono guardare, con attenzione, dentro se stessi. Quanto fa pensare, infatti, il comportamento di questi due giovani (cfr. Mt 21,28-31) ai quali, l'uno dopo l'altro, il padre dice: "Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna". Il primo si dichiara subito pronto e non mantiene la parola. L'altro, invece, prima dice: "Non ne ho voglia", ma poi va e si mette al lavoro. Quando Cristo fa la domanda: "Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?", la risposta viene spontanea: ovviamente quest'"ultimo".

Ascoltando queste parole, siamo pronti a riferirle a noi stessi. Ci poniamo quindi la domanda: a quale di questi due fratelli rassomiglio di più, io? A quale loro comportamento rassomiglia il mio comportamento abituale? Appartengo a quelli che si infiammano facilmente, promettono subito e poi non mantengono nulla? Dimenticano così presto di essersi obbligati. O sono piuttosto l'uomo che prima dice di "no"? Forse questo primo "no" è diventato perfino troppo un'abitudine, quasi una regola del mio comportamento. Dico di "no", non tenendo conto di poter fare, con esso, torto a qualcuno. Ma... ma... ho bisogno di quel "no" per poter riflettere, meditare su tutti i "pro" e i "contro". Per prendere, infine, una decisione. E, come risultato, dopo aver detto prima di "no", alla fine dico di "si". Non sono, in questo caso, migliore di quello che, col suo iniziale "si" non aveva fatto torto, ma poi, alla fin fine, non ha fatto nulla? Alla luce delle parole di Cristo ho diritto di pensare che faccio meglio. Tali e simili meditazioni sul proprio comportamento e sul carattere può sviluppare ciascuno di noi, ascoltando il Vangelo di oggi. Esse sono molto utili. Particolarmente sono utili ai giovani, che spesso si pongono la domanda: chi sono? come sono? quali sono le mie predisposizioni? quale carattere debbo formarmi? Ogni educatore premuroso, ogni pedagogo esperto dirà al giovane: poniti tali domande! Falle il più presto possibile! Non tardare!

3. Il contesto completo della liturgia di oggi indica che questo significativo avvenimento del Vangelo di san Matteo, i cui protagonisti sono i due giovani, rivela la dimensione più grande della vita umana. E' proprio questa dimensione che si deve chiamare "avvento". Permettete che io la chiami così. E permettete che spieghi perché ho chiamato così questa dimensione della vita umana, che si rivela attraverso l'avvenimento che racconta il Vangelo di oggi.

Innanzitutto, voi sentite certamente il bisogno della seguente spiegazione introduttiva e fondamentale: ci siamo abituati a definire con la parola "avvento" un certo periodo liturgico che precede il Natale e ci prepara ad esso. Ma si può affermare che l'"avvento" è una "dimensione della stessa vita umana"? In base alla liturgia odierna vorrei provare che simile estensione del significato è indispensabile, se l'avvento inteso come un periodo liturgico non deve essere vuoto. Tale "Avvento" liturgico, infatti, noi lo viviamo solo in tanto, in quanto siamo capaci di scoprire l'"avvento" in noi come una dimensione fondamentale della nostra vita, della nostra esistenza terrestre.

Proprio a ciò, nel Vangelo di oggi, sono chiamati dal padre, proprietario della vigna, i suoi due figli.


4. Che cosa significa, infatti, la "vigna"? La vigna significa, nello stesso tempo, un insieme e ogni parte di quell'insieme. Significa tutto il mondo creato da Dio per l'uomo: per ogni uomo e per tutti gli uomini. E contemporaneamente essa significa quella particella del mondo, quel suo "frammento", che è un dovere concreto di ogni uomo concreto.

In questo secondo significato la "vigna" è al tempo stesso "dentro di noi" e "fuori di noi". Dobbiamo coltivarla, migliorando il mondo e migliorando noi stessi. Anzi, l'uno dipende dall'altro: rendo il mondo migliore, in tanto in quanto miglioro me stesso. In caso opposto sono soltanto un "tecnico" dello sviluppo del mondo e non il "lavoratore nella vigna".

