GPII 1979 Insegnamenti - Ai vescovi dell'Oceania in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Ai vescovi dell'Oceania in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il grazie della Chiesa universale per l'opera di evangelizzazione

Testo: Cari fratelli in Cristo.

1. Con profondo e fraterno affetto vi ricevo nella Sede di Pietro e vi saluto con le parole di Paolo: "Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo" (Ep 1,2).

E' per me una grande gioia abbracciare in voi tutti i fedeli delle due nazioni che voi rappresentate: Papua Nuova Guinea e le Isole Salomone. Attraverso voi invio i miei saluti a tutte le comunità che si trovano nelle aree geografiche che siete chiamati a percorrere nel nome Cristo e per la causa del suo edificante messaggio di salvezza.

E' di particolare soddisfazione notare la presenza di Vescovi autoctoni in mezzo a voi, ben sapendo che la vita della Chiesa per sua natura è diretta alla piena espansione delle comunità ecclesiali locali. E' davvero un momento speciale dell'evangelizzazione, quando Cristo, attraverso la sua Chiesa, chiama all'Episcopato un figlio del popolo al quale ha rivelato la sua parola di salvezza.

Mi pare dunque giusto rendere omaggio a tutti voi e a tutti i missionari che per intere generazioni hanno speso se stessi per portare la Buona Novella di Gesù Cristo alle popolazioni dei vostri estesi territori. La storia di quell'evangelizzazione, di cui voi siete oggi gli araldi, è la traccia della grazia di Dio infusa nei vostri cuori; è un segno delle "mirabilia Dei" che prendono posto nella storia dell'uomo, nonostante numerosi ostacoli e cedimenti.

La Chiesa universale oggi esprime profondo ringraziamento per il lavoro compiuto in vista dell'edificazione del Regno di Dio nelle vostre regioni; per mezzo mio la Chiesa universale dà voce al debito di riconoscenza che ha verso voi e i vostri predecessori - verso tutti coloro che hanno iniziato la Chiesa - per la vostra generosità di fede e di amore.


2. Il nostro incontro di oggi assume un profondo significato in quanto manifesta la natura della Chiesa di Cristo e del Collegio dei Vescovi. Uniti con il Vescovo di Roma, e per tramite suo, uniti a tutti i vostri fratelli Vescovi sparsi per il mondo, voi percepite la dimensione della vostra stessa unità che ha conseguenze importanti per il vostro apostolato. Soprattutto voi siete venuti a celebrare il mistero della Chiesa e per essere confermati da Pietro nella fede di Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Sono certo che questa profonda dimensione ecclesiale della nostra unità continuerà ad essere fonte di forza e di gioia per il vostro ministero negli anni a venire.

Inoltre, i vostri contatti con la Curia Romana risultano utili al fine di metterla nelle condizioni di offrire un servizio sempre più efficace, nel mio nome, alle vostre Chiese locali. Ho fiducia che con la Grazia divina lo scambio di esperienze porterà frutto nelle future e degne iniziative pastorali per il bene del popolo di Dio. A prescindere da ogni pratica considerazione, il vostro convegno a Roma esprime il profondo mistero della solidarietà ecclesiale e in particolare la responsabilità pastorale delle Chiese locali che appartiene all'intero Collegio dei Vescovi e al suo capo, il Vescovo di Roma. Riconoscendo e celebrando insieme la nostra unità nell'apostolato, sappiamo che questa unità ha una efficacia soprannaturale sul vostro ministero in patria.


3. Non vorrei far cadere l'opportunità di sottolineare, tra i molti risultati della Chiesa nelle vostre regioni, la grande testimonianza all'amore cristiano che è stato reso dai missionari. Questa testimonianza si è manifestata per generazioni con il lavoro individuale e organizzato nella Chiesa, con l'attenzione caritatevole ai bisogni materiali delle popolazioni, con gli sforzi educativi, con le iniziative sanitarie e le cure mediche, e con una molteplicità di servizi resi liberamente per la causa della dignità umana. Soprattutto questa testimonianza d'amore si è evidenziata in un ardente desiderio di portare il Vangelo di Cristo al cuore di ogni individuo e comunità, di compiere la funzione principale della Chiesa che è quella "di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della Redenzione, che avviene in Cristo Gesù" (Giovanni Paolo II, RH 10). Auspico che questa testimonianza d'amore continui per sempre a Papua Nuova Guinea e nelle Isole Salomone.


