GPII 1979 Insegnamenti - Nel Santuario della Madonna del Rosario - Pompei (Napoli)


2. A voi, anzitutto, carissimi fratelli sacerdoti, desidero dire tutto il mio plauso e il mio incoraggiamento, che è plauso ed incoraggiamento della Chiesa, per il vostro impegno nel ministero della predicazione della Parola di Dio, così necessaria all'uomo del nostro tempo sempre in ansiosa ed inquieta ricerca della verità; ed inoltre per la vostra dedizione al ministero del sacramento della Riconciliazione, nel quale voi avete l'altissimo compito e l'ineffabile gioia di poter dire, come Gesù, alle anime pentite: "Ti sono rimessi i tuoi peccati" (cfr. Mt 9,2); e infine per il ministero della preghiera, che trova in voi le guide e gli animatori per le folle dei pellegrini, che vengono in questo Santuario. Si! Perché questo tempio, dedicato alla Madonna di Pompei, è un luogo in cui si prega, in cui cioè l'uomo viene per compiere il gesto di adorazione e di supplica verso Dio, Creatore e Redentore; è un luogo in cui si ascolta religiosamente la Parola di Dio, perché diventi luce per il nostro cammino; è un luogo in cui l'uomo ritrova il perdono del Padre celeste.

So quanto il vostro continuo impegno apostolico sia talvolta duro e stancante, quasi sempre nascosto e silenzioso, noto soltanto a Dio, il quale saprà ricompensarvi con ogni sovrabbondanza. Continuate con generosità il vostro ministero, consapevoli di essere, nelle mani di Dio, strumenti di salvezza, donatori di pace e di serenità per tante anime.


3. Il mio saluto va anche a voi, carissime sorelle religiose, che perpetuate la straordinaria e spirituale eredità del vostro fondatore, il venerabile Bartolo Longo, il suo messaggio e i suoi esempi di fede e di carità. Egli, come è noto, spinto dalla sua ardente devozione alla Madre di Dio e confidando nella divina Provvidenza, nel maggio del 1876 inizio la costruzione di questo tempio, oggi celebre in tutto il mondo; ma attorno al Santuario egli volle anche creare tutta una serie di mirabili opere educative e caritative, in particolare a favore dei bambini e delle bambine, tanto da far definire tale complesso "la cittadella vivente della carità". Alla base di tutte queste realizzazioni, c'era nel venerabile la profonda convinzione che chi ama Dio ama anche il prossimo (cfr. 1Jn 4,21).

Pertanto, nella vostra consacrazione religiosa, vivete l'amore verso Dio, al quale avete donato tutta la vostra vita, tutto il vostro cuore, tutta la vostra volontà; ma vivete anche, non meno intensamente e concretamente, l'amore ai fratelli bisognosi, specialmente ai piccoli, con generosa disponibilità e con immensa gioia, coscienti che "chi ama il prossimo ha adempiuto la legge" (Rm 13,8)

4. A voi, bambini e bambine, che trascorrete serenamente la vostra infanzia vicino alla Vergine santissima, rivolgo il mio affettuoso e paterno saluto. Voi sapete quanto Gesù predilige i piccoli! Essi, affascinati dalla sua parola e dalla sua personalità, gli manifestavano con esuberanza il loro affetto; e Gesù voleva stare con i bambini, non permetteva che gli Apostoli li allontanassero da lui: "Lasciate che i bambini vengano a me - egli diceva -, non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio" (Lc 18,16). Anche il Papa, come Gesù, vi ama molto, si affida alle vostre preghiere, e oggi, in questo incontro, vi dice: Siate sempre amici fedeli e sinceri di Gesù; studiate i suoi esempi, la sua vita, i suoi insegnamenti, contenuti nel santo Vangelo. Ma essere amici fedeli e sinceri di Gesù significa seguirlo, mettere in pratica, ogni giorno, quello che lui ha detto.

Allora sarete veramente felici, perché sarete degli esemplari cristiani e dei buoni cittadini.


5. Non posso, infine, non esprimere il mio saluto ed il mio apprezzamento ai dipendenti della Tipografia di "Avvenire". Grazie anzitutto per il prezioso lavoro da voi svolto per far giungere tempestivamente in tutta Italia un quotidiano, che intende informare oggettivamente sugli avvenimenti e altresi formare i propri lettori secondo una prospettiva cristiana. In tal modo, voi collaborate ad una vera azione di apostolato, tanto meritoria presso il Signore. Date sempre una limpida e generosa testimonianza di fede nella famiglia e nella società, con una continua coerenza tra le idee e la vita.

Su tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, invoco la celeste protezione di Maria Santissima e vi imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

Amen.

Data: 1979-10-21

Data estesa: Domenica 21 Ottobre 1979.





Recita dell'"Angelus" - Pompei (Napoli)

Titolo: "Giovani carissimi, guardate, amate e imitate Maria"

Testo: Provo oggi una grande gioia perché posso recitare la preghiera dell'"Angelus" insieme con voi qui, nel Santuario dedicato alla Madonna del Rosario di Pompei.

1. C'è legame molto stretto tra l'"Angelus" e il Rosario, l'uno e l'altro preghiere eminentemente cristologiche e, nello stesso tempo, mariane: ci fanno infatti contemplare e approfondire i misteri della storia della salvezza, nei quali Maria è intimamente unita al figlio suo Gesù. E questo Santuario risuona perennemente del Rosario, la preghiera mariana semplice, umile ma per questo non meno ricca di contenuti biblici e teologici, e così cara, nella sua lunga storia, ai fedeli di tutti i ceti e di tutte le condizioni, accomunati nella professione di fede a Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza.

