GPII 1980 Insegnamenti - Città del Vaticano (Roma)


Messaggio a Sua Beatitudine Antoine Pierre Khoraiche

A sua Beatitudine Antoine Pierre Khoraiche, Patriarca Maronita d'Antiochia e di tutto l'Oriente.

La visita che effettua in Libano il mio Segretario di Stato, il Cardinale Agostino Casaroli, mi offre l'occasione per rivolgere un saluto cordiale, nella preghiera e nell'affetto, al caro popolo libanese, ed in particolare a Sua Beatitudine, e alla Chiesa Maronita che oggi è in festa per l'elevazione di uno dei suoi figli alla dignità episcopale, con la missione di rappresentante della Santa Sede nelle Antille.

Nella persona del Cardinale Casaroli, vorrei rendermi presente fra tutti i libanesi, avvicinarmi a loro ed esprimere la stima che provo per essi, per il loro spirito ereditato dalle generazioni passate, ricche di civiltà, di umanità e soprattutto di profondo senso religioso.

I libanesi sanno quanto la Santa Sede abbia partecipato alle loro sofferenze e quanto si sia impiegata affinché la serenità e la pace - una pace che rispetta i diritti di tutti - regnino nuovamente sulla loro terra ed in tutta la regione.

Desidero assicurarvi che l'azione della Sede Apostolica per la pace continuerà senza tregua. Allo stesso tempo, rivolgo i miei incoraggiamenti a tutti i figli del Libano perché aprano i loro cuori alla speranza e perché, fiduciosi nell'aiuto di Dio, diano ognuno il proprio contributo alla riconciliazione e alla ricostruzione della loro patria, in collaborazione con le Autorità dello Stato, per preparare un avvenire felice alla Nazione libanese.

Con questi sentimenti, supplico il Signore di benedire il Libano e di accordare a tutti i Libanesi ed ai loro dirigenti la saggezza, la serenità e la pace.

Dal Vaticano, il 28 marzo 1980.

[Traduzione dal francese]

Data: 1980-03-30 Data estesa: Domenica 30 Marzo 1980.


Omelia nella Domenica delle Palme

Titolo: Il significato messianico dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme

1. Cristo, insieme ai discepoli, si avvicina a Gerusalemme. Lo fa come gli altri pellegrini, figli e figlie d'Israele, che in questa settimana, precedente alla Pasqua, si recano a Gerusalemme. Gesù è uno dei tanti.

Quest'avvenimento, nel suo svolgimento esterno, si può quindi considerare normale. Gesù si avvicina a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, e quindi venendo dalle località di Betfage e di Betania. Li dà ordine a due discepoli di condurgli un asinello. Offre loro le indicazioni precise: dove troveranno l'animale e come devono rispondere a coloro, i quali domanderanno perché lo fanno. I discepoli seguono scrupolosamente le indicazioni. A coloro, che domandano perché slegano l'asino, rispondono: "Il Signore ne ha bisogno" (Lc 19,31), e questa risposta è sufficiente.

L'asino è giovane; finora nessuno vi era mai salito. Gesù sarà il primo. così, dunque, seduto sull'asino, Gesù compie l'ulteriore tratto del cammino verso Gerusalemme. Tuttavia, da un certo momento, questo viaggio, che non aveva in sé niente di straordinario, si cambia in un vero "ingresso solenne in Gerusalemme".

Oggi celebriamo la liturgia della Domenica delle Palme, che ci ricorda e rende presente questo "ingresso". In uno speciale rito liturgico ripetiamo e riproduciamo tutto ciò che hanno fatto e detto i discepoli di Gesù - i vicini come i più lontani nel tempo - su quella strada, che conduceva dal di là del monte degli Ulivi a Gerusalemme. così, come loro, teniamo nelle mani dei rami di ulivo e pronunciamo - o meglio cantiamo - le parole di venerazione, che essi hanno pronunciato. Queste parole, secondo la redazione del Vangelo di Luca, suonano così: "Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in terra e gloria nel più alto dei cieli" (Lc 19,38).

In queste circostanze, il semplice fatto di Gesù, che insieme ai discepoli sale verso Gerusalcmme per la vicina solennità di Pasqua, assume chiaramente un significato messianico. I particolari che formano la cornice dell'avvenimcnto dimostrano che in esso si compiono le profezie. Dimostrano anche che, pochi giorni prima della Pasqua, in quel momento della sua missione pubblica, Gesù è riuscito a convincere molti semplici uomini in Israele. Oltre i più vicini, i dodici, lo seguiva già una folla: "Tutta la folla dei discepoli", come dice l'evangelista Luca (Lc 19,37) la quale faceva capire senza equivoci di vedere in lui il messia.