4. Risulta evidente che il servizio missionario si rivela utile e necessario per il futuro dell'apostolato nei vostri paesi. La grande fase iniziale è stata superata, e si presenta come un trionfo della grazia divina. Ma il consolidamento e lo sviluppo di ciascuna Chiesa locale deve essere continuato. Questo sviluppo comporta due livelli: ogni Chiesa locale ha una sua identità di comunità ecclesiale particolare, con doni naturali e di grazia caratteristici, collocati dentro la varietà e l'unità di tutto il popolo di Dio. Ogni Chiesa locale è pertanto una particolare offerta di Cristo a suo Padre; dà una espressione singolare all'unico aspetto della pienezza di Cristo. Contemporaneamente ciascuna Chiesa locale è vera nella misura in cui riproduce in miniatura l'unica, santa, cattolica e apostolica Chiesa di Cristo. Per la Chiesa universale esiste soltanto un'unica santità e giustizia, ed è quella che proviene dalla verità (cfr. Ep 4,24). E questa verità è l'eterna verità della parola di Dio. Per questo motivo, cari fratelli, troviamo energia in abbondanza per proseguire la nostra predicazione apostolica, nonostante tutti gli ostacoli, con somma pazienza ed amore, ma anche con grande fedeltà nel deposito della parola di Dio proclamata dalla Chiesa universale. La perfetta identità delle Chiese locali si trova nella completa apertura alla Chiesa universale; e viene alimentata dalla coscienza dell'unità Cattolica.


5. In ogni sforzo che noi dobbiamo compiere per portare il Vangelo alle Nostre popolazioni e dentro ogni particolare della loro vita - questa è ultimamente la nostra vocazione - dobbiamo essere attenti a che il messaggio che noi predichiamo sia l'immutata parola di Dio. Non temiamo mai che la sfida sia troppo dura per il nostro popolo: essi sono stati salvati col sangue prezioso di Cristo; essi sono il suo popolo. Attraverso lo Spirito, Gesù Cristo, rivendica a sé la responsabilità ultima per l'accettazione della sua parola e per la crescita della sua Chiesa. E' lui, Gesù Cristo, che continuerà a donare la grazia al suo popolo, a rispondere alle esigenze della sua parola, nonostante tutte le difficoltà, nonostante tutte le debolezze. Spetta a noi continuare a proclamare il messaggio di salvezza nella sua integrità e purezza, con pazienza, compassione e nella convinzione che ciò che è impossibile all'uomo è possibile a Dio. Noi stessi siamo solo una parte di una generazione nella storia della salvezza, ma "Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre" (He 13,8). Egli è davvero capace di sostenerci quando noi riconosciamo la forza della sua grazia, la potenza della sua parola e l'efficacia dei suoi meriti.


6. La nostra grande forza si trova nella nostra unità ecclesiale che a sua volta si incrementa con la preghiera. Ed è la preghiera che costituisce il nostro principale programma di apostolato. "Actiones nostras, quaesumus, Domine, aspirando praeveni et adiuvando prosequere"! Attraverso la preghiera che ci unisce sempre più saldamente al disegno di Cristo sulla Chiesa, noi siamo in grado di pianificare sempre più efficacemente e fiduciosamente il futuro. In questo modo, fratelli, dedicate i vostri sforzi migliori a quei grandi problemi che toccano ognuno di voi: il problema delle vocazioni, l'importanza delle comunicazioni sociali, il ruolo dei catechisti, la generale promozione dei laici, non solo come metodo pratico di condividere la responsabilità del Vangelo, ma come compimento della volontà divina di associare i laici nella missione di salvezza della Chiesa.

Nella preghiera troverete la forza e la perspicacia per proseguire sulle tracce dell'evangelizzazione, confidando nella forza della parola di Dio per elevare e trasformare tutte le culture umane, arricchendole del contributo originale e insuperabile che proviene direttamente da Cristo Gesù, colui che incarna la pienezza dell'umanità.


