GPII 1979 Insegnamenti - Alla riunione plenaria del Sacro Collegio - Città del Vaticano (Roma)

Alla riunione plenaria del Sacro Collegio - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Unione nella verità e nella carità per realizzare il Concilio

Testo: Venerabili Fratelli, Membri del Sacro Collegio! Il Cardinale Decano, con le sue parole sempre così piene di amabilità e di concretezza, ha voluto rivolgermi, anche a nome di tutti voi, gli auguri per il mio onomastico. E' doveroso, da parte mia, anzitutto ricambiarglieli e rinnovarglieli pubblicamente, ed inoltre ringraziarlo con affettuosa sincerità non solo per quello che egli ha voluto ricordare di questo primo anno del mio servizio come Pastore della Chiesa universale, ma per quello che egli, a nome vostro, ha inteso augurare non soltanto a me, ma alla Chiesa ed alla stessa umanità: che si realizzi, cioè, un generale rinnovamento, nella pratica adesione alla dottrina di Cristo.

E non è forse questa, in sintesi, la finalità spirituale del Concilio Vaticano II, il grande evento ecclesiale di questo nostro secolo, evento la cui attuazione è affidata all'impegno di tutto il Popolo di Dio? Il caro Cardinale Confalonieri ha giustamente ricordato san Carlo Borromeo, mio celeste patrono.

Quanto lavoro, quanto soffri egli per rendere operanti nella vastissima arcidiocesi di Milano le sapienti direttive di carattere dottrinale, morale, pastorale, liturgico del Concilio di Trento! A lui, mio protettore, in questo momento di grazie e di benedizione, che ci vede insieme riuniti, innalzo la mia fervente preghiera perché trasmetta ai nostri cuori il suo ardore e la sua dedizione per la Chiesa e per le anime.

I. Esercizio della collegialità


1. Venerabili fratelli, Membri del Sacro collegio! All'inizio del nostro incontro desidero soprattutto esprimere la gioia di vedere qui raccolto nella sua completezza il Collegio Cardinalizio, il cui scopo principale è di eleggere il Vescovo di Roma, come è accaduto, durante lo scorso anno, per ben due volte. Il triste dovere di dar commiato ai Papi defunti - prima a Paolo VI, dopo quindici anni di pontificato, poi a Giovanni Paolo I, dopo solo trentatré giorni di ministero pontificale -, ci ha radunati per due volte in breve tempo a Roma. Conforme alle indicazioni della costituzione apostolica "Romano Pontifici eligendo", nei giorni che precedettero il Conclave, abbiamo tenuto le Congregazioni plenarie, alle quali presiedevano il Venerabile Decano del Sacro Collegio e il Cardinale Jean Villot, Camerlengo, che il Signore chiamo a sé all'inizio del marzo di quest'anno.

Tali frequenti incontri dell'intero Collegio Cardinalizio offrirono l'occasione di avanzare la proposta che il Collegio stesso potesse riunirsi, almeno di tanto in tanto, anche fuori del tempo del Conclave. Aderendo a questa proposta, ho pensato di invitare i Venerabili Signori Cardinali a questa riunione, che mi permetto di inaugurare ed aprire col presente discorso. Invitandovi, mi rendevo conto che la venuta a Roma avrebbe comportato la necessità di abbandonare i molti ed importanti lavori che vi impegnano nei vostri Paesi e nelle diocesi.

Oggi pertanto desidero ringraziare tanto più cordialmente tutti voi per la vostra presenza.


2. Il nostro incontro è pienamente giustificato dal carattere della dignità che avete e dalle mansioni spettanti al Collegio Cardinalizio, che voi tutti costituite: voi, infatti, venerabili fratelli, oltre al compito di eleggere il Vescovo di Roma, avete anche quello di sostenerlo in modo particolare nella sollecitudine pastorale per la Chiesa nelle sue dimensioni universali. A questa sollecitudine partecipano direttamente, in modo continuo e costante, quelli tra di voi che appartengono alla Curia Romana, nella quale rivestono gli uffici più responsabili. Tuttavia, accanto a questo gruppo di meritevoli Collaboratori, tutti gli altri membri del Sacro Collegio condividono col Papa la comune sollecitudine per la Chiesa. Il vostro legame con questa Sede Romana è particolare e il segno esteriore di questa unione sono, per esempio, le chiese della Città Eterna che godono del titolo, della dignità e del patronato di ciascuno di voi. Proprio in questo singolare legame con la Chiesa Romana sta il motivo per cui il Vescovo di Roma desidera incontrarsi con voi più spesso, per trarre profitto dai vostri consigli e dalle vostre molteplici esperienze. Inoltre, l'incontro dei membri del Collegio Cardinalizio è una forma in cui si esercita anche la collegialità vescovile e pastorale, che è in vigore da oltre mille anni, e conviene che noi ce ne avvaliamo anche nei tempi odierni. Ciò non indebolisce in alcun modo, né diminuisce i doveri e la funzione del Sinodo dei Vescovi, la cui prossima riunione ordinaria è prevista per l'autunno dell'anno venturo. Attualmente sono in corso i lavori preparatori di tale riunione, il cui tema "De muneribus familiae christianae", in conformità con i suggerimenti di molte Conferenze Episcopali e di ambienti diversi, fu stabilito ancora dal Papa Paolo VI di venerata memoria.


