GPII 1980 Insegnamenti - Agli allievi delle Scuole Centrali Antincendi - Città del Vaticano (Roma)


A un gruppo di cavatori di marmo di Carrara - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La fede in Cristo conforti il vostro duro lavoro

1. Siate i benvenuti, figli carissimi! Saluto fraternamente il vostro Vescovo monsignor Aldo Forzoni, che ha voluto guidare il pellegrinaggio, organizzato dalla vostra associazione, testimoniando anche in questo modo l'affetto che lo lega a tutti voi.

E saluto voi, cavatori, e le vostre famiglie, ringraziandovi cordialmente per la gioia che mi recate con questa vostra visita il cui significato è stato or ora illustrato dal vostro collega; vogliate portare il mio saluto ai vostri amici, che condividono la fatica, le difficoltà, i rischi di un lavoro logorante qual è il vostro.


2. La Provvidenza ha voluto che facessi anch'io, in un certo periodo della mia vita, l'esperienza dura del lavoro in cava. Ho quindi potuto rendermi conto personalmente di quali difficoltà esso comporti: non basta la forza, ci vogliono anche destrezza, padronanza di nervi, prontezza di riflessi, coraggio. Non basta saper manovrare i macchinari, bisogna aver confidenza con la montagna, conoscerne i segreti ed anche le insidie nascoste. Soprattutto ci vogliono solidi doti morali per reggere alla fatica di una giornata passata alle prese con martelli pneumatici, subbie e mazzuoli.

Ci sono, poi, gli imprevisti e gli incidenti, che possono trasformare in pochi attimi l'ambiente di lavoro nello scenario di una tragedia: anche di questo ho fatto l'esperienza e sono avvenimenti che restano segnati nell'anima per tutta la vita.

Io auspico che i miglioramenti apportati alla legislazione del lavoro, le forme previdenziali sempre più adeguate, la tempestività ed efficienza dei controlli, possano rendere sempre più sicura e meno logorante la prestazione della vostra opera. Esprimo, pero, al tempo stesso l'augurio che la vostra fatica sia sorretta ed illuminata dalla fede in Cristo, perché soltanto la sua parola può dare senso pieno alla vostra esistenza, offrire un conforto alle vostre sofferenze ed aprire una prospettiva di cielo alle vostre speranze. Sappiate vedere in Cristo un amico: anch'egli ha sperimentato la pesante fatica del lavoro manuale e può quindi capirvi appieno.


3. Ed amate la Madre sua! Voi avete voluto intitolare la vostra associazione "Opera Madonna dei cavatori" e so che nei diversi bacini marmoriferi, santificati dal vostro sudore ed a volte arrossati dal vostro sangue, voi avete elevato a lei delle pregevoli statue, che sono meta di pellegrinaggi in determinati periodi dell'anno.

Sono certo che la Vergine santa si china materna su ciascuno di voi. Non mancate di rivolgere a lei un pensiero quando al mattino vi avviate al lavoro o quando ne tornate alla sera. La Madonna saprà esservi accanto per alleviare la vostra fatica, veglierà premurosa su di voi e sulle vostre famiglie, vi custodirà lungo il cammino della vita e vi aiuterà a trasformare ogni vostra pena in mezzo di elevazione e di merito per l'eternità.

E qualche volta dite anche una preghiera per me, affinché dopo aver fatto un tempo il vostro lavoro, sappia adempiere ora i compiti non meno gravosi che il Signore ha voluto affidarmi.

A voi, ai vostri amici cavatori, a quanti sono impegnati nella lavorazione del marmo ed alle rispettive famiglie la mia affettuosa benedizione apostolica.

Vorrei aggiungere un saluto speciale e molto cordiale a tutti i rappresentanti delle vostre famiglie, alle madri di queste famiglie, ai figli di queste famiglie, e a tutti i vostri colleghi di lavoro, a tutti gli ambienti di lavoro. Io, avendo avuto una volta un'esperienza simile, so bene quale sia l'importanza della solidarietà e dell'amicizia fra coloro che lavorano insieme.