7. Vorrei chiedervi di dedicare un'attenzione particolare alla cura della santità del matrimonio cristiano e alla proclamazione della pienezza del disegno di Dio per la famiglia. Questo compito è davvero importante: la sapienza e la sensibilità umana ci accompagneranno, ma solamente la saggezza divina vi illuminerà adeguatamente per questo ministero. Ricordate sempre che per la potenza della parola di Cristo e nell'unità della Chiesa di Dio, voi riuscirete a condurre il vostro popolo "per il giusto cammino, per amore del suo nome" (Ps 23,3).


8. Il mio pensiero oggi si rivolge a tutti i vostri collaboratori nel Vangelo - agli uomini e alle donne religiosi - che vi assistono nella costruzione della Chiesa con le parole e con le opere. Saranno largamente ricompensati in paradiso.

In special modo mi riferisco ai vostri sacerdoti, ai quali la provvidenza di Dio riserva una parte così importante nella proclamazione del Vangelo. Permettetemi di rivolgere a voi le parole che ho recentemente pronunciato ai vescovi d'Irlanda (30 settembre 1979): "La nostra relazione con Gesù costituirà la base più fruttuosa del nostro rapporto con i nostri sacerdoti se ci sforzeremo di essere loro fratelli, padri, amici e guide. Nella carità di Cristo noi siamo chiamati ad ascoltarli e a comprenderli; a scambiare punti di vista riguardanti l'evangelizzazione e la missione pastorale che essi condividono con noi quali cooperatori dell'ordine episcopale. Per tutta la Chiesa - ma specialmente per i sacerdoti - noi dobbiamo essere un segno visibile e umano dell'amore di Cristo e della fedeltà della Chiesa. così noi sosteniamo i nostri preti con il messaggio evangelico, confortandoli con certezza del magistero e fortificandoli contro le pressioni alle quali essi devono resistere. Con la parola e con l'esempio noi dobbiamo constantemente invitare i nostri sacerdoti a pregare".


9. Prego per tutte le vostre Chiese locali, affinché esse godano della pace e del progresso e perché siano ricolme delle consolazioni dello Spirito Santo (cfr. Ac 9,31).

Cari fratelli in Cristo: procediamo insieme sotto la protezione della nostra santissima Madre Maria, nella nostra comune responsabilità, per la gloria del nome di Cristo, proclamando la Buona Novella della salvezza: la "Buona Novella di una grande gioia che sarà di tutto il popolo" (Lc 2,10). A tutto il vostro clero, ai religiosi e ai laici imparto la mia apostolica benedizione, nell'amore di Gesù Cristo, il Figlio di Dio e Salvatore del mondo.

Data: 1979-10-23

Data estesa: Martedì 23 Ottobre 1979.

Al Cardinale Vicente Enrique y Tarancon - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Lettera per il 50° di ordinazione sacerdotale

Testo: Al Nostro venerabile Fratello Cardinale Vicente Enrique y Tarancon Arcivescovo di Madrid.

Il primo novembre, solenne per la festività di Tutti i Santi, sarà per te certamente assai solenne, poiché cade in quel giorno l'anniversario della tua ordinazione sacerdotale. Al tuo sacerdozio, come furono rivolti tutti i tuoi pensieri quando eri giovane, così ritorna l'animo quando vuole riandare alla fonte di tanti benefici, grazie, gioie, di cui la tua vita è ricolma, anche nelle preoccupazioni dell'episcopato.

Ora dopo dieci lustri passati negli "atri della casa del nostro Dio" (Ps 133,1) sotto la protezione di Cristo e di sua Madre, quelle gioie dolci e serene crescono.

Tra coloro che in questa occasione ti circondano, tua gioia e tua corona (cfr. Ph 4,1), considera anche moi presenti con l'amore e l'affetto. Noi, diciamo, che come siamo allietati dalle consolazioni dei nostri venerabili fratelli, così siamo rattristati dalle loro difficoltà. A somiglianza del beato apostolo Paolo (cfr. 2Co 6,11) il nostro cuore è aperto a te, Venerabile Nostro Fratello, e alla tua Chiesa, e alle situazioni critiche e ad ogni speranza che fiorisce nel tuo animo. E rivolgiamo assidue preghiere a Dio, perché ti assista sempre e oggi in modo particolarissimo.

