GPII 1979 Insegnamenti - Ai laici impegnati nell'apostolato - Città del Vaticano (Roma)


2. Gesù Cristo è "il testimone fedele" (cfr. Ap 1,5), come dice l'Autore dell'Apocalisse. E' "il testimone fedele" della signoria di Dio nella creazione e soprattutto nella storia dell'uomo. Dio infatti ha formato l'uomo dall'inizio come creatore e nello stesso tempo come Padre. Egli quindi, come Creatore e come Padre, è sempre presente nella sua storia. E' diventato non solo l'inizio e il termine di tutto il creato, ma è diventato anche il Signore della storia e il Dio dell'alleanza: "Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'"Onnipotente"" (cfr. Ap 1,8).

Gesù Cristo - "testimone fedele" - è venuto al mondo proprio per rendere testimonianza di questo. La sua venuta nel tempo! quanto concretamente e in modo suggestivo l'aveva preannunciata il profeta Daniele nella sua visione messianica, parlando della venuta di "un figlio di uomo" (Da 7,13) e delineando la dimensione spirituale del suo regno in questi termini: "Gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto" (Da 7,14).

Così il profeta Daniele, probabilmente nel II secolo, vide il regno di Cristo prima che egli venisse al mondo.


3. Quel che successe davanti a Pilato il venerdi prima di Pasqua ci permette di liberare l'immagine profetica di Daniele da ogni associazione impropria. Ecco infatti che lo stesso "Figlio dell'uomo" risponde alla domanda fattagli dal governatore romano. Questa risposta suona così: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù" (Jn 18,36).

Pilato, rappresentante del potere esercitato a nome della potente Roma sul territorio della Palestina, l'uomo che pensa secondo categorie temporali e politiche, non capisce tale risposta. Quindi domanda per la seconda volta: "Dunque tu sei re?" (Jn 18,37).

Anche Cristo risponde per la seconda volta. Come la prima volta ha spiegato in quale senso egli non è re, così adesso, per rispondere pienamente alla domanda di Pilato e nello stesso tempo alla domanda di tutta la storia dell'umanità, di tutti i regnanti e di tutti i politici, risponde così: "Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (cfr. Jn 18,37).

Questa risposta, in collegamento con la prima, esprime tutta la verità sul suo regno; tutta la verità su Cristo-Re.


4. In questa verità sono racchiuse anche quelle parole ulteriori dell'Apocalisse, con le quali il Discepolo prediletto completa, in certo qual modo, alla luce del colloquio che ha avuto luogo il Venerdì Santo nella residenza gerosolimitana di Pilato, ciò che, un tempo, aveva scritto il profeta Daniele. San Giovanni annota: "Ecco, viene sulle nubi (così si era già espresso Daniele) e ognuno lo vedrà; anche quelli che lo trafissero... Si. Amen!" (Ap 1,7).

Appunto: Amen. Questa unica parola sigilla, per così dire, la verità su Cristo Re. Egli è non soltanto "il testimone fedele", ma anche "il primogenito dei morti" (Ap 1,5). E se è il principe della terra e di quelli che la governano ("il principe dei re della terra") lo è per questo, soprattutto per questo, e definitivamente per questo, perché "ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,5-6).


5. Ecco la piena definizione di quel regno, ecco tutta la verità su Cristo Re.

Siamo convenuti oggi in questa Basilica per accettare queste verità ancora una volta, con gli occhi della fede largamente aperti e col cuore pronto a dare la risposta. Poiché questa è verità che esige in modo particolare una risposta. Non soltanto la comprensione. Non soltanto l'accettazione da parte dell'intelletto, ma una risposta che emerge da tutta la vita.

Quella risposta è stata pronunciata in modo splendido, dall'Episcopato della Chiesa contemporanea nel Concilio Vaticano II. Verrebbe perfino, in questo momento, la voglia di stendere la mano a quei testi della costituzione "Lumen Gentium" che abbagliano con la semplice profondità della verità, ai testi carichi della pienezza della "praxis" cristiana contenuti nella costituzione pastorale "Gaudium et Spes", e ai tanti altri documenti che traggono da quelli fondamentali le conclusioni concrete per i vari campi della vita ecclesiale. Penso in particolare al decreto "Apostolicam Actuositatem" sull'apostolato dei laici. Se qualcosa chiedo al laicato di Roma e del mondo, è che si tengano sempre d'occhio questi splendidi documenti dell'insegnamento della Chiesa contemporanea. Essi definiscono il senso più profondo dell'essere cristiani. Questi documenti meritano ben più che d'essere semplicemente studiati e meditati; se non si cerca in essi l'appoggio, è quasi impossibile capire e realizzare la nostra vocazione e, in specie, la vocazione dei laici, il loro particolare apporto alla costruzione di quel regno, che, pur non essendo "di questo mondo" (Jn 18,36), esiste tuttavia quaggiù, perché è in noi. E, in particolare, è in voi: laici!

