GPII 1980 Insegnamenti - Recita del Regina Coeli - Torino

Recita del Regina Coeli - Torino

Titolo: Affido alla Genitrice di Dio questa città e questa Chiesa

1. La preghiera dell'antifona "Regina Coeli", che nel tempo di Pasqua sostituisce quella dell'"Angelus", si eleva quest'oggi, domenica "in albis", non, come di consueto, sotto il cielo di Roma, ma sotto quello di Torino, di questa città "augusta", che trova nei santuari mariani della Consolata, di Maria Ausiliatrice, della Gran Madre, i punti ideali della sua devozione verso la Vergine santissima.

La pietà mariana infatti ha segnato profondamente attraverso i secoli la vita spirituale del popolo torinese, trovando espressione tipica nei santi più noti di questa città, come in tutte quelle persone che vissero ed operarono alla luce e sotto il materno patrocinio di colei che è chiamata Madre dei santi e quindi Madre della Chiesa, così proclamata dal mio venerato predecessore, Paolo VI, al termine del Concilio Vaticano II. Non può infatti non essere Madre della Chiesa, Maria, che nel mistero della redenzione è diventata madre di tutti gli uomini. Perciò a lei - alla madre di tutti gli uomini, e in particolare alla Madre della Chiesa - vengo oggi insieme con voi, che costituite la santa Chiesa torinese, io il Papa Giovanni Paolo II che sono giunto qui come pellegrino, le dico: "Regina coeli, laetare!".


2. Oggi, terminando l'ottava di Pasqua che è, in un certo senso, l'unico giorno pasquale della risurrezione ("haec est dies!") abbiamo ancora viva nella memoria la passione e la croce di Cristo. I nostri cuori non dimenticano che, presso la croce di Gesù, stava lei (cfr. Jn 19,25): stabat mater dolorosa. Non possiamo nemmeno dimenticare che dall'alto della croce Gesù ha guardato la madre e Giovanni, il discepolo che egli amava, e, come ad un particolare testimone indico al discepolo Maria, come madre, ed affido il discepolo alla madre: "Ecco tua madre!". "Donna, ecco tuo figlio!" (Jn 19,27 Jn 19,26). Crediamo che in questo solo uomo, cioè proprio in Giovanni, Gesù indico Maria come madre a ogni uomo, affido ciascuno ad essa, così come se ogni uomo fosse il suo bambino, il suo figlio o la sua figlia.

Da questo fatto deriva la particolare necessità, che noi - obbedienti a queste parole del testamento di Cristo - affidiamo a Maria noi stessi e tutto ciò che ci appartiene.


3. Lasciandomi guidare da una tale fede ed insieme da una tale speranza, desidero oggi rinnovare ciò che fa parte del testamento pasquale di Cristo ed affidare alla Genitrice di Dio questa città e questa Chiesa che mi ospita oggi come pellegrino.

Sia essa la buona stella e la guida sapiente di quanti sono pensosi del suo vero bene e del suo vero progresso sociale e spirituale. Irraggi la sua luce su questa grande famiglia e faccia conoscere a tutti l'urgenza di un nuovo modo di essere e di agire: ispiri i giovani a conseguire i grandi, pacifici ideali della fede cristiana e della giustizia sociale; (perché la fede cristiana non è mai contraria alla giustizia sociale. E se vi dicono che nel nome della giustizia sociale bisogna abbandonare la fede, non gli credete); faccia fiorire in ogni famiglia la concordia e il sorriso dei piccoli; illumini gli uomini della cultura e della scienza nella ricerca della verità, per meglio approfondirla e comunicarla agli altri; faccia sentire ai lavoratori la preziosità della loro opera e quanto la Chiesa li ama e li apprezza; sia la speranza e l'aiuto di coloro che sono senza un lavoro o si sentono emarginati dalla società; la consolazione e il conforto degli infermi, di coloro che piangono e di quanti sono perseguitati a causa della giustizia. Sia madre per tutti! Preghiamola perché conceda a tutti fede, fortezza, bontà e grazia, e perché faccia risplendere sul volto di ogni uomo e di ogni donna la luce redentrice del Cristo risorto "frutto benedetto del suo seno".


4. "Regina coeli, laetare...".