Questo luogo sacro alla preghiera è nato dalla mente e dal cuore di un grande Laico, il venerabile Bartolo Longo, vissuto tra il secolo scorso e il nostro secolo, quindi un nostro contemporaneo: egli ha voluto innalzare un tempio, dove fossero proclamate le glorie alla Madre di Dio e dove l'uomo potesse trovare rifugio, conforto, speranza e certezza.

Fra qualche istante noi reciteremo insieme l'"Angelus", che ci ricorda il gioioso annuncio del mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio; e lo reciteremo con un'intensità e con una devozione particolari, perché vorremo proclamare insieme la nostra fede cristiana e, altresi, ringraziare Dio per le meraviglie, che ha operato e continua ad operare per l'intercessione di Maria santissima, alla quale diremo tutta la nostra filiale venerazione.


2. A questa proclamazione di fede, a questa professione di venerazione per la Madonna santissima voglio invitare in questo momento ed in questa circostanza, in modo speciale, le migliaia di giovani, che sono presenti in questa piazza, in particolare gli appartenenti all'Azione Cattolica Italiana della regione Campania.

Carissimi giovani! La vostra presenza, così numerosa, e il vostro incontenibile entusiasmo sono la conferma che il messaggio di Cristo non è un messaggio di morte, ma di vita; non di vecchiume, ma di novità; non di tristezza, ma di gioia! Ditelo tutto questo ai vostri coetanei, a tutti gli uomini, con i vostri canti, con i vostri ideali, ma specialmente con la vostra vita! "Il deserto diventerà un giardino" aveva detto il profeta Isaia parlando dei tempi messianici (Is 32,15). Se noi diamo uno sguardo a questa zona, troviamo le rovine impressionanti dell'antica città dei tempi romani, ridotta ad una città "morta" e di "morte" dalla terribile eruzione dell'anno 79 dopo Cristo. Ma dove sembrava dominare la morte, dopo circa 1800 anni è cominciato a fiorire, come un giardino spirituale, questo Santuario, centro di vita eucaristica e mariana, segno profetico di quella pienezza, che Gesù è venuto a portarci e a comunicarci.

Giovani carissimi! Guardate Maria! Amate Maria! Imitate Maria! Imitate la sua totale apertura verso Dio, del quale ella si professa "serva" disponibile ed obbediente, la sua silenziosa, generosa ed operosa apertura verso i fratelli e le sorelle, bisognosi di aiuto, di assistenza, di conforto; la sua continua, perseverante "sequela" del Figlio Gesù, dalla mangiatoia di Betlemme fino alla croce del Calvario.

La Vergine vi sorrida e vi protegga sempre! Data: 1979-10-21

Data estesa: Domenica 21 Ottobre 1979.





Omelia durante la Messa - Pompei (Napoli)

Titolo: In Maria inizia storicamente la missione dei Figlio nello Spirito Santo

Testo:

1. "Missus est Angelus...". "L'Angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea chiamata Nazaret" (Lc 1,26).

Con una particolare emozione pronunciamo queste parole oggi, sulla piazza del Santuario di Pompei, in cui è circondata con una singolare venerazione la Vergine, che si chiamava Maria (cfr. Lc 1,27). Quella Vergine alla quale fu mandato Gabriele. Con una particolare emozione ascoltiamo quelle parole oggi, in questa domenica d'ottobre, che ha il carattere della domenica missionaria. Eppure le parole del Vangelo di san Luca parlano dell'inizio della Missione. La missione vuol dire essere mandati, ed essere incaricati di svolgere una determinata azione.

Fu mandato da Dio Gabriele a Maria di Nazaret per annunziare a lei e, in lei, a tutto il genere umano la missione del Verbo. Ecco, Dio vuole mandare l'eterno Figlio affinché, diventando uomo, possa donare all'uomo la vita divina, la figliolanza divina, la grazia e la verità.

La Missione del Figlio inizia proprio in quel momento a Nazaret, quando Maria ascolta le parole pronunciate dalla bocca di Gabriele: "Hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù" (Lc 1,30-31).

La missione di questo Figlio, Verbo eterno, inizia allora, quando Maria di Nazaret, Vergine "promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe" (Lc 1,27), ascoltando queste parole di Gabriele, risponde: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). In quel momento inizia la missione del Figlio sulla terra. Il Verbo della stessa sostanza del Padre diventa carne nel grembo della Vergine. La Vergine stessa non può comprendere come si realizzi tutto questo. Pertanto, prima di rispondere: "Avvenga di me", chiede: "Come è possibile? Non conosco uomo" (Lc 1,34). E riceve la risposta determinante: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio... nulla è impossibile a Dio" (Lc 1,35-37).

In quel momento Maria già capisce. E non domanda più. Dice soltanto: "Avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). E il Verbo diventa carne (cfr. Jn 1,14). Inizia la missione del Figlio nello Spirito Santo. Inizia la missione del Figlio e la missione dello Spirito Santo. Su questa prima tappa la missione viene indirizzata a lei sola: alla Vergine di Nazaret. Prima su di essa scende lo Spirito Santo. Essa, nella sua umana e verginale sostanza, viene adombrata con la potenza dell'Altissimo. Grazie a questa potenza, e a causa dello Spirito Santo, essa diventa Madre del Figlio di Dio, pur rimanendo Vergine. La missione del Figlio inizia in lei, sotto il suo cuore. La missione dello Spirito Santo, che "procede dal Padre e dal Figlio", giunge pure prima a lei, all'anima che è la sua Sposa, la più pura e la più sensibile.