3. Sembra dunque che l'incontro del Collegio Cardinalizio nell'autunno di quest'anno possa con profitto, occuparsi di un esame, almeno sommario, di alcuni problemi un po' diversi da quelli sui quali lavora il Sinodo dei Vescovi. Questi problemi, che in modo introduttivo desidero per lo meno delineare, sono importanti, data la situazione della Chiesa universale, e al tempo stesso sembrano essere più strettamente collegati col ministero del Vescovo di Roma, che non quelli che devono costituire il tema del Sinodo dei Vescovi. E' ovvio che qui non si può parlare di alcuna rigorosa delimitazione.

Subito all'inizio, desidero anche rilevare che, oltre alle questioni che fra poco presentero da parte mia, conto sulle proposte, che avanzeranno e illustreranno i singoli partecipanti a questo nostro consesso. Prevediamo per questo un dovuto spazio nell'ordine delle nostre sedute. Questo ordine, contrariamente a quanto avviene nel Sinodo dei Vescovi, non si basa su alcuno Statuto particolare. Esso è stato preparato "ad hoc", secondo le esigenze previste per l'attuale riunione (un po' sul modello delle Congregazioni, svoltesi prima del Conclave nell'anno scorso). Vorrei subito aggiungere che, oltre alle enunciazioni orali nel corso delle riunioni, saranno preziose tutte le osservazioni e proposizioni scritte. Mi rendo conto che l'insieme dei nostri lavori non può far perdere troppo tempo ai Venerabili Membri del Sacro Collegio e anche questo abbiamo preso in considerazione nel preparare il programma e l'ordine della nostra Adunanza.

II. La via della Chiesa


4. Con la grazia di Dio Altissimo e sotto la protezione della Madre di Cristo e Madre della Chiesa, ho iniziato, il 16 ottobre dell'anno scorso, l'esercizio dell'universale servizio pastorale, al quale sono stato chiamato con i vostri voti, Venerabili Cardinali, durante l'ultimo Conclave. così come so fare, secondo le mie forze e con la miglior buona volonta - ma soprattutto aiutato dalla luce e dalla potenza dello Spirito Paraclito - cerco di esercitare questo servizio e non smetto di chiedere a tutti e a ciascuno, e soprattutto a voi, cenerabili e cari fratelli, di pregare secondo questa intenzione. Non intendo informarvi qui dei singoli lavori che hanno riempito il primo anno del pontificato, anche perché essi sono ben noti a voi tutti. Desidero, invece, ancora una volta, richiamarmi a tutto ciò che mi è stato dato di mettere in risalto già nel primo discorso all'indomani dell'elezione. Una coerente realizzazione dell'insegnamento e delle direttive del Concilio Vaticano II è e continua ad essere il principale compito del pontificato.

Questo era, in sostanza, il contenuto di quel discorso. Il Concilio infatti ha elaborato e messo dinanzi a tutta la Chiesa una visione "complessiva" dei compiti che devono essere realizzati nel contesto del reciproco legame e di una organica dipendenza, servendosi evidentemente di metodi molteplici ed avendo a disposizione la propria prospettiva teologica e storica.

5. Nella costituzione "Gaudium et Spes" leggiamo: "Il Signore Gesù quando prega il Padre, perché "tutti siano una cosa sola come io e te siamo una cosa sola" (Jn 17,21-22), mettendoci davanti orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione della persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità" (GS 24). L'aspirazione all'unione degli uomini come "figli di Dio uniti nella verità e nella carità" non cessa di essere una prospettiva di tutta la vita e missione della Chiesa sia all'interno della sua propria comunione sia al di fuori di essa, nel raggio dei singoli "cerchi del dialogo", come li chiamo il Papa Paolo VI nella prima enciclica del suo pontificato. Tutti ci rendiamo ben conto che quella aspirazione all'unione nella verità e nella carità non cessa di essere l'aspirazione alla verità in cui dobbiamo incontrarci reciprocamente, come pure l'aspirazione alla carità mediante la quale dobbiamo unirci reciprocamente. Non può essere diversamente nello stato dell'esistenza umana terrestre. In questo senso soprattutto mi sono permesso di mettere in evidenza, nell'enciclica "Redemptor Hominis", che Cristo indica sempre alla Chiesa, e nella nostra epoca in modo particolare mediante la voce del Concilio, la via all'uomo, ad ogni uomo, e in questo senso l'uomo nel Cristo diventa in un certo senso la via della Chiesa.

In questo modo otteniamo sempre di nuovo la prospettiva storica della missione della Chiesa, che per noi si unisce con la prospettiva teologica della fede, dato che ad ogni uomo e a tutti gli uomini è stata indicata quella "unione nella verita e nella carità", cioè l'unità spirituale legata alla dignità "di figli di Dio". E' quindi doveroso far in modo che quella formula sintetica, lasciataci dal Concilio nella sua costituzione pastorale, unisca veramente in sé tutti i singoli sforzi che costituiscono l'opera della realizzazione del Concilio.