Devo dirvi che fra le esperienze più belle della mia vita rimane sempre quella della solidarietà e della amicizia che ho potuto godere quando anche io ero un operaio con altri operai. E' un'esperienza profondamente umana e molto confortante. Non mancano nel lavoro, nell'esperienza del lavoro, momenti difficili, momenti tristi. In questi momenti l'amicizia e la solidarietà fra i lavoratori vengono ad aiutarci, ci sono di conforto. E questa amicizia, questi segni di solidarietà, che ho vissuto proprio quando ero anche io un lavoratore, sono rimasti nella mia anima fino ad ora, come molto preziosi.

Voglio indirizzare un saluto speciale a tutte le vedove dei lavoratori morti sul lavoro, alle famiglie rimaste orfane. Voglio dedicare a loro una parola di conforto, di consolazione cristiana. Lottando per le giuste condizioni di lavoro, per la giusta condizione di vita dei lavoratori, bisogna sempre aver presente la dimensione piena della vita di ciascuno di noi, cioè la dimensione cristiana, la dimensione che ci dà la religione. Il Vangelo senza le risposte che Gesù Cristo ha dato, che ci dà sempre, alle domande fondamentali sulla vita umana che si pone ogni uomo, non importa se professore, se sacerdote, se scienziato, se lavoratore o operaio, questa vita perde il suo pieno senso. E io vi auguro che queste risposte alle domande fondamentali sulla nostra esistenza che ci dà Gesù Cristo rimangano anche per voi risposte soddisfacenti e diano a voi un orientamento profondo e sostanziale per la vostra vita personale, per la vostra vita familiare, per la vostra vita professionale. Questi sono gli auguri che, come vedete, vi indirizzo senza leggere perché nascono dal mio cuore. Per concludere devo dirvi anche che l'esperienza cristianamente più profonda della mia vita, l'esperienza pienamente cristiana della mia vita, l'ho fatta essendo lavoratore.

Ed è stato questo periodo, quest'esperienza di operaio, di lavoro fisico, che mi ha mostrato la strada della vocazione sacerdotale.

Data: 1980-03-15 Data estesa: Sabato 15 Marzo 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Rispondiamo alla violenza con la preghiera, con l'amore

"Padre, ho peccato contro di te..." (Lc 15,18).

L'odierna quarta domenica di quaresima ci richiama tutta la realtà della conversione e, mediante la parabola del figlio prodigo, ci dimostra la sua profondità, ricchezza e semplicità.

Nel centro stesso di questa pagina evangelica si trovano proprio le parole: "Padre, ho peccato contro di te".

La Chiesa, nel periodo di quaresima, pondera queste parole con una particolare emozione, poiché questo è tempo in cui la Chiesa desidera più profondamente convertirsi a Cristo e senza queste parole non c'è conversione in tutta la sua verità interna. Senza queste parole, "Padre, ho peccato", l'uomo non può entrare veramente nel mistero della morte e della risurrezione di Cristo, per attingere da essa i frutti della redenzione e della grazia.

Queste sono parole-chiave. Esse evidenziano soprattutto la grande apertura interiore dell 'uomo verso Dio: "Padre, ho peccato contro di te". Se è vero che il peccato, in un certo senso, chiude l'uomo dinanzi a Dio, al contrario la confessione dei peccati apre alla coscienza dell'uomo tutta la grandezza e la maestà di Dio, e soprattutto la sua paternità. L'uomo rimane chiuso nei confronti di Dio fino a quando mancano sulle sue labbra le parole: "Padre, ho peccato"; e soprattutto fino a quando esse mancano nella sua coscienza, nel suo "cuore".

Convertirsi a Cristo, provare la potenza interiore della sua croce e della sua risurrezione, provare la piena verità della umana esistenza di lui, "in Cristo", è possibile soltanto con la forza di queste parole: "Padre, ho peccato".

E soltanto a prezzo di esse. Nel periodo di quaresima, la Chiesa prega e lavora in modo particolare, affinché esse maturino nella più ampia cerchia delle coscienze umane, affinché l'uomo dei nostri tempi le pronunci con tutta la semplicità e la fiducia indispensabili.

Queste sono parole liberatrici.


2. La Sacra Scrittura, con le espressioni: "mondo", intende la temporaneità che cerca di impadronirsi completamente dell'uomo, così da diventare la dimensione completa ed esclusiva della sua esistenza.

