GPII 1980 Insegnamenti - All'almo collegio Capranica - Roma

All'almo collegio Capranica - Roma

Titolo: Amate Cristo "con cuore indiviso"

Figli carissimi! 1. E' per me motivo di gioia sincera poter celebrare con voi questa eucaristia nella festa della patrona del vostro "almo collegio", che vanta come giusto titolo di gloria il merito di essere il primo istituto di questo genere sorto in Roma. Si deve infatti alla lungimiranza del suo pio fondatore, il Cardinale Domenico Capranica, se potè aversi in questa città, quasi un secolo prima dell'inizio del Concilio di Trento, un luogo nel quale ai giovani aspiranti al sacerdozio erano offerti tutti gli aiuti necessari per una buona preparazione al futuro ministero.

Intere generazioni di ecclesiastici, formati ad un profondo "sensus Ecclesiae", sono usciti da questo istituto nel corso di oltre cinque secoli di storia. So che tra i suoi alunni l'almo collegio annovera anche due Papi, Benedetto XV e Pio XII, oltre a numerosi cardinali, prelati, e tanti sacerdoti zelanti, che hanno profuso tesori di scienza e di bontà nella "vigna del Signore".

Uomini che hanno qui imparato ad amare Cristo e la Chiesa, che in questa comunità si sono esercitati nella pratica delle virtù umane e cristiane, che in essa si sono preparati a prendere attivamente il loro posto nelle diverse mansioni, dalle più umili alle più prestigiose, a cui il Signore li avrebbe chiamati.

Voi, figli carissimi, siete gli eredi di una tradizione gloriosa ed è bene che ne risvegliate in voi stessi la coscienza anche in questa circostanza, intorno alla mensa eucaristica e sotto gli occhi di Dio, per sentirvi stimolati ad essere all'altezza dei nobili esempi di virtù, lasciati da coloro che vi hanno preceduto fra queste mura venerande. La loro testimonianza deve essere per ciascuno di voi un continuo richiamo ad un generoso e coerente impegno nello studio e nella disciplina ecclesiastica, nella preghiera e nella fedeltà ai vostri doveri, così da prepararvi ad essere sacerdoti pienamente di Cristo per l'edificazione del Popolo di Dio.


2. Vi sprona a ciò anche l'esempio della fanciulla, alla cui intercessione il vostro seminario è affidato. Sant'Agnese, con la sua vicenda di verginità e di martirio, ha suscitato nel popolo romano e nel mondo un'onda di commossa ammirazione, che il tempo non è riuscito a soffocare. Colpisce, in lei, la maturità del giudizio nonostante l'età giovanissima, la fermezza della decisione, nonostante la femminile impressionabilità, il coraggio impavido nonostante le minacce dei giudici e la crudezza dei tormenti.

Già sant'Ambrogio esprimeva la sua meraviglia con le note parole, che la liturgia ci ha proposto nell'ufficio delle letture: "In un corpo così minuscolo c'era posto ove ferire?... Le fanciulle della sua età non riescono a sostenere lo sguardo adirato dei genitori e la puntura d'un ago le fa piangere come se avessero ricevuto chissà quali ferite. Agnese invece rimane impavida fra le mani dei carnefici, tinte del suo sangue" (S.Ambrosii "De virginibus", I,2,7: PL 16,190).

Come un tenero e candido agnello offerto in dono a Dio, Agnese diede la suprema testimonianza a Cristo col cruento olocausto della sua giovane vita.

L'antico rito, che prevede in questo giorno la benedizione di due agnelli, la cui lana serve poi a confezionare i palli arcivescovili, perpetua il ricordo di questo esempio di invitto coraggio e di intemerata purezza.


3. L'immagine dell'eroica fanciulla ci riporta spontaneamente col pensiero alle parole, udite da Gesù nel Vangelo: "Ti benedico o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti ed agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Si, o Padre, perché così è piaciuto a te" (Mt 11,25-26). "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra": nelle parole solenni si sente passare quasi un brivido di esultanza. Gesù vede lontano; vede nel corso dei secoli la schiera innumerevole di uomini e donne di ogni età e condizione, che aderiranno con gioia al suo messaggio. Anche Agnese è tra di loro.

Una caratteristica li accomuna; essi sono piccoli, cioè semplici, umili.

E' stato così fin dall'inizio: "Ai poveri è annunciata la buona novella" (Lc 7,22), ha detto Gesù ai messaggeri di Giovanni, e il suo primo "beati" lo ha riservato a loro (Mt 5,3). E' la gente umile, respinta e disprezzata, che lo capisce ed accorre a lui. Con essa egli stabilisce un'intesa immediata; è gente che sa di non sapere e di non valere nulla, sa di aver bisogno di aiuto e di perdono; per questo, quando egli parla dei misteri del regno e quando dice di essere venuto a recare il perdono di Dio e la salvezza, trova in essi cuori aperti a comprenderlo.

