GPII 1979 Insegnamenti - Beatificazione di Enrique de Osso y Cervello - Città del Vaticano (Roma)


2. Si, il Beato Enrique de Osso ci offre una viva immagine del sacerdote fedele, perseverante, umile e coraggioso di fronte alle contrarietà, distaccato da ogni interesse, ricolmo di zelo apostolico per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, attivo nell'apostolato e contemplativo nella sua straordinaria vita di preghiera.

E non era facile l'epoca in cui visse, in una Spagna divisa dalle guerre civili del XIX secolo e alterata da movimenti laicisti e anticlericali che volevano una trasformazione politica e sociale, dando persino origine a sanguinosi episodi rivoluzionari. Egli tuttavia seppe mantenersi fermo ed intrepido nella sua fede, nella quale trovo ispirazione e forza per proiettare la luce del suo sacerdozio sulla società del tempo. Con chiara coscienza di ciò che era la sua missione come uomo di Chiesa, che amava profondamente, senza mai cercare protagonismi umani in campi che erano estranei alla sua condizione, in una apertura a tutti senza distinzione, per migliorarli ed elevarli a Cristo. Riusci nel suo proposito: "Saro sempre di Gesù, suo ministro, suo apostolo, suo missionario di pace e di amore".

I trenta scarsi anni della sua vita sacerdotale diedero luogo ad un continuo sviluppo di imprese apostoliche ben meditate e generosamente eseguite, con una impressionante fiducia di Dio.

La sua fu un'esistenza fatta preghiera continua, che nutriva la sua vita interiore e che formava parte di tutta la sua opera. Alla scuola della grande santa di Avila comprende che la preghiera, questo "segno di amicizia" con Dio, è il mezzo necessario per conoscersi e vivere secondo verità, per crescere nella coscienza di essere figli di Dio, per crescere nell'amore. E' inoltre un mezzo efficace per trasformare il mondo. Per questo sarà anche un apostolo ed un pedagogo della preghiera. A quante anime insegno a pregare con la sua opera il "Quarto d'ora di preghiera"! Questo fu il segreto della sua grande vita sacerdotale, ciò che gli diede allegria, equilibrio e forza; ciò che fece si che lui, sacerdote, servitore e ministro di tutti, che soffriva con tutti, amava e rispettava tutti, si sentisse fortunato per essere ciò che era, cosciente di avere nelle sue mani dei doni ricevuti dal Signore per la redenzione del mondo, doni che, sebbene piccolo ed indegno, offriva dall'infinita superiorità del mistero di Cristo, e che colmavano la sua anima di una gioia ineffabile. Una testimonianza ed una lezione di vita ecclesiale con piena validità per il sacerdote di oggi, che solamente nel Vangelo, nell'esempio dei Santi e negli insegnamenti e nelle norme della Chiesa, e non in suggerimenti e teorie strane, può trovare l'orientamento sicuro per conservare la sua identità, per realizzarsi con pienezza.

Una volta ancora desidero esortare, in questa splendida occasione, i miei amati fratelli sacerdoti perché offrano a Cristo il dono totale della propria vita, vissuto gioiosamente nel celibato per il Regno dei Cieli e nel servizio generoso per i fratelli, soprattutto per i più poveri, attraverso una vita concentrata nel proprio mistero pastorale, cioè nella missione specifica della Chiesa, caratterizzata da questo stile evangelico che esposi nella mia Lettera del Giovedì Santo, e di cui parlai nuovamente nei miei graditissimi incontri con i presbiteri, durante il mio recente viaggio apostolico.


3. Se volessimo segnalare ora uno dei tratti più caratteristici della fisionomia apostolica del nuovo Beato, potremmo dire che fu uno dei più grandi catechisti del XIX secolo, cosa che lo rende assai attuale in questo momento in cui la Chiesa riflette - come ha fatto anche nell'ultima sessione del Sinodo dei Vescovi - sul dovere di catechizzare, che spetta a tutti i suoi figli.

Come catechista geniale, si distinse per i suoi scritti e per la sua opera pratica; attento a far conoscere, adeguatamente ed in sintonia con il Magistero della Chiesa, il contenuto della fede, ed aiutare a viverlo. I suoi metodi attivi gli permisero di anticipare conquiste pedagogiche posteriori. Ma soprattutto, l'obiettivo che si ripropose fu quello di insegnare e risvegliare l'amore per Dio, per Cristo, e per la Chiesa, che è il centro della missione del vero catechista.