Ebbene, "il mondo" - soprattutto molte parole "del mondo" indirizzate all'uomo contemporaneo - cerca di impedire all'uomo di pronunciare le parole: "Padre, ho peccato contro di te", affinché le riconosca come inutili e dimenticate e si liberi da esse.

Quindi, in diversi modi, "il mondo" cerca di privare l'uomo di questo profondo aspetto della verità, con cui egli si rende consapevole del proprio peccato e lo chiama per nome - dinanzi a Dio stesso.

Il salmista parla ancora più chiaramente: "Tibi soli peccavi" - "Contro te solo ho peccato" (Ps 51,6).

Quel "tibi soli" non offusca tutte le altre dimensioni del male morale, come lo è il peccato in rapporto agli altri uomini, in rapporto alla comunità umana. Tuttavia, "il peccato" è un male morale in modo principale e definitivo in relazione a Dio stesso, al Padre nel Figlio. Quindi "il mondo" (contemporaneo) - e il "principe di questo mondo" - lavorano tantissimo per offuscare e annientare nell'uomo questo aspetto.

Invece, la Chiesa nella quaresima lavora, soprattutto, affinché ogni uomo ritrovi se stesso col proprio peccato dinanzi a Dio solo - e di conseguenza affinché accolga la potenza salvifica del perdono contenuta nella passione e nella resurrezione di Cristo.

Ricordo della strage di via Fani Cade oggi il secondo anniversario della strage di via Fani, ove cinque uomini furono assassinati e l'on. Aldo Moro rapito, per essere poi ucciso cinquanta giorni dopo. L'impressione di raccapriccio, suscitata negli animi in quella circostanza, è accresciuta dai tanti, troppi fatti di sangue che hanno successivamente funestato varie città d'Italia, ed, in particolare, la nostra amata Roma; soltanto negli ultimi giorni ben quattro sono state le vittime della violenza terroristica.

Cosa si può fare per frenare l'onda dilagante di questa follia omicida? Il cristiano ha una sua risposta: pregare ed amare. L'odio genera morte; solo dall'amore può venire la vita. Preghiamo, dunque, per tutti: per le vittime e per i loro familiari, per i responsabili della società civile e per i tutori dell'ordine, per i terroristi ed i loro fiancheggiatori; preghiamo in particolare per quanti sono presi dalla tentazione dello scoramento e dell'angoscia di fronte agli abissi della malizia umana. Il Signore confermi nei nostri cuori la certezza che la vittoria definitiva è riservata all'amore.

Appello ai rapitori di Annabel Schild


Ed ora, in nome di Dio e sorretto dalla fiducia che ho nelle riserve della bontà che si nascondono in ogni cuore umano, io mi rivolgo pubblicamente ai rapitori di Annabel Schild, la ragazza inglese di 15 anni, sordomuta, sequestrata durante le vacanze in Sardegna nell'agosto scorso.

Da 8 settimane, Annabel Schild è rimasta sola nelle mani dei rapitori, dopo che questi hanno liberato anche la mamma. E', questa, una notizia che ho appreso direttamente dalla famiglia, e che rivelo col suo consenso. Tutti comprendiamo che è un'ansia ormai insostenibile! Che i rapitori vogliano finalmente avere pietà di quella povera creatura e prendere in considerazione l'indicibile sofferenza dei genitori; dimostrando senso di umanità, non protraggano più a lungo questo strazio, questo tormento, questa angoscia. Lo chiedo dopo aver invocato la Madonna, nostra Madre comune. Io spero ardentemente che questo mio appello non cada inascoltato.

Alle comunità neocatecumenali Rivolgo un particolare saluto ai numerosi aderenti alle comunità neocatecumenali, che si propongono di aiutare i battezzati a capire, apprezzare e assecondare l'inestimabile fortuna del sacramento del battesimo mediante un itinerario di evangelizzazione, di catechesi e di partecipazione alla vita liturgica, graduale ed intensivo, che in qualche modo si richiama all'antico catecumenato.