Non così i "sapienti" e gli "intelligenti": essi si sono formata una loro visione di Dio e del mondo e non sono disposti a cambiarla. Credono di sapere tutto di Dio, di possedere la risposta risolutiva, di non avere nulla da imparare: per questo rifiutano la "buona notizia", che appare così strana e in contrasto con i capisaldi della loro "Weltanschauung". E' un messaggio che propone certi capovolgimenti paradossali, che il loro "buon senso" non può accettare.

Così avveniva ai tempi di Gesù, così a quelli di sant'Agnese; così avviene anche oggi, ed anzi, oggi forse in modo tutto particolare. Viviamo in una cultura che tutto sottopone ad analisi critica e lo fa spesso assolutizzando criteri parziali, per loro natura inadatti alla percezione di quel mondo di realtà e di valori, che sfugge al controllo dei sensi. Cristo non chiede all'uomo di rinunciare alla propria ragione. E come potrebbe, se è stato lui stesso a donargliela? Quel che gli chiede è di non cedere all'antica suggestione del tentatore, che continua a fargli balenare dinanzi l'ingannevole prospettiva di poter essere "come Dio" (cfr. Gn 3,5). Solo colui che accetta i suoi limiti intellettuali e morali e si riconosce bisognoso di salvezza, può aprirsi alla fede e nella fede, incontrare, in Cristo, il suo Redentore.


4. Un Redentore che gli viene incontro nell'atteggiamento dello sposo. Abbiamo ben presenti le stupende espressioni del testo di Osea, ascoltato poc'anzi: "Ti faro mia sposa per sempre, ti faro mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzero con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore" (Os 2,21-22). E' il preannuncio della nuova alleanza, che Dio si prepara a concludere col suo popolo: un patto d'amore eterno, non più fondato sulla fragilità dell'uomo, ma sulla giustizia e sulla fedeltà di Dio.

Il discorso è rivolto alla Chiesa, ma ha una sua verità anche per la singola anima. Agnese lo raccolse come un invito personale alla donazione senza riserve. Accetto di uscire "nel deserto" (Os 2,16) con lo sposo divino e continuo a camminare con lui senza lasciarsi distogliere né dalle lusinghe né dalle minacce: messa alla prova, "et aetatem vicit et tyrannum; et titulum castitatis martyrio consecravit" (S.Ieronymi "Ep. 130 ad Demetriadem", 5: PL 22,1109).


5. La scelta di sant'Agnese è anche la vostra, carissimi figli. Voi pure avete deciso di amare Cristo con "cuore indiviso" (cfr. 1Co 7,34), consapevoli delle ricchezze di grazia che questa donazione totale vi riserva. Tuttavia, da giovani perspicaci quali siete, non vi nascondete le difficoltà a cui questa scelta vi espone. Voi sapete che potranno toccarvi fraintendimenti ed incomprensioni, ed anche opposizioni ed ostilità, tanto più dolorose quanto più subdole e sornione.

Carissimi, sono, queste, perplessità ben comprensibili. Ma non vi pare che nelle parole di san Paolo, proposte dalla seconda lettura, vi sia offerta la risposta capace di rinfrancare il cuore spaurito e titubante? "Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e diprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio" (1Co 1,27-29) E' una linea di condotta che Dio non ha smentito mai: non ne è forse una riprova la vicenda di Agnese, che noi oggi ricordiamo? Mediante la debolezza e l'inesperienza di una fragile fanciulla, Dio ha irriso la tracotanza dei potenti di questo mondo, offrendo una testimonianza sorprendente della forza vittoriosa della fede: "magna vis fidei, quae etiam ab illa testimonium invenit aetate" (S.Ambrosii "De virginibus" I,2,7: PL 16,190).

Il suggerimento è, dunque, chiaro: non dobbiamo tanto guardare a noi stessi, quanto a Dio e in lui dobbiamo cercare quel "supplemento" di energia, che a noi manca. Non è questo l'invito che abbiamo ascoltato dalle labbra stesse di Cristo: "Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorero" (Mt 11,28)? Lui è la luce capace di rischiarare le tenebre, fra cui brancola la nostra intelligenza limitata; lui la forza che può dare vigore alle nostre volontà fiacche; lui il calore capace di sciogliere il gelo dei nostri egoismi e di ridare slancio ai nostri cuori stanchi.

Seguendo sant'Agnese, che ci indica la strada, andiamo dunque a Cristo, per sperimentare anche noi che "il suo giogo è dolce ed il suo carico leggero" (cfr. Mt 11,30) ed il nostro cuore inquieto, fattosi "mite ed umile" (Mt 11,29), troverà finalmente ristoro e pace.