In questa missione sono presenti tutti i campi: quello dell'infanzia, con i suoi indimenticabili catechisti a Tortosa ("per i fanciulli al cuore degli uomini"; quello del mondo giovanile, con le Associazioni dei giovani, che ebbero grande diffusione; quello della famiglia, con i suoi scritti di propaganda religiosa, in modo particolare la Rivista Teresiana; quello operaio, a cui cerco di fare conoscere la dottrina sociale della Chiesa; quello dell'istruzione e della cultura in cui, correggendo la mentalità dell'epoca, lotto per assicurare la presenza dell'ideale cattolico nella scuola, a tutti i livelli, incluso quello universitario. Si dedico instancabilmente al ministero della parola parlata, attraverso la predicazione, e della parola scritta, attraverso la stampa come mezzo di apostolato.


4. Ma nel suo impegno catechizzatore, la sua opera prediletta, che consumo la maggior parte di energie, fu la fondazione della Compagnia di santa Teresa del Gesù.

Per estendere la portata della sua azione nel tempo e nello spazio; per entrare nel cuore della famiglia; per servire la società in un'epoca in cui la cultura cominciava ad essere indispensabile, chiamo accanto a sé donne che potessero aiutarlo nella sua missione, e si dono all'impegno di prepararle con cura. Con costoro diede inizio al nuovo Istituto, si sarebbero distinte per questi caratteri: come figlie del nostro tempo, la stima dei valori della cultura; come consacrate a Dio, il loro dono totale al servizio della Chiesa; come stile proprio di spiritualità, l'assimilazione della dottrina e l'esempio di santa Teresa del Gesù.

Potremmo dire che la Compagnia di santa Teresa del Gesù fu, ed è ancora, come la grande catechesi organizzata dal Beato Osso per giungere alla donna, e per suo mezzo infondere nuova vitalità nella società e nella Chiesa.

Figlie della Compagnia di Santa Teresa: lasciatemi dire che mi compiaccio nel vedere che vi mantenete fedeli al vostro carisma, in un rinnovamento richiesto dal momento attuale, alla luce degli orientamenti del Concilio Vaticano II e dell'esortazione apostolica "Evangelica Testificatio" del mio predecessore Paolo VI. D'accordo con il mandato del vostro Fondatore e lo spirito della grande Santa di Avila, siate generosi nella vostra donazione totale a Cristo, per poter dare grandi frutti nei Paesi di missione. Che tutta la vostra condotta rifletta la ricchezza di una vita interiore in cui la rinuncia è amore; il sacrificio, efficacia apostolica; la fedeltà, accettazione del mistero che vivete; l'obbedienza, elevazione soprannaturale; la verginità, donazione allegra agli altri per il Regno dei cieli. Siate davanti al mondo, anche con i segnali esterni, una testimonianza viva di grandi ideali realizzati, catechizzando, evangelizzando sempre con la parola e con l'azione apostolica; siate una prova di come, oggi come ieri, valga la pena di non tarpare le ali del proprio spirito per dare al mondo attuale - che tanto ne ha bisogno e lo cerca, a volte senza saperlo - la serenità della fede, la gioia nella speranza, la felicità nel vero amore.

Vale la pena di vivere per questo; vivere così la propria vocazione di donna e di religiosa. Ad imitazione della Vergine Maria, alla quale il vostro Fondatore professo una così dolce devozione.


5. Per il cristiano di oggi, che vive in un ambiente di ricerca accelerata di un nuovo ideale di uomo, il Beato Enrique de Osso, l'educatore cristiano, lascia un messaggio. Quest'uomo nuovo che cerca, non potrà essere autenticamente tale senza Cristo, il Redentore dell'uomo. Dovrà coltivarlo, educarlo, renderlo ogni volta più degno nei suoi polivalenti aspetti umani, ma occorre anche catechizzarlo, aprirlo ad orizzonti spirituali e religiosi, dove trovi la sua proiezione di eternità, come figlio di Dio e cittadino del suo mondo che supera il presente.