Carissimi, vi esorto ad impegnarvi con sempre maggiore generosità nel vostro sforzo di concorrere all'edificazione del corpo mistico di Cristo ed all'azione di apostolato della Chiesa, obbedendo al comando del Signore: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). Vi sorregga e vi guidi la costante fedeltà all'insegnamento del magistero e l'obbedienza ai pastori della Chiesa.

Vi auguro di cuore di vivere con dedizione ed entusiasmo i vostri propositi, alla luce dell'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi", del mio venerato predecessore Paolo VI, e della "Catechesi Tradendae" da me emanata sulla base delle indicazioni del Sinodo dei Vescovi sulla catechesi.

Vi accompagni la mia benedizione che volentieri estendo ai vostri cari.

[Omissis. Seguono i saluti ad un gruppo di donne di Azione Cattolica; ai giovani della parrocchia di san Pietro di Fiuggi; agli irlandesi.]

Data: 1980-03-16 Data estesa: Domenica 16 Marzo 1980.


Ai giovani di "Comunione e Liberazione" - Aula Paolo VI - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Portate a tutti la gioia cristiana

Carissimi giovani! Questo nostro incontro è tutto pervaso dalla letizia. Letizia mia e vostra, perché possiamo vederci, parlarci; letizia che trova, nella odierna quarta domenica di quaresima, la sua espressione liturgica: "Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l'amate, riunitevi!". Con queste parole siamo accolti oggi all'inizio della santa Messa. Gerusalemme, cioè la Chiesa tutta, è invitata ad esprimere la sua prorompente gioia. Per quale motivo? Perché la Pasqua è ormai vicina. Cristo, Redentore dell'uomo, è presente nella sua Chiesa, nel mondo, nella storia, in mezzo a noi!

1. A voi, giovani di "Comunione e Liberazione", che siete venuti da tutte le regioni d'Italia anche a prezzo di notevoli sacrifici, desidero oggi affidare un impegno e una consegna: siate, ora e sempre, dei portatori e trasmettitori di gioia cristiana! E nel darvi questa consegna, non posso non ricordare quello che ha raccomandato a tutti i giovani il mio predecessore Paolo VI nella sua esortazione apostolica "Gaudete in Domino", del 9 maggio 1975: "Vi invitiamo cordialmente a rendervi attenti ai richiami interiori che vi pervengono. Vi stimoliamo ad elevare il vostro sguardo, il vostro cuore, le vostre fresche energie verso le altezze e ad affrontare lo sforzo delle ascensioni dello spirito" (Pauli VI "Gaudete in Domino", VI).

Portate, anzitutto, la gioia cristiana nel vostro cuore: gioia che scaturisce dalla fede serenamente accettata; intensamente approfondita mediante la personale meditazione e lo studio della parola di Dio e dell'insegnamento della Chiesa; dinamicamente vissuta nella unione con Dio in Cristo, nella preghiera e nella pratica costante dei sacramenti, specialmente dell'eucaristia e della riconciliazione; nell'assimilazione del messaggio evangelico, talvolta duro per la nostra debole natura umana, la quale non è sempre in sintonia con le esigenze, esaltanti si ma impegnative, del "discorso della montagna" e delle "beatitudini".

"Noli gaudere in saeculo - ci dice sant'Agostino - gaude in Christo, gaude in verbo eius, gaude in lege eius... In corde christiano et tranquillitas erit et pax; sed quamdiu vigilat fides nostra: si autem dormit fides nostra, periclitamur" (Non godere nella realtà terrena, godi in Cristo, godi nella sua parola, godi nella sua legge... Nel cuore cristiano ci sarà pace e tranquillità; ma fino a quando la nostra fede è vigile; se invece dorme la nostra fede, siamo in pericolo: S.Augustini "Enarr. in ps." 93,24ss: PL 37,1212ss).

E i pericoli che la fede dei cristiani, la vostra fede di giovani cristiani, possa avere fasi di torpore, sono sempre costantemente presenti, specialmente in questi periodi di profonde e vaste trasformazioni in campo culturale, sociale, politico, economico.

Ma voi, giovani carissimi, non avrete certamente né timore, né tanto meno vergogna di essere e di manifestarvi cristiani, sempre e dappertutto!