2. Questo inizio nel tempo, questo storico inizio della Missione del Figlio e dello Spirito Santo, dobbiamo tenerlo in mente soprattutto oggi, nell'annuale domenica missionaria del mese di ottobre. A questo inizio deve rivolgersi tutta la Chiesa, dappertutto, in ogni luogo e in ogni cuore. La Chiesa è tutta e dappertutto missionaria perché permane continuamente in essa questa missione del Figlio e dello Spirito Santo, che ha preso il suo inizio storico sulla terra proprio a Nazaret, nel cuore della Vergine.

Diventando uomo nel suo grembo per opera dello Spirito Santo, Dio-Figlio è entrato nella storia dell'uomo per portare questo Spirito ad ogni uomo e all'umanità intera. La missione, il cui primo inizio sotto il cuore della Vergine di Nazaret è stato adombrato con la potenza dell'Altissimo, è maturata attraverso tutto il tempo nascosto del Figlio di Dio e poi attraverso la viva parola del suo Vangelo e attraverso il sacrificio della croce e la testimonianza della risurrezione fino a quel giorno nel cenacolo; e questa ci è ricordata anche dalla liturgia odierna. Era quello il giorno, in cui non solo Maria ma tutta la Chiesa, tutto il Popolo della nuova alleanza, ha ricevuto lo Spirito Santo e insieme con lui è diventato partecipe della missione del suo Signore risorto e dell'unico Unto (Messia). Ottenendo la partecipazione alla sua missione sacerdotale, profetica e regale, il Popolo di Dio, cioè la Chiesa, è diventato totalmente missionario.


3. E proprio nella odierna domenica, il Popolo di Dio, cioè la Chiesa, fissa gli occhi con gratitudine sul mistero di questa sua missione, che ha preso l'inizio prima a Nazaret e poi nel cenacolo gerosolimitano. Meditando dunque sul proprio carattere missionario il Popolo di Dio, cioè la Chiesa, si rivolge, con la più profonda sollecitudine e fervore dello Spirito, a tutte le dimensioni della sua missione contemporanea; a tutti i luoghi, a tutti i continenti e a tutti i Popoli, perché Cristo gli ha detto una volta: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni..." (Mt 28,19). "...Predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15).

Così pertanto, nella domenica missionaria, la Chiesa cammina sulle orme del suo insegnamento, della sua missione, dell'evangelizzazione e della catechesi, sia tra le nazioni e i popoli già da molto tempo cristiani, come pure tra quelli giovani e recenti, e tra coloro che non sono stati raggiunti dalla grazia della fede e dalla verità della salvezza.

La Chiesa lo fa avendo davanti agli occhi tutto l'insegnamento del Vaticano II, sia la costituzione "Lumen Gentium" come la "Gaudium et Spes"; sia il decreto sull'attività missionaria della Chiesa "Ad Gentes" come pure il decreto sull'ecumenismo, la dichiarazione sulla libertà religiosa e la dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Tutti questi splendidi documenti parlano alla Chiesa dei nostri tempi, alla Chiesa di questo ventesimo secolo che sta per finire, parlano su che cosa significhi essere missionario e avere una missione da svolgere. E le ordinano, così come una volta Cristo agli Apostoli, di guardare i campi delle anime umane, che sempre in qualche modo "già biondeggiano per la mietitura" (Jn 4,35). Sono forse veramente maturi? Stanno per maturare? Oppure crescono in essi obiezioni contro la parola del Vangelo e contro lo Spirito, che "soffia dove vuole" (Jn 3,8).

A noi non è mai permesso di perdere la speranza, benché passiamo attraverso periodi di esperienze e prove pesanti. Mai è permesso di dimenticare che il Signore stesso - Colui col cui sangue siamo liberati (cfr. 1P 1,19 Ep 1,7), guarda questi campi delle anime e dice a noi, suoi discepoli: Pregate! "Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai nella sua messe" (Mt 9,38). Facciamolo, soprattutto nella domenica odierna.


4. Maria è sempre al centro stesso della nostra preghiera. Essa è la prima fra coloro che chiedono. Ed è l'"Omnipotentia supplex": l'Onnipotenza d'intercessione.

Tale era nella sua casa a Nazaret, quando conversava con Gabriele. La cogliamo li nel profondo della preghiera. Nel profondo della preghiera parla a lei Dio Padre. Nel profondo della preghiera il Verbo Eterno diventa il suo Figlio. Nel profondo della preghiera scende su di lei lo Spirito Santo.

E poi essa trasferisce questa profondità della preghiera da Nazaret al cenacolo della Pentecoste, dove tutti gli Apostoli: Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelota e Giuda di Giacomo erano insieme a lei assidui e concordi nella preghiera (cfr. Ac 1,13-14).


5. Maria trasferisce la stessa profondità della preghiera anche su questo luogo privilegiato in terra italiana, non lontano da Napoli, al quale oggi veniamo in pellegrinaggio. E' il santuario del rosario, cioè il santuario della preghiera mariana; di questa preghiera che Maria dice insieme a noi come pregava insieme agli Apostoli nel Cenacolo.

Questa preghiera si chiama il rosario. Ed è la nostra preghiera prediletta, che rivolgiamo a lei: a Maria. Certamente. Non dimentichiamo pero che contemporaneamente il rosario è la nostra preghiera con Maria. E' la preghiera di Maria con noi, con i successori degli Apostoli, che hanno costituito l'inizio del nuovo Israele, del nuovo Popolo di Dio.