Che ampio campo si apre per l'impegno generoso a padri e madri di famiglia; ai responsabili e professori in collegi ed istituzioni per l'insegnamento, soprattutto della Chiesa - che dovrebbero continuare ad essere, con il dovuto rispetto per tutti, centro di educazione cristiana -, a molte delle vostre ex alunne dei collegi della Compagnia di santa Teresa, che sono ancora accanto alle loro maestre di un tempo; a tante altre anime che, da posti di lavoro diversi, privati o pubblici, possono contribuire all'elevazione culturale e umana degli altri e alla loro formazione nella fede! Siate coscienti delle vostre responsabilità e possibilità di fare del bene.


6. Concludo queste riflessioni dedicando un cordiale saluto ai membri della Missione speciale inviata qui dal Governo spagnolo. Chiedo a Dio che la tradizione cattolica della Nazione spagnola, di cui tanto parlo e scrisse il nuovo Beato, serva da stimolo nella attuale fase della sua storia, e possa raggiungere mete superiori, guardando decisamente al futuro, ma senza dimenticare, più ancora cercando di conservare e ravvivare, l'essenza cristiana del passato, affinché il presente sia un'epoca di pace, di prosperità materiale e spirituale, di speranza in Cristo Salvatore.

Data: 1979-10-14

Data estesa: Domenica 14 Ottobre 1979.





Recita dell'Angelus - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: I santi: espressione viva della Chiesa missionaria

Testo:

1. Nella nostra preghiera domenicale di mezzogiorno dell'"Angelus" vogliamo inserire la nuova gioia della Chiesa, che proviene dalla odierna beatificazione.

Ancora una volta la Sposa di Cristo fruttifica con la santità di un figlio della terra spagnola.

Il Beato Enrico de Osso y Cervello è stato, nel secolo scorso, testimone del Figlio di Dio dinanzi ai suoi connazionali. Le sue figlie spirituali hanno diffuso l'opera del loro educatore anche fuori delle frontiere della Spagna.

Ugualmente nel cuore del Beato, come pure nei cuori delle sue figlie, si è fatta sentire con un'eco nuova la grande spiritualità di santa Teresa d'Avila. Anche il fatto che il giorno della beatificazione cade nella vigilia della sua festa ha il suo significato. La spiritualità teresiana è soprattutto una spiritualità di profonda preghiera, che è lievito indispensabile di ogni apostolato. così era anche nella vita del nostro Beato. La preghiera è diventata l'anima del suo sacerdozio e del suo apostolato.

Da essa nasceva la sua attività pastorale, organizzativa e di scrittore.

Era un grande amante della gioventù e dei bambini, e questo amore si esprimeva soprattutto nel ministero catechistico. La sua elevazione sugli altari sia ancora un'aggiunta a tutto ciò che ha espresso l'ultimo Sinodo dei Vescovi dedicato alla Catechesi dei bambini e della gioventù. L'eroica preoccupazione per l'anima di ogni bambino sia un atto della viva sollecitudine pastorale della Chiesa per l'infanzia e la gioventù.


2. così, dunque, a partire da oggi un nuovo nome viene annoverato nel ricco albo dei beati e santi della Chiesa. E dato che ciò avviene quasi alla vigilia della domenica missionaria, ci sia consentito di gioire ancora di più, poiché i santi segnano il più profondo senso della missione della Chiesa. Essi diventano non soltanto i missionari più fecondi dei loro tempi e dei loro ambienti, sia nella propria patria, sia oltre i suoi confini, ma soprattutto ci danno una viva risposta alle domande: quale è la missione della Chiesa? e perché la Chiesa è missionaria? Infatti, il tesoro dell'insolito amore e della verità, frutto del mistero della Redenzione, nascosto nei loro cuori, rivela questa suprema misura dell'umanità, questa mirabile nobilitazione dello spirito umano, alla quale bisogna aprire una strada in mezzo ai fratelli e sorelle - connazionali e stranieri -, in mezzo a tutti. La Chiesa è il più possibile missionaria attraverso i suoi santi.