2. Portate la gioia cristiana nell'ambiente in cui vivete normalmente, cioè nelle vostre famiglie, nelle vostre associazioni, ma specialmente nel mondo della scuola! Con quanta speranza, con quanto rispetto, ma anche con quanta trepidazione i cittadini di uno stato ben ordinato guardano alla scuola, il luogo in cui i giovani, riuniti insieme, possano insieme cercare appassionatamente la verità, fare di tutte le varie conoscenze acquisite una sintesi unitaria, che dia loro la capacità di giudicare e di interpretare i vari e complessi fenomeni socio-culturali. Purtroppo - è un lamento che si sente ripetere assai spesso - la scuola contemporanea è "in crisi" e diventa, talvolta, disinformatrice e diseducativa; mentre, da parte loro, i moderni strumenti della comunicazione sociale, dalle loro "cattedre" diffondono le loro "lezioni" di edonismo, di indifferentismo, di materialismo e cercano di conquistare e di soggiogare in modo speciale i giovani.

La vostra presenza nel mondo della scuola, e in quello più vasto della cultura, sia animatrice di autentici interessi nell'ambito delle varie conoscenze, nel rispetto del pluralismo, ma nella ferma convinzione che la cultura deve mirare alla perfezione integrale della persona umana, al bene autentico della comunità e di tutta la società umana.

Vivete in strettissima unione con gli uomini del vostro tempo; sforzatevi di penetrare nel loro modo di pensare e di sentire; sappiate armonizzare la conoscenza della scienza, della cultura e delle più recenti scoperte con la morale e il pensiero cristiano (cfr. GS 62).

Voi, giovani di "Comunione e Liberazione", col vostro studio, con la vostra preparazione, con la vostra serietà, col vostro entusiasmo, col vostro esempio, impegnatevi a sostenere la fede di vostri condiscepoli. Sarà questa un'opera altamente meritoria presso Dio e presso la Chiesa.


3. Parlando di gioia cristiana, che scaturisce dalla fede e dalla ricerca sincera della verità, non possiamo dimenticare che essa è intimamente collegata con l'amore. Chi possiede e trasmette la gioia cristiana è, allo stesso tempo, portatore di un messaggio di solidarietà, di pace, di amore! A questo punto il mio appello vuole essere intenso e pressante. La spirale della violenza, barbaramente e cinicamente, continua a provocare e seminare odio e morte! In questa situazione, per se stessa drammatica, l'aspetto più impressionante per tutti gli uomini di buona volontà è l'agghiacciante constatazione che dei giovani uccidono altri giovani! Plagiati e succubi di ideologie aberranti, dei giovani si illudono che soltanto dando la morte possano trasformare questa società. Ma occorre proclamare con forza e convinzione che un mondo di giustizia, di solidarietà, di pace non si costruisce sul sangue e sui cadaveri di vittime, colpevoli soltanto di pensarla diversamente.

Alla violenza cieca e all'odio inumano rispondete, giovani carissimi, con la forza trascinante dell'amore! Testimoniate col vostro comportamento, con la vostra vita, in particolare nella scuola, che le idee non si impongono, ma si propongono; che l'autentico pluralismo culturale, tanto esaltato dalla società contemporanea, esige il massimo rispetto nei confronti delle idee degli altri.

Costruite, su queste basi, giorno per giorno, il vostro oggi, che prepara e prelude il domani, di cui già cominciate ad essere veri protagonisti.

Ritornando alle vostre regioni, alle vostre case, nelle vostre aule scolastiche, fatevi portatori di queste indicazioni e di queste preoccupazioni del Papa, che, a nome della Chiesa, vi dice la sua comprensione, il suo affetto, la sua stima, la sua speranza.

E il canto, che sempre vivifica ed anima le vostre assemblee comunitarie, sia il segno della vostra fede profonda in Cristo e nella Chiesa.

"Cantate vocibus - è ancora sant'Agostino che parla - cantate cordibus, cantate oribus, cantate moribus!" (Cantate con la vostra voce, cantate col vostro cuore, cantate con la vostra bocca, cantate con tutta la vostra vita!: (S.Augustini "Sermo" 34, 3,6: PL 38,211).

Con questo rinnovato invito alla gioia, che si dischiude al canto, vi imparto di cuore la mia benedizione apostolica.