Data: 1980-01-21Data estesa: Lunedi 21Gennaio 1980.




Ai cappellani militari d'Italia - Roma

Titolo: A voi sono affidati i giovani militari

Eccellenza reverendissima, carissimi sacerdoti! E' la prima volta che tutti i cappellani militari d'Italia si riuniscono insieme a Roma e vengono in udienza dal Papa! E' perciò questo, veramente, un momento storico, commovente ed importante per voi, e anche per me.

Grande è la mia gioia e il mio conforto nell'incontrarmi con voi, e di cuore ringrazio pertanto l'ordinario militare, monsignor Mario Schierano, come ringrazio voi, per questo vostro atto di profonda devozione verso la mia persona.

Con affetto saluto ognuno di voi, cari cappellani militari, e vi esprimo il mio sincero compiacimento e la mia stima più cordiale per il lavoro che, con sacrificio e preoccupazione, svolgete a vantaggio delle forze militari nelle unità territoriali dell'esercito, nei reparti dell'aviazione, nei dipartimenti marittimi e nelle specialità dei carabinieri, della polizia e della guardia di finanza. Il vostro impegno pastorale merita il plauso e la comprensione di tutti.

E salutando voi, qui presenti, intendo anche raggiungere col mio affetto tutti gli ex-cappellani militari, che hanno speso la loro vita sacerdotale in questo importante settore, e particolarmente coloro che nell'ultimo terribile conflitto, in tutti gli eserciti combattenti, hanno accompagnato i loro soldati, con l'angoscia nel cuore per tanta strage così ingiusta e crudele, confortandoli nei campi della battaglia e della prigionia.

E un riverente pensiero e una preghiera di suffragio fraterno si elevano pure per la schiera dei cappellani, caduti compiendo il proprio dovere, vittime anch'essi assieme ai giovani a loro affidati.

Vorrei che voi portaste il mio saluto a tutti i giovani d'Italia, che avvicinate, seguite, amate durante il servizio militare. Fatevi interpreti dell'affetto e della benevolenza del Papa! Dite a tutti che il Papa li ama e li ricorda nelle sue sollecitudini e nella sua preghiera.

Cari cappellani militari! Avete terminato un lungo ciclo di aggiornamento sui temi della "promozione umana", della "famiglia" e della "catechesi", argomenti di importanza essenziale, e mi compiaccio sinceramente della vostra buona volontà e del vostro impegno.

1. Mi immagino prima di tutto le vostre difficoltà. Ogni vita sacerdotale ha le sue; ma si può dire che la vostra sia particolarmente difficile, specialmente nella attuale situazione della società: difficoltà per l'attuazione di un piano pastorale organico; difficoltà nell'accostamento e nei rapporti con i singoli giovani; difficoltà per la eterogeneità degli ambienti; difficoltà nel raggiungimento dei fini proposti e nel superamento delle immancabili delusioni; difficoltà anche per le particolari condizioni ideologiche e psicologiche in cui si trovano in modo particolare i giovani, turbati e oppressi dal tumulto incessante degli avvenimenti.

Anche voi avete bisogno di comprensione, anche voi sentirete talvolta il dramma della solitudine! Ebbene: sappiate di avere la mia amicizia e la mia preghiera! Tra le tante ansie che assillano la mente e il cuore del Papa, ci siete anche voi, cappellani militari d'Italia! lo vi seguo e vi accompagno, insieme con i vostri Vescovi e i vostri superiori. Ma soprattutto vi esorto a tener vivo e alto il coraggio e la certezza: chiamati dalla Provvidenza a compiere un qualificato servizio sacerdotale, la vostra vita è ben spesa, anche se non avete sempre la consolazione di vedere l'efficacia e i risultati del vostro ministero.

Siate lieti di servire Cristo e l'umanità come cappellani militari, imitando Gesù che ricolmo di grazia e di amicizia anche il centurione romano. A voi in modo speciale ripeto le famose parole di san Paolo agli Efesini: "Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell'armatura di Dio, perché possiate resistere... State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il Vangelo della pace. Tenete sempre in alto lo scudo della fede...

Prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente... vigilando a questo scopo con ogni perseveranza" (Ep 6,10 Ep 6,13-18).


2. L'incontro odierno deve anche essere uno stimolo a compiere sempre meglio l'opera, a cui siete stati chiamati. Oltre al personale stabile nei vari settori delle Forze Armate, a voi sono affidati i ben trecentocinquantamila giovani, che ogni anno passano nelle caserme d'Italia. Avete indubbiamente una grande responsabilità, perché la Chiesa, le singole famiglie, i superiori e i giovani stessi hanno fiducia in voi, e da voi attendono luce, guida, fortezza spirituale, e un saldo punto di riferimento.