Questa opera nella sua più profonda realtà è simboleggiata da quell'albero della vita, col quale l'uomo ha rotto una volta il legame mediante il peccato originale (cfr. Gn 3,1-7), e che mediante Cristo ha iniziato di nuovo a svilupparsi molto nella storia dell'umanità. Il Concilio non ha tanto svelato dinanzi a noi l'eterno mistero di questo sviluppo, quanto piuttosto ha mostrato in modo insolitamente penetrante la sua tappa contemporanea. Perciò l'obbedienza all'insegnamento del Concilio Vaticano II è obbedienza allo Spirito Santo che è dato alla Chiesa, per ricordare ad ogni tappa della storia tutto ciò che Cristo stesso ha detto, per "insegnare alla Chiesa ogni cosa" (cfr. Jn 14,26). L'obbedienza allo Spirito Santo si esprime nell'autentica realizzazione dei compiti indicati dal Concilio, in pieno accordo con l'insegnamento in esso proposto.


6. Non si possono trattare questi compiti come se non esistessero. Non si può pretendere di far retrocedere, per così dire, la Chiesa lungo il corso della storia dell'umanità. Ma non si può neanche correre presuntuosamente in avanti, verso forme di vivere, di intendere e di predicare la verità cristiana e infine verso modi di essere cristiano, sacerdote, religioso e religiosa, che non hanno copertura nell'insegnamento integrale del Concilio, "integrale", cioè inteso alla luce di tutta la Santa Tradizione e sulla base del costante Magistero della Chiesa stessa. Grande e molteplice compito, quello che pone dinanzi a noi l'imperativo della realizzazione del Concilio! Esso richiede vigilanza continua circa il carattere autentico di tutte le iniziative, in cui si articolerà tale realizzazione. La Chiesa, comunità viva dei figli di Dio uniti nella verità e nell'amore, deve fare un grande sforzo, in questo periodo, per entrare sulla via diretta della realizzazione del Vaticano Il e staccarsi dalle opposte proposte, ognuna delle quali si rivela, nel suo genere, un allontanamento da questa via.

Solo questa via - cioè l'obbedienza onesta e sincera allo Spirito di verità - può servire all'unità e nello stesso tempo alla forza spirituale della Chiesa.

Essa soltanto può, inoltre, servire all'opera dell'ecumenismo, cioè a quella rinnovata unità che, in una prima accezione, intendiamo come l'unione mediante la carità, ma che, più in profondità, intendiamo poi anche come un graduale incontro nella pienezza della verità con tutti coloro che insieme con noi credono in Cristo. Solo quella via - la via dell'unione interna della Chiesa, del Popolo di Dio - può servire all'opera dell'evangelizzazione, cioè all'effettiva manifestazione a tutti gli uomini di quella verità e vita che è Cristo stesso.

Questa unione nella verità e nella carità è una particolare esigenza dei nostri tempi, anche perché in essi ci incontriamo con la negazione di questa verità e con la radicale messa in dubbio del Vangelo e della religione in genere.


7. Questo sguardo sull'intera situazione induce a trarre anche alcune importanti conclusioni, che si possono definire "pratiche" (in quanto il Concilio Vaticano II, basandosi sul Vangelo e sulla Tradizione, ha formato solo lo scheletro di tutta la "praxis" cristiana contemporanea, la prassi del Popolo di Dio).

La conclusione più importante riguarda l'adeguato intendimento ed esercizio della libertà nella Chiesa. Il Concilio, seguendo le parole del Signore, desidera servire allo sviluppo di questa libertà, la libertà dei figli di Dio, che nei nostri tempi, specialmente, ha grande significato, in quanto siamo testimoni di molte forme di costrizione dell'uomo, comprese le costrizioni della sua coscienza e del suo cuore. Non si deve mai dimenticare che il Signore ha detto: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,32). Perciò la Chiesa deve custodire nel cuore e nella coscienza di ogni suo figlio e sua figlia ed anche, se è possibile, nel cuore e nella coscienza di ogni uomo, la verità della libertà stessa. Spesse volte la libertà della volontà e la libertà della persona sono intese come diritto di fare qualunque cosa, come diritto di non accettare alcuna norma né alcun dovere che impegnino nella dimensione anche di tutta la vita, per esempio i doveri provenienti dalle promesse matrimoniali o dall'ordinazione sacerdotale. Cristo pero non ci insegna una tale interpretazione ed esercizio della libertà. La libertà di ogni uomo crea doveri, richiede il pieno rispetto della gerarchia dei valori, è potenzialmente indirizzata al Bene senza limiti, a Dio. La libertà agli occhi di Cristo non è prima di tutto "libertà da" ma è "libertà per". Il pieno sfruttamento della libertà è l'amore, in particolare l'amore mediante il quale l'uomo dona se stesso. L'uomo infatti, come leggiamo nello stesso capitolo della "Gaudium et Spes", "non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" (cfr. GS 24).

E' questa interpretazione ed è questo esercizio della libertà che debbono ritrovarsi alle basi di tutta l'opera del rinnovamento. Soltanto l'uomo che capisce ed esercita la sua libertà nel modo indicato da Cristo apre il suo spirito all'opera dello Spirito Santo, che è Spirito di verità e di amore.