6. Cristo è salito sulla croce come un Re singolare: come l'eterno testimone della verità. "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità" (Jn 18,37). Questa testimonianza è la misura delle nostre opere. La misura della vita. La verità per la quale Cristo ha dato la vita - che ha confermato con la risurrezione - è la fondamentale sorgente della dignità dell'uomo. Il regno di Cristo si manifesta, come insegna il Concilio, nella "regalità" dell'uomo. Bisogna che noi sappiamo, in questa luce, partecipare a ogni sfera della vita contemporanea e formarla. Non mancano infatti, nei nostri tempi, le proposte indirizzate all'uomo, non mancano i programmi che si invocano per il suo bene. Sappiamo rileggerli nella dimensione della piena verità sull'uomo, della verità confermata con le parole e con la croce di Cristo! Sappiamo discernerli bene! Quel che dichiarano si esprime con la misura della vera dignità dell'uomo? La libertà che proclamano serve la regalità dell'essere creato a immagine di Dio, oppure al contrario prepara la privazione o costrizione di essa? Per esempio: servono la vera libertà dell'uomo o esprimono la sua dignità l'infedeltà coniugale, anche se sanzionata dal divorzio, o la mancanza di responsabilità per la vita concepita, anche se la tecnica moderna insegna come sbarazzarsi di essa? Certamente tutto il permissivismo morale non si basa sulla dignità dell'uomo e non educa l'uomo ad essa.

Come non richiamare, qui, la diagnosi che del contesto socio-religioso della nostra città ha fatto il Signor Cardinale Vicario alla vostra assemblea del

10 novembre scorso? Egli ha indicato le principali "sofferenze" che angustiano la città di Roma: l'insicurezza sociale delle famiglie per la casa, il lavoro, l'educazione dei figli; lo smarrimento spirituale e sociale degli immigrati dalle zone rurali; l'incomunicabilità tra le famiglie, che vivono nei grandi condomini popolari senza conoscersi e senza il coraggio di solidarizzare; la delinquenza organizzata, particolarmente al servizio della droga; la violenza pazza e immotivata e il terrorismo politico, a cui vanno aggiunte le molteplici manifestazioni di immoralità e di irreligiosità nella vita personale e sociale.

Di questi mali erano individuate le cause, fra l'altro, nel calo d'interesse ai problemi dell'educazione e della scuola lasciata sempre più in balia di forze minoritarie, ma fortemente turbative; e nella disgregazione della famiglia, sottoposta all'azione corrosiva di molteplici fattori ambientali e di costume. La radice più profonda di esse va posta, pero, come ha detto il Signor Cardinale, "nel costante deprezzamento della persona umana, della sua dignità, dei suoi diritti e doveri" e del senso religioso e morale della vita. Il Cardinale Vicario ha anche sollecitato da voi tutti una coraggiosa assunzione di responsabilità, ponendovi dinanzi alcune "prospettive concrete di impegno", ed esattamente: la costruzione di una vera comunità cristiana capace di annunciare il Vangelo in modo credibile; l'impegno culturale di ricerca e di discernimento critico, in costante fedeltà al Magistero, in ordine a un corretto dialogo tra Chiesa e mondo, l'impegno di contribuire all'incremento del senso della responsabilità sociale, stimolando nel clero e nei fedeli la solidarietà per il bene comune sia della Comunità ecclesiale che di quella civile; l'impegno, infine, nella pastorale vocazionale, oggi particolarmente urgente, ed in quella delle comunicazioni sociali.

Ecco, sorelle e fratelli carissimi, stanno davanti a voi alcune precise linee d'azione pastorale, sulle quali ognuno è invitato a misurarsi, in adesione coerente e coraggiosa alle esigenze poste dal Battesimo e dalla Confermazione e confermate dalla partecipazione all'Eucaristia. Chiedo a tutti e a ciascuno di non tirarsi indietro di fronte alle proprie responsabilità. Lo chiedo nella Solennità liturgica di Cristo Re.