Sentite profondamente questa responsabilità; ma provate anche la gioia di poter annunziare Cristo e il suo messaggio salvifico a tanti giovani che, forse tra intime sofferenze, sono in fase di ricerca e di scelta.

Il giovane chiamato al servizio militare nel periodo più delicato e importante della sua esistenza, ha una sua psicologia particolare: si trova improvvisamente staccato dal suo ambiente naturale e normale e dalle sue abitudini di vita, e perciò logicamente si sente solo, amareggiato, impaurito, e capisce la necessità di un grande sforzo di volontà per accettare il nuovo genere di vita; egli inoltre, obbligato ad un ritmo di azioni diverse o contrarie ai suoi gusti, tra persone sconosciute e varie per la mentalità e per il temperamento, si sente spinto ad evadere in qualche modo, per mantenere la sua personalità e per riempire il vuoto affettivo e la solitudine che lo travagliano, cedendo talvolta ad esperienze deleterie; e venendo a contatto con gli altri modi di pensare e di vivere può subire anche violente crisi spirituali. Ebbene, voi siete chiamati a stare vicino a questi giovani, in un momento tanto delicato; voi potete conoscerli, amarli, illuminarli! Essi hanno bisogno della vostra amicizia e del vostro affetto.


3. In particolare, in che cosa deve consistere questa amicizia, questo affetto? - Esso deve essere prima di tutto delicato e rispettoso. In una società così apertamente pluralistica e autonoma, bisogna avere comprensione per tutte le esperienze. Cercare di capire per poter meglio amare non significa giustificare; significa soltanto ottenere la fiducia, aprirsi alla simpatia reciproca, creare dei rapporti di amicizia; proporre di camminare assieme per quel tratto di strada.

Sono necessari perciò una grande pazienza, un grande senso di equilibrio ed una raggiunta maturità.

- Il vostro affetto deve poi essere illuminante. Mai come oggi il giovane ha sentito il bisogno di certezza circa il significato autentico della vita e del suo destino. Mai come oggi il giovane ha sentito il bisogno di convinzioni personali, provate e dimostrate, per potersi incontrare con assoluta sicurezza con Dio, con Cristo e con la Chiesa, nonostante le vicende della storia e la varietà delle ideologie. E' necessaria perciò la buona apologetica, la spiegazione esauriente dei "preamboli della fede", che diradi le tenebre dell'errore, dei pregiudizi, della confusione. Siate pertanto sempre lineari e logici nell'annunziare senza timore tutta la verità.

- Il vostro affetto, infine, dev'essere sempre formativo. Fate conoscere ed amare Gesù Cristo, fate comprendere e stimare la vita di grazia, e la prospettiva eterna e responsabile dell'esistenza umana. Ogni atteggiamento di spavalderia o di mondanità, di critica o di tiepidezza, banalizza la vita sacerdotale e ne svuota il valore di testimonianza. Siate sempre coscienti della vostra dignità di ministri di Cristo, e con l'aiuto dei giovani già maturi e formati sappiate creare un altro tipo di mentalità che spiritualizzi ed elevi tutto l'ambiente.

Cari cappellani militari! Oggi festeggiamo san Francesco di Sales, i cui insegnamenti come disse Paolo VI di venerata memoria, sono "così adatti alla necessità del nostro tempo" (Pauli VI "Sabaudiae Gemma", die 29 ian. 1967), e mi piace concludere lasciandovi un suo pensiero. Vi ricordate ciò che egli scriveva nell'"Introduzione alla vita devota"? "E un errore - diceva - anzi un'eresia, voler bandire la vita devota dalla caserma dei soldati, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi e dalla vita famigliare dei coniugati" (S.Francesco di Sales "Introduzione alla vita devota", parte prima, II). Ma per realizzare questa vita cristiana fatta di fede e di grazia, tutti hanno bisogno di un direttore spirituale in cui porre "una confidenza assoluta e una sacra riverenza... Questa guida spirituale dovrà essere come un angelo... Egli dovrà essere pieno di carità, di scienza e di prudenza" (S.Francesco di Sales "Introduzione alla vita devota", parte prima, IV). Siate voi gli "angeli" visibili per i giovani a voi affidati! Vi aiuti l'intercessione del santo Dottore della Chiesa! Vi faccia sentire il suo materno amore Maria santissima! Con la mia propiziatrice benedizione apostolica!

Data: 1980-01-24 Data estesa: Giovedi 24 Gennaio 1980.


Ai padri sinodali olandesi - Cappella Paolina (Roma)

Titolo: L'unità è conversione a Cristo capo del corpo che è la Chiesa

Cari fratelli.