Dall'autentica affermazione della libertà dei figli di Dio dipende la grande opera delle vocazioni sacerdotali, religiose, matrimoniali; dipende l'effettivo progresso ecumenico; dipende tutta la testimonianza cristiana, cioè la partecipazione dei cristiani alla causa di far diventare il mondo più umano.

Questa è la prima condizione.


8. La seconda condizione del rinnovamento della Chiesa nello spirito del Vangelo (e cioè nello spirito del Vaticano II) è costituita da una continua crescita della solidarietà, cioè dell'amore comunitario (sociale), sia all'interno della Chiesa sia in relazione a tutti gli uomini, senza riguardo alla loro confessione o alle loro convinzioni. Si è fatto molto in questo senso nell'ultimo periodo, come è testimoniato dall'attività della Commissione "Iustitia et Pax" e anche da quella del Consiglio "Co Unum". E' ovvio che la possibilità che ha la Chiesa di offrire contributi economici in relazione ai molteplici e differenziati bisogni materiali nei diversi luoghi della terra, è limitata. Bisogna anche qui sottolineare che questa solidarietà "ad extra" della Chiesa richiede solidarietà "all'interno".

Ho cercato di richiamare l'attenzione su questo soprattutto nei discorsi del Mercoledì durante la scorsa Quaresima. La Chiesa stessa è una grande comunità, nell'ambito della quale vi sono situazioni diverse nelle singole comunità; non mancano coloro che soffrono ristrettezze materiali, ma non mancano anche coloro che soffrono oppressione e persecuzione. In tutta la comunità cattolica, nelle singole chiese locali, deve crescere il senso di una particolare solidarietà con questi nostri fratelli nella fede, particolarmente con quelli appartenenti a Chiese del rito orientale, dove queste neppure hanno il riconoscimento della loro legale esistenza. Nel mondo contemporaneo, a suo modo dominato da tutto il sistema dello scambio d'informazione, è necessario - sia all'interno della Chiesa sia all'esterno, dinanzi all'opinione mondiale - uno scambio permanente delle informazioni riguardanti sia coloro che soffrono la miseria, come anche coloro che soffrono per la fede. Essi devono sentire in modo particolare che non sono abbandonati nella sofferenza, che tutta la Chiesa li ricorda, pensa a loro e prega per loro, che sono al centro dell'attenzione di tutti e non alla periferia.

In questo campo la Chiesa "ricca e libera" (se ci si può esprimere così) ha enormi debiti ed impegni verso la Chiesa "povera e in costrizione" (se anche questi attributi si possono usare). Solidarietà vuol dire soprattutto adeguata comprensione e poi adeguata azione, non in base a ciò che corrisponde alla concezione di colui che aiuta, ma in base a ciò che corrisponde ai reali bisogni di colui che è aiutato e alla sua dignità.

Non dimentichiamo quel fondamentale principio dell'economia della salvezza, secondo cui l'uomo che offre agli altri salva se stesso. Può darsi quindi che il rimedio per molteplici difficoltà interne, di cui soffrono alcune chiese locali, alcune comunità cristiane, si trovi proprio in questa solidarietà.

Le difficoltà verranno efficacemente superate allorché (in un certo senso distogliendo lo sguardo da se stesse) esse incomincino a servire gli altri "nella verità e nella carità". Questo principio interpreta in modo più semplice la funzione missionaria della Chiesa - ed anzi esso pone uno stimolante postulato e, in un certo senso, un imperativo missionario per la nostra generazione; per la generazione alla quale la Provvidenza ha affidato una grande opera di rinnovamento - la generazione che qualche volta si ritrova vacillante e scoraggiata nel constatare il crollo di alcuni fronti della vita tradizionale della Chiesa, la crisi delle istituzioni fondamentali e ancor di più la crisi che si verifica negli uomini, nei loro atteggiamenti e nelle loro coscienze.


9. Il rinnovamento della Chiesa, secondo il "programma" splendido che il Concilio Vaticano II ha proposto, non può essere nella sua fondamentale ossatura (e anche nelle sue concrete manifestazioni) altro che un'autentica conversione a Dio commisurata alle esigenze del nostro tempo. La chiamata alla conversione ("metanoeite"), cioè alla penitenza, è solo la prima parola del Vangelo, ma anche la sua parola costante ed insostituibile. Da questa parola proviene tutta la vitalità della Chiesa. La Chiesa si trova tanto più pienamente "in statu missionis" - cioè tanto più pienamente realizza la sua missione - quanto più si converte a Dio. E solo mediante tale autoconversione essa diventa più potente come centro della conversione degli uomini e del mondo allo stesso Creatore e Redentore.

Si deve quindi guardare con una certa inquietudine al diffuso allentamento di questi fondamentali sforzi, che sempre rendono testimonianza dello spirito di penitenza e della dinamica della conversione tra i confessori di Cristo. Parimenti è doveroso, d'altra parte, ringraziare Dio con gioia per tutto ciò in cui si manifesta l'autentico "soffio dello Spirito"; per il risveglio del bisogno della preghiera, della vita sacramentale, specialmente della partecipazione all'Eucaristia; per il profondo ritorno alla Sacra Scrittura; per la ripresa, almeno in alcuni luoghi, delle vocazioni sacerdotali e religiose; per tutto ciò che si può definire come "risveglio spirituale". E questo, venerabili fratelli, dobbiamo studiarci di custodire con particolare cura, creando le condizioni necessarie all'ulteriore sviluppo di queste benedette correnti, così necessarie alla Chiesa e all'umanità, la quale si rende conto sempre meglio degli esiti a cui conduce il materialismo contemporaneo nelle sue molteplici manifestazioni.