Cristo, in un certo senso, sta sempre davanti al tribunale delle coscienze umane, come una volta si trovo davanti al tribunale di Pilato. Egli ci rivela sempre la verità del suo regno. E sempre s'incontra, da tante parti, con la replica "che cos'è la verità" (Jn 18,38).

Per questo sia egli ancora più vicino a noi. Sia il suo regno sempre più in noi. Ricambiamolo con l'amore al quale ci ha chiamati, e in lui amiamo sempre di più la dignità di ogni uomo! Allora saremo veramente partecipi della sua missione. Diventeremo apostoli del suo regno.

Data: 1979-11-25

Data estesa: Domenica 25 Novembre 1979.





Ai Superiori Generali - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La proiezione verso il futuro non disperda il patrimonio acquisito

Testo: Fratelli e figli carissimi!

1. Permettete che vi dica apertamente la mia gioia nel ricevervi oggi, in questa casa, quali Membri qualificati del Consiglio dell'Unione Superiori Generali e perciò rappresentanti di vaste schiere di Religiosi sparsi per il mondo. Vi ringrazio per aver desiderato questo incontro, che mi dà modo di rivolgervi la mia parola cordiale.

L'Organismo, di cui voi siete espressione e che rappresentate, favorisce non soltanto una maggiore comunione tra le varie famiglie religiose, ma anche una loro più compatta azione nell'ambito e ad edificazione della santa Chiesa. E così mi auguro che sempre avvenga in realtà.

La mia intenzione, qui e ora, è soltanto quella di ricordare insieme a voi alcuni grandi aspetti della vita religiosa, che per loro natura sono anche ispiratori di comportamento vissuto. Il Decreto Conciliare "Perfectae Caritatis", sul rinnovamento della vita religiosa, già nell'introduzione reca scritto quanto segue: "Tutti coloro che, chiamati da Dio alla prassi dei consigli evangelici, ne fanno fedelmente professione... sempre più vivono per Cristo e per il suo Corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1,24). Quanto più fervorosamente, dunque, si uniscono a Cristo con questa donazione di sé che abbraccia tutta la vita, tanto più si arricchisce la vitalità della Chiesa e il suo apostolato diviene vigorosamente fecondo" (PC 1).


2. Carissimi, voi rappresentate nella Chiesa uno stato di vita, che risale fino ai primi secoli della sua storia e che di volta in volta ha sempre espresso, nell'ambito delle varie famiglie religiose, frutti abbondanti e saporosi di santità, di incisiva testimonianza cristiana, di apostolato efficace, e persino di contributo notevole al formarsi di un ricco patrimonio di cultura e di civiltà.

Ebbene, tutto questo è stato ed è sempre possibile proprio in base a quella totale e fedele unione a Cristo, di cui parla il Concilio e che non solo vi è richiesta ma è anche favorevolmente realizzabile per la particolare condizione di Religiosi consacrati al Signore.

Il carisma proprio a ciascuno degli Istituti da voi rappresentati è segno eloquente di partecipazione alla multiforme ricchezza di Cristo, la cui "ampiezza, lunghezza, altezza e profondità" (Ep 3,18) sorpassa sempre di molto quanto noi possiamo realizzare attingendo alla sua pienezza. E la Chiesa, che di Cristo è il volto visibile nel tempo, accoglie e nutre nel proprio seno Ordini e Istituti di stile tanto diverso, perché tutti insieme contribuiscono a rivelare la variegata natura e il polivalente dinamismo del Verbo di Dio incarnato e della stessa Comunità dei credenti in lui.


3. Ma c'è soprattutto un altro motivo, che giustifica ed esige lo stato di religiosi. In un tempo e in un mondo in cui è a portata di mano il rischio di costruire l'uomo ad una sola dimensione, che inevitabilmente finisce per essere quella storicistica e immanentistica, essi sono chiamati a tener alto il valore e il senso della preghiera adorante, non disgiunta, ma unita all'impegno vivo di un generoso servizio reso agli uomini, che proprio di là trae possibilità e slancio.