Data: 1980-03-16 Data estesa: Domenica 16 Marzo 1980.


Ai fedeli della parrocchia di sant'Ignazio di Antiochia allo Statuario - Roma

Titolo: Riconciliarsi con Dio in nome di Cristo

Cari fedeli della parrocchia di sant'Ignazio di Antiochia.

1. Desidero dirvi anzitutto la gioia di essere in mezzo a voi, convenuti così numerosi a questo incontro col vostro Vescovo per partecipare alla celebrazione dell'eucaristia e offrire insieme con lui "il simbolo di quella carità e unità del corpo mistico, senza la quale non può esserci salvezza" (cfr. LG 26).

Animati dalla presenza santificatrice di Cristo, rivolgiamo insieme il nostro pensiero di venerazione e di preghiera, implorandone l'intercessione, al grande Vescovo e martire Ignazio, protettore di questa vostra parrocchia, il quale, successore di san Pietro nella sede di Antiochia e condannato alle belve per la sua testimonianza cristiana, subi il martirio a Roma verso la fine del mese di dicembre dell'anno 10 7. Le sue spoglie riposano nella Basilica di san Clemente sulla via Labicana. Santificando col suo sangue il suolo romano, egli divenne così uno dei padri più illustri della fede di questa nostra gloriosa Chiesa, la quale - come egli si esprimeva - "degna di Dio, degna di gloria, degna di essere chiamata beata... presiede alla universale comunità dell'amore" (S.Ignatii Antiocheni "Ad Romanos", 1). A proposito del suo ardentissimo desiderio di testificare la fede e di essere immolato per Cristo, mi è caro ricordare in questo momento alcuni celebri passaggi della stessa lettera da lui scritta ai Romani: "Sono frumento di Dio e devo essere stritolato dai denti delle belve, per essere trovato puro pane di Cristo... Allora saro vero discepolo di Gesù, quando il mio corpo sara sottratto alla vista del mondo. Voi supplicate Cristo per me, affinché diventi ostia per Iddio" (S.Ignatii Antiocheni "Ad Romanos", 4).

Un contenuto fondamentale dell'insegnamento di sant'Ignazio, riguarda l'unità della Chiesa, che si costruisce solamente attorno al Vescovo. Ascoltiamo quanto egli scriveva ai fedeli di Smirne: "Ubbidite tutti al Vescovo, come Gesù Cristo ubbidisce al Padre... Separatamente dal Vescovo nessuno faccia nulla di ciò che appartiene alla Chiesa. Dove sarà presente il Vescovo, ivi sia pure la moltitudine dei fedeli, come dove sarà Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica" (S.Ignatii Antiocheni "Ad Smyrnaeos", 8).

In questo spirito di unità e di carità rivolgo il mio saluto affettuoso a voi qui presenti, ed a tutti gli ottomila fedeli della parrocchia; in particolare desidero raggiungere col mio pensiero beneaugurante i malati, i bambini e quanti versano nel bisogno.

Il mio animo si dirige ora riconoscente al Cardinale vicario, al Vescovo ausiliare di zona monsignor Giulio Salimei, al benemerito parroco monsignor Giovanni Scorza, ai suoi zeIanti collaboratori ed a quanti hanno preparato con generoso zelo questo nostro incontro.

Saluto i religiosi e le religiose, le varie associazioni cattoliche, il gruppo dei catechisti, il gruppo di volontariato vincenziano e quanti collaborano con il parroco ed i sacerdoti nelle diverse iniziative, per quella continua conversione delle anime, delle famiglie e delle istituzioni sociali, a quei valori spirituali che debbono caratterizzare una comunità cristiana.


2. Oggi, quarta domenica di quaresima, la Chiesa, mediante la liturgia, intende rivolgerci un fermo richiamo alla riconciliazione con Dio. Il Vangelo ce la presenta come atteggiamento fondamentale, come primario contenuto della nostra vita di fede. In questa particolare stagione dello spirito, qual è quella quaresimale, l'invito alla riconciliazione deve risuonare con particolare forza nei nostri cuori e nelle nostre coscienze. Se siamo veramente discepoli e confessori di Cristo, il quale ha riconciliato l'uomo con Dio, non possiamo vivere senza cercare, da parte nostra, tale interiore riconciliazione. Non possiamo rimanere nel peccato e non sforzarci di ritrovare la strada che conduce alla casa del Padre, sempre in attesa del nostro ritorno.