III. Tre relazioni

10. Nella parte precedente del mio discorso ho cercato di non trattare direttamente problemi particolari, ma piuttosto di mettere in evidenza le basi dalle quali dipende la realizzazione del compito, posto davanti a tutta la Chiesa nella presente tappa della storia. Spero che ciò aiuterà i Signori Cardinali qui convenuti a formulare le loro osservazioni e proposte, che aspettiamo anche nel corso di questo incontro.

Dopo questo discorso introduttivo di natura generale, verranno pronunciate tre relazioni di carattere più particolareggiato. Esse riguardano i problemi concreti sui quali la Sede Apostolica ritiene utile di informare l'Illustre Collegio, per averne il responsabile parere. Per dare possibilità a tutti di esprimersi sono previsti, tra l'altro, incontri nei circoli linguistici.

La prima relazione, del Cardinale Segretario di Stato, si riferirà all'insieme delle strutture della Curia Romana, così come esse sono state riordinate, in seguito ai suggerimenti del Concilio, nella costituzione apostolica di Papa Paolo VI "Regimini Ecclesiae Universae". Queste strutture si pongono in legame organico col molteplice indirizzo dell'attività contemporanea della Chiesa.

La prospettiva dell'ulteriore attuazione del Concilio Vaticano II dipende in buona parte dall'efficace funzionamento di queste strutture, e dalla loro programmata cooperazione con le analoghe strutture nell'ambito delle Chiese locali e delle Conferenze Episcopali.

L'argomento della seconda relazione, che sarà tenuta dal Cardinale Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica, è un problema più specifico, ma non meno importante. Si tratta dell'attività delle singole Accademie Pontificie e in particolare della Pontificia Accademia delle Scienze. Questo Ente, istituito dal papa Pio XI, ha una fondamentale importanza nell'ambito dei rapporti tra la fede e la conoscenza e tra la religione e la scienza. Anche qui occorre riflettere su di un modello più collegiale nella formazione della cooperazione in questo campo, che è importante per la Chiesa nella sua dimensione universale.

La costituzione pastorale "Gaudium et Spes" ha dedicato un capitolo a parte al problema del rapporto tra la Chiesa e la cultura. Seguendo lo spirito di questo documento, occorrerebbe poi cercare una espressione adeguata del rapporto della Chiesa col vasto campo dell'antropologia contemporanea e delle scienze umanistiche, così come Pio XI cerco l'espressione del rapporto della Chiesa con le scienze matematiche e naturali, istituendo la Pontificia Accademia delle Scienze.

E sono lieto che, fra alcuni giorni, abbia luogo una solenne Sessione di tale Pontificia Accademia per commemorare il centenario della nascita di Albert Einstein, alla presenza di tutti voi, Venerati e Cari Fratelli.

Il terzo argomento, infine, che sarà oggetto della relazione del Cardinale Presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, si riferisce a quell'insieme di problemi, che furono già toccati in modo introduttivo nel corso delle Congregazioni cardinalizie, che precedettero il Conclave di agosto nell'anno scorso. Tenendo presenti i diversi campi dell'attività della Sede Apostolica, che si dovevano sviluppare in relazione con la realizzazione del Concilio e con gli attuali compiti della Chiesa sia nel campo dell'evangelizzazione che in quello del servizio agli uomini in spirito evangelico, è necessario formulare la domanda sui mezzi economici. In particolare, il Collegio cardinalizio ha il diritto e il dovere di conoscere esattamente l'attuale stato della questione.


11. Ecco, venerati e cari fratelli, brevemente delineato un complesso di problemi che devono costituire il tema di questo incontro, da me tanto atteso. Spero che la Sede della Sapienza e Madre della Chiesa implorerà per noi la luce necessaria per poter, in un tempo relativamente breve, esaminare questi problemi ed assicurare loro delle soluzioni efficaci nel futuro servizio del Vescovo di Roma.

Data: 1979-11-06

Data estesa: Martedì 6 Novembre 1979.









Alla "Giornata del Ferroviere" - Stazione Termini (Roma)

Titolo: La dimensione umana e spirituale dei viaggi

Testo: Carissimi viaggiatori! Profittando di questa breve sosta nella Stazione Termini, prima di giungere al Deposito locomotive al Salario per la celebrazione della Santa Messa, in occasione della Giornata del Ferroviere, desidero rivolgere un saluto particolarmente affettuoso a quanti oggi sostano in questo punto d'incontro di passeggeri nella Roma cosmopolita, a cui anch'io, per misteriosa volontà di Dio, sono giunto dalla Polonia, come già san Pietro dalla Galilea, quale Vescovo dell'Urbe e Pastore della Chiesa universale.