Tutti coloro che noi affidiamo oggi a te, Maria, Consolata, Ausiliatrice, Gran Madre di Dio, hanno la loro parte nella tappa contemporanea della storia del mondo, della Chiesa, dell'Italia. Attraverso i cuori di tutti passa la corrente misteriosa della storia della salvezza dell'uomo, che corrisponde alle eterne intenzioni dell'amore del Padre. E contemporaneamente negli stessi cuori perdura, su questa terra, la lotta fra il bene ed il male, della quale l'uomo è diventato partecipe sin dal peccato originale.

O madre nostra e signora! All'inizio della storia della salvezza, l'eterno Padre si è prefisso ed ha eletto te, immacolata, come la madre del Verbo incarnato. E all'inizio di questa lotta fra il bene ed il male egli ha stabilito te, quale donna che schiaccia la testa del serpente (cfr. Jn 3,15). In questo modo ha segnato la tua umile maternità come il segno della speranza per tutti coloro che, in questo combattimento, in questa lotta, vogliono perseverare col tuo figlio e vincere il male con il bene.

Noi uomini, che ci avviciniamo alla fine del secondo millennio, sentiamo profondamente queste lotte. Gli avvenimenti, in cui siamo avvolti, ci mostrano continuamente quanto minacciose siano, in noi ed intorno a noi, le forze del peccato, dell'odio, della ferocia e della morte. Rivolgiamo quindi, di nuovo il nostro sguardo verso la madre del redentore del mondo, verso la donna dell'Apocalisse di Giovanni, verso la "donna vestita di sole" (Ap 12,1), nella quale vediamo te, piena di luce zampillante che illumina le oscure e perigliose tappe delle vie umane sulla terra.


5. O madre, questa preghiera e questo abbandono, che rinnoviamo ancora una volta, ti dica tutto su di noi. Ci avvicini, di nuovo, a te. Madre di Dio e degli uomini, Consolata, Ausiliatrice, Gran Madre di Dio e nostra, e te avvicini, di nuovo, a noi. Non lasciar perire i fratelli del tuo figlio. Dona ai nostri cuori la forza della verità. Dona la pace e l'ordine alla nostra esistenza.

Mostrati nostra madre! "Regina coeli, laetare!".

Data: 1980-04-13 Data estesa: Domenica 13 Aprile 1980.


Alle religiose - Torino

Titolo: Dimensione pasquale della consacrazione religiosa

Carissime sorelle in Cristo! Questo incontro - l'incontro del Papa con le religiose di Torino - è motivo di vicendevole letizia spirituale: letizia che trabocca oggi dal mio cuore, traspare luminosa dai vostri volti e si esprime in un entusiasmo, che proclama a me e a tutta la Chiesa la vostra incontenibile gioia di essere consacrate totalmente e con cuore indiviso a Dio.

Torino, dalle secolari e ricche tradizioni cristiane, si presenta a me come una città di "vocazioni femminili"! Ben settemila religiose di innumerevoli congregazioni svolgono la loro azione nell'ambito della città, la quale - come del resto l'intera terra piemontese - ha sempre dato una magnifica prova di fedeltà alla chiamata di Dio. Queste mie parole, come pure tutto il nostro breve colloquio, acquistano un significato particolare, in quanto ci troviamo nella grandiosa Basilica, innalzata a Maria santissima Ausiliatrice dalla fede ardente e dinamica di quel genio della santità, quale è stato san Giovanni Bosco, che ha donato alla Chiesa due numerose e ferventi famiglie religiose, e con la sua lunga e profonda esperienza fra i ragazzi e i giovani soleva dire che la vocazione è in germe nel cuore della maggioranza dei cristiani.

Sotto lo sguardo materno della Madonna noi vogliamo oggi riflettere insieme sulla altissima dignità che la vita religiosa assume nell'ambito del Popolo di Dio, per la sua particolare manifestazione di sequela totale e beatificante del Cristo (cfr. Mt 8,22 Mt 16,24 Mt 19,21 Mc 8,34 Lc 18,22) mediante la realizzazione dei consigli evangelici della castità, della povertà e dell'obbedienza.