Questo principio si è avverato nel corso di tante generazioni e si avvera anche nei nostri tempi. La figura del nuovo Beato illumini la domenica missionaria di quest'anno. In tempi, in cui molti rinunciano a raggiungere la vetta dell'umanità, risplenda di nuovo davanti ai nostri occhi qualcuno che vi è asceso collaborando con lo Spirito Santo, che Cristo dà a tutti i suoi discepoli.


3. E ci sia di esempio nella corrispondenza all'opera dello Spirito Santo e nella conformazione a Cristo la Vergine santissima, che in questi giorni è stata particolarmente onorata nella patria del nuovo Beato, presso il Santuario mariano del Pilar, dove sono convenuti numerosi teologi e fedeli per i Congressi Internazionali Mariologico e Mariano.

A Saragozza, come in tanti altri Santuari mariani disseminati in varie parti del mondo quali oasi di meditazione e di preghiera, troverete sempre Maria che aspetta col suo cuore di madre, aperto alle vostre confidenze, alle vostre preoccupazioni, alle vostre speranze e alle vostre gioie. Ella desidera offrirvi "tutte le cose" come scrive l'Evangelista san Luca che "conservava nel suo cuore" (Lc 2,51), e che come sapete riguardano Gesù, nostro Salvatore, al cui incontro la Madonna ci conduce per mano.

Auspicando che i due Congressi svoltisi a Saragozza portino abbondanti frutti, vi esorto a mettere in pratica nella vostra vita le parole di Maria: "Fate quello che egli vi dira" (Jn 2,5).

Ai pellegrini convenuti per assistere alla Beatificazione odierna Con particolare intensità di sentimento rinnovo il mio saluto a quanti sono venuti per assistere alla cerimonia di beatificazione del Fondatore della Compagnia di santa Teresa.

Ai Pellegrini provenienti da Concesio Desidero poi rivolgere una parola di benvenuto al gruppo della parrocchia di Concesio, paese natale del mio venerato predecessore Paolo VI.

Carissimi fedeli di Concesio, la memoria di Papa Paolo VI e l'onore di appartenere alla parrocchia in cui egli è nato vi siano di stimolo a vivere con generoso impegno la fede cristiana. Vi accompagni la mia benedizione.

Data: 1979-10-14

Data estesa: Domenica 14 Ottobre 1979.





Alle pontificie Università romane - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ideale ascesa verso la verità

Testo:

1. E' per me motivo di gioia sincera trovarmi qui, oggi, a presiedere questa solenne Liturgia eucaristica, che vede raccolti intorno all'altare di Cristo, insieme col Signor Cardinale Prefetto della Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica e con i Rettori delle Pontificie Università ed Atenei romani, i Docenti, gli alunni e il personale ausiliario di tali Centri di studio.

Siamo qui riuniti, figli carissimi, per una circostanza particolarmente significativa: noi intendiamo inaugurare ufficialmente con questa Concelebrazione l'Anno Accademico 1979-1980. Vogliamo inaugurarlo sotto gli occhi di Dio. Sentiamo che è giusto fare così. Che cosa è, infatti, un nuovo anno di studio se non la ripresa di una ideale ascensione che, per sentieri spesso ripidi e scoscesi, porta il ricercatore sempre più in alto, lungo le pendici di quella misteriosa ed affascinante montagna, che è la verità? La fatica del cammino è ampiamente ripagata dalla bellezza dei panorami sempre più suggestivi, che si aprono dinanzi allo sguardo ammirato.

L'ascesa non è, pero, senza rischi: vi sono passaggi difficili e appoggi insidiosi, v'è il pericolo di improvvise foschie, v'è la possibilità di prospettive illusorie e di ostacoli imprevisti. La metafora è trasparente: la conquista della verità è impresa ardua, non priva di incognite e di rischi. La persona responsabile, che vi si avventura, non può non sentire il bisogno di invocare sulla sua fatica la benevolenza di Dio, il soccorso della sua luce, l'intervento corroborante della sua grazia.