Arriviamo oggi al termine della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Il tema scelto per quest'anno era: "Adveniat regnum tuum", "Venga il tuo regno": preghiera ripetuta spesso, ma che deve essere sempre nuova, se prendiamo coscienza del suo significato. Essa implica in effetti, in maniera particolare per ogni cristiano, per ciascuno di noi una trasformazione interiore, la trasformazione del cuore grazie alla quale il regno di Dio si estende nel mondo realizzandosi veramente in noi.

1. I Paesi Bassi fanno parte di quelle regioni in cui il problema dell'ecumenismo ha una grande importanza storica e contemporanea. Da secoli, la situazione religiosa del vostro paese è stata segnata dalla rottura dell'unità, e questo non è avvenuto senza sofferenza e tensioni. Oggi è significativo che il Cardinale Johannes Willebrands riunisca nella sua persona i compiti di Arcivescovo di Utrecht e di presidente del segretariato per l'unità dei cristiani, e noi tutti qui sappiamo i meriti che si è acquisito consacrando tutte le sue forze a queste due funzioni ecclesiali così importanti e delicate.

In modo più immediato, il sinodo particolare che ci dà l'occasione di essere riuniti attorno a questo altare tratta anche il tema dell'ecumenismo e si svolge esso stesso in un clima ecumenico perché, se la preoccupazione dell'unità è costantemente presente a tutti i suoi membri, questa assemblea si sa anche sostenuta, non solamente dalla preghiera dei cattolici, ma anche da quella di altri cristiani, come i pastori protestanti dei Paesi Bassi ne hanno dato l'assicurazione.


2. La settimana di preghiera per l'unità trova il suo compimento e il suo culmine il 25 gennaio, il giorno in cui la Chiesa commemora, nella sua liturgia, la conversione di san Paolo.

Questo fatto possiede una eloquenza speciale. Dapprima, ci fa prendere coscienza di una esigenza: l'unità non può essere che il frutto di una conversione a Cristo, che è il capo del corpo che è la Chiesa. Una tale conversione deve essere profonda e raggiungere l'insieme dei membri nei molteplici aspetti della loro vita, affinché l'unità si realizzi veramente. San Paolo ha incontrato il Signore: si è dato a lui totalmente. Questo spiega il posto formidabile che l'apostolo occupa nella Chiesa. A nostra volta, noi dobbiamo progredire nell'unità che dipende in definitiva da Cristo, e dunque dalla nostra adesione a lui, giacché è in lui che noi costituiamo la Chiesa. In questo spirito, bisogna domandarci senza posa come le espressioni umane e le diverse dimensioni dei nostri sforzi di vita cristiana e del nostro cammino ecumenico manifestano la ricerca dell'unità in quanto conversione al Cristo.

L'unità in Cristo corrisponde al disegno eterno del Padre, alla rivelazione del mistero di salvezza quale è stato annunciato dall'apostolo delle nazioni: "Ricondurre tutte le cose sotto un solo capo, Cristo" (Ep 1,10); si, davanti al Padre, è in Cristo che tutta la famiglia umana, da lui riscattata, trova la sua unità. Noi non possiamo cercarla altrove.


3. Un secondo punto richiede anche la nostra attenzione e la nostra meditazione: questa celebrazione del 25 gennaio ci fa prendere coscienza in una maniera del tutto particolare che la conversione, e dunque l'unità, è possibile "a Dio", anche se può sembrare impossibile "agli uomini".

Per illuminarci su questo soggetto, noi abbiamo l'esempio di Paolo di Tarso, divenuto san Paolo. Nemico mortale di Cristo e dei cristiani, lui che, come dice egli stesso, aveva "stimato dover impiegare tutti i mezzi per combattere il nome di Gesù di Nazaret" (Ac 26,9), ha incontrato il Signore, e divenuto "apostolo delle nazioni", l'amore del Cristo è divenuto tutta la sua vita (cfr. Ph 1,21).


4. Una trasformazione così profonda, così radicale, è dunque possibile, per la grazia del Signore. Per giungervi, una preghiera insistente, incessante è necessaria. Occorre sia la preghiera personale di ciascuno, come quella che noi abbiamo fatto durante questa settimana; occorre anche la preghiera comune, perché, allorquando noi preghiamo così gli uni con gli altri, abbiamo già una certa unità.

E sappiamo anche che, nella preghiera, permettiamo allo Spirito Santo di pregare lui stesso in noi e per noi, anche quando, secondo le parole di san Paolo, noi non sappiamo ciò che conviene domandare (cfr. Rm 8,26).

In questa comunità sinodale che noi formiamo, è bene che possiamo pregare per l'unità. E' una grazia che questo momento coincida con la settimana di preghiera per l'unità. E questa preghiera è prima di tutto apertura allo Spirito Santo: noi lo preghiamo di estendere i desideri del nostro cuore e di colmare al di là di ciò che i nostri cuori desiderano, al di là delle domande che possono scaturire dalle nostre labbra, anche se forse non troviamo le parole che sarebbero adeguate.