Già col battesimo il cristiano è morto al peccato e consacrato a Dio, in quanto "unito" a Gesù. In questo sacramento - ci insegna san Paolo - noi siamo sepolti insieme a Cristo nella morte, e insieme con lui, risuscitato, possiamo camminare in una vita nuova. "Se infatti siamo completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione" (Rm 6,5). Questa fondamentale dimensione pasquale del battesimo raggiunge il suo frutto maturo e la sua meravigliosa fioritura nella consacrazione religiosa, che in modo del tutto particolare unisce indissolubilmente e perennemente il fedele alla morte e alla risurrezione del Cristo e gli fa vivere quella "vita nuova" (cfr. Rm 6,4), frutto della redenzione. "Con i voti o altri sacri legami, - afferma il Concilio Vaticano II - con i quali il fedele si obbliga all'osservanza dei... consigli evangelici, egli si dona totalmente a Dio sommamente amato, così da essere con nuovo e speciale titolo destinato al servizio e all'onore di Dio(LG 44).

Tale consacrazione totale e definitiva a Dio fiorisce nell'amore a Cristo ed alla sua sposa, la Chiesa, in una partecipazione intensa alla sua vita e in una adesione filiale al suo insegnamento; fruttifica nella carità generosa verso i fratelli, in particolare quelli che hanno bisogno del nostro affetto e della nostra comprensione; si fortifica nella preghiera liturgica, comunitaria o personale, come dialogo amoroso col Padre celeste; si esprime nell'impegno, secondo le forze e il genere della propria vocazione, a fondare e a radicare negli animi il regno di Dio, e a dilatarlo in ogni parte della terra; sprona a vivere integralmente le esigenze evangeliche del "discorso della montagna" e delle "beatitudini", che rappresentano continuamente un'autentica sfida alla mentalità corrente del mondo, e sono per essa un "segno" della vita eterna, che ha già fatto irruzione in mezzo a noi. Per questo - con il Vescovo di Cartagine, san Cipriano - vi dico: "Custodite, o vergini, custodite ciò che siete. Custodite ciò che sarete.

Vi attende una magnifica corona. Voi avete già cominciato ad essere quello che noi saremo. Voi avete già in questo mondo la gloria della risurrezione!" (S.Cypriani "De habitu Virginum", 22: CSEL 3,1, pp. 202ss).

Proprio a motivo di questa dimensione pasquale della consacrazione religiosa, la vostra vita, sorelle carissime, ha in sé uno speciale valore sociale, perché essa è e deve essere il segno e la testimonianza della lotta del bene contro il male, della luce contro le tenebre: una lotta che ha come vasto campo tutto il mondo e tutta la storia, e che in questa grande metropoli assume talvolta forme drammatiche.

L'insegnamento del Concilio ha messo bene in luce la grandezza del dono da voi stesse liberamente deciso, ad immagine di quello fatto dal Cristo alla sua Chiesa e, come quello, totale e irreversibile. "Proprio in vista del regno dei cieli - scriveva il mio predecessore Paolo VI nella esortazione apostolica, circa il rinnovamento della vita religiosa - voi avete votato al Cristo, con generosità e senza riserva, queste forze d'amore, questo bisogno di possedere e questa libertà di regalare la propria vita, cose che sono per l'uomo tanto preziose. Tale è la vostra consacrazione, che si compie nella Chiesa" (Pauli VI "Evangelica Testificatio", 7).

Il cuore che si dona totalmente a Dio si apre, nello stesso tempo, verso una dimensione universale di amore disinteressato per tutti i fratelli in Cristo.

Solo il Signore potrà valutare e misurare la misteriosa fecondità della preghiera e dei sacrifici, che le suore contemplative, raccolte nella loro clausura, offrono ogni giorno, in unione col loro Sposo celeste, per la salvezza spirituale degli uomini. E debbo ricordare oggi, in questa città, gli autentici prodigi compiuti, specie in questi due ultimi secoli, da tante religiose, che sono state serene e liete educatrici nella fede per migliaia di bambini, di ragazze che, specialmente negli oratori, hanno imparato a dare un senso e un orientamento cristiano alla loro giovinezza e alla loro vita. Né posso dimenticare le migliaia di religiose che, con intrepido vigore, hanno affrontato e in parte risolto, con moderne opere sociali, i problemi drammatici di tante giovani, che in questa grande metropoli industriale hanno cercato e cercano lavoro, sistemazione, comprensione ed affetto.