Si tratta di un programma di vita che ai religiosi, ancor più che al clero secolare, è particolarmente consono svolgere ed incarnare, mediante la fedele e gioiosa osservanza dei consigli evangelici e con una speciale accentuazione dell'immediata comunione con "colui che abita una luce inaccessibile e che nessuno tra gli uomini ha mai visto né può vedere" (1Tm 6,16). Da voi gli uomini devono imparare a rendere "a lui onore e potenza per sempre" (1Tm 6,16) senza che ciò crei sterili dissidi coi loro impegni temporali, anzi in modo che essi ne trovino una salutare messa a fuoco ed un fecondo orientamento di elevazione verso Cristo, al quale sono pur "state intestate tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" (Ep 1,10).

La società odierna vuole vedere nelle vostre famiglie quanta armonia esiste tra l'umano e il divino, tra "le cose visibili e quelle invisibili" (2Co 4,18) e quanto le seconde superino le prime, mai banalizzandole o umiliandole, ma vivificandole ed elevandole a misura del piano eterno di salvezza. Preghiera e lavoro, azione e contemplazione: sono binomi, che in Cristo non si deteriorano mai in contrapposizioni antitetiche, bensì maturano in mutua complementarietà e feconda integrazione. Ebbene, il compito della testimonianza dei religiosi e proprio questo: mostrare al mondo d'oggi quanta umanità sia insita nel mistero di Cristo (cfr. Tt 3,4) e nel contempo quanto di trascendente e di soprannaturale sia richiesto dall'impegno tra gli uomini (cfr. Ps 127,1).

4. Questa sintesi armoniosa, in definitiva, costituisce anche il motivo della vostra incidenza e della vostra attrazione sugli uomini e in specie sui giovani d'oggi. Ed è anche in base ad un sano equilibrio tra valori umani e cristiani che la vita religiosa può rinnovarsi e purificarsi e risplendere sempre di più, com'è nei desideri di tutti. Certamente non mancheranno difficoltà, rischi e tensioni, che voi ben conoscete. Ma non ci si deve illudere di risolvere le inevitabili prove mediante un'ottica puramente mondana o, al contrario, disincarnata. Il più adeguato metro di comportamento non può essere altro che l'esempio di Gesù e la nostra purissima fede in lui. E' dal Vangelo, infatti, che ci viene il senso di una adesione incrollabile alla volontà del Padre e insieme un'audacia non temeraria nelle nostre decisioni, il senso di una coraggiosa proiezione verso il futuro insieme alla oculata conservazione del ricco patrimonio spirituale acquisito nel passato.

Nessun passo in avanti è possibile, e in nessuna direzione, se non partendo da quelli già compiuti; ma, viceversa, il fermarsi a questi è segno di sterile stasi. D'altronde, il progredire in senso evangelico si realizza certo a livello di santità individuale, ma anche di pubblica testimonianza a Cristo; ora, egli è Signore dell'intera storia umana, non solo di quella passata, bensì anche di quella presente e di quella che ancora ci sta di fronte, ed esige perciò un'adesione sempre totale ma sempre adeguata. L'apostolo Paolo, ricordando ai Galati che "in Cristo Gesù non ha valore né la circoncisione né l'incirconcisione, ma la fede che opera mediante la carità" (Ga 5,6), ha dato a tutti i cristiani un principio ermeneutico fondamentale per la loro esistenza nel mondo e che ancor più per i religiosi deve valere all'evidenza: quando si è tenacemente "afferrati al capo" che è Cristo (Col 2,19), allora non si teme nessun cangiante condizionamento storico, nessuna inculturazione, e nessun ostacolo, poiché tutto, al contrario, diventa materia valida di progresso interiore, di aperta testimonianza e di efficacia apostolica; purché in ogni cosa si "moltiplichi l'inno di lode alla gloria di Dio" (2Co 4,15).

E' da qui che tutti noi dobbiamo attingere coraggio e fiducia. E da voi, in particolare, la Chiesa si attende molto in esempio trainante di una radicale comunione con Cristo, che fruttifichi naturalmente un generoso impegno tra gli uomini.