Si, preghiamo per essere sempre di più gli strumenti della volontà salvifica di Dio, del suo disegno di unità, del suo regno: Venga il tuo regno! [Traduzione dal francese]

Data: 1980-01-25 Data estesa: Venerdi 25 Gennaio 1980.


Al comitato scientifico ed esecutivo dell'istituto "Paolo VI" - Roma

Titolo: Studiate Paolo VI con amore e rigore scientifico!

1. Sono molto lieto di incontrarmi con voi, qualificati membri del comitato scientifico e del comitato esecutivo dell'istituto "Paolo VI", per manifestarvi il mio apprezzamento ed il mio incoraggiamento; e ringrazio il dott. Giuseppe Camadini per le parole che, interpretando i vostri sentimenti, ha voluto rivolgermi.

La diocesi di Brescia - nella quale il mio venerato predecessore Paolo VI ha visto la luce del sole ed è nato alla vita soprannaturale, e nella quale si è preparato al sacerdozio - ha scelto di onorare la memoria del più grande dei suoi figli nel modo migliore. L'istituto "Paolo VI", da essa voluto e sostenuto, potrà infatti essere un mezzo veramente fondamentale per lo studio della vita, del pensiero e dell'opera di Paolo VI, e anche per lo studio dei tempi e delle vicende, spesso tragiche, a cui egli partecipo sempre con la limpidità della sua testimonianza sacerdotale e con le eccezionali doti della sua mente e del suo cuore. Alla diocesi di Brescia va, per l'impegno che si è assunta e il servizio che intende compiere, la mia sincera riconoscenza.

E gratitudine altrettanto sentita esprimo a voi tutti, che avete accolto l'invito della diocesi di Brescia a dare all'istituto la vostra generosa e preziosa collaborazione. Più volte, durante il primo anno del mio pontificato, ho avuto l'occasione di ricordare quanto la vita della Chiesa debba all'insegnamento e all'opera di Paolo VI. Nella mia prima lettera enciclica l'ho riconosciuto come mio "vero padre" (Ioannis Pauli PP. II RH 4). Ben potete capire allora quanto sia lieto per tutto ciò che farete al fine di onorare la sua memoria e di continuare in certo qual modo la sua presenza in mezzo a noi.


2. Più il tempo passa e più si comprende la grandezza di Papa Paolo VI. Ed è a cotesta comprensione che dovrà essere rivolto l'impegno dell'istituto e di voi tutti. Lasciate che, insieme con voi, ricordi alcune caratteristiche di un tale impegno.

Studiate Paolo VI con amore. Non sempre, nel corso della sua vita, fu compreso; egli ha conosciuto la croce, ebbe "insulti" e "sputi" (cfr. Ioannis Pauli PP. II "Homilia in Basilica Vaticana habita, primo exeunte anniversario die ab obitu Pauli VI P.M., die 16 sept. 1979: "", II,2, 1979, p. 311). L'amore è allora un atto di riparazione dovuto alla sua memoria, oltre che un aiuto potente a penetrarne lo spirito per meglio comprenderlo.

Studiatelo con rigore scientifico. La verità renderà sempre giustizia a quel grande Papa, che di verità e di sapienza inondo per quindici anni il mondo intero.

Studiatelo con la convinzione che la sua eredità spirituale continua ad arricchire la Chiesa e può alimentare le coscienze degli uomini d'oggi, tanto bisognosi di "parole di vita eterna".


3. Con particolare interesse ho appreso che state organizzando un primo convegno internazionale di studio dedicato all'enciclica "Ecclesiam Suam", che Paolo VI scrisse nel 196 4. A quell'enciclica mi sono richiamato nella "Redemptor Hominis" (cfr. Ioannis Pauli PP. II RH 3), quasi per continuare una riflessione e per attingere ispirazione e conforto. La verità della Chiesa fu da Paolo VI studiata lungo tutta la vita. Ne esploro continuamente la profondità, ne gusto la bellezza, lascio che il suo spirito ne venisse illuminato e conquistato.

Fino all'ultimo respiro il suo pensiero e le sue energie furono per la Chiesa, in una donazione eroica di tutte le sue energie. E' di un tale amore per la Chiesa, forte, fedele e generoso, che i cattolici hanno oggi bisogno in modo particolare, e che voi, con il vostro studio, potrete aiutare a crescere e a farsi luce e testimonianza a vantaggio dell'intera umanità.

Vi conforti l'apostolica benedizione, che con sincero affetto imparto a voi e a quanti vi sono cari.

Data: 1980-01-26 Data estesa: Sabato 26 Gennaio 1980.