Veniamo dunque qui per pregare con Maria; per meditare, insieme con lei, i misteri, che essa come Madre meditava nel suo cuore (cfr. Lc 2,19), e continua a meditare, continua a considerare. Poiché questi sono i misteri della vita eterna.

Hanno tutti la loro dimensione escatologica. Sono immersi in Dio stesso. In quel Dio che "abita una luce inaccessibile" (1Tm 6,16) sono immersi tutti questi Misteri, così semplici e così accessibili. E così strettamente legati alla storia della nostra salvezza.

E perciò questa preghiera di Maria, immersa nella luce di Dio stesso, rimane contemporaneamente sempre aperta verso la terra, verso tutti i problemi umani. Verso i problemi di ogni uomo e, al tempo stesso, di tutte le comunità umane, delle famiglie, delle nazioni; verso i problemi internazionali dell'umanità, come per esempio quelli che mi è capitato di sollevare davanti all'assemblea delle Nazioni Unite, il 2 ottobre. Questa preghiera di Maria, questo rosario, è costantemente aperto verso tutta la missione della Chiesa, verso le sue difficoltà e le sue speranze, verso le persecuzioni e le incomprensioni, verso ogni servizio che essa compie nei confronti degli uomini e dei popoli. Questa preghiera di Maria, questo rosario è proprio tale, perché dall'inizio è stato pervaso dalla "logica del cuore". E la preghiera è stata formata in questo cuore mediante l'esperienza più splendida, cui è stata partecipe: mediante il mistero della Incarnazione.

Dio ci ha dato, da molto tempo, un tale segno: "Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele" (Is 7,14). Emmanuele "che significa Dio con noi" (Mt 1,23). Con noi e per noi: "per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Jn 11,52).


6. Vengo dunque qui, nel santuario di Pompei, nello spirito di questa preghiera per vivere insieme con voi quel segno della profezia di Isaia. E partecipando alla preghiera della Genitrice di Dio, che è "Omnipotentia supplex", desidero insieme con tutti i pellegrini esprimere ringraziamento per quella molteplice missione, che ultimamente mi è capitato di compiere tra il mese di settembre e di ottobre.

Ne ho già parlato più di una volta. Ho ripetuto le parole e i pensieri, che Gesù stesso aveva insegnato agli Apostoli: "Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17,10). E perciò, tanto più sento il bisogno di ringraziare qui, in questo santuario, Maria e con Maria.

E se la mia gratitudine va contemporaneamente anche agli uomini, lo faccio soprattutto perché questo mio servizio di Pietro, servizio papale, essi lo hanno preparato così bene in ginocchio; perché hanno dato ad esso un profondo carattere di preghiera, carattere sacramentale, eucaristico. Potrei pensare, senza commozione, a tanti uomini, spesso giovani, che mediante i sacrifici, le veglie notturne han fatto strada allo Spirito che doveva parlare? Bisogna veramente che ci si ricordi di ciò. Poiché questo è il cuore stesso di quel ministero; il resto è soltanto una manifestazione, che umanamente si può talora leggere troppo superficialmente. Cristo invece ci insegna che il tesoro, cioè il valore essenziale, sta nel cuore (cfr. Lc 12,34).

Vengo quindi qui per ringraziare di tutto questo. E se vengo anche per chiedere - oh, quanto chiedere! quanto supplicare! - quello che chiedo è soprattutto che la missione della Chiesa, del Popolo di Dio, la missione iniziatasi a Nazaret, al Calvario, nel Cenacolo, si compia nella nostra epoca in tutta la sua originaria nitidezza, e insieme in consonanza coi segni dei nostri tempi. Che, sull'esempio della Serva del Signore, io possa - fino a quando piacerà a Dio - rimanere fedele e umile servo di questa missione di tutta la Chiesa e che senta, ricordi e ripeta soltanto questo: che sono un servo inutile.

Data: 1979-10-21

Data estesa: Domenica 21 Ottobre 1979.

Rosario con gli ammalati - Pompei (Napoli)

Titolo: Sotto lo sguardo di Maria completate il mistero della redenzione

Testo: Carissimi fratelli e sorelle! Voi sapete già che il Papa, a imitazione di quel Gesù di cui è Vicario sulla terra, predilige gli infermi e i sofferenti: considera questa sua particolare attenzione come uno dei doveri più alti del suo ministero pastorale.

Ho perciò desiderato questo incontro per stringervi in un solo vincolo di paterna effusione, parlarvi cuore a cuore, lasciarvi un messaggio di fede, dirvi una parola di incoraggiamento e di speranza.

1. L'uomo creato da Dio e da lui elevato alla sublime dignità di figlio, porta in sé un anelito insopprimibile per la felicità ed avverte naturale avversione ad ogni sorta di sofferenza. Gesù invece, nella sua opera evangelizzatrice, pur chinandosi sui malati e sui sofferenti per guarirli e per consolarli, non ha soppresso la sofferenza stessa, ma ha voluto sottoporsi a tutto il dolore umano possibile, quello morale e quello fisico, nella sua passione sino all'agonia mortale nel Getsemani (Mc 14,23), fino all'abbandono del Padre sul Calvario (Mt 27,46), alla lunga agonia, alla morte di Croce. Per questo ha dichiarato beati gli afflitti (Mt 5,4) e quelli che hanno fame e sete di giustizia. La Redenzione si opera concretamente attraverso la Croce! Questo atteggiamento di Gesù rivela un profondo mistero di giustizia e di misericordia, che tutti ci coinvolge, e per il quale ogni uomo è chiamato a partecipare alla Redenzione.