2. La Domenica delle Palme apre la Settimana Santa della passione del Signore, di cui già porta in sé la dimensione più profonda. Per questo motivo, leggiamo tutta la descrizione della passione del Signore secondo Luca.

Gesù, salendo in quel momento verso Gerusalemme, svela se stesso completamente dinanzi a coloro che preparano l'attentato alla sua vita. Si era svelato, del resto, già da tempo, confermando con i miracoli tutto ciò che proclamava ed insegnando, come dottrina del Padre suo, tutto ciò che insegnava. Le letture liturgiche delle ultime settimane lo dimostrano in modo chiaro: il "solenne ingresso in Gerusalemme" costituisce un passo nuovo e decisivo sulla strada verso la morte, che gli preparano i rappresentanti degli anziani d'Israele.

Le parole pronunciate da "tutta la folla" dei pellegrini, che salivano a Gerusalemme insieme a Gesù, non potevano non rafforzare le inquietudini del sinedrio e non affrettare la decisione finale.

Il maestro è pienamente consapevole di ciò. Tutto quanto fa, lo fa con questa consapevolezza, seguendo le parole della scrittura, che ha previsto i singoli momenti della sua Pasqua. L'ingresso in Gerusalemme fu il compimento della Scrittura.

Gesù di Nazaret, si rivela dunque, in base alla parola dei profeti, che egli solo ha compreso in tutta la sua pienezza. Questa pienezza è rimasta velata sia alla "folla dei discepoli", che lungo la strada verso Gerusalemme cantavano "osanna", lodando "Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto" (Lc 19,37), sia a quei "dodici" a lui più vicini. A questi ultimi, l'amore per Cristo non permetteva di ammettere una fine dolorosa; ricordiamo come una volta Pietro disse: "Questo non ti accadrà mai" (Mt 16,22).

Per Gesù, invece, le parole dei profeti sono chiare fino alla fine e si rivelano a lui con tutta la pienezza della loro verità; ed egli stesso si apre dinanzi a questa verità con tutta la profondità del suo spirito. Le accetta totalmente. Non riduce niente. Nelle parole dei profeti trova il giusto significato della vocazione del messia: della sua propria vocazione. Trova in esse la volontà del Padre.

"Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio / e io non ho posto resistenza / non mi sono tirato indietro" (Is 50,5).

In questo modo la liturgia della Domenica delle Palme già contiene in sé la piena dimensione della passione: la dimensione della Pasqua.

"Ho presentato il dorso ai flagellatori, / la guancia a coloro che mi strappavano la barba, / non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi" (Is 50,6). "Mi scherniscono quelli che mi vedono, / storcono le labbra, scuotono il capo... / hanno forato le mie mani e i miei piedi, / posso contare tutte le mie ossa. / Si dividono le mie vesti, / sul mio vestito gettano la sorte" (Ps 8 Ps 17-19).


3. Ecco la liturgia della Domenica delle Palme: in mezzo alle esclamazioni della folla, all'entusiasmo dei discepoli che, con le parole dei profeti, proclamano e confessano in lui il messia, solo lui, Cristo, conosce fino in fondo la verità della sua missione; solo lui, Cristo, legge fino in fondo ciò che hanno scritto su di lui i profeti.

E tutto ciò che essi hanno detto e scritto si compie in lui con la verità interiore della sua anima. Egli, con la volontà e il cuore, è già in tutto ciò che, secondo le dimensioni esterne del tempo, gli sta ancora davanti. Già in questo suo corteo trionfale, nel suo "ingresso in Gerusalemme", egli è "obbiediente fino alla morte e alla morte di croce" (Ph 2,8).

Fra la volontà del Padre, che lo ha mandato, e la volontà del Figlio permane una profonda unione piena di amore: un bacio interiore di pace e di redenzione. In questo bacio, in questo abbandono senza limiti, Gesù Cristo, che è di natura divina, spoglia se stesso e assume la condizione di servo, umiliando se stesso (cfr. Ph 2,6-8). E permane in questo abbassamento, in questa spoliazione del suo fulgore esterno, della sua divinità e della sua umanità, piena di grazia e di verità. Egli, Figlio dell'uomo, va, con questo annientamento e spoliazione, verso gli eventi che si compiranno, quando il suo abbassamento, la spoliazione, l'annientamento rivestiranno precise forme esteriori: verrà sputacchiato, sarà flagellato, insultato, schernito, rifiutato dal proprio popolo, condannato a morte, crocifisso - fino a quando pronuncerà l'ultimo "tutto è compiuto", consegnando lo spirito nelle mani del Padre.