Ormai è del tutto evidente il motivo del nostro rallegrarci oggi con te, venerabile nostro fratello: il sacerdozio e l'episcopato dei quali Dio ti ha onorato nella sua benevolenza. Mediante il sacerdozio infatti consacri l'Eucaristia, rimetti i peccati nel nome di Dio, e riconduci i peccatori all'amicizia del Padre celeste: beni divini affidati all'uomo! Mediante l'episcopato, annoverato tra i successori degli Apostoli, partecipi della loro dignità e del loro potere.

Ma anche di ciò grandemente ci rallegriamo, venerabile fratello, che la tua vita di sacerdote e Vescovo abbia avuto come punto di riferimento il fare tutto per la gloria di Dio. Ciò lo dimostra la tua egregia religiosità, e l'amore per Cristo e per la sua santissima Madre; e inoltre la tua intensa attivita, e la cura dei poveri, soprattutto degli ammalati, come si addice a un padre sollecito.

E poiché l'amore ti rendeva attento a tutto, scaturirono anche le opere: il tuo sacerdozio è illuminato dalla assidua predicazione del Verbo di Dio, sostenuta da non pochi scritti, dagli esercizi spirituali da te frequentemente predicati, dalla sollecitudine di mettere in atto le norme del Concilio Vaticano II, dallo splendore del culto e dall'onore attribuito alla musica sacra. Avesti anche cura della santità e della disciplina dei sacerdoti e dell'educazione cristiana dei bambini.

Ti ringraziamo di tutte queste cose e di molte altre, venerabile nostro fratello, e ti affidiamo alla benevolenza di Dio, di cui il pegno e il segno sia la mostra apostolica benedizione che impartiamo a te, ai tuoi Ausiliari, al clero e al tuo popolo di Madrid, tanto cari a noi, e a tutti coloro che ami.

Data: 1979-10-23

Data estesa: Martedì 23 Ottobre 1979.








Alla Commissione Teologica Internazionale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La ricerca aiuti ad approfondire la conoscenza del mistero di Cristo

Testo: Venerabili fratelli e diletti figli.

1. Con grande gioia salutiamo voi, membri della Commissione Teologica Internazionale, e innanzitutto il Presidente della Commissione, Cardinale Franjo Seper, poi il Cardinale Joseph Ratzinger, mentre per la prima volta vi incontrate con noi, come Pastore della Chiesa universale, in Vaticano.

Per prima cosa vogliamo fare la seguente dichiarazione: la vostra Commissione, istituita dal nostro venerando predecessore Paolo VI nel 1969, ha tutta la nostra approvazione e la nostra stima e da essa ci aspettiamo molto.

Nello stesso tempo vi ringraziamo moltissimo per la mole di lavoro già svolto, specialmente quello di questi ultimi cinque anni che sta ormai per essere terminato.


2. Voi non siete solo studiosi della disciplina teologica, e certamente studiosi insigni, ma la suprema autorità della Chiesa vi ha chiamati perché portiate il vostro aiuto al Magistero, e innanzitutto al Pontefice Romano e alla Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, cooperando in vari modi nelle cose teologiche. La vostra opera rifluisce anche nelle Chiese locali, che nella nostra epoca possono comunicare tra loro molto più facilmente di prima.

Da tutti questi elementi si evidenzia ancora di più la gravità del vostro compito o "responsabilità", che in un certo modo condividete con il Magistero della Chiesa. Diciamo "in un certo modo", infatti come ha sagacemente detto il nostro predecessore Paolo VI, il Magistero autentico, la cui origine è divina, "è insignito di un sicuro carisma di verità, che non si può condividere con altri e al quale non si può sostituire niente altro" (Paolo VI, "Discorso dell'11 ottobre 1973": AAS 65 (1973) 557ss)


3. Del resto questo vostro servizio, che portate al Magistero e a tutta la Chiesa l'avete abbondantemente collaudato, consapevoli di dover essere radicati nella vita ecclesiale che oggi è travagliata da tante difficoltà, da tanti pareri diversi e pericolosi. Vogliamo ricordare alcune cose: con lodevole impegno e non poca utilità vi siete occupati del problema del ministero sacerdotale, sul quale in questi anni si è molto discusso; è stato un argomento di grande importanza anche quello riguardante l'unità della fede e il pluralismo teologico; avete affrontato anche alcune questioni di teologia morale e che riguardavano i criteri di un atto onesto; avete esaminato attentamente anche le relazioni tra il Magistero Ecclesiastico e i teologi; vi siete anche accinti a studiare un argomento che interessa questi ultimi tempi: intendiamo dire la teologia della liberazione, che suscita l'interesse di molti, specialmente in alcune regioni della Chiesa cattolica, e che può aprire la strada a conclusioni definibili controverse; e non possiamo tacere che avete trattato questioni dottrinali sul sacramento del matrimonio, che certamente necessitano dell'indagine teologica perché la volontà di Dio Creatore e Salvatore si possa proporre in modo adeguato e persuasivo agli uomini del nostro tempo, per quello che riguarda queste questioni.