5. Questi pensieri, a voi e a quanti degnamente rappresentate, propongo istantemente di meditare e di avere sempre presenti, non solo nei momenti specifici di preghiera, ma pure e soprattutto nell'espletamento anche minuto delle varie attività educative, assistenziali, culturali, missionarie e promozionali in genere, che tanto vi contraddistinguono. Proprio nei consacrati, più che in ogni altro battezzato, deve rifulgere la perfetta simbiosi, come in Gesù, tra i momenti di trasfigurazione (cfr. Lc 9,28-36) e quelli di profondo inserimento tra la folla esigente, che aspetta ai piedi del monte (cfr. Lc 9,37-43).

Se tale compito non è facile, se richiede molto sforzo ascetico e ancor più l'abbondante e indispensabile grazia di Dio, siate certi che non vi manca la mia paterna vicinanza e il conforto della mia povera ma costante preghiera, affinché "il Signore faccia brillare il suo volto su di voi" (Nb 6,25) e in voi gli uomini "vedano lo splendore del glorioso Vangelo di Cristo" (2Cor4, 4).

A questi voti augurali amo aggiungere la mia particolare, propiziatrice benedizione apostolica, che estendo con altrettanta benevolenza a tutti i vostri cari e benemeriti Confratelli.

Data: 1979-11-26

Data estesa: Lunedì 26 Novembre 1979.





Ai partecipanti al "Certamen Vaticanum" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Il valore esemplare della lingua latina

Testo:

1 Venerabile nostro Fratello e diletti fratelli e sorelle.

Ci sono gradite le parole che ci ha appena rivolto il Cardinale Pericle Felici, con espressioni umanissime, e ci viene alla memoria il tempo in cui, quando era Segretario del Concilio Ecumenico Vaticano II, l'abbiamo ascoltato parlare latino, nella Basilica di San Pietro, al momento opportuno e con ricchezza di linguaggio.

Con gioia porgiamo nuovamente dopo un anno il nostro saluto a voi, moderatori e soci della Federazione Latinitas, e a voi vincitori del "Certamen Vaticanum", congratulandoci con voi; salutiamo voi che in questi tempi custodite con cura la fiamma della latinità, la alimentate con solerzia, la difendete con animo intrepido.

Sappiate che accompagniamo voi e la vostra opera con il favore e la benevolenza. Noi stessi, come sapete, quest'anno abbiamo emanato la costituzione apostolica, scritta come è usanza in latino, e che inizia con le parole "Sapientia Christiana", con la quale si dà un nuovo ordinamento alle Università degli studi e alle Facoltà ecclesiastiche. A tale costituzione sono state aggiunte le Disposizioni della Sacra Congregazione per l'Istituzione Cattolica, in cui è contenuta questa norma: "Nelle Facoltà delle scienze sacre è richiesta una congrua conoscenza della lingua latina, cosicché gli studiosi di queste scienze possano capire e usare le fonti e i documenti della Chiesa" (Giovanni Paolo II, "Sapientia Christiana", IV, art. 24 § 3: AAS 71 (1979) 507).

Tali alunni dunque che accedono alle sedi di più alti studi ecclesiastici, se prima non avranno frequentato un corso di latino, bisogna che imparino tale lingua, come a compensare ciò che è stato lasciato da parte, come nelle Università Pontificie e negli Atenei Romani, per fare un esempio, avviene già. Sappiamo che lo scopo della Fondazione Latinitas è promuovere lo studio e l'uso della lingua latina. Se facciamo attenzione proprio all'uso della lingua latina, si pone la questione se la lingua latina - che da molti ormai viene ritenuta avulsa dalla vita degli uomini, come una lingua antica e, come si suol dire, morta - possa ancora avere un valore.

La Chiesa latina, sebbene abbia introdotto per utilità pastorali nella liturgia anche le lingue volgari, tuttavia non si allontana dal principio in base al quale la sua lingua propria è quella latina. Si continuano a scrivere i documenti più importanti della Sede Apostolica nella lingua latina. Ma si possono rendere con parole latine tutte le nozioni, tutte le innovazioni di cui fa uso questa età, così ricca di mutamenti? Questo non sembra essere un problema di facile soluzione.