Se questo vale per ogni forma di ricerca scientifica, tanto maggiormente si dimostra vero per l'indagine teologica, che si cimenta con l'infinito mistero di Dio, comunicatosi a noi personalmente mediante la parola e l'opera della Redenzione; e si dimostra vero altresi per gli altri rami degli studi ecclesiastici, che, se si orientano verso i vari campi della ricerca biblica, della scienza filosofica, della storia, ecc., si riconducono a questo fattore che tutti li unifica, e fa di voi "gli specialisti" di Dio e del suo mistero di salvezza, manifestato all'uomo. Perciò, lo studente delle Facoltà ecclesiastiche non si misura con una verità impersonale e fredda, ma con l'Io stesso di Dio, che nella Rivelazione s'è fatto "Tu" per l'uomo e ha aperto con lui un dialogo, nel quale gli manifesta qualche aspetto dell'insondabile ricchezza del suo essere.


2. Quale sarà, dunque, il giusto atteggiamento dell'uomo, chiamato ad un'impensabile confidenza dall'amore preveniente di Dio? Non è difficile rispondere. Esso non potrà che essere un atteggiamento di profonda gratitudine, unita a sincera umiltà. E' così debole la nostra intelligenza, così limitata l'esperienza, così breve la vita, che quanto si riesce a dire di Dio ha più l'apparenza di un balbettamento infantile che non la dignità di un discorso esauriente e conclusivo. Sono note le parole con cui Agostino confessava la sua trepidazione nell'accingersi a parlare dei misteri divini: "Suscepi enim tractanda divina homo, spiritalia carnalis, aeterna mortalis" ("Mi sono assunto l'impegno di trattare cose divine io che sono un semplice uomo, cose spirituali io che sono un essere di carne, cose eterne io mortale" (S. Agostino, "In Io. Ev. Tr.", 18,1).

Questo è il convincimento di base, con cui il teologo deve appressarsi al suo lavoro: egli deve ricordare sempre che, per quanto possa dire sul conto di Dio, si tratterà sempre di parole di un uomo, e quindi di un piccolo essere finito, che s'è avventurato nell'esplorazione del mistero insondabile del Dio infinito.

Nulla di sorprendente, pertanto, se i risultati, a cui sono pervenuti i massimi geni del Cristianesimo, siano loro apparsi come del tutto inadeguati rispetto al trascendente Termine della loro indagine. Confessava Agostino: "Deus ineffabilis est; facilius dicimus quid non sit, quam quid sit" (S. Agostino, "Enarr. in Ps. 85", n. 12) e spiegava: "Quando da questo abisso ci si eleva a respirare a quelle altezze, non è conoscenza da poco il poter sapere che cosa Dio non è, prima di sapere che cosa egli è" (S. Agostino, "De Trin.", 8, 2,3). E come non ricordare, a questo proposito, la risposta di san Tommaso al suo fedele segretario, fra' Reginaldo da Piperno, che lo esortava a proseguire la composizione della "Summa", interrotta dopo un'esperienza mistica particolarmente sconvolgente. Riferiscono i biografi che alle insistenze dell'amico, egli oppose soltanto un laconico: "fratello, non posso più; tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia". E la "Summa" resto incompiuta.

E l'umiltà di cui ci danno esempio così splendido i più grandi maestri di teologia, va di pari passo con una profonda gratitudine. Come non essere grati quando Dio infinito si è abbassato a parlare all'uomo nella sua stessa lingua umana? Egli infatti che "aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (He 1,1-2). Come non essere grati quando, in questo modo, la lingua umana e il pensiero umano sono stati visitati dalla Parola di Dio e dalla Verità divina e sono stati chiamati a partecipare ad essa, a renderne testimonianza, ad annunziarla ed anche a spiegarla e approfondirla in modo corrispondente alle possibilità ed esigenze della conoscenza umana? Proprio questo è la teologia. Proprio questo è la vocazione del teologo. In nome di questa vocazione ci riuniamo oggi per incominciare il nuovo anno accademico, che si svolgerà presso tutti quei cantieri del lavoro scientifico e didattico, che sono gli Atenei di Roma.


3. L'umiltà è un contrassegno di ogni scienziato che ha una relazione onesta con la verità conoscitiva. Essa innanzitutto aprirà la strada al radicarsi nel suo animo della disposizione fondamentale, necessaria per ogni ricerca teologica, meritevole di questo nome. Questa disposizione fondamentale è la fede.

Riflettiamo: la Rivelazione consiste nell'iniziativa di Dio, che si è fatto incontro personalmente all'uomo, per aprire con lui un dialogo di salvezza.