Il lavoro che avete compiuto è degno della nostra più grande stima e della nostra riconoscenza per voi: vi esortiamo caldamente a continuare il lavoro iniziato e ad aprire la via in questo mondo, tanto difficile ma anche tanto assetato di una speranza vera, alla gioia e alla pace nella fede (cfr. Paolo VI, "Discorso dell'11 ottobre 1973": AAS 65 (1973) 557).


4. Sappiamo che voi in questa sessione plenaria discutete di questioni scelte di Cristologia e speriamo che la vostra opera porti frutti non inferiori ai precedenti. Abbiamo già visto la grande abbondanza di materiale, di relazioni, di studi storici e teologici che riguardano questo argomento e leggeremo attentamente le conclusioni che trarrete in conformità alla vostra sapienza. In Cristologia infatti si possono manifestare aspetti nuovi, che si devono investigare con attenzione, tuttavia sempre alla luce delle verità che sono contenute nella fonte della Rivelazione e sono state enunciate nel corso dei secoli dal Magistero nella sua infallibiltà.

"Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16): questa è la testimonianza, che il capo degli Apostoli, illuminato dalla grazia e attingendo alla sua stessa esperienza, ha reso apertamente; "né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli" (Mt 16,17). In queste parole c'è quasi il compendio di tutta la nostra fede. La fede cristologica, che la Chiesa cattolica professa, è radicata, con l'apporto e con il sostegno della grazia, nell'esperienza di Pietro e degli altri Apostoli e dei discepoli del Signore, che hanno conversato con Gesù, che hanno visto e le cui mani hanno toccato, del verbo della vita (cfr. Jn 1,1). Quelle cose che avevano sperimentato in questo modo, alla luce della Croce e della Risurrezione e dalla discesa dello Spirito Santo hanno poi interpretato. Di qui è nata quella prima "sintesi", che si manifesta nelle confessioni e negli inni delle lettere apostoliche. Con il passar del tempo la Chiesa, richiamandosi senza interruzione a questa testimonianza, e sperimentando quelle verità con l'esperienza, ha espresso con parole sempre più precise la sua fede negli articoli dei grandi Concili. Voi, come teologi di questa Commissione, vi siete dedicati allo studio di questi Concili, in particolar modo del Concilio Niceno e di quello di Calcedonia. Infatti le formule di questi Sinodi universali hanno una forza permanente; si devono trascurare certamente le aggiunte storiche e le questioni, che si ponevano in quei tempi nella Chiesa e alle quali essa rispose con le definizioni dei Concili. Tuttavia le questioni sollevate connettono con le questioni dei primi secoli, e le soluzioni adottate allora si innestano nelle nuove risposte; le risposte di oggi dunque presuppongono sempre in certo qual modo gli enunciati della Tradizione, sebbene non si possano ricondurre ad esse in ogni parte.

Questa forza permanente delle formule dogmatiche si spiega tanto più facilmente in quanto sono state espresse con parole comuni, che sono dell'uso quotidiano e della consuetudine, sebbene talvolta ricorrano espressioni di tipo filosofico. Di qui non consegue che il Magistero abbia aderito ad una scuola particolare, poiché le medesime espressioni solamente vogliono significare ciò che si ritrova in ogni esperienza umana. Avete anche indagato come queste formule si riferiscano alla Rivelazione del Nuovo Testamento, secondo l'interpretazione della Chiesa.


5. E' evidente pero che lo studio dei teologi non è circoscritto solo, per così dire, entro la ripetizione delle formule dogmatiche, ma che è necessario che esso aiuti la Chiesa a penetrare sempre più profondamente nella conoscenza del mistero di Cristo. Il Salvatore parla anche all'uomo del nostro tempo; infatti ammonisce il Concilio Vaticano II: "In realtà solo nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo". Veramente "Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo: ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato" (GS 22).