In realtà per tutto il Medioevo e anche oltre l'uso della lingua latina era abbastanza comune nelle scuole, nella stesura dei libri, nella redazione degli atti pubblici, perciò questa lingua veniva adattata ad esprimere concetti nuovi o accoglieva vocaboli nuovi. Se dunque vogliamo che nei nostri tempi la lingua latina rifiorisca non solo come umbratile esercitazione di letterati, ma anche, e soprattutto, naturalmente entro limiti circoscritti, nell'uso degli uomini di cultura e così sia un vincolo di unità, bisogna che diventi uno strumento atto ad interpretare tutti quei concetti che i nostri contemporanei esprimono, tutti i sentimenti che provano, le azioni che compiono. Già il nostro venerando predecessore Paolo VI era di questo parere quando poneva il problema se si dovesse sperare e fare in modo che la lingua latina potesse mantenere e estendere l'ambito originario. Egli stesso diede la risposta: "Non si può negare che la questione è importante, laboriosa e irta di grandi difficoltà. Ma almeno in parte e con un vantaggio comune la si porterà ad effetto se si farà in modo che come gli antichi concetti e vocaboli così quelli nuovi più importanti siano espressi nella lingua latina" (Paolo VI, Discorso del 16 aprile 1966: AAS 58 (1966) 361). Ecco davanti a voi un campo assai vasto nel quale esercitare la vostra attività. Sappiamo che avete già affrontato un problema di tal genere, lavorando in collaborazione.

Desideriamo perciò che la cosa proceda secondo l'intenzione.

Coraggio, onore a voi! Dedicatevi con passione e promuovete con meditate decisioni la lingua latina, insigne per la maestà e la concisione romana, adatta per così dire a scolpire il vero e il giusto, e che conduce a un pensiero acuto e logico. Fate in modo, seguendo gli insegnamenti degli antichi, di parlare e di scrivere in latino sempre in modo chiaro e semplice, e a seconda delle questioni, in modo ricco e articolato, adatto e conveniente.

Infine, invocando su di voi l'aiuto divino, impartiamo assai volentieri la benedizione apostolica.

Data: 1979-11-26

Data estesa: Lunedì 26 Novembre 1979.





All'aeroporto di Fiumicino (Roma)

Titolo: Un cammino di grande speranza

Testo: Ringrazio di vero cuore i venerati Cardinali, i Vescovi, il Decano del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, il Ministro Adolfo Sarti e le altre Autorità italiane, come pure tutti coloro che hanno voluto porgermi il loro beneaugurante saluto all'inizio del mio breve viaggio in Oriente.

Come ho già manifestato nel primo annuncio di questo mio nuovo pellegrinaggio, seguendo le orme del mio predecessore Paolo VI che alla fine del mese di luglio del 1967 ando in Turchia, mi reco in quella Nazione per continuare con rinnovato impegno lo sforzo verso l'unità di tutti i cristiani, in base a uno degli scopi preminenti del Concilio Vaticano II; per mostrare, inoltre, l'importanza che la Chiesa cattolica dà al rapporto con le venerabili Chiese ortodosse alla vigilia dell'inizio di un dialogo teologico; ed infine, per esprimere il mio sincero affetto e la mia profonda carità verso tutte quelle Chiese e i loro Patriarchi, in particolare verso il Patriarcato ecumenico.

Pertanto, dopo aver rivolto il mio doveroso ossequio alle Autorità della Repubblica di Turchia ad Ankara, andro a Istanbul per incontrarmi con Sua Santità il Patriarca ecumenico Dimitrios I e per partecipare alle solenni celebrazioni in onore di sant'Andrea. Quindi mi rechero ad Efeso, la città in cui nel 431 si svolse il terzo Concilio ecumenico, che proclamo la Vergine Maria "Theotokos", cioè "Madre di Dio"; e faro anche una visita ad Izmir.

Voglia il Signore Iddio, per la materna intercessione di Maria santissima, accompagnare con la sua grazia i miei passi per questo cammino di grande speranza, che rappresenta un'altra tappa importante verso la piena e perfetta unità di tutti i cristiani.

Per queste alte finalità religiose ed ecumeniche chiedo, in questo momento, l'intensa preghiera di tutti i figli della Chiesa e la loro serena disponibilità alla voce dello Spirito.

Con la mia benedizione apostolica.

Data: 1979-11-28

Data estesa: Mercoledì 28 Novembre 1979.





Alla comunità cattolica - Ankara (Turchia)

Titolo: Avere il coraggio e la fierezza della propria fede

Testo: Cari fratelli e figli, cari amici!