Così dunque quella "vigna", alla quale sono mandato così come lo era ciascuno dei due figli nel Vangelo di oggi, deve diventare, nello stesso tempo, luogo del mio lavoro per il mondo e del mio lavoro su me stesso. Ed esso è tale in quanto ho una consolidata coscienza che Dio ha creato il mondo per l'uomo. In questo mondo visibile Dio è venuto per la prima volta all'uomo e viene a lui continuamente. Viene mediante tutto ciò che questo mondo è, mediante tutto ciò che esso nasconde in sé. Ogni volta che l'uomo va avanti nello scoprire ciò che il mondo creato nasconde in sé, si elogia il genio dell'uomo e il più delle volte ci si ferma qui. Mentre se si riflette profondamente sul problema quel mondo, che viene scoperto dall'uomo sempre meglio, è l'avvento sempre più pieno del Creatore.

Se viviamo il periodo liturgico dell'Avvento ogni anno, lo facciamo al fine di estenderlo anche a quell'avvento, sempre più pieno, del Creatore. Si allarga, sempre più, all'uomo quella "vigna" alla quale egli è chiamato.


5. Tuttavia la "vigna" significa pure il mondo interiore. Tale mondo è l'uomo stesso. Ogni uomo costituisce tale mondo unico e irripetibile. Dio-Creatore viene in questo mondo interiore attraverso il mondo esteriore, ma contemporaneamente viene anche direttamente. Viene in modo imparagonabile, differente da tutti gli esseri creati. Poiché l'uomo è immagine e somiglianza di Dio. E perciò quell'avvento di Dio nell'uomo si realizza anche direttamente. Non soltanto mediante il mondo che porta su di sé le tracce della Sapienza e della Potenza creatrice, ma direttamente. In questa venuta diretta all'uomo Dio è non soltanto Creatore, ma soprattutto Padre. Viene quindi all'uomo nel suo Figlio, nel Verbo eterno. Viene come Padre nel Figlio, altrimenti questo non sarebbe l'avvento del Padre.

Questo avvento del Padre è, nella storia dell'uomo sulla terra, così antico come è antico l'uomo. Ci parlano di ciò i primi capitoli della rivelazione, le prime pagine del libro della Genesi. Già il primo luogo dell'esistenza umana era tale "vigna" interiore. Quella "vigna" interiore noi la riceviamo in eredità dal primo uomo, così come ereditiamo anche il mondo esteriore, la terra che il Creatore affido all'uomo perché egli la soggiogasse (cfr. Gn 1,28).

Nello stesso luogo, all'inizio, nella storia dell'uomo entra anche il peccato. Il peccato originale è una di quelle realtà, sulle quali la liturgia dell'Avvento s'inchina con una particolare attenzione. Su questo sfondo comprendiamo meglio il significato della festa dell'Immacolata Concezione che viene celebrata nell'Avvento. Mettendo in rilievo questo eccezionale privilegio della Vergine, scelta per diventare Madre del Redentore, l'Avvento vuole, contemporaneamente, ricordarci che questa "vigna", ereditata dai progenitori, produce "spine e cardi" (cfr. Gn 3,8), che troviamo nei campi, dissodati dal lavoro dell'agricoltore. Li troviamo anche in noi, nel nostro cuore. Anche di esso si può dire che ci produce "spine e cardi".

E perciò il lavoro nella vigna interiore è difficile. E non ci si può meravigliare che, a volte, un giovane chiamato a lavorare in essa, dica il suo "non andro". Tuttavia il lavoro nella "vigna interiore" è indispensabile.

Altrimenti l'uomo introduce in questo mondo, che è stato creato per lui, il peccato, introduce il male. E nella "vigna interiore" si allarga la cerchia del peccato, aumentano di potenza le strutture del peccato. L'atmosfera del mondo, in cui viviamo, diventa moralmente sempre più avvelenata. Non ci si può arrendere a questa distruzione dell'ambiente umano da parte del peccato. E' necessario opporsi ad esso.