Giustamente perciò nell'Enciclica "Redemptor Hominis" (RH 10) ho scritto: "L'uomo che vuole comprendere se stesso fino in fondo... deve con la sua inquietudine e incertezza e anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in lui con tutto se stesso, deve "appropriarsi" ed assimilare tutta la realtà dell'Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso".

Stando così le cose, è chiaro quanto sia importante lo studio di coloro che investigano questo mistero di Cristo secondo il criterio di una scienza più alta. Ecco il vostro compito, ecco l'importanza della vostra presenza nella Chiesa! La teologia quasi fin dagli inizi della Chiesa è cresciuta insieme alla pratica pastorale e ha avuto sempre e ha tuttora grande forza proprio per questo scopo, come per la catechesi. Ma questo vostro lavoro di indagine avviene per diverse vie: è noto che fin dai tempi antichi sono esistite più scuole teologiche; e anche nella nostra epoca sono riconosciute come legittime diverse opinioni e modi di pensare, così che si può parlare di un sano pluralismo. Tuttavia si deve sempre stare attenti che il "deposito della fede" rimanga integro e che il teologo rifiuti quei principi filosofici che sono inconciliabili con la fede.


6. Si presenta così l'occasione di toccare la questione della relazione tra "scienze umane" e Rivelazione, sulla quale vi siete ampiamente diffusi. Alcuni, estendendo troppo il campo proprio di scienze di tal genere, arrivano al punto di vanificare il mistero di Cristo, come lamenta san Paolo, e negare la stoltezza della Croce nella esaltazione della sapienza umana, fortunatamente un numero molto maggiore di teologi, sull'esempio di san Tommaso d'Aquino, sono convinti del fatto che la filosofia deve essere portata alle mete della fede. Ogni scienza è radicata nei propri principi; perciò la teologia ritiene che tutte le questioni devono essere risolte fino in fondo in base ai principi della fede. Agirebbe contro la propria natura se aderendo a principi estranei, desse il proprio assenso a conclusioni che sono irriducibili ai propri principi.


7. Sorgono talvolta difficoltà per quanto riguarda le relazioni tra il Magistero e gli stessi teologi. Come già abbiamo indicato, questo argomento l'avete trattato in una vostra sessione speciale tenuta pochi anni fa, esaminando tre aspetti di questo problema, cioè gli elementi comuni, quelli pertinenti sia al magistero sia al compito dei teologi, la differenza tra Magistero e teologia. Di questi aspetti vogliamo porre in luce il primo, che è di grandissima importanza: nel prestare servizio alla verità, il Magistero e i teologi sono legati da vincoli comuni, cioè sono vincolati dalla parola di Dio, "sensu fidei", che nella Chiesa dei tempi passati e di questa epoca ha avuto e ha valore, dai documenti della tradizione, dai quali è proposta la fede comune del popolo, infine dalla cura pastorale e missionaria, di cui ambedue devono tenere conto.

Se in modo debito si pone l'attenzione a tutte queste cose, forse si riescono a superare le difficoltà che via via si presentano. Inoltre i teologi, che affidano ai discepoli nelle sedi degli studi più elevati la loro disciplina, siano sempre consapevoli del fatto che non insegnano di propria autorità, ma in forza della missione ricevuta dalla Chiesa, come si ricorda nella costituzione apostolica "Sapientia Christiana" (n. 27 § 1).

Tutti questi punti che abbiamo solo toccato, illustrano sufficientemente l'importanza della teologia e perciò del vostro compito. Fate in modo di arricchire anche in futuro la Chiesa con i frutti della vostra indagine e del vostro servizio. Fate in modo che, come maestri, formiate giovani di intelligenza perspicace quali alunni della vostra disciplina così che siano sempre a disposizione della Chiesa teologi veramente esperti, di cui essa sempre ha bisogno.


8. Ci viene offerta l'occasione di commemorare due membri della Commissione, Edoardo Dhanis e Ottone Semmelroth, che la morte vi ha tolto e le cui anime affidiamo a Dio.

Infine, abbracciandovi con sincera carità, preghiamo il Signore, per l'intercessione della Beata Vergine Maria, che invochiamo come sede della sapienza, di assistervi, corroborarvi, ricompensare con premi i vostri meriti.