Nel corso della quaresima la Chiesa ci richiama alla ricerca di un tale cammino: "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Co 5,20). Soltanto riconciliandoci con Dio in nome di Cristo, possiamo gustare "quanto è buono il Signore" (Ps 33,9), costatandolo, per così dire, sperimentalmente.

Non della severità di Dio parlano i confessionali nel mondo, presso i quali gli uomini manifestano i propri peccati, ma piuttosto della sua bontà misericordiosa. E quanti si avvicinano al confessionale, talora dopo molti anni e col peso di peccati gravi, nel momento di allontanarsene, trovano il desiderato sollievo; incontrano la gioia e la serenità della coscienza che fuori della confessione non potranno trovare altrove. Nessuno infatti ha il potere di liberarci dal nostro peccato, se non soltanto Dio. E l'uomo che consegue una tale remissione, riceve la grazia di una vita nuova dello spirito, che soltanto Dio può concedergli nella sua infinita bontà.

"Questo povero grida e il Signore lo ascolta; / lo libera da tutte le sue angosce" (Ps 33,7).


3. Mediante la parabola del figliol prodigo, il Signore Gesù ha voluto imprimere ed approfondire questa verità, splendida e ricchissima, non solo nel nostro intelletto, ma altresi nella nostra immaginazione, nel nostro cuore e nella nostra coscienza. Quanti uomini nel corso dei secoli, quanti di quelli del nostro tempo possono ritrovare in questa parabola i tratti fondamentali della propria storia personale. Sono tre i momenti chiave nella storia di quel figliolo, col quale ciascuno di noi, in un certo senso, si identifica quando si concede al peccato.

Il primo momento: l'allontanamento. Ci allontaniamo da Dio, come si era allontanato quel figlio dal padre, quando incominciamo a comportarci nei confronti di ogni bene che è in noi, così come egli ha fatto con la parte dei beni ricevuti in eredità. Dimentichiamo che quel bene ci viene dato da Dio come un compito, come talento evangelico. Operando con esso dobbiamo moltiplicare la nostra eredità, e, in tal modo, rendere gloria a colui dal quale l'abbiamo ricevuta. Purtroppo, noi ci comportiamo, talvolta, come se quel bene che è in noi, il bene dell'anima e del corpo, le capacità, le facoltà, le forze, fossero di nostra esclusiva proprietà, di cui possiamo servirci ed abusare in qualsiasi maniera, sprecandola e dissipandola.

Il peccato, infatti, è sempre uno sperpero della nostra umanità, lo sperpero dei nostri valori più preziosi. Tale è la vera realtà, anche se possa sembrare, talora, che proprio il peccato ci permetta di conseguire dei successi.

L'allontanamento dal Padre porta sempre con sé una grande distruzione in chi lo compie, in chi trasgredisce la sua volontà, e dissipa in se stesso la sua eredità: la dignità della propria persona umana, l'eredità della grazia.

Il secondo momento nella nostra parabola è quello del ritorno alla retta ragione e del processo di conversione. L'uomo deve dolorosamente riscontrare ciò che ha perso, ciò di cui si è privato commettendo il peccato, vivendo nel peccato, affinché maturi in lui quel passo decisivo: "Mi levero e andro da mio padre" (Lc 15,18). Deve di nuovo vedere il volto di quel Padre, al quale ha voltato le spalle e col quale ha rotto i ponti per poter peccare "liberamente", per poter sperperare "liberamente" i beni ricevuti. Deve incontrarsi col volto del Padre rendendosi conto, come il giovane della parabola, di aver perduto la dignità di figlio, di non meritare alcuna accoglienza nella casa paterna. Al tempo stesso, egli dovrà desiderare ardentemente di ritornare. La certezza della bontà e dell'amore che appartengono all'essenza della paternità di Dio, dovrà conseguire in lui la vittoria sulla consapevolezza della colpa e della propria indegnità. Anzi, tale certezza dovrà affacciarsi come l'unica via di uscita, da intraprendersi con coraggio e fiducia.