Alle partecipanti per un convegno per ostetriche - Roma

Titolo: Voi siete le custodi della vita umana

Sorelle carissime! 1. Ho accolto di buon grado il desiderio, da voi espresso, di un incontro particolare, nel quale vi fosse concesso di testimoniare la devozione che vi lega al Papa, e di ricevere da lui una parola di conforto e di guida nell'adempimento dei delicati compiti connessi con la vostra professione.

Conosco le alte finalità a cui la vostra associazione si ispira e mi sono note, altresi, le coraggiose scelte, che essa ha saputo operare in questi anni, per restare fedele ai dettami della coscienza illuminata dalla fede. Sono lieto, pertanto, di potervi manifestare di persona il mio cordiale apprezzamento e di recarvi, al tempo stesso, la mia paterna esortazione a perseverare nel proposito di coerente adesione alle norme deontologiche della vostra professione, non raramente sottoposta a forti pressioni da parte di chi vorrebbe piegarla verso prestazioni, che sono in diretto contrasto con gli scopi per cui essa è sorta ed opera.

Il "servizio alla vita ed alla famiglia" è stato ed è infatti, la ragion d'essere essenziale di questa professione, come avete opportunamente sottolineato nel tema stesso del convegno; ed è precisamente in tale nobile servizio che va ricercato il segreto della sua grandezza. A voi spetta di vegliare con sollecitudine sul mirabile e misterioso processo della generazione che si compie nel seno materno, allo scopo di scguirne il regolare svolgimento e di favorirne il felice esito con la venuta alla luce della nuova creatura. Voi siete, dunque, le custodi della vita umana, la quale si rinnova nel mondo, portando in esso, col fresco sorriso del neonato, la gioia (cfr. Jn 16,21) e la speranza di un futuro migliore.


2. E' necessario, pertanto, che ognuna di voi coltivi in se stessa la chiara consapevolezza dell'altissimo valore della vita umana: nell'ambito dell'intera creazione visibile essa è un valore unico. Il Signore ha infatti creato tutte le altre cose sulla terra per l'uomo; l'uomo invece - come il Concilio Vaticano II ha ribadito - è "la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa" (GS 24).

Questo significa che, per quanto riguarda il suo essere e la sua essenza, l'uomo non può essere finalizzato ad alcuna creatura, ma a Dio soltanto.

E' questo il contenuto profondo del passo biblico ben noto, secondo cui "Dio creo l'uomo a sua immagine... maschio e femmina li creo" (Gn 1,27); e questo è anche ciò che si vuol ricordare quando si affcrma che la vita umana è sacra. L'uomo, come essere fornito di intelligenza, di libera volontà, desume il diritto alla vita immediatamente da Dio, di cui è immagine, non dai genitori, né da qualsiasi società od autorità umana. Dio soltanto può, quindi, "disporre" di tale suo dono singolare: "Io, io solo sono Dio e nessun altro è Dio come me. Sono io che faccio morire e risuscito, sono io che ferisco e risano e non c'è chi possa liberare dal mio potere" (Dt 32,39).

L'uomo, dunque, possiede la vita come un dono, del quale non può pero considerarsi padrone; per questo, della vita tanto propria che altrui non può sentirsi arbitro. L'Antico Testamento formula questa conclusione in un precetto del decalogo: "Non uccidere" (Ex 20,13), con la precisazione che segue poco dopo: "Non far morire l'innocente ed il giusto. poiché io non assolvero il malvagio" (Ex 23,7). Cristo, nel Nuovo Testamento, ribadisce tale precetto come condizione per "entrare nella vita" (cfr. Mt 19,18); ma - significativamente - lo fa seguire dalla menzione del precetto che riassume in sé ogni aspetto della norma morale, portandolo a compimento, il precetto cioè dell'amore (cfr. Mt 19,19). Solo chi ama può accogliere fino in fondo le esigenze che scaturiscono dal rispetto per la vita del prossimo.

A questo proposito, voi ricordate certamente le parole di Cristo nel "discorso della montagna": in tale occasione Gesù si rifà quasi polemicamente al "non uccidere" veterotestamentario, vedendovi un'espressione della giustizia "insufficiente" degli scribi e dei farisei (cfr. Mt 5,20) ed invitando a guardare più a fondo in se stessi, per individuare le radici malvage, da cui scaturisce ogni violenza contro la vita; colpevole non è soltanto chi uccide, ma anche chi coltiva sentimenti malevoli ed esce in parole offensive nei confronti del prossimo (cfr. Mt 5,21ss.). Vi è una violenza verbale che prepara il terreno e favorisce l'insorgere dei presupposti psicologici per lo scatenarsi della violenza fisica.