E penso inoltre a quelle religiose che, scorgendo nel fratello bisognoso l'immagine di Cristo, si chinano, con commovente, materna delicatezza, su tutte le piaghe sanguinanti dei sofferenti, degli ammalati, dei poveri, per dare aiuto, serenità, conforto, nelle case, negli ospedali, nelle cliniche, e in particolare in quel miracolo permanente della provvidenza, che è il "Cottolengo"! E' questa, care sorelle, la mirabile fecondità della vostra consacrazione a Dio! La Chiesa e la società hanno estremo bisogno della vostra presenza orante ed adorante, della vostra testimonianza evangelica, della vostra fede limpida ed umile, che opera mediante la carità (cfr. Ga 5,6).

La vostra è pertanto una dimostrazione concreta ed un segno tangibile del radicalismo evangelico, necessario per annunziare in maniera profetica l'umanità nuova secondo il Cristo, totalmente disponibili a Dio e totalmente disponibili agli altri uomini. "Ogni religiosa - dicevo all'Unione Internazionale delle Superiore Maggiori - deve testimoniare il primato di Dio e consacrare ogni giorno un tempo sufficientemente lungo per trovarsi davanti al Signore, per dirgli il proprio amore e soprattutto per lasciarsi amare da lui. Ogni religiosa deve significare ogni giorno, mediante il suo modo di vita, che essa sceglie la semplicità e i mezzi poveri per quel che concerne la vita personale e comunitaria.

Ogni religiosa deve ogni giorno fare la volontà di Dio e non la propria, per significare che i progetti umani, i propri e quelli della società non sono i soli piani della storia, ma che esiste un disegno di Dio che richiede il sacrificio della propria libertà..."(, I [1978], 166ss).

Proprio questo luogo sacro, nel quale siamo oggi riuniti, ci porta alla memoria la figura di una figlia di questa forte e generosa regione, cioè santa Maria Domenica Mazzarello, fondatrice, insieme con don Bosco, delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Fin da giovanissima essa volle vivere la vita religiosa nel mondo, impiantando nello stesso tempo un piccolo laboratorio per insegnare il lavoro di sarta alle fanciulle, per proteggerle e per guidarle nelle vie del bene.

Ci dicono i suoi biografi che non sapeva allora quasi scrivere e poco leggere, ma che parlava delle cose riguardanti la virtù in maniera così chiara e persuasiva da sembrare ispirata dallo Spirito Santo. Visse nell'umiltà, nella mortificazione, nella serenità, la sua donazione a Dio, realizzando la sua "maternità d'amore" verso migliaia di giovanette, e chiudendo la sua intensa vita terrena a soli quarantaquattro anni. Oggi le sue figlie spirituali sono circa diciottomila, sparse in tutto il mondo.

Nella oculata e fedele adesione al carisma dei vostri fondatori e fondatrici, continuate, care sorelle, a vivere, nella Chiesa e nel mondo d'oggi, secondo le ricche tradizioni dell'indole specifica dei vostri istituti; coltivate, con interiore impegno, la vostra vocazione, ma coltivate anche "le vocazioni", con l'assidua preghiera, e con la vostra stessa vita, che sia, di fronte specialmente alle giovani, un segno di gioia piena per aver scelto la "parte migliore" (cfr. Lc 10,42). Di fronte alle denigrazioni, ai malintesi, al disinteresse che talora c'è nei confronti del significato e del valore della vostra presenza di religiose nella società contemporanea, avviata verso il secolarismo e il tecnicismo, vi sia la vostra risposta dell'amore. "Caritas Christi urget nos!" (2Co 5,14) dovete poter dire al mondo, sempre, giorno dopo giorno, con le vostre labbra, con la vostra serenità, ma specialmente con tutta la vostra vita, completamente donata a Cristo ed ai fratelli! E sia la Vergine Maria il mirabile modello della vostra vita di anime consacrate. Ecco come sant'Ambrogio ci dipinge, con straordinaria e realistica delicatezza, il ritratto della Madonna: "Ella era vergine non solo nel corpo ma anche nell'anima: del tutto esente da ogni raggiro che macchia la sincerità dell'animo: umile di cuore; grave nel parlare; prudente nel pensiero; parca di parole;... Ella riponeva la sua speranza, non nell'incertezza delle ricchezze, ma nella preghiera del povero. Era sempre operosa, riservata nei discorsi, avvezza a ricercare Dio... come giudice della sua coscienza.

Non offendeva nessuno; voleva bene a tutti;... fuggiva l'ostentazione, seguiva la ragione: amava la virtù... Questa è l'immagine della verginità. Tanto perfetta fu Maria, che la sola sua vita è regola per tutti" (S.Ambrosii "De Virginibus", II,2,6-7: PL 16,208-210).