Tale è quell'ingresso "interiore" di Gesù in Gerusalemme, che si compie nella sua anima alla soglia della Settimana Santa.


4. Ad un certo momento, si avvicinano a lui i farisei che non possono sopportare più le esclamazioni della folla in onore di Cristo, che fa il suo ingresso a Gerusalemme - e dicono: "Maestro, rimprovera i tuoi discepoli".

Gesù risponde: "Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre" (Lc 19,39-40).

Iniziamo oggi la Settimana Santa della passione del Signore a Roma. In questa città non mancano le pietre che parlano di come è giunta qui la croce di Cristo e di come ha messo le radici in questa capitale del mondo antico.

Che le pietre non facciano arrossire gli uomini.

Che i nostri cuori e le coscienze gridino più forte di esse!

Data: 1980-03-30 Data estesa: Domenica 30 Marzo 1980.


Angelus Domini - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: "Crux fidelis..." Pensiero e cuore della Chiesa

1. Nella Settimana della passione del Signore, che iniziamo oggi, Domenica delle Palme, il pensiero ed il cuore della Chiesa sono presso la croce. E' la croce della nostra fede e della nostra speranza. La croce della redenzione dell'uomo e del mondo.

"Crux fidelis inter omnes arbor una nobilis".

Questa croce chiederanno per Cristo gli uomini, ammassati davanti al pretorio di Pilato, il Venerdi Santo.

"Crocifiggilo, crocifiggilo...!".

In quella stessa Gerusalemme, nella quale erano risuonate le parole "Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna al figlio di Davide!", grideranno: "Crocifiggilo!".

Pilato si laverà le mani e dirà: "Non sono responsabile... di questo sangue..." (Mt 27,24). E le stesse voci risponderanno: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli" (Mt 27,25). E in questo modo verrà sigillata la condanna a morte sulla croce.

Cristo prenderà la croce sulle sue spalle.

"Crux fidelis...".


2. Attraverso tutte le generazioni degli uomini rimarrà questa croce, senza staccarsi da Cristo. Diventerà il suo ricordo e il suo segno. Diventerà una risposta alla domanda fatta a Dio dall'uomo, e rimarrà un mistero.

La Chiesa la circonderà con il corpo della sua viva comunità, la circonderà con la fede degli uomini, con la loro speranza e con il loro amore.

La Chiesa porterà con Cristo la croce attraverso le generazioni. Renderà testimonianza ad essa. Ad essa attingerà la vita. Dalla croce crescerà con quella misteriosa crescita dello Spirito, che nella croce ha il suo inizio.

L'apostolo scriverà: "Io completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24).

La Chiesa crescerà dalla croce come il corpo misteriosomistico di Cristo, completando la croce.

Bisogna ricordare ciò qui, a Roma, dove tante generazioni hanno completato la croce di Cristo attraverso i corpi immolati dei martiri nei primi tre secoli, condannati a terribili sofferenze e alla morte, a causa della fede.

La Chiesa è maturata e cresciuta dal mistero della croce di Cristo. La Chiesa è maturata e cresciuta scrivendo il suo martyrologium, uno dei più preziosi documenti della storia della salvezza dell'uomo.

"Crux fidelis...".


3. Anche la Chiesa dei nostri tempi scrive il suo martyrologium, i suoi capitoli sempre nuovi, contemporanei. Non si deve dimenticare. Non si possono volgere gli occhi da questa realtà, che è la dimensione fondamentale della Chiesa dei nostri tempi. La Chiesa dei nostri tempi continua a scrivere il suo martyrologium.

Non si possono dimenticare coloro che nel corso della nostra epoca hanno subito la morte per la fede e per l'amore di Cristo; che in diversi modi sono stati incarcerati, torturati, tormentati, condannati a morte; ed anche scherniti, disprezzati, umiliati e socialmente emarginati. Non si può dimenticare il martyrologium della Chiesa e dei cristiani della nostra epoca. Questo martyrologium è scritto con eventi differenti da quelli primitivi. Sono altri metodi di martirio ed un altro modo di testimoniare; ma tutto scaturisce dalla stessa croce di Cristo e completa la stessa croce della nostra redenzione.

"Crux fidelis...".