Desidero anzitutto esprimere un cordiale pensiero a quanti si prodigano per il buon funzionamento di questa Stazione e delle Ferrovie: al Direttore Generale, ai funzionari nei vari uffici, ai capistazione e capitreno, ai conduttori e macchinisti, a tutti gli addetti ai vari servizi di manutenzione, di riparazione e di pulizia. Ricordo in special modo coloro che qui operano per la pubblica sicurezza, per la tutela dell'ordine sociale e morale e per la difesa di quelle persone che, trovandosi sole e come sperdute in una grande stazione come questa, possono trovarsi in situazioni di pericolo, fisico o spirituale. A tutti costoro vadano il mio riconoscimento e il mio incoraggiamento per codesto delicato ed importante servizio a favore della società.

Il mio pensiero si estende poi a tutta l'immensa moltitudine dei viaggiatori, i quali per motivo di lavoro o di studio, per ragioni sociali o religiose o turistiche sono in movimento per le vie del mondo. Penso soprattutto agli emigranti, i quali per assicurare il necessario alle proprie famiglie sono costretti a lasciare la propria patria e i propri cari e sottoporsi a sacrifici e stenti in terre sconosciute.

In coloro che sono in viaggio, si rispecchia un aspetto della vita di Gesù, il quale durante la vita pubblica, nei tre anni della predicazione messianica, viaggio costantemente da una regione all'altra, da una città all'altra dell'antica Palestina. E come Gesù, che è la nostra "Via" (cfr. Jn 14,6), così fecero gli Apostoli, che si sparsero per le vie del mondo ad annunziare la "buona novella" a tutte le nazioni.

Quali che siano i motivi per cui vi mettete in viaggio, sappiate dare ad esso anche una dimensione umana, perché mediante i viaggi, come dice il Concilio, "si affina lo spirito dell'uomo e gli uomini si arricchiscono con la reciproca conoscenza" (GS 61); in tal modo vengono offerte buone occasioni per stabilire fraterni rapporti tra persone di ogni condizione e stato sociale, come di ogni nazionalità, per integrare così la propria formazione culturale e, soprattutto, per comprendere i bisogni degli altri. Dalla conversazione, infatti, e dal confronto di idee si acquisisce una maggiore coscienza della necessità della umana solidarietà e dell'aiuto vicendevole.

Auspico, poi, in modo particolare, che sappiate dare ai vostri viaggi anche una dimensione spirituale, vorrei dire, un senso biblico di ideale pellegrinaggio verso la terra promessa. Nel senso inteso anche da sant'Agostino, quando spiegava ai suoi fedeli: "Che cosa significa camminare? andare avanti bene, progredire nella santità... Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità" (S. Agostino, "Sermo, 3": PL 38, 1193).

Affido questi voti alla Vergine santissima, Madonna della Strada, affinché li avvalori con la sua potente intercessione, mentre, assicurando il mio ricordo nella preghiera, di cuore imparto a tutti voi, alle vostre famiglie e ai vostri cari lontani la mia speciale benedizione apostolica. Data: 1979-11-08

Data estesa: Giovedì 8 Novembre 1979.





Per la "Giornata del Ferroviere" - Deposito di Roma-Smistamento

Testo: Onorevole Signor Ministro, Signor Direttore Generale, Tecnici e Lavoratori delle Ferrovie dello Stato, Carissimi fratelli e sorelle!

1. E' con grande gioia e soddisfazione che mi trovo oggi in mezzo a voi per celebrare la "Giornata del Ferroviere", che si festeggia ogni anno in tutti i Compartimenti ferroviari d'Italia, a ricordo di quel lontano 3 ottobre 1839, quando fu inaugurata la prima ferrovia italiana Napoli-Portici. Come mi hanno confermato i saluti testé ascoltati, si tratta di una festa di famiglia, durante la quale vengono consegnate medaglie e diplomi di anzianità, distintivi di onore e di benemerenza agli infortunati per causa di servizio, nonché attestati ai familiari dei compianti caduti sul lavoro.

Ringrazio di cuore il Signor Ministro Luigi Preti per le parole che mi ha rivolte; ringrazio anche il Direttore Generale delle Ferrovie dello Stato e il rappresentante del Personale per l'accoglienza che mi hanno offerta, interpretando i sentimenti di tutti i presenti, e mettendo in luce attività, sacrifici, aspettative, speranze di tutta la vostra benemerita categoria.

Essere presente in questo luogo, a questo incontro insieme con voi, come amico e come padre, nella "Giornata" a voi dedicata, è circostanza che io iscrivo tra le più importanti del mio ministero pastorale. E' per tale ragione che tanto sentita e viva è la mia riconoscenza a tutti voi, dirigenti, impiegati e operai, che mi avete invitato ad una cerimonia così significativa e ricca di sentimenti umani e sociali.

Davvero, pensando al vostro gran numero ed al tipico spirito che vi distingue e vi individua tra le classi della società, io vi considero come una sola famiglia. A tutti voi qui presenti, ai colleghi che lungo la rete dell'intera Penisola seguono, in questo stesso momento, la festa continuando il loro lavoro, va il saluto, l'augurio, la stima del Papa, con l'assicurazione che tutti sono presenti nella sua preghiera e nelle intenzioni di questa celebrazione. Un particolare saluto - com'è ben comprensibile - rivolgo anche ai ferrovieri, venuti per questa circostanza dalla Polonia, abbracciando in essi tutti i loro colleghi che lavorano in Patria.