E, lasciandovi questo ricordo mariano sotto lo sguardo della Madonna Ausiliatrice, vi rinnovo la mia parola di incoraggiamento per il vostro meritorio apostolato ed altresi il mio augurio di gioia pasquale auspicando che la grazia della vostra vocazione religiosa produca abbondanti frutti di vita spirituale nella Chiesa universale e nella Chiesa particolare, qui a Torino, dove rendete, giorno dopo giorno, Ia vostra preziosa testimonianza di amore verso Dio e verso i fratelli.

La mia benedizione apostolica vi accompagni ora e sempre. Amen. Data: 1980-04-13 Data estesa: Domenica 13 Aprile 1980.


Ai giovani - Torino

Titolo: Il cristianesimo dà completezza e coronamento alla vostra personalità

Poteva mancare, carissimi giovani della città e della Chiesa di Torino, uno speciale appuntamento con voi in occasione di questa mia visita? Poteva mancare o no? Allora cos' ci troviamo su un punto fisso. E dobbiamo ringraziare gli organizzatori che hanno provveduto a un tale appuntamento e a un tale programma.

Trovandomi nella vostra terra, io ho avvertito, più che la convenienza, la necessità di rivolgervi la mia parola di esortazione e di incitamento anche per confortare la speranza di quanti, negli anni difficili che stiamo vivendo, si rivolgono a voi con rinnovata fiducia.

1. Torino è città che nel settore religioso-educativo ha tradizioni insigni e letteralmente esemplari. Essa ci presenta figure elette di uomini e di giovani che, pur essendo vissuti in età diversa dalla nostra, dimostrano una sorprendente attualità e possono offrire lezioni validissime al mondo moderno. Tra i tanti nomi, che potrei fare, ne scegliero solo due.

Il primo è quello di san Giovanni Bosco, che dei giovani fu un grande educatore, al punto che la sua opera in loro favore ha avuto una vasta irradiazione non soltanto qui e nella regione circostante, ma anche nell'Italia e nel mondo. Che cosa posso dire della mia Cracovia, della mia Polonia? Vi sono tanti salesiani! Io sono rimasto in una parrocchia salesiana per parecchi anni.

Allora non posso non parlare di san Giovanni Bosco.

Ecco allora che io vorrei chiedere: che cosa vuol dire essere un grande educatore? Vuol dire, prima di tutto, essere un uomo che sa "comprendere" i giovani. Ed infatti noi sappiamo che don Bosco aveva una particolare intuizione dell'anima giovanile: egli era sempre pronto ed attento nell'ascoltare e capire i giovani che a lui accorrevano numerosi nell'oratorio di Valdocco e nel santuario di Maria Ausiliatrice. Ma bisogna aggiungere subito che la ragione di questa peculiare profondità nel "comprendere" i giovani fu che con altrettanta profondità li "amava". Comprendere ed amare: ecco l'insuperata formula pedagogica di don Bosco, il quale - io penso - se oggi fosse in mezzo a voi, con la sua matura esperienza di educatore e col suo buon senso di autentico piemontese, saprebbe in voi ben individuare e distinguere efficacemente l'eco, non mai spenta, della parola che Cristo rivolge a chi vuol essere suo discepolo: "Vieni, seguimi" (Mt 19,21 Lc 18,22). Seguimi con fedeltà e costanza; seguimi fin da questo momento; seguimi lungo le varie, possibili vie della tua vita! Tutta l'azione di san Giovanni Bosco - a me sembra - si riassume e si definisce in questo suo riuscito e magistrale "avvio" dei giovani a Cristo.

Il secondo nome è quello di Pier Giorgio Frassati, che è figura più vicina alla nostra età (mori infatti nel 1925) e ci mostra al vivo che cosa veramente significhi, per un giovane laico, dare una risposta concreta al "vieni e seguimi". Basta dare uno sguardo sia pure rapido alla sua vita consumatasi nell'arco di appena ventiquattro anni, per capire quale fu la risposta che Pier Giorgio seppe dare a Gesù Cristo: fu quella di un giovane "moderno", aperto ai problemi della cultura, dello sport (un valente alpinista), alle questioni sociali, ai valori veri della vita, ed insieme di un uomo profondamente credente, nutrito del messaggio evangelico, solidissimo nel carattere coerente, appassionato nel servire i fratelli e consumato in un ardore di carità che lo portava ad avvicinare, secondo un ordine di precedenza assoluta, i poveri ed i malati.