Confermi questi voti la benedizione apostolica che vi impartiamo con tutto cuore.

Data: 1979-10-26

Data estesa: Venerdì 26 Ottobre 1979.





Al Pontificio Consiglio "Co Unum" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Nel Vangelo la sorgente di ogni atto di carità

Testo: E' con molto piacere che ricevo, già per la seconda volta, il Pontificio Consiglio "Co Unum" in occasione della sua assemblea generale. Avendo potuto seguire più da vicino quest'anno la vostra attività, sono particolarmente felice di questo incontro che mi permette un contatto più approfondito con l'insieme dei membri del vostro Consiglio.

1. Come non evocare con voi, all'inizio, il ricordo di coloro che sono più particolarmente presenti alla vostra memoria e nella vostra preghiera in questi giorni? Ci hanno lasciato, l'uno dopo l'altro, il Padre John Molloy, religioso monfortiano che fu uno di quei collaboratori discreti ma preziosi che assicurano l'efficacia del lavoro. Poi il Cardinale Jean Villot, vostro primo Presidente, così caro a tutti noi. Egli fu strettamente associato nella fondazione e nell'orientamento di "Co Unum", e voi tutti sapete quanto egli, malgrado le sue molteplici e così pesanti responsabilità, desiderasse seguire le vostre attività e portarvi tutto il sostegno necessario.

Ed infine il Padre Henri de Riedmatten, domenicano, che ha messo a servizio di "Co Unum", cioè al servizio dei più poveri, senza calcolo e fino all'estremo limite delle sue forze, capacità e competenza fuori dal comune, che hanno segnato i primi anni di questa istituzione e di cui voi continuate a beneficiare.

Noi li raccomandiamo al Signore, ansiosi di continuare l'opera della Chiesa a cui essi si sono consacrati, ciascuno per parte propria, con fedeltà.


2. Due prospettive guidarono il mio predecessore, Papa Paolo VI, quando istitui il Pontificio Consiglio "Co Unum". Dapprima una visione realista delle cose: i bisogni sono immensi, appelli angosciosi salgono da ogni parte, le risorse sono limitate, l'amore fraterno e il dovere della condivisione cui richiama sono molto spesso raffreddati. Bisogna allora rendere possibile l'aiuto del "prossimo", organizzarlo, evitare la dispersione delle forze e delle risorse, coordinare le iniziative, grazie alla collaborazione dei differenti organismi votati all'azione caritativa. Ma il secondo aspetto, il più importante, consisteva in una viva coscienza delle implicazioni ecclesiali dell'esigenza evangelica della carità verso tutti gli uomini. Accanto al senso del prossimo, che è naturale ad ogni uomo cosciente della propria natura e della propria dignità, il Vangelo pone un'esigenza supplementare: "Caritas Christi urget nos", e questa comporta una forma di partecipazione alla vita della Chiesa che è essenziale per dare alla condivisione e all'aiuto fraterno il loro pieno significato che è esprimere la carità di Cristo. Questa prospettiva evangelica, spirituale ed ecclesiale costituisce la più profonda giustificazione dell'esistenza del Consiglio "Co Unum". Infatti essa si fonda, in definitiva, sulla coscienza della Chiesa come Corpo mistico di Cristo. Questo orientamento, che il mio grande predecessore Paolo VI ha voluto dare all'insieme delle azioni caritative, io oggi faccio totalmente mio poiché il Signore, chiamandomi alla Sede di Pietro, mi ha effettivamente chiamato a presiedere "alla carità universale".


3. Da oltre otto anni voi vi sforzate di agire in questo senso. Non voglio, in questi brevi istanti, rilevare come questa prospettiva ecclesiale ha ispirato le vostre continue relazioni con le Conferenze episcopali come pure le vostre relazioni ecumeniche, e allo stesso modo la vostra azione di affronto delle situazioni di difficoltà e delle urgenze, ahimè così numerose, o gli studi che conducete riguardo il modo propriamente cristiano di esaminare i problemi della promozione umana o della salute. Vorrei piuttosto approfittare del nostro incontro di questa mattina per considerare con voi le future prospettive.