1. E' una grande gioia per me, successore di Pietro nel Collegio Apostolico e nella sede di Roma, rivolgermi oggi a voi con le parole stesse che san Pietro indirizzava diciannove secoli fa ai cristiani che si trovavano allora, come oggi, in piccola minoranza in queste terre, "sparsi e ospiti nelle regioni del Ponto, della Galizia, della Cappadocia... la grazia e la pace abbondino su tutti voi" (1P 1,12).

Come Pietro, vorrei innanzitutto rendere grazie per la speranza viva che è in voi e che viene dal Cristo risorto; vorrei esortare ciascuno di voi ad essere riconoscente a Dio e fermo nella fede, come "figli di obbedienza", mantenendo pure le vostre anime nell'obbedienza alla verità, in una fratellanza sincera, con un comportamento onorevole in mezzo alle genti, affinché vedendo le vostre opere buone glorifichino Dio (cfr. 1P 1,3 1P 1,1 1P 1,4 1P 1,22 1P 2,12).

L'Apostolo si preoccupava anche di ricordare la lealtà verso le autorità civili: "Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio" (cfr. 1P 2,16).

Si, vorrei invitarvi a considerare come particolarmente vostra questa lettera scritta a coloro che vi hanno preceduti su queste terre, a leggerla attentamente, a meditarne ogni affermazione. In questo momento, attiro la vostra attenzione su una delle sue esortazioni: "Siate pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza" (1P 3,15-16)

2. Queste parole sono la regola d'oro per i rapporti e i contatti, che il cristiano deve avere con i suoi concittadini di fede diversa. Oggi voi, cristiani residenti qui in Turchia, avete la sorte di vivere nel quadro di uno Stato moderno, che prevede per tutti la libera espressione della fede senza identificarsi con nessuna, e con persone che nella grande maggioranza, pur non condividendo la fede cristiana, si dichiarano "obbedienti a Dio", "sottomessi a Dio", anzi "servi di Dio", secondo le loro stesse parole, che coincidono con quelle di san Pietro già citate (cfr. 1P 2,16); essi, dunque, condividono con voi la fede di Abramo nel Dio unico, onnipotente e misericordioso. Voi sapete che il Concilio Vaticano II si è pronunciato apertamente su questo argomento, e io stesso nella mia prima enciclica "Redemptor Hominis" ho ricordato "la stima che il Concilio ha espresso verso i credenti dell'Islam, la cui fede si riferisce anche ad Abramo" (Giovanni Paolo II, RH 11).

Permettetemi di ricordare qui con voi quelle parole della dichiarazione conciliare "Nostra Aetate": "La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano ("insieme con noi", si legge in un altro testo del Concilio, la costituzione LG 16) il Dio unico, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini; essi si sforzano di sottomettersi con tutto il cuore ai suoi decreti anche misteriosi, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede islamica si riferisce volentieri. Venerano Gesù come profeta, pur non riconoscendolo Dio, onorano la sua Madre verginale, Maria, che talvolta invocano devotamente. E attendono il giorno del giudizio, quando Dio darà la ricompensa a tutti gli uomini risuscitati. E per questo tengono in onore la vita morale e si rivolgono a Dio moltissimo, con la preghiera, le elemosine e il digiuno" (NAE 3).

E' col pensiero rivolto ai vostri concittadini, dunque, ma anche al vasto mondo islamico, che io esprimo di nuovo, oggi, la stima della Chiesa cattolica per questi valori religiosi.


3. Miei fratelli, quando penso a questo patrimonio spirituale e al valore che esso ha per l'uomo e per la società, alla sua capacità di offrire soprattutto ai giovani un orientamento di vita, di colmare il vuoto lasciato dal materialismo, di dare un fondamento sicuro allo stesso ordinamento sociale e giuridico, mi domando se non sia urgente, proprio oggi in cui i cristiani e i musulmani sono entrati in un nuovo periodo della storia, riconoscere e sviluppare i vincoli spirituali che ci uniscono, al fine di "promuovere e difendere insieme, come ci invita il Concilio, i valori morali, la pace e la libertà" (NAE 3).

La fede in Dio, professata in comune dai discendenti di Abramo, cristiani, musulmani ed ebrei, quando è vissuta sinceramente e portata nella vita, è sicuro fondamento della dignità, della fratellanza e della libertà degli uomini e principio di retta condotta morale e di convivenza sociale. E vi è di più: in conseguenza di questa fede in Dio creatore e trascendente, l'uomo sta al vertice della creazione. E' stato creato, si legge nella Bibbia, "a immagine e somiglianza di Dio" (Gn 1,27); benché sia fatto di polvere, si legge nel Corano, libro sacro dei Musulmani, "Dio gli ha insufflato il suo spirito e l'ha dotato di udito, vista e di cuore", cioè di intelligenza (Sura 32,8).