2. Perché, parlando ora a voi, ho voluto prendere esempio da queste due figure? Perché esse servono a dimostrare, in un certo senso da due diversi lati, quel che è essenziale per la visione cristiana dell'uomo. L'uno e l'altro - don Bosco come vero educatore cristiano e Pier Giorgio come vero giovane cristiano - ci indicano che ciò che più conta in tale visione è la persona e la sua vocazione, così come è stata stabilita da Dio. Voi sapete bene che è frequente ormai da parte mia questo richiamo alla persona, perché si tratta veramente di un dato fondamentale, da cui non si potrà mai prescindere: e, dicendo persona, non intendo fare un discorso di un umanesimo autonomo e circoscritto alle realtà di questa terra. L'uomo - giova ricordare - in se stesso ha un immenso valore, ma non l'ha da se stesso perché l'ha ricevuto da Dio, dal quale è stato creato "a sua immagine e somiglianza" (Gn 1,26 Gn 1,27). E non c'è un definizione dell'uomo adeguata al di fuori di questa! Questo valore è come un "talento" e, secondo l'insegnamento della nota parabola (Mt 25,14-30), deve essere amministrato bene, cioè utilizzato in modo che fruttifichi in abbondanza. Eccola, o giovani, la visione cristiana dell'uomo, la quale, partendo da Dio creatore e padre fa scoprire la persona in quel che è ed in quel che deve essere.


3. Ho parlato di fruttificazione, e mi soccorre anche in questo il Vangelo, allorché propone - lettura che abbiamo incontrato di recente nella sacra liturgia - la similitudine del fico sterile, che è minacciato di sradicamento (Lc 13,6-9).

L'uomo deve fruttificare nel tempo, cioè durante la vita terrena, e non soltanto per sé, ma anche per gli altri, per la società di cui è parte integrante. Tuttavia questo suo operare nel tempo, proprio perché egli è "contenuto" nel tempo, non deve fargli né dimenticare né trascurare l'altra essenziale sua dimensione, di essere che è orientato verso l'eternità: l'uomo, dunque, deve fruttificare simultaneamente anche per l'eternità.

Da una parte, egli deve "riempire di sé" il tempo in maniera creativa, perché la dimensione ultraterrena non lo dispensa di certo dal dovere di operare responsabilmente ed originalmente, partecipando con efficacia ed in collaborazione con tutti gli altri uomini all'edificazione della società secondo le concrete esigenze del momento storico, in cui si trova a vivere. E', questo, il senso cristiano della "storicità" dell'uomo. D'altra parte, questo impegno di fede immerge il giovane in una contemporaneità, che porta in se stessa, in un certo senso, una visione contraria al cristianesimo. Questa anti-visione presenta queste caratteristiche, che ricordo in modo sia pure sommario. All'uomo d'oggi manca spesso il senso del trascendente, delle realtà soprannaturali, di qualche cosa che lo supera. L'uomo non può vivere senza qualche cosa che vada più in là, che lo superi. L'uomo vive se stesso se è consapevole di questo, se deve sempre superare se stesso, trascendere se stesso. Questa trascendenza è inscritta profondamente nella costituzione umana della persona. Ecco, nella anti-visione, come ho detto, contemporanea, il significato dell'esistenza dell'uomo viene perciò ad essere "determinato" nell'ambito di una concezione materialistica in ordine ai vari problemi, quali ad esempio quelli della giustizia, del lavoro ecc...: di qui scaturiscono quei contrasti multiformi tra le categorie sociali o tra le entità nazionali, in cui si manifestano i vari egoismi collettivi. E' necessario, invece, superare tale concezione chiusa e, in fondo, alienante, contrapponendo ad essa quel più vasto orizzonte che già la retta ragione ed ancor più la fede cristiana ci fanno intravvedere. Li, infatti, i problemi trovano una soluzione più piena; li la giustizia assume completezza ed attuazione in tutti i suoi aspetti; li i rapporti umani, esclusa ogni forma di egoismo, vengono a corrispondere alla dignità dell'uomo, come persona sulla quale risplende il volto di Dio.