Infine il terzo momento: il ritorno. Il ritorno si svolgerà come ne parla Cristo nella parabola. Il Padre aspetta e dimentica ogni male commesso dal figlio, e non prende più in considerazione tutto lo sperpero di cui il figlio è colpevole. Per il Padre rimane importante una sola cosa: che il figlio sia stato ritrovato; che non abbia perso fino in fondo la propria umanità; che, nonostante tutto, rechi in sé il risoluto proposito di vivere di nuovo come figlio, proprio in virtù dell'acquisita coscienza dell'indegnità e della colpa.

"Padre ho peccato... non sono più degno di esser chiamato tuo figlio (Lc 15,21).


4. La quaresima è il tempo di un'attesa particolarmente amorosa del nostro Padre nei confronti di ciascuno di noi, che, anche se il più prodigo dei figli, si renda tuttavia consapevole della dilapidazione perpetrata, chiami per nome il suo peccato, e si diriga finalmente con piena sincerità verso Dio.

Tale uomo deve giungere alla casa del Padre. Il cammino che vi conduce passa attraverso l'esame di coscienza, il pentimento ed il proposito di miglioramento. Come nella parabola del figliol prodigo, sono queste le tappe in pari tempo logiche e psicologiche della conversione. Quando l'uomo avrà superato in se stesso, nel suo intimo umano, tutte queste tappe, nasce in lui il bisogno della confessione. Tale bisogno forse combatte nel vivo dell'anima con la vergogna, ma allorché la conversione è vera e autentica esso vince la vergogna: il bisogno della confessione, della liberazione dei peccati è più forte. Li confessiamo a Dio stesso, benché in confessionale li ascolti l'uomo-sacerdote.

Questo uomo è l'umile e fedele servitore di quel grande mistero che si è compiuto tra il figlio che ritorna e il Padre.

Nel periodo di quaresima aspettano i confessionali; aspettano i confessori; aspetta il Padre. Potremmo dire che si tratta di un periodo di una particolare sollecitudine di Dio per perdonare e rimettere i peccati: il tempo della riconciliazione.


5. La nostra riconciliazione con Dio, il ritorno alla casa del Padre, si attua mediante Cristo. La sua passione e morte in croce si collocano tra ogni coscienza umana, ogni peccato umano, e l'infinito amore del Padre. Tale amore, pronto a sollevare e perdonare, non è altro che la misericordia. Ognuno di noi nella conversione personale, nel pentimento, nel fermo proposito di ravvedimento, infine nella confessione, accetta di compiere una personale fatica spirituale, la quale è prolungamento e riverbero lontano di quella fatica salvifica che ha intrapreso il nostro Redentore. Ecco come si esprime l'apostolo della riconciliazione con Dio: "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo tratto da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio" (2Co 5,21). Dunque questo nostro sforzo di conversione e di penitenza intraprendiamolo per lui, con lui e in lui. Se non lo intraprendiamo, non siamo degni del nome di Cristo, non siamo degni dell'eredità della redenzione.

"Se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo pero viene da Dio, che ci ha riconciliato con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione" (2Co 5,17-18).


6. Auguro quindi alla vostra cara parrocchia, che si onora del nome del grande martire Ignazio di Antiochia, fervido amante della passione di Cristo, di diventare in questa quaresima un luogo privilegiato di quel servizio della riconciliazione degli uomini con Dio, che si celebra in Cristo nel sacramento della penitenza.

Non manchino a nessuno di noi, cari fratelli e sorelle, la pazienza e il coraggio di fare ammenda dei propri peccati, confessandoli nel sacramento della penitenza. Non manchi a noi soprattutto l'amore per Cristo che ha dato per noi se stesso mediante la passione e la morte sulla croce. Tale amore faccia scaturire nei vostri cuori la stessa profonda fiducia che scaturi nel cuore del figlio dell'odierna parabola: "Mi levero e andro da mio padre e gli diro: Padre, ho peccato!".

Data: 1980-03-16 Data estesa: Domenica 16 Marzo 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - Agli allievi delle Scuole Centrali Antincendi - Città del Vaticano (Roma)