6. Chi è Gesù Cristo? Colui, al quale ci rivolgiamo con quell'ardente invocazione: "Vieni... non tardare"? Colui, alla cui venuta nella notte di Betlemme ci prepariamo, e si prepara ogni uomo, mediante il periodo liturgico di Avvento che precede la grande festività di Natale? Egli è la piena e definitiva rivelazione dell'avvento di Dio nella storia dell'uomo. Dio, letteralmente, viene all'uomo.

Non già mediante l'opera della creazione, cioè attraverso il mondo che parla di lui. Non già soltanto mediante gli uomini che annunziano la verità divina, come i profeti e i grandi capi del Popolo nell'Antica alleanza. Dio viene all'uomo in modo molto più radicale e definitivo: viene per il fatto che egli stesso diventa Uomo, Figlio dell'uomo. "Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi, fuorché nel peccato" (GS 22).

Gesù Cristo è la rivelazione più piena e definitiva dell'avvento di Dio nella storia dell'umanità e nella storia di ogni uomo. Di ciascuno di noi. E in lui, nella sua venuta, nella sua nascita nella stalla di Betlemme, poi in tutta la sua vita ed insegnamento, infine nella sua croce e nella sua risurrezione, siamo chiamati, tutti e ciascuno di noi, in modo definitivo alla "vigna". Egli, che è pienezza dell'avvento di Dio, è anche pienezza della chiamata divina rivolta all'uomo. In lui Dio sembra dire a ciascuno di noi: "non tardare"!


7. Dobbiamo ammettere che questa nostra "vigna" esteriore ed interiore, per il fatto della venuta di Cristo", si è cambiata molto. Per opera del Verbo Divino si è trovata in una nuova luce, esposta pienamente al sole. Per opera dei santi Sacramenti è diventata fertile in maniera nuova. Il lavoro in essa è, contemporaneamente, più facile (Cristo stesso dice: "Il mio giogo... è dolce e il mio carico leggero": Mt 11,30), ma è anche più impegnativo: Cristo lo chiama, infatti "giogo" e "carico".

Bisogna guardare questa vigna con un senso di massimo realismo.

Ritrovarla nel concreto della nostra, della vostra vita di studenti, di universitari.


8. In che senso voi, universitari, siete invitati a lavorare nella vigna personale della vostra vita, in questo periodo per voi così importante e decisivo? Alla luce del messaggio di Natale, e cioè dell'Incarnazione di Dio nella storia umana, vorrei esortarvi ad un serio impegno nello studio, cioè nella preparazione alla vita professionale che avete scelto, intendendola come un servizio all'uomo, come professionisti ben preparati, seri, responsabili, perché ad essi è affidata la vita dei singoli e della comunità del domani. L'umanità ha bisogno di personalità equilibrate, mature, generose, comprensive, superiori ad ogni egoismo. E questo è proprio il tempo prezioso della vostra formazione intellettuale, morale, affettiva, per i compiti che vi attendono nella società e per quelli che assumerete un giorno nella famiglia che sarete chiamati a formare e che fin da oggi deve polarizzare le vostre energie morali, al fine di essere domani quei padri e quelle madri che Dio vuole, che la Chiesa attende.

Impegnatevi nell'approfondimento della vostra fede cristiana. L'odierno vivo contrasto delle varie mentalità derivate da diverse filosofie e il pluralismo ideologico esigono una più profonda e chiara conoscenza della propria fede per poterla vivere e testimoniare con più serena convinzione. Al di là delle tensioni e delle crisi, provocate dalle ideologie anti o acristiane, c'è oggi tanto bisogno di studio serio e metodico della Rivelazione, per comprendere che non c'è contrasto tra fede e scienza, e come la scienza nelle sue applicazioni deve anche essere illuminata dalla fede. Questo deve essere anche il vostro gioioso impegno di Universitari! Impegnatevi, infine, a vivere in "grazia"! Gesù è nato a Betlemme proprio per questo: per rivelarci la verità salvifica e per donarci la vita di grazia! Impegnatevi ad essere sempre partecipi della vita divina innestata in noi dal Battesimo. Vivere in grazia è suprema dignità, è ineffabile gioia, è garanzia di pace, è ideale meraviglioso e deve essere anche logica preoccupazione di chi si dice seguace di Cristo. Natale, pertanto, significa la presenza di Cristo nell'anima mediante la grazia.