Chi vuol rispettare la vita e porsi, anzi, generosamente al servizio di essa, deve coltivare in se stesso sentimenti di comprensione verso l'altro, di partecipazione alla sua vicenda, di umana solidarietà, in una parola sentimenti di amore sincero. Il credente è in ciò facilitato, perché egli sa riconoscere in ogni uomo, un fratello (cfr. Mt 23,8), nel quale Cristo si identifica al punto da ritenere fatto a sé quello che a lui viene fatto (cfr. Mt 25,40 Mt 25,45).


3. Uomo è, per altro, anche il bambino non ancora nato; ed anzi, se titolo privilegiato di identificazione con Cristo è l'essere tra "i più piccoli" (cfr. Mt 25,40), come non vedere una presenza particolare di Cristo nell'essere umano in gestazione che, tra gli altri esseri umani, è davvero il più piccolo ed inerme, privo com'è di ogni mezzo di difesa, persino della voce per reclamare contro i colpi inferti ai suoi più elementari diritti? E vostro compito testimoniare, di fronte a tutti, la stima ed il rispetto, che nutrite nel cuore per la vita umana; di prenderne all'occorrenza arditamente la difesa; di rifiutarvi di cooperare alla sua diretta soppressione.

Non v'è disposizione umana che possa legittimare una azione intrinsecamente iniqua, né tanto meno obbligare chicchessia a consentirvi. La legge, infatti, ripete il suo valore vincolante dalla funzione che essa - in fedeltà alla legge divina - svolge a servizio del bene comune; e questo, a sua volta, è tale nella misura in cui promuove il benessere della persona. Di fronte, pertanto, ad una legge che si ponga in diretto contrasto col bene della persona, che rinneghi anzi la persona in se stessa, sopprimendone il diritto a vivere, il cristiano, memore delle parole dell'apostolo Pietro al cospetto del sinedrio: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (Ac 5,29), non può che opporre il suo civile ma fermo rifiuto.

Il vostro impegno, tuttavia, non si limita a questa funzione, per così dire, negativa. Esso si spinge a tutto un insieme di compiti positivi di grande importanza. A voi spetta di confermare nell'animo dei genitori il desiderio e la gioia per la nuova vita, sbocciata dal loro amore; a voi di suggerirne la visione cristiana mostrando col vostro atteggiamento di riconoscere nel bimbo, formato nel seno materno, un dono ed una benedizione di Dio (cfr. Ps 126,3 127,3ss. ): a voi, ancora, di essere accanto alla madre per ravvivare in lei la coscienza della nobiltà della sua missione e per rafforzarne la resistenza di fronte alle eventuali suggestioni dell'umana pusillanimità; a voi, infine, di prodigarvi con ogni cura per assicurare al bambino una nascita sana e felice.

E come non ricordare anche, in una visione più ampia del vostro servizio alla vita, l'importante contributo di consiglio e di pratico orientamento che voi potete offrire alle singole coppie di sposi, desiderosi di attuare una procreazione responsabile, nel rispetto dell'ordine stabilito da Dio? Anche a voi sono rivolte le parole del mio predecessore Paolo VI, con cui ha esortato i membri del personale sanitario a perseverare "nel promuovere in ogni occasione le soluzioni ispirate alla fede ed alla retta ragione" ed a sforzarsi di "suscitarne la convinzione ed il rispetto nel loro ambiente" (Pauli VI HV 27).

E' ovvio che, per adempiere in modo conveniente a tutti questi complessi e delicati compiti, è necessario che vi studiate di acquisire una competenza professionale ineccepibile, continuamente aggiornata alla luce dei più recenti progressi della scienza. Sarà tale comprovata competenza che, oltre a consentirvi interventi tempestivi ed adeguati a livello strettamente professionale, vi assicurerà presso coloro che ricorrono a voi la considerazione ed il credito capaci di disporne l'animo ad accogliere i vostri consigli nelle questioni morali, connesse col vostro ufficio.


4. Ecco tracciate alcune linee direttrici, secondo le quali siete esortate ad orientare il vostro impegno civico e cristiano. E' un impegno che suppone vivo senso del dovere e generosa adesione ai valori morali, umana comprensione e pazienza instancabile, fermezza coraggiosa e tenerezza materna. Doti non facili, come l'esperienza v'insegna. Doti, comunque, richieste da una professione che si situa per natura sua al livello della missione. Doti, per altro, normalmente ripagate dalle testimonianze di stima e di affettuosa riconoscenza, che vi giungono da coloro che hanno beneficiato della vostra assistenza.

Nella luce di Maria invoco su di voi e sulla vostra attività i copiosi doni della divina bontà, mentre, in pegno di speciale benevolenza, a tutte concedo la propiziatrice benedizione apostolica.

Data: 1980-01-26 Data estesa: Sabato 26 Gennaio 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - All'almo collegio Capranica - Roma