4. Da tutto ciò emerge l'importanza di quella scelta, che voi giovani dovete fare! Fatela con Cristo, seguendolo animosamente ed aderendo al suo insegnamento, consapevoli dell'eterno amore che in lui ha trovato la sua espressione suprema e la sua definitiva testimonianza. Nel dirvi questo, io non posso certo ignorare gli ostacoli e i pericoli, purtroppo né lievi né infrequenti, che a voi si presentano nei diversi ambienti dell'odierno contesto sociale. Ma non dovete lasciarvi sviare; non dovete mai cedere alla tentazione, sottile e per ciò stesso più insidiosa, di pensare che una tale scelta possa contraddire alla formazione della vostra personalità. Io non esito ad affermare che questa opinione è del tutto falsa: ritenere che la vita umana, nel processo della sua crescita e della sua maturazione, possa essere "diminuita" dall'influsso della fede in Cristo, è un'idea da respingere. E' vero esattamente il contrario: come la civiltà sarebbe depauperata e monca senza la presenza della componente religiosa così la vita del singolo uomo e, segnatamente, del giovane sarebbe incompleta e carente senza una forte esperienza di fede, attinta da un contatto diretto con Cristo crocifisso e risorto. Il cristianesimo, la fede, credetemi, giovani, dà completezza e coronamento alla nostra personalità: esso, incentrato com'è nella figura di Cristo, vero Dio e vero uomo e, come tale, redentore dell'uomo, vi apre alla considerazione, alla comprensione, al gusto di tutto ciò che di grande, di bello e di nobile è nel mondo e nell'uomo. L'adesione a Cristo non comprime, ma dilata ed esalta le "spinte" che la sapienza di Dio creatore ha deposto nelle vostre anime.

L'adesione a Cristo non mortifica, ma irrobustisce il senso del dovere morale, dandovi il desiderio e la soddisfazione di impegnarvi per "qualcosa che veramente vale", dandovi, ripeto, il desiderio e la soddisfazione di impegnarvi così, e premunendo lo spirito contro le tendenze, oggi non di rado affioranti nell'animo giovanile, a "lasciarsi andare" o nella direzione di una irresponsabile e neghittosa abdicazione, o nella via della violenza cieca e omicida. Soprattutto - ricordatelo sempre - l'adesione a Cristo sarà fonte di una gioia autentica, di una gioia intima che il mondo non può dare e che - come egli stesso preannuncio ai suoi discepoli - nessuno potrà mai togliervi (cfr. Jn 16,22), anche essendo nel mondo.

Questa gioia, come frutto di una fede pasquale e - come ho detto stamane - frutto "di contatto" con Cristo, come dono ineffabile del suo Spirito, vuol essere il punto d'arrivo dell'odierno mio colloquio con voi. Voglio arrivare a questa parola "gioia". Voglio arrivare a questa parola, perché viviamo la settimana pasquale. Il cristianesimo è gioia, e chi lo professa e lo fa trasparire nella propria vita ha il dovere di testimoniarla, di comunicarla e di diffonderla intorno a sé. Ecco perché ho citato queste due figure. Don Bosco: sono andato ancora a trovare la sua tomba, e mi è sembrato sempre gioioso, sempre sorridente.

E Pier Giorgio: era un giovane di una gioia trascinante, una gioia che superava anche tante difficoltà della sua vita perché il periodo giovanile è sempre anche un periodo di prova delle forze.

Come giovani, voi vi preparate a costruire non solo il vostro avvenire, ma anche quello delle generazioni future: che cosa trasmetterete ad esse? Vi dovete porre questa domanda. Solo dei beni materiali, con l'aggiunta, magari, di una più ricca cultura, di una scienza più progredita, di una tecnologia più avanzata? Oppure, oltre a questo, anzi prima ancora di questo, non volete forse trasmettere quella superiore prospettiva, alla quale ho accennato, a quei beni di ordine spirituale, che si chiamano amore e libertà. Vero amore, vera libertà, vi dico, perché si possono facilmente sfruttare queste grandissime parole: amore e libertà. Si possono facilmente sfruttare. Nella nostra epoca noi siamo testimoni di uno sfruttamento terribile di queste parole: amore e libertà. Occorre ritrovare il vero senso delle due parole: amore e libertà. Vi dico: dovete tornare al Vangelo. Dovete tornare alla scuola di Cristo. Trasmetterete poi questi beni di ordine spirituale: senso della giustizia, in tutti i rapporti umani, promozione e tutela della pace. E vi dico di nuovo, sono parole sfruttate, molte, molte volte sfruttate. Si deve sempre tornare alla scuola di Cristo, per ritrovare il vero, pieno, profondo significato di queste parole. Il necessario supporto per questi valori non sta che nel possesso di una fede sicura e sincera, di una fede che abbracci Dio e l'uomo, l'uomo in Dio. Dove c'è Dio e dove c'è Gesù Cristo, suo Figlio, un tale fondamento è ben saldo; è profondo, è profondissimo. Non c'è una dimensione più adeguata, più profonda, da dare a questa parola "uomo", a questa parola "amore", a questa parola "libertà", a queste parole "pace" e "giustizia": altra non c'è, non c'è che Cristo. Allora, tornando sempre a questa scuola, ecco la ricerca di quei doni preziosi che voi giovani dovete trasmettere alle generazioni future, al mondo di domani; sarà con lui più facile e non potrà non riuscire.