E se per la debolezza della natura umana si è persa la vita divina a causa del peccato grave, Natale allora deve significare il ritorno alla grazia mediante la Confessione sacramentale, compiuta con serietà di pentimento e di propositi. Gesù viene anche per perdonare; l'incontro personale con Cristo diventa una conversione, una nuova nascita per assumere totalmente le proprie responsabilità di uomo e di cristiano.


9. "Vieni, Signore, non tardare".

Desidero, cari miei amici, che voi usciate, dal nostro incontro d'oggi, preparati meglio e più profondamente alla Festa di Natale. Desidero che allarghiate in voi quella "dimensione interiore dell'Avvento", che è una dimensione essenziale di tutta l'esistenza cristiana. Desidero, infine, che questo incontro con Cristo, al quale si prepara tutta la Chiesa, vi porti la gioia. La vera gioia, e che la vostra gioia sia piena (cfr. 2Jn 12).

Vieni Signore, non tardare.


10. Permettete ancora che formuli alcune intenzioni per la nostra comune preghiera. I fatti che, negli ultimi giorni e settimane, hanno scosso l'opinione pubblica, sono certamente presenti nella coscienza di ciascuno di noi. Non li si può non raccomandare a Dio, non si possono lasciare questi problemi fuori dell'ambito della nostra preghiera. Non possiamo quindi non ricordare quel vostro amico e coetaneo che, circa 24 ore fa, ha subito la morte su una strada di Roma, come un'altra vittima ancora dell'inquietante processo di cui siamo testimoni nel nostro Paese.

Questo processo, si nota soprattutto nel nord-Italia, chiede a noi di pensare agli ambienti particolarmente provati dalle azioni terroristiche, e prima di tutto a Torino, come testimoniano le notizie degli ultimi giorni. Dobbiamo, in vari modi, manifestare la solidarietà fraterna con coloro che muoiono assassinati.

Con coloro, che - or non è molto - sono stati feriti. Con tutti quelli che soffrono. Bisogna anche - così come lo ha fatto Cristo - pregare per quelli che fanno soffrire e provocano la morte, che diffondono la violenza e seminano il terrore.

Non possiamo tuttavia in pari tempo fare a meno di chiedere: qual è lo scopo di questi atti che causano tanta sofferenza a singoli uomini, a intere famiglie e a diversi ambienti? E non possiamo inoltre fare a meno di chiedere da quali sorgenti, da quali premesse, da quale concezione del mondo (sarebbe piuttosto difficile parlare in questi casi di una "ideologia") prenda inizio tale comportamento nei confronti dell'uomo, la totale mancanza del rispetto della sua vita, la tendenza sfrenata alla violenza, alla distruzione, e all'omicidio.

Dobbiamo pensarci su. Dobbiamo riflettere su tutto ciò. Dobbiamo fare di queste pericolose manifestazioni il tema della nostra preghiera personale e comunitaria. E dobbiamo anche fare oggetto della nostra preghiera la grande minaccia del mondo e in particolare del nostro continente europeo, manifestatasi nel corso delle ultime settimane.

A questo problema - che giustamente inquieta l'opinione di tutti - ritornero ancora in occasione della prossima Giornata Mondiale della Pace, alla quale si riferisce anche il Messaggio pubblicato oggi e intitolato: "La verità, forza della pace".

Desidero inserire nella nostra preghiera di oggi, nella nostra liturgia eucaristica, tutti questi problemi, carichi della sollecitudine sociale. Si! Bisogna pregare. Bisogna vegliare in preghiera davanti a Dio, affinché il male, che sta crescendo negli uomini, non diventi più forte dalla nostra debolezza. E bisogna gridare assieme alla liturgia d'Avvento: "Vieni, Signore, non tardare!".

Data: 1979-12-18

Data estesa: Martedì 18 Dicembre 1979.











GPII 1979 Insegnamenti - Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)