Ecco qui, carissimi malati, il primo motivo che rende più generosa ed operante la vostra fede: voi potete dire, secondo gli esempi del Salvatore: noi siamo il segno della futura gioia che unirà Dio e i suoi figli, il giorno in cui "asciugherà le lacrime di tutti i volti" (Is 25,8); la nostra sofferenza ci prepara ad accogliere il regno di Dio e ci consente di "rivelare le opere di Dio" (Jn 9,3); "la gloria di Dio e quella del Figlio di Dio" (Jn 11,4) il nostro dolore non solo non è inutile, ma si dimostra, a somiglianza di quello del divino Maestro, preziosa energia di fecondità spirituale. I nostri sacrifici non sono vani, non è sciupata la nostra esistenza, dal momento che come cristiani non "siamo più noi che viviamo, ma è Cristo che vive in noi" (cfr. Ga 2,20); le sofferenze di Cristo sono le nostre sofferenze (cfr. 2Co 1,5); il nostro dolore ci configura a Cristo (cfr. Ph 3,10), e come Gesù "pur essendo Figlio, imparo per le cose patite, l'ubbidienza" (He 5,8), anche noi dobbiamo accettare con costante impegno la prova, anche se dura, sollevando i nostri occhi verso Colui che è il Capo della nostra fede e che volle, tuttavia, sopportare la Croce (cfr. He 12,1ss).

E poiché il mistero della Redenzione di Cristo è nella sua essenza un mistero di amore e di vita divina, in quanto manifestazione della carità del Padre "che tanto ha amato il mondo da dargli il suo figlio unico" (Jn 3,16); ed è al tempo stesso l'espressione dell'amore del Figlio per il Padre e per gli uomini (Jn 10,11 1Jn 3,16), è a voi offerta la straordinaria occasione di toccare il vertice delle umane possibilità: quella di saper accettare e di voler sopportare l'infermità e le difficoltà che l'accompagnano in un dono di sublime amore, e di un abbandono totale alla volontà del Padre.


2. Questa visione trascendente di valori soprannaturali non fa dimenticare quelli fisici e psicologici del vostro corpo. Anche se toccato dalla malattia, questo reca l'impronta della potenza creatrice di Dio; non si è offuscata la sua immagine; esso, per la grazia santificante che l'avviva, è sempre il misterioso tempio di Dio; anzi per la promessa di Gesù, è l'abitazione della Santissima Trinità (Jn 14,23).

Sede di potenze spirituali: l'intelligenza, la volontà e il libero arbitrio, il corpo dell'uomo pur nella sua immobilità accompagna l'anima nelle sue ascensioni d'amore e si può paragonare ad un altare preparato per il Sacrificio.


3. Consapevoli di tanta ricchezza soprannaturale e dei molti doni di Dio, a lui elevate, carissimi infermi, il vostro cuore, il vostro pensiero.

Vi guarda in questa vostra mistica ascesa, dal suo Santuario, la Madonna santissima del Rosario e vi invita a meditarne i misteri, specialmente quelli dolorosi che riassumono tutti i momenti della passione e morte del suo Figlio divino. Essa che è la Madre di tutti gli uomini, lo è in modo particolare per tutti coloro che, come voi, hanno parte nel completare quel che manca ai patimenti di Cristo a pro del suo corpo che è la Chiesa (cfr. 1Co 1,24) 4. Con tali sentimenti di edificazione, col mio saluto pieno di affetto paterno, mi è di tanta soddisfazione impartire a voi, alle vostre rispettive famiglie, a quanti, medici ed infermieri e loro collaboratori, hanno merito nel curarvi e nell'assistervi, la mia propiziatrice e confortatrice benedizione apostolica.

Data: 1979-10-21

Data estesa: Domenica 21 Ottobre 1979.





All'arrivo in Piazza Trieste e Trento - Napoli

Titolo: "Il Papa è qui per incoraggiare"

Testo: Rivolgo il mio saluto e il mio compiacimento al Signor Ministro del Lavoro, Dottor Vincenzo Scotti, per l'omaggio che, nella sua qualità di Rappresentante del Governo Italiano, ha voluto porgermi al mio ingresso in questa grande e cara Metropoli. Con profondo rispetto, rivolgo, altresi, un doveroso ringraziamento al Signor Sindaco, il quale, come primo cittadino, ha voluto anticipare e gentilmente interpretare, con espressioni deferenti e sincere, i sentimenti di cordiale accoglienza e di letizia dell'intera popolazione.

Dopo la visita di pietà a Pompei, città mariana e punto di convergenza delle più intime aspirazioni delle genti del Sud Italia - e non solo di esse - dove mi sono recato per rendere il mio tributo di omaggio alla Madre di Dio, che mi ha accompagnato con il suo amoroso patrocinio nel mio recente viaggio in Irlanda e negli Stati Uniti d'America, non poteva mancare un incontro con Napoli e con i suoi figli, qui rappresentati dai Responsabili della vita cittadina e del suo retto ordinamento.