Quante volte nella mia vita ho anch'io usufruito dell'opera così preziosa e indispensabile dei ferrovieri! Quante volte mi sono affidato, sereno e fiducioso, alla vostra perizia e alla vostra diligenza, sicuro di arrivare alla meta! Ebbene, non solo a nome mio, ma anche a nome di ogni viaggiatore e dell'intera comunità, che si avvale del vostro servizio, accogliete, cari ferrovieri, il mio saluto più cordiale, il mio compiacimento, la mia gratitudine!


2. Nell'ascoltare gli indirizzi, che mi sono stati rivolti, per prima cosa appare davanti ai nostri occhi un mirabile congegno grande e preciso: vi è tutto un servizio, in sé integrato e sussidiario, di capistazione, capitreni, macchinisti, conduttori, controllori, guardalinee, deviatori, frenatori, manovali, personale viaggiante, addetti alla manutenzione, amministratori, funzionari, ecc. Dietro di voi appare poi un organismo e un meccanismo altrettanto complesso e preciso: il mondo dei binari, dei deviatori, delle luci, delle locomotive e dei vagoni, delle stazioni e sottostazioni, delle centrali e degli scambi, dei dispositivi di segnalazione, ecc. Quanto cammino dalla vecchia vaporiera fino alle meraviglie dei moderni congegni elettronici! Tutto ciò è frutto del pensiero umano e dell'umana "provvidenza", nel senso di quel "prevedere" intelligente, per cui l'uomo, secondo san Tommaso, è provvidenza a se stesso. In effetti, le accennate conquiste nel settore ferroviario servono gli uomini: facilitano tra loro gli spostamenti, le comunicazioni e i contatti, che sono indispensabili per la loro vita ed azione. In passato non esisteva questo importante mezzo di comunicazione, che è una realizzazione risalente ai primi decenni del secolo scorso: da centocinquant'anni, grazie alla "provvidenza" umana, si ha a disposizione il treno, che è così diventato uno dei tanti segni del genio umano e una componente ordinaria della vita di ogni giorno. Diro meglio: questo mezzo di comunicazione fa parte ormai della civiltà ed appartiene inseparabilmente ad essa, grazie anche al continuo perfezionamento delle macchine e dei servizi. E' vero che oggi è stato già "superato" da altri mezzi - si pensi all'aviazione - tuttavia non ha perso il suo fondamentale significato.

Guardando a quest'opera della "provvidenza" umana, cioè all'invenzione, all'attività che tende verso uno scopo, ecco che abbiamo davanti agli occhi quell'immagine della Provvidenza Divina, che ci dà il Vangelo d'oggi: la sollecitudine per una pecorella smarrita, per una dramma perduta. L'una e l'altra simboleggiano la sollecitudine per l'uomo, per il suo bene materiale e spirituale, temporale ed eterno. E' la stessa sollecitudine che avete voi, verso i viaggiatori, uomini come voi, fratelli vostri. Perciò mi auguro che ciascuno di voi sappia ritrovare questa forma del servizio all'uomo che è la ferrovia, il suo posto, la sua "misura interiore" in questo servizio di cui ci parla il Vangelo d'oggi.

La "provvidenza" umana è specchio e immagine della "Provvidenza Divina", e da essa scaturisce.

Tutto ciò dipende certamente dall'efficienza tecnica, ma, in fin dei conti, dipende dall'uomo. Da ciascun uomo, che, in base a questo mezzo della tecnica, serve gli altri uomini.

Eccola, fratelli, "la verità del Signore che rimane in eterno", basata com'è sul fatto che noi uomini, viventi quaggiù, abbiamo un Padre comune che sta nel cielo. Paternità di Dio e amore di Dio, fraternità degli uomini e amore degli uomini: sono quattro punti cardinali del nostro credo e del nostro comportamento cristiano. così ha insegnato Gesù venti secoli fa, così ripete oggi il suo umile Vicario.


3. Quest'uomo, di cui parlo, appartiene ad una particolare comunità, ad una grande famiglia. E' la grande famiglia dei "ferrovieri", che celebra oggi la sua festa.

La vita del ferroviere, essendo finalizzata al servizio e, quindi, ordinata al bene comune della grande famiglia umana, si svolge in forma talmente organizzata, da costituire una vera e propria "comunità professionale". Quali leggi morali - dico le leggi della morale personale, sociale e professionale - devono governare una tale comunità, affinché essa possa adempiere il grande dovere che le è imposto, e svolgere quella "parte" che le spetta nella realizzazione del bene comune? Che cosa è necessario, affinché essa governi se stessa secondo i principi dell'ordine sociale e della cooperazione? Sarebbe troppo lungo illustrare qui tali norme: mi limitero, perciò, a richiamare i criteri fondamentali che devono ispirarle secondo la luce del Vangelo. Voi siete sensibili ed esigenti in fatto di giustizia: vi sta a cuore il posto di lavoro, la sicurezza del lavoro (perché non si abbiano a lamentare i lutti, che tanto spesso, anche quest'anno, dolorosamente han colpito la vostra grande famiglia), la tutela dei vostri diritti, il rispetto reciproco tra le persone, l'eliminazione degli atti di arbitrio. Sono, questi, altrettanti esempi in cui il precetto dell'amore può positivamente essere invocato, a difesa e a completamento della stessa norma della giustizia, la quale, del resto, come è impressa da Dio nel cuore dell'uomo, così trova nel Vangelo una superiore pienezza. In esso, infatti, la giustizia è al vertice delle virtù morali, quale regolatrice dei rapporti non solo con Dio, ma anche con gli uomini e con se stessi, fino a raggiungere il campo più alto della fede e della grazia, per sublimarsi in carità.