E' Dio ad iniziare il discorso, ed è Dio a portarlo avanti. L'uomo ascolta e risponde. La risposta, pero, che Dio attende dall'uomo, non si riduce ad una fredda valutazione intellettualistica di un contenuto astratto di idee. Dio si fa incontro all'uomo e gli parla, perché lo ama e vuole salvarlo. La risposta dell'uomo dev'essere perciò, innanzitutto, accettazione riconoscente dell'iniziativa divina e fiducioso abbandono alla forza preveniente del suo amore.

Entrare in dialogo con Dio significa lasciarsi incantare e conquistare dalla figura luminosa ("doxa") di Gesù rivelatore e dall'amore ("agape") di Colui che lo ha mandato. E in questo, appunto, consiste la fede. In essa l'uomo, interiormente illuminato e attratto da Dio, trascende i limiti della conoscenza puramente naturale e fa un'esperienza di lui, che gli sarebbe altrimenti preclusa.

Ha detto Gesù: "Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato" (Jn 6,44)."Nessuno", perciò neanche il teologo.

L'uomo, osserva san Tommaso, mentre è "in statu viae", può raggiungere una qualche intelligenza dei misteri soprannaturali, grazie all'uso della sua ragione, ma solo in quanto essa si appoggia sul fondamento incrollabile della fede, che è partecipazione alla conoscenza stessa di Dio e dei beati comprensori: "Fides est in nobis ut perveniamus ad intelligendum quae credimus" (S Tommaso, "In Boeth. de Trin.", q. 2, a. 2, ad 7). E' il pensiero di tutta la tradizione teologica, ed è in particolare la posizione del grande Agostino: "credendo diventi capace di capire; se non credi, non riuscirai mai a capire... La fede dunque ti purifichi, affinché ti sia concesso di giungere alla piena intelligenza" (S. Agostino, "In Io. Ev. Tr.", 36, n. 7). Altrove osserva a questo stesso proposito: "Hahet namque fides oculos suos, quibus quodammodo videt verum esse quod nondum videt" (S. Agostino, "Ep. 120 ad Consentium", n. 2,9) ed è per questo che "intellectui fides aditum aperit, infidelitas claudit" (S. Agostino, "Ep. 137 ad Volusianum", n. 4,15).

La conclusione, alla quale giunge il Vescovo di Ippona, diverrà classica: "L'intelligenza è il frutto della fede. Non cercare dunque di capire per credere, ma credi per capire" (S. Agostino, "In Io. Ev. Tr.", 29, n. 6). E' un ammonimento sul quale deve riflettere chiunque "fa tologia": c'è infatti anche oggi il rischio di appartenere alla schiera dei "garruli ratiocinatores" (S. Agostino, "De Trin.", 1, 2,4) che Agostino invitava a "cogitationes suas carnales non dogmatizare" (S. Agostino, "Ep. 187 ad Dardanum", n. 8, 29). Solo l'"obbedienza della fede" (cfr. Rm 16,26), con la quale l'uomo si abbandona tutt'intero a Dio in piena libertà, può introdurre alla comprensione profonda e saporosa delle verità divine.


4. C'è un secondo vantaggio, che deriva al teologo dall'umiltà: essa costituisce l'humus su cui attecchisce e germina il fiore della preghiera. Come potrebbe, infatti, pregare con accenti sinceri uno spirito superbo? E la preghiera è indispensabile per crescere nella fede. Lo ha ricordato il Concilio Vaticano II quando nella costituzione "Dei Verbum" ha rilevato che, per prestare l'assenso di fede alla divina Rivelazione "è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre", è necessario l'aiuto dello Spirito Santo, "il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia a tutti la dolcezza nel consentire e nel credere alla verità" (DV 5).

Una componente essenziale dell'impegno teologico deve, dunque, essere riconosciuta nella dedizione alla preghiera: solo una preghiera umile e assidua può impetrare l'effusione di quei lumi interiori, che guidano la mente alla scoperta della verità. "Deus semper idem, noverim me noverim te", pregava Agostino nei "Soliloqui" (2, 1,1), e nelle sue esposizioni catechetiche non si stancava di invitare i suoi ascoltatori a pregare per ottenere luce, e luce invocava egli stesso nei momenti di oscurità: "Dio Padre nostro, che ci esorti a pregarti e ci dai ciò di cui sei pregato... esaudisci me che rabbrividisco in queste tenebre e porgimi la destra. Fammi vedere la tua luce, richiamami dagli errori e fa' che, dietro la tua guida, rientri in me e in te. Amen" (S. Agostino, "Soliloquia", 2, 6,9; cfr. 1, 1, 2-6).