Vengo in questa città e amo intrattenermi con questi fedeli per sentirmi più vicino a loro, per essere in mezzo a loro, per coglierne direttamente i desideri e le ansie. Con cuore di Pastore, investito di diretta, universale responsabilità nei confronti di ciascun figlio della Chiesa, anzi di ciascun uomo, avverto urgente e prevalente l'impegno di avvicinarmi alle varie comunità, per continuare il mistero di una catechesi itinerante, che sia offerta convincente della Parola di Dio, delle sue proposte di amore, ed invito a prestare sempre più fiducia alla sua Provvidenza.

Ho atteso pertanto con emozione questo incontro con i Napoletani, dopo avere affidato alla Regina del Rosario e delle Vittorie le più profonde attese delle loro persone e delle loro famiglie. Napoli è una città ricca di storia, che spazia per circa tre millenni, fin dagli albori della civiltà greca all'inserimento fecondo e ormai più che secolare nella unificata compagine della Nazione italiana; è città ricca di vita, che pulsa ardente e vigorosa nell'intelligenza, nel dinamismo e nella ben nota, solare inventiva dei suoi figli; è città agitata da profonde speranze verso un avvenire pacifico, rispondente ai postulati fondamentali della giustizia e della dignità dell'uomo.

Ma - come vi ha fatto cenno con motivata sollecitudine l'onorevole Signor Sindaco - la Metropoli partenopea è anche una comunità che ha le sue sofferenze nascoste o palesi, inerenti a problemi gravi e urgenti, la cui mancata soluzione comporta diffusi disagi e profondi drammi umani.

Particolarmente sensibile e attenta a tali sofferenze, la Chiesa, in corrispondenza delle esigenze specifiche della sua missione e nell'ambito della propria competenza spirituale, vuole cooperare alla edificazione del bene comune, richiamando anzitutto quei principi di ordine morale, la cui osservanza è insostituibile e primigenia garanzia di una convivenza prospera. L'aiuto di Dio conceda la saggezza e la forza d'animo per risolvere adeguatamente i problemi più ardui; confermi i propositi di leale e fattiva concordia; faccia risplendere tutte quelle virtù che si richiedono in fervorosi ed onesti amministratori del bene pubblico, ad esempio dei concittadini e a conforto della propria coscienza.

Il Papa è qui per incoraggiare, per invitare a non perdersi d'animo, ma bensì a guardare in avanti con fiducia. Sostenuto da convincimenti di speranza, ciascuno assolva con coraggio il proprio compito, nella consapevolezza che un tale atteggiamento richiama copiosi i doni e i conforti della divina assistenza, di cui la mia benedizione vuol essere invocazione accorata e fervido auspicio.

Data: 1979-10-21

Data estesa: Domenica 21 Ottobre 1979.





Allocuzione ai napoletani - Napoli

Titolo: Napoli ha bisogno di sperare nella giustizia e nella carità

Testo: Carissimi fratelli e sorelle di Napoli!

1. Debbo esprimere, innanzitutto, un vivo grazie al vostro Cardinale Arcivescovo per le nobili parole di benvenuto, che ha voluto rivolgermi a nome dell'intera Comunità ecclesiale di questa nobilissima terra. Ma dopo, immediatamente dopo, io desidero salutare e ringraziare ciascuno di voi, per essere qui accorsi così numerosi e per avermi riservato un'accoglienza particolarmente fervida, ricca cioè di quei sentimenti di spontaneità, di affetto, di calore umano, che in tutto il mondo hanno reso noto il vostro nome e fanno amare il vostro popolo per la sua tipica tradizione di ospitalità. Anche nell'odierna circostanza - e lo dico con profondo convincimento - si è rivelato il cuore grande e generoso di Napoli! Ecco, allora, io mi chiedo e vi chiedo: come avrei potuto omettere di fare una sosta in mezzo a voi? Come avrei potuto privarmi del piacere di parlarvi e di benedirvi? Recatomi in pellegrinaggio al vicino Santuario mariano di Pompei ho avvertito il dovere di visitare la vostra Città nel ricordo si di precedenti contatti ma soprattutto in risposta agli inviti e alle attese più volte a me significate in questo primo anno del mio ministero pastorale.


2. Ho già accennato alla tradizione: che cosa significa ed implica questa parola qui a Napoli? Essa è certamente evocativa di una storia antichissima, che risale alla prima "Palèpoli": dico la vicenda plurisecolare di una Città che ha visto fiorire al suo interno, come nella circostante Regione Campana, diverse culture e filosofie, le arti e le lettere, la musica e il canto, all'insegna di una civiltà, a cui il mondo riguarda tuttora ammirato. Ma voi capite benissimo come, dicendo tradizione, io qui intenda soprattutto quella tradizione religiosa cristiana, che ci è stata mirabilmente attestata fin dall'approdo dell'apostolo Paolo nell'adiacente golfo di Pozzuoli, mentre era in viaggio verso Roma. Stando anzi all'esplicita testimonianza degli Atti degli Apostoli (28,14), egli trovo alcuni "fratelli" e, dietro loro richiesta, vi sosto sette giorni. Proprio l'accertata presenza di cristiani agli inizi degli anni Sessanta della nostra èra, e la legittima deduzione che non poté certo essere sterile di frutti spirituali la permanenza del "Dottore delle Genti" in mezzo a loro, sono fatti che mi spingono a definire come letteralmente e autenticamente "apostolica" la vostra fede, a cui poi l'ininterrotto contatto con la Chiesa di Roma, nel corso dei secoli, ha conferito ulteriore sviluppo e compatta saldezza. Napoli non ha conosciuto mai distacchi e lacerazioni nella sua professione cristiana.