Sono profondamente convinto, e voglio sperare, amici e fratelli, che voi siate d'accordo con me, nel ritenere che una coerente fedeltà ai valori primari della carità e della giustizia secondo il Vangelo sia una cura sommamente efficace per i mali vecchi e nuovi della società umana; quando questi valori siano rispettati, non si verificherà mai ciò che abbiamo letto poco fa in san Paolo, che cioè si giudica il fratello, o lo si disprezza (cfr. Rm 14,10).


4. Il Papa viene per partecipare a questa grande festa dei "ferrovieri", per augurarvi tutto ciò. Ma soprattutto desidera essere per voi colui che esprime la grande gratitudine che devono nutrire nei vostri confronti tutti coloro che voi servite: il pubblico viaggiante, quello che sosta nelle stazioni ferroviarie, il commercio, il turismo, che vengono agevolati dalla rete ferroviaria. Voglio oggi essere l'interprete di questo "grazie", che sale verso i ferrovieri italiani e verso quelli di tutto il mondo.

E a nome di tutti, qui oggi, rendo onore alle fatiche della vita dei ferrovieri: ai loro continui spostamenti, agli orari disagiati e notturni, ai pericoli, alle ansie, che si ripercuotono anche sulle famiglie. E perciò rivolgo anche il mio pensiero ai vostri cari, alle spose, ai figli che sono in cima ai vostri pensieri e per i quali sostenete il duro lavoro quotidiano. Dite loro che il Papa li pensa, li benedice e prega per loro.


5. Un ultimo pensiero mi è ancora suggerito dalla vostra vita. Il continuo viaggiare non è forse immagine di un altro viaggio, che tutti ci accomuna? Non è forse la vita di ogni uomo sulla terra una linea, un percorso, una traiettoria, compresa tra un punto di partenza e un punto di arrivo? Si, ciascuno di noi è un viaggiatore secondo una nota immagine; e la cosa importante - come anche rammenta il nome della principale Stazione di Roma - è pervenire felicemente al "termine" della nostra corsa, conservando, secondo le parole di san Paolo, la fede per essa, pronti a ricevere la ricompensa dal Signore (cfr.Tm 4,7-8).

Questa immagine del cammino costituisce la vita stessa della Chiesa, che s'impegna a servire quaggiù l'uomo in maniera integrale, per condurlo attraverso il mondo fino a Cristo, a Dio, alla vita eterna. Nel nostro viaggiare è motivo di vero conforto tener presente ciò che il Salmo Responsoriale della Messa odierna ci fa recitare: "Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avro paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avro timore?" (Ps 27,1). Ecco perché la mia parola diventa augurio sincero e cordiale, perché ciascuno di voi e di noi abbia la forza sufficiente e la grazia necessaria per non perdere mai di vista il punto finale del cammino e, soprattutto, perché possa raggiungerlo. Questa nostra ardente speranza, del resto, è già fin d'ora in grado di animare e di sostenere il nostro quotidiano impegno, nel quale è nascosta non solo l'attesa, ma anche già l'esperienza di una gioiosa comunione con Dio.


6. Cari fratelli, voi avete invitato qui oggi, a questa vostra festa, che è insieme professionale, sociale e familiare, il Vescovo di Roma. In mezzo all'Officina avete costruito l'Altare, affinché egli possa celebrare su di esso il Sacrificio di Cristo. Ebbene, che cosa volete manifestare con tutto ciò? Certamente la vostra fede nell'Eucaristia. In essa, infatti, noi "ringraziamo" Dio per ogni bene della creazione e della redenzione, e nello stesso tempo noi "restituiamo" questi beni a lui mediante Cristo, affinché essi diventino per noi, per ciascuno di noi, una sorgente di salvezza.

Proprio questo oggi voglio fare qui con voi. In quanto cristiani, voi siete un popolo particolare, un "regale sacerdozio" (1P 2,9), col quale oggi si presenta davanti a voi il Vescovo e Sacerdote, per sollevare a Dio, "in persona Christi", tutto ciò che fa parte della vostra vita, della vostra vocazione, del vostro lavoro.

Questo importa: offrire a Dio! così è possibile dare alla propria fatica il valore più pieno, che ritorna verso di voi come restituito dai frutti che provengono da questo Sacrificio, il cui segno è la "comunione", cioè l'unione stretta con Cristo e tra di noi, ch'è pegno della vita eterna.

Affido questi voti a Maria santissima perché vi assista e vi protegga in ogni vostro incarico, ma soprattutto nel viaggio verso Dio, meta e fine ultimo dell'uomo. Amen! Data: 1979-11-08

Data estesa: Giovedì 8 Novembre 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Alla riunione plenaria del Sacro Collegio - Città del Vaticano (Roma)