E come non menzionare qui la preghiera famosa, che sant'Anselmo pone all'inizio del suo "Proslogio"? E' una preghiera tanto semplice e bella da poter costituire un modello di invocazione per chiunque si appresta a "studiare Dio".

"Dio, insegnami a cercarti e mostrati a me che ti cerco, giacché io non posso né cercarti né trovarti se tu stesso non ti mostri" (S. Anselmo, "Proslog.", 1).

Un autentico impegno teologico - diciamolo con franchezza - non può né cominciare né concludersi se non in ginocchio, almeno nel segreto della cella interiore, ove è possibile "adorare il Padre in spirito e verità" (cfr. Jn 4,23).


5. L'umiltà suggerisce, infine, al teologo il giusto atteggiamento nei confronti della Chiesa. Egli sa che ad essa è stata affidata la "Parola", perché l'annunci al mondo, applicandola ad ogni epoca e rendendola così davvero attuale. Lo sa e ne gioisce.

Per questo non esita a ripetere con Origene: "Per conto mio, la mia aspirazione è di essere veramente ecclesiastico" (Origene, "In Lucam", Omelia 16), di essere cioè in piena comunione di pensiero, di sentimento, di vita con la Chiesa, nella quale Cristo si rende contemporaneo alle singole generazioni umane.

Da vero "homo ecclesiasticus", egli ama perciò il passato della Chiesa, ne medita la storia, ne venera ed esplora la Tradizione. Non si lascia, pero, chiudere in un culto nostalgico di sue particolari e contingenti espressioni storiche, ben sapendo che la Chiesa è un mistero vivente e in cammino, sotto la guida dello Spirito. Parimente, egli rifiuta proposte di rotture radicali con quel ch'è stato, per il mito affascinante di un nuovo inizio: egli crede che Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, oggi come ieri, per continuare la sua vita, non per ricominciarla.

Il "sensus Ecclesiae" inoltre, che è in lui reso vivo e vigile dall'umiltà, lo mantiene in costante atteggiamento di ascolto di fronte alla voce del Magistero, che egli accetta di buon grado come garante, per volontà di Cristo, della verità salvifica. E in ascolto egli resta anche di fronte alle voci che gli giungono dall'intero Popolo di Dio, pronto sempre a raccogliere, nella parola dotta dello studioso come anche in quella semplice, ma forse non meno profonda, del comune fedele, un'eco illuminante del Verbo eterno che "s'è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi" (Jn 1,14).


6. Ecco, fratelli e figli carissimi, alcuni spunti di riflessione per questo inizio d'anno scolastico ed accademico. Vi vedo qui riuniti intorno alle reliquie di san Pietro, al quale Cristo disse: "Tu sei Pietro e su questa pietra edifichero la mia Chiesa" (Mt 16,18). Come vostro Vescovo, Vescovo di Roma e insieme successore di Pietro, desidero rivolgere a voi tutti un ardente appello affinché partecipiate a questa costruzione della Chiesa che prende inizio da Cristo stesso.

Questo appello rivolgo tanto ai Professori ed agli Insegnanti, quanto a tutti gli Studenti di ognuno degli Atenei romani. Il lavoro che intraprendete insieme è come un grande laboratorio della missione della Chiesa nella nostra epoca. Esso deve portare frutti non soltanto oggi, ma anche nel futuro. Molto dipende dai risultati che qui conseguite. Essi devono diventare il lievito della fede e della vita cristiana di tanti uomini nei vari luoghi della terra. Siete infatti venuti qui a questa Cattedra, ben sapendo che è suo particolare dovere quello di unire i figli di Dio sulla terra, nella Verità e nell'Amore, dai diversi luoghi, nazioni, paesi e continenti.