4. Secondo la linea or ora ricordata, "Co Unum" ha giustamente messo al primo posto delle sue preoccupazioni la cura di una collaborazione sempre più attiva e più estesa con le Conferenze episcopali, sia quelle dei paesi che danno un aiuto materiale sia quelle dei paesi che lo ricevono. Non si tratta solamente, lo ripeto, di efficacia nelle relazioni, ma della stessa concezione della Chiesa, che, nell'esercizio della carità materiale, deve esprimere la carità spirituale che la anima e che è frutto dello Spirito Santo. Vi incoraggio dunque a continuare in questa linea, augurandovi che "Co Unum" divenga sempre di più, in particolare nelle occasioni delle visite "ad limina", un luogo dove si condivida, nella prospettiva che vi è propria, "la preoccupazione per tutte le Chiese". Non possiamo augurarci che i Vescovi trovino normale venire alla sede di "Co Unum", come vanno anche nei diversi organismi della Curia, e come i rappresentanti di "Co Unum" visitano essi stessi queste Conferenze quando vanno in missione?

5. Del resto, so quanto voi stessi, responsabili di agenzie di aiuto locali, e tutti coloro che lavorano con voi, siate preoccupati dall'obbligo di affrontare, giorno dopo giorno, le urgenze di ogni genere che vi assillano. Dovete tuttavia essere ancor di più attenti alla autenticità propriamente ecclesiale della vostra azione. L'uomo non vive di solo pane, questo pane che manca a una così grande parte dell'umanità; vive anche di verità, vive della parola di Dio. Se il ruolo delle agenzie di aiuto e delle istituzioni caritative è di agire, occorre che questa azione si ispiri sempre al Vangelo. Sebbene distinte, la missione propriamente evangelica della Chiesa e la sua azione caritativa, derivano dalla stessa sorgente, l'amore di Cristo Redentore, che rivela pienamente l'uomo a se stesso (cfr. Giovanni Paolo II, RH 10). Esse non devono dunque mai dare l'impressione di prendere la loro ispirazione da sorgenti diverse. Questo dice la necessità della vostra collaborazione con le Conferenze episcopali di tutti i paesi interessati. Nel Corpo mistico di Cristo, ciascuno dà e ciascuno riceve secondo ciò che il Signore ha distribuito ad ognuno, ma non ci sono mai scambi a senso unico. Questo dice anche l'esigenza di un'analisi propriamente cristiana, evangelica, degli avvenimenti: questa fonda la dottrina sociale della Chiesa nella sua specificità e nella sua ampiezza; guida la sua azione caritativa ben al di là delle prospettive propriamente tecniche o politiche che troppo spesso nel mondo determinano la valutazione dei bisogni e il modo di rispondervi.


6. Il ruolo di coordinamento che, sull'esempio di Papa Paolo VI, desidero vedere assolvere, dal vostro organismo, si pone in queste prospettive. Dal Vicario di Cristo, che il Pontificio Consiglio tiene informato dei problemi concreti, voi ricevete l'animazione e lo stimolo che garantiscono questa prospettiva evangelica che non bisogna mai lasciar indebolire o snaturare. Questa giustifica e ispira l'opera che vi è affidata. Essa deve anche ispirare il reciproco coordinamento di tutti gli organismi membri, grazie a uno scambio di informazioni e di consultazioni sull'opportunità della azioni da intraprendere.

Nessuno tema che l'efficacia tecnica e materiale, che il sollievo delle sofferenze umane, che sono il vostro scopo, possano trovarsi diminuite. Ma al contrario, la gratuità dei figli di Dio, la carità stessa di Cristo, brilleranno molto di più agli occhi degli uomini. Si, attraverso l'azione di tutte le opere caritative, si manifesti la compassione del Signore per tutte le folle sofferenti.


7. Con questi sentimenti vi invio i miei vivi incoraggiamenti ad approfondire continuamente le intuizioni che hanno portato il mio venerato predecessore a fondare il Pontificio Consiglio "Co Unum". Riprendete e meditate i documenti che sono la "carta" della vostra Istituzione".

Ringraziandovi per tutto ciò che fate, imparto di gran cuore la benedizione apostolica a voi e a tutti coloro che collaborano con voi e che voi rappresentate.

Data: 1979-10-27

Data estesa: Sabato 27 Ottobre 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Ai vescovi dell'Oceania in visita "ad limina" - Città del Vaticano (Roma)