L'universo, per il musulmano, è destinato ad essere sottomesso all'uomo in qualità di rappresentante di Dio; la Bibbia afferma che Dio ha ordinato all'uomo di sottomettere la terra, ma anche di "coltivarla e custodirla" (Gn 2,15). In quanto creatura di Dio, l'uomo ha dei diritti che non possono essere violati, ma è anche tenuto alla legge del bene e del male che si fonda sull'ordine stabilito da Dio. Grazie a questa fede, l'uomo non si sottometterà mai a nessun idolo. Il cristiano sta al comandamento solenne: "Non avrai altro Dio fuori di me" (Ex 20,30). Il musulmano, da parte sua, dirà sempre: "Dio è più grande".

Vorrei profittare di questo incontro e dell'occasione che mi offrono le parole scritte da san Pietro ai vostri predecessori per invitarvi a considerare ogni giorno le radici profonde della fede in Dio, nel quale credono anche i vostri concittadini musulmani, per farla diventare principio di collaborazione per il progresso dell'uomo, nella emulazione del bene, per l'estensione della pace e della fraternità, nella libera professione della propria fede.


4. Questo atteggiamento, cari fratelli e sorelle, va di pari passo con la fedeltà, già tanto meritoria, delle vostre comunità cristiane qui rappresentate. E' una fedeltà erede di un grande passato. Abbiamo già parlato della Lettera di san Pietro; si potrebbe anche far riferimento all'affetto di san Paolo e di san Giovanni per le Chiese dell'Asia Minore. Un autore profano dell'inizio del II secolo, Plinio il Giovane, descriveva la vita dei discepoli di Cristo con stupore, in una testimonianza che resta preziosa agli occhi della storia. Ma come dimenticare la fioritura del periodo seguente, in particolar modo dei Padri della Chiesa? E poiché san Pietro parla della Cappadocia, il mio pensiero va spontaneamente a san Basilio (329-379), una delle glorie più notevoli della Chiesa di questa regione, tanto più che quest'anno ricorre il sedicesimo centenario della sua morte: sono felice di annunciarvi che un documento pontificio verrà a coronare questo memorabile anniversario, per illustrare la figura di questo grandissimo Dottore.


5. Oggi le vostre comunità, anche se modeste, sono pero ricche per la presenza di varie tradizioni e sono costituite da persone provenienti da numerose parti del mondo. Questo vi offre l'occasione di esprimere reciprocamente la vostra fede e la vostra speranza, e di dare qui un'importante testimonianza di unità e di fraternità.

Abbiate sempre il coraggio e la fierezza della vostra fede.

Approfonditela. Accostatevi incessantemente a Cristo, pietra angolare, come pietre vive, sicuri di pervenire al fine della vostra fede, la salvezza delle vostre anime. Fin da ora il Signore Gesù fa di voi le membra del suo corpo; Figlio di Dio, egli vi fa partecipare alla sua natura divina, facendovi partecipare al suo Spirito. Attingete con gioia alla fonte zampillante dell'Eucaristia. Che egli vi colmi della sua carità! Abbiate anche il senso della comunione con la Chiesa universale che il Papa rappresenta davanti a voi nella sua umile persona. La vostra testimonianza è tanto più preziosa in quanto è ristretta nel numero, ma non nella qualità.

Per me, mi stava a cuore dirvi il mio profondo affetto e la mia fiducia.

Restiamo saldamente uniti col vincolo della preghiera. Raccomando a Cristo Gesù e alla sua santissima Madre tutte le necessità umane e spirituali delle vostre Comunità, di ciascuna delle vostre famiglie. Ho un pensiero particolare per i vostri bambini, i vostri malati, coloro che sono in difficoltà. Che essi siano confortati dall'amore di Dio e dal soccorso dei loro fratelli! Di tutto cuore vi benedico, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Data: 1979-11-29

Data estesa: Giovedì 29 Novembre 1979.






GPII 1979 Insegnamenti - Ai laici impegnati nell'apostolato - Città del Vaticano (Roma)