E' questa la ragione, figli e fratelli della Chiesa "apostolica" partenopea, per la quale io desidero per prima cosa esaltare il vostro patrimonio religioso e, nello stesso tempo, esortarvi alla coerenza della fedeltà e al coraggio della testimonianza. I tempi sono indubbiamente cambiati, e forse sono nuove le difficoltà e più insidiosi i pericoli, a cui oggi va incontro la fede.

Per questo, è necessario uno sforzo maggiore inteso non solo a conservare quel che un'alta tradizione di Pastori e di Santi, di gente umile e illustre, di uomini e di donne vi ha esemplarmente trasmesso, ma a ravvivare, altresi, una tale eredità ed a tradurla in opere di sicuro stampo cristiano. "La fede - lo sapete bene - se non ha le opere, è morta in se stessa" (Jc 2,17).


3. Ma io debbo anche elogiare la preparazione spirituale, che la Comunità diocesana ha voluto premettere al presente incontro con l'umile successore di Pietro, che vi sta ora parlando. So, infatti, che ieri sera c'è stata una speciale veglia di preghiera sul tema: "La Chiesa in cammino". E tanto più sentito è il mio compiacimento, in quanto a tale pia iniziativa si adatta bene l'oggetto prescelto per la riflessione: voi avete pregato per il Papa, secondo le sue intenzioni che hanno una dimensione universale; avete pregato per il peso formidabile di responsabilità che grava sulle sue spalle, ed insieme - a conferma di questo vincolo di comunione con lui - avete cercato di prendere più coscienza delle vostre personali responsabilità come sacerdoti, religiosi, genitori, fedeli. Si, la Chiesa deve camminare perché è un organismo vivente, è il corpo di Cristo animato dallo stesso suo Spirito. Ma essa cammina, se a muoversi non sono solo i Pastori, ma tutte le pecorelle del mistico gregge; essa cammina, quando si lascia muovere dalla forza interiore che le imprime il suo fondatore. Privilegiando il momento della preghiera, voi avete voluto attestare che condizione preliminare e indispensabile, cioè l'elemento propulsore perché questo cammino ecclesiale si compia, è e resta sempre l'aiuto di Dio, che solo si può ottenere con la preghiera.

A questo medesimo scopo avete pregato anche adesso, mentre in attesa del mio arrivo, partecipavate alla Liturgia domenicale, presieduta dal vostro Arcivescovo. Debbo forse ricordare che proprio mediante la liturgia - come ha scritto il Concilio Vaticano II -, "si attua l'opera della nostra redenzione", e che essa "contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo" (SC 2)? Non consiste forse nell'esprimere a livello personale e nel presentare agli altri il mistero di Cristo - disegno ineffabile di amore e di salvezza - la ragione del cammino della Chiesa nella storia, a fianco di tutti gli uomini e ogni singolo uomo? Continuate, dunque, a pregare con la Chiesa e per la Chiesa, affinché spedito e sicuro sia il suo cammino, e stabile il suo collegamento con Cristo, ed immancabile il suo arrivo alla meta. Essere con la Chiesa vuol dire essere e rimanere "con Cristo in Dio" (Col 3,3).


4. C'è un pensiero nella liturgia di oggi, che mi piace sottolineare perché mi dà modo d'integrare quel che vi ho detto finora intorno al valore della fede e alla fedeltà alla Chiesa. "Il Figlio dell'Uomo - diceva Gesù intervenendo in una discussione insorta tra i suoi apostoli - non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la propria vita in riscatto per molti" (Mc 10,45). Non, dunque, la dominazione sugli altri, ma il servizio; non il potere sui fratelli, ma la volontà di aiutarli; ecco un'altra virtù, che qualifica il vero cristiano. "Da questo riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri" (Jn 13,35). Di questa virtù, che in base al vocabolario evangelico chiamiamo amore del prossimo, voi, cittadini di Napoli, trovate dinanzi a voi esempi insigni, a cui dovete riguardare, a cui potete fruttuosamente ispirarvi.

Quanti tesori di genuina carità cristiana non rivelano le pagine della vostra vita religiosa? Quanti sono stati i santi e gli eroi della carità, spesso nascosti, che il Signore ha suscitato nelle varie età in mezzo a voi, per il soccorso dei poveri, per l'assistenza agli orfani e ai fanciulli abbandonati, per il sollievo dei malati incurabili, per l'intervento sempre tempestivo e spesso preveniente dinanzi alle insorgenti miserie? Il quadro luminoso della carità cristiana, fiorita qui in mille forme nel passato, costituisce un preciso punto di riferimento ed uno stimolo che vi sollecita a continuarla e ad incrementarla, secondo le perduranti o le nuove esigenze dei nostri giorni.


5. Parlo - come è facile intendere - dell'urgenza di sviluppare questo spirito di servizio, che il Signore Gesù non ha solo rivendicato a se stesso, ma ha raccomandato come "suo" precetto a tutti i suoi e, quindi, anche a noi. Parlo dell'esercizio della carità verso il prossimo che, nel contesto del supremo comandamento dell'amore, è la prova concreta della carità verso l'altro termine: Dio. Ma, dicendo ciò, non ignoro certo né sottovaluto la rilevanza e la gravità dei problemi della giustizia. Come potrei qui a Napoli chiudere gli occhi dinanzi ad alcune dolorose realtà, che si chiamano incertezza del vivere per la mancanza di lavoro e, di conseguenza, scarsezza del pane, pericolo delle malattie, inadeguatezza degli alloggi, stato di crisi diffusa per alcuni strati sociali? Questa situazione - credetemi - mi tocca profondamente nel cuore e, se ho accennato all'esercizio più attivo e concreto della carità fraterna, è perché intendo stimolare quelle forze spirituali e morali che possono, anzi debbono mettere in moto simultaneamente la giustizia sociale. Carità e giustizia non sono in opposizione, né si elidono a vicenda: la carità, primo dovere di ogni cristiano, non solo non rende superflua, ma richiama e completa la giustizia, che è virtù cardinale per ogni uomo.