Raccomando il vostro incontro con la Verità e l'Amore divino alla Patrona del giorno odierno, a quella "grande" Teresa di Gesù che, prima fra le donne, si è meritata il titolo di Dottore della Chiesa. Soprattutto invoco su di voi l'assidua protezione di Colei che la Chiesa saluta come "Sedes Sapientiae". La sua materna sollecitudine accompagni i vostri passi e, guidandovi a scoprire nuovi aspetti del mistero appassionante del Cristo, vi aiuti a crescere nell'amore per lui. "Si cognovimus, amemus", perché - non dobbiamo dimenticarlo - "cognitio sine caritate non salvos facit": "una conoscenza priva d'amore non ci salva" (S. Agostino, "In 1 Ep. Io. Tr.", 2, n. 8).

Data: 1979-10-15

Data estesa: Lunedì 15 Ottobre 1979.










Al pellegrinaggio nazionale sloveno - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Ravvivate sempre più il dono del vostro battesimo

Testo: Carissimi fratelli e sorelle.

Voglio dirvi la mia gioia sincera e riconoscente per poter ricevere oggi voi Sloveni, venuti a Roma in pellegrinaggio nazionale sotto la guida dei vostri Vescovi. Vi saluto tutti con paterno affetto, ravvisando in voi i rappresentanti di un nobile popolo, degno di stima e di amore.

So bene che voi siete uno dei primi popoli slavi, che abbracciarono la fede cristiana più di dodici secoli fa; e per questo dono di una evangelizzazione rivelatasi assai feconda ringrazio sempre, insieme a voi, il Signore. Voglio anche riconoscere e lodare la vostra nazione per l'incessante e fedele attaccamento a questa Sede Apostolica di Roma, che è stato mantenuto intatto lungo i secoli, malgrado le difficoltà che avete dovuto affrontare. Perciò, vi incoraggio a proseguire con fiducia instancabile sulla stessa strada di una testimonianza evangelica viva e indomita.

Il mio sguardo si spinge anche nel futuro della vostra Comunità ecclesiale. E allora la mia parola diventa un ardente invito a ravvivare sempre più il dono del vostro Battesimo. In special modo, vi raccomando di coltivare adeguatamente le vocazioni presbiterali, così da assicurare sempre alla Chiesa slovena ministri sufficienti e zelanti. A questo proposito, non mi soffermero sui particolari di un compito tanto alto. Ne siete responsabili specialmente voi, cari Vescovi e Sacerdoti. Credo, tuttavia, opportuno sottolineare il ruolo fondamentale della famiglia, sia per l'educazione cristiana dei figli sia per la cura generosa in favore della crescita delle vocazioni sacerdotali e religiose.

In special modo, intendo esortare calorosamente tutti voi, Presbiteri, perché serviate costantemente la Chiesa con entusiasmo e dedizione apostolica e vi dedichiate alle attività pastorali che vi sono proprie in pienezza di comunione e di ossequio ai Vescovi, che sono i primi responsabili dell'organizzazione ecclesiastica e della vita religiosa nella diocesi. E' a queste condizioni che l'impegno di ciascuno non può mancare di dare buoni e abbondanti frutti spirituali.

So che voi celebrate quest'anno il 25° anniversario di fondazione del settimanale interdiocesano "Druzina". Ebbene, mi è caro auspicare che esso continui nell'avvenire, liberamente, il suo prezioso lavoro di formazione e di informazione religiosa. così tutti i cattolici sloveni potranno disporre di un valido strumento per partecipare sempre più coscientemente alla vita di tutta la santa Chiesa di Dio sparsa per il mondo. Sono contento che a ciò collabora efficacemente con le sue trasmissioni anche la Radio Vaticana.

Vi auguro cordialmente che, con l'aiuto di Dio onnipotente e del Signore nostro Gesù Cristo, sotto la materna protezione della Madonna Regina degli Sloveni, la chiesa e la nazione slovena godano di una sempre maggiore prosperità umana e cristiana, anche per il bene di tutta la società in cui siete inseriti. E ogni giorno vi accompagni la mia particolare benedizione apostolica, che di cuore vi concedo, estendendola a quanti vi sono a voi cari.

Data: 1979-10-18

Data estesa: Giovedì 18 Ottobre 1979


GPII 1979 Insegnamenti - Beatificazione di Enrique de Osso y Cervello - Città del Vaticano (Roma)