Sul punto di congedarmi da voi, io desidero sollevarvi a questa visione di trascendenza e bellezza, onde la vostra vita cristiana acquisti solidità e cresca "di virtù in virtù" (Ps 83,8) e fiorisca - perché siete giovani, dovete fiorire - fiorisca in opere e, anche per la società terrena, siano premessa e promessa di un avvenire più umano e, perciò, più sereno. E' l'imperativo maggiore di questa nostra epoca che diventa triste, e che sarà ancora più triste, più tragica, se non vedrà quella prospettiva che solamente voi giovani potete dare ad essa, al nostro secolo, alla nostra generazione, alla nostra Italia, al nostro mondo! E ora, facciamo venire i Cardinali, i Vescovi. Diamo la benedizione a questi giovani. Ecco, diciamo una preghiera, il Padre nostro, e poi, daremo una benedizione a voi tutti qui presenti, i Vescovi insieme con il Vescovo di Roma, oggi pellegrino a Torino.

Sia lodato Gesù Cristo. Arrivederci!

Data: 1980-04-13 Data estesa: Domenica 13 Aprile 1980.


L'incontro con la città a piazza Vittorio - Torino

Titolo: Torino, la Chiesa sia con te! Sii la città fedele e sicura

1. Sia lodato Gesù Cristo! Con queste parole a me care, e anche a voi familiari, io saluto Torino, in quest'incontro con l'intera città e col mondo del lavoro, che porta al vertice la letizia e la ricchezza spirituali di tutti gli altri incontri, e conclude la mia odierna visita tra voi. Con queste parole io vi saluto tutti, e tutti porto nel cuore! Saluto le autorità della provincia, della città, e quelle militari: saluto il Cardinale Arcivescovo di Torino, i Vescovi del Piemonte, il clero tutto, qui presente, le religiose; saluto le rappresentanze del mondo del lavoro, parte cospicua e insostituibile dell'economia cittadina e italiana; saluto gli uomini della cultura e della politica, in questa città intellettualmente vivace, profonda e ricca d'idee; saluto gli uomini dei mass-media, dello spettacolo e dello sport; saluto tutti voi, fratelli e sorelle qui presenti, tessuto connettivo della quotidiana vita sociale della metropoli; saluto i giovani, mio gaudio e mia corona (Ph 4,1)! E' tutta Torino, nella sua ricchezza umana e nella sua configurazione geografica, che ho davanti agli occhi, in un quadro che certo non dimentichero più.

E' come se mi venisse incontro la storia della vostra amata città, dal primo nucleo romano di "Augusta Taurinorum", fino ai suoi successivi sviluppi, quando l'annuncio del cristianesimo si radico e si confuse con le vicende della "civitas" terrena, favorita nel suo affermarsi dalle condizioni ambientali e dall'innata nobiltà e operosità dei suoi figli. Rendo onore alla ricca e severa tradizione culturale e civile della città: con la irradiazione della sua università, fondata già nel 1404, e di rinomanza europea; con la fama delle sue istituzioni culturali, dei suoi musei, delle sue accademie; col prestigio delle sue industrie in tutti i campi, testimonianza della laboriosità e inventiva dei padri; con quell'indiscussa autorità che ben merito alla città il privilegio, sia pur temporaneo, di assurgere a capitale d'Italia. E' questa Torino che saluto; la Torino di ieri e di oggi, con la sua eredità passata e con le sue presenti risorse di intelligenza, di cultura, di attività in tutti i settori.


GPII 1980 Insegnamenti - Recita del Regina Coeli - Torino