Il 2 ottobre corrente dinanzi all'assemblea delle Nazioni Unite, ho voluto riaffermare che la pace dipende dall'onesta attuazione dei diritti dell'uomo, come già il mio predecessore Giovanni XXIII aveva affermato nell'enciclica "Pacem in Terris". Voi sapete come questi diritti abbiano una duplice dimensione, in quanto l'uomo vive "contemporaneamente nel mondo dei valori materiali e in quello dei valori spirituali. Per l'uomo concreto che vive e spera, i bisogni, le libertà e le relazioni con gli altri non corrispondono mai solamente all'una o all'altra sfera di valori, ma appartengono ad ambedue le sfere". Per cui anche "ogni minaccia ai diritti umani, sia nell'ambito dei beni materiali che in quello dei beni spirituali, è ugualmente pericolosa per la pace, perché riguarda sempre l'uomo nella sua integralità" (cfr. Giovanni XXIII, PT 14 PT 17 PT 19).

Una volta ancora perciò io voglio augurare la pace ad ogni Nazione e Paese del mondo e poiché parlo dal suolo italiano, voglio augurare la pace anche alla diletta Italia, che amo come una seconda patria. Auguro a tutte le nazioni la pace interna, il che vuol dire superamento delle tensioni esasperate e rinuncia alla pratica sempre deprecabile dell'azione violenta e terroristica. Come ho detto recentemente, "la pace non può essere stabilita mediante la violenza, la pace non potrà mai fiorire in un clima di terrore, di intimidazione e di morte" (Giovanni Paolo II, "Omelia a Drogheda", 29 settembre 1979). La violenza, infatti, è un male, essa è inaccettabile come soluzione dei problemi; essa è indegna dell'uomo.

Il senso cristiano dei valori deve convincerci che è un assurdo ricorrere alla violenza per raggiungere la giustizia e la pace.

La mia visita a Napoli coincide col pellegrinaggio al Santuario di Pompei, dove sono andato a rendere grazie per l'ultimo viaggio apostolico e a chiedere che esso apporti abbondanti frutti di bene, specialmente perché siano rafforzate le basi stesse della pace e dell'ordine nel mondo. Questo scopo spirituale del viaggio io estendo al presente incontro con voi, cari cittadini di Napoli. Si, anche dinanzi a voi e con voi io prego, ripeto, per la pace interna nella diletta Italia e lo faccio per un'intima esigenza del cuore verso questa terra benedetta dal Signore. Ricordiamo che "la lotta per la giustizia", condotta secondo una concezione unilaterale, può diventare sorgente di una ingiustizia maggiore e risolversi in una più aggravata minaccia per tutta la vita sociale.

Perciò bisognerà tutti impegnarsi, con particolare intensità, per ottenere questa pace interiore, e questo invito io rivolgo a tutti gli uomini responsabili, spronandoli a quest'opera di primaria necessità. Si tratta infatti del bene di tutti.


6. L'appello che io rivolgo, in primo luogo, ai figli della Chiesa, ma poi anche a tutti gli uomini di buona volontà, alle Autorità religiose e civili, è di raddoppiare gli sforzi, affinché certe situazioni di penuria e di disagio, che ingiustamente colpiscono e fanno soffrire tanti fratelli, siano, in spirito di concordia e di collaborazione, felicemente superate.

Nel proporvi come obiettivo immediato e primario un tale impegno di solidarietà operosa, voglio confidarvi che proprio a questo io pensavo nell'accettare il vostro invito, e che considerero, pertanto, come il frutto più consolante della mia visita l'aver contribuito - sia pure in misura modesta - a spronare e sostenere le necessarie iniziative da intraprendere. Napoli, infatti, merita questo interesse speciale; Napoli esige una diretta sollecitudine; Napoli ha bisogno di sperare: parlo della speranza nel suo vivere, nel suo futuro; parlo della speranza anche in senso umano e civile, la quale - come già il binomio giustizia e carità - è indissociabile dalla speranza più alta che arride, nella luce di Dio, alla vita cristiana.

Coraggio, dunque, fratelli ed amici di Napoli! Voglio essere io il primo a sperare, augurandomi, augurandovi che, con l'aiuto del Signore provvidente, con lo sforzo coordinato e volenteroso dei buoni, nella fedeltà a tutta prova ai valori cristiani, possa profilarsi sull'orizzonte di questa Città fascinosa un periodo di più rigoglioso sviluppo per un futuro lieto e sereno, in tutto degno del suo grande passato. E voglio concludere questo mio voto, invocando per voi la celeste protezione della Vergine Santa, qui venerata sotto il bel titolo di Madonna del Carmine. Con lei invoco il patrocinio dei Santi a voi più cari: san Gennaro, sant'Alfonso Maria de' Liguori, il beato Giuseppe Moscati e il Venerabile Bartolo Longo, mentre di tutto cuore vi imparto la mia benedizione apostolica.

Data: 1979-10-21

Data estesa: Domenica 21 Ottobre 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Nel Santuario della Madonna del Rosario - Pompei (Napoli)