Gli uomini che vivono nelle condizioni di libertà e di benessere non possono voltare gli occhi da questa croce e far passare sotto silenzio la testimonianza di coloro che appartengono a quella che si è soliti chiamare "la Chiesa del silenzio". La Chiesa costretta al silenzio, nelle condizioni della ateizzazione obbligatoria, cresce ulteriormente dalla croce di Cristo e, con il suo silenzio, proclama la più grande verità.

La stessa verità, che Dio stesso ha inscritto nei fondamenti della nostra redenzione.

"Crux fidelis...".


4. Nel corso della quaresima intera abbiamo cercato le vie della conversione a Cristo, sulle quali la Chiesa deve entrare se vuole esser fedele al Redentore.

Oggi, alla soglia della Settimana Santa, la stessa croce diventi fonte di rinnovamento di tutti noi, che in essa riponiamo la speranza fino alla fine.

Da alcuni giorni mi giungono dal continente africano, e precisamente dalla Repubblica del Ciad, notizie dolorose di sanguinosi scontri che suscitano nel mio animo viva pena e profonda preoccupazione.

Vi invito ad unirvi alla mia preghiera affinché Iddio doni a quelle popolazioni, a noi sempre tanto care, la riconciliazione e la pace, nella concordia per un comune impegno di tutti i cittadini a promuovere la giustizia e il progresso del paese.

Appello per tutte le vittime di sequestri Nel clima di sofferenza e di speranza, proprio della Settimana Santa, il mio pensiero si rivolge a tutte le vittime di sequestri, che nell'angoscia attendono di poter riabbracciare i propri cari; e anche oggi mi faccio interprete delle ansie e del tormento dei familiari di quanti sono tenuti sotto sequestro.

Ho presente, fra gli altri, il signor Francesco Sella, di Airuno, violentemente sottratto ai suoi fin dall'aprile 197 7. Penso poi ai casi che riguardano direttamente la diocesi di Roma o dintorni: Bianchi, Piattelli, Armellini, Antolini.

Nel nome del Cristo sofferente, del Cristo che dalla croce apre le mani al perdono e all'amore di tutti gli uomini, rivolgo la mia voce supplice ai rapitori, affinché - mossi da quel senso di umana pietà che confido non sia spento nei loro cuori - vogliano porre fine a tale straziante dolore e liberare questi fratelli, consentendo così ad essi, ed a quanti li aspettano nel pianto, di trascorrere una vera Pasqua di risurrezione.

Data: 1980-03-30 Data estesa: Domenica 30 Marzo 1980.


Ai capitolari della Pia Società San Paolo

Titolo: Cristo vi ha scelti come suoi amici e araldi

Carissimi capitolari della Pia Società San Paolo! Sono particolarmente lieto di accogliervi e di salutarvi, unitamente al neo-eletto superiore generale, don Renato Perino, nel momento in cui, animati dallo spirito ecclesiale a voi lasciato dal vostro fondatore, don Giacomo Alberione, siete venuti ad esprimere la vostra fede in Cristo e la vostra fedeltà al romano pontefice, a cui vi lega uno speciale voto.

Vi ringrazio vivamente per la gioia che mi procurate con questo incontro e ancora per il buon lavoro svolto in seno a codesto quarto capitolo generale, che ha avuto come scopo non solo l'elezione del nuovo superiore generale, ma anche la delicata ed impegnativa opera di definitiva codificazione per l'unione di codesta congregazione con le altre nove istituzioni che formano la famiglia paolina.

Basterebbe considerare quest'ultimo aspetto per definire storico il vostro capitolo.

Sono certo che nelle vostre sessioni avrete affrontato con ampiezza e competenza i diversi problemi che riguardano la vostra congregazione, tra cui, in primo luogo, l'esigenza di vivere autenticamente la propria vocazione religiosa, coltivando l'unione col Signore mediante una profonda e sincera vita interiore, e avendo sempre davanti agli occhi quello speciale carisma originale che il vostro fondatore ha voluto comunicare al vostro istituto e che deve animare tutto il vostro apostolato nei vari campi della vostra attività di religiosi che vivono nella Chiesa e per la Chiesa, e soprattutto in quello che don Alberione chiamava "l'apostolato della stampa", senza dimenticare tutto l'ampio raggio degli strumenti di comunicazione sociale.

E' nota a tutti l'importanza che egli diede alla stampa, come veicolo di diffusione dei principi cristiani e per la difesa dei valori morali e religiosi.

Egli comprese appieno quanto fosse importante che la realtà quotidiana in cui viviamo avesse una interpretazione conforme ai principi ed ai fini veri della vita: è proprio questo che la stampa cattolica, come sua ragion d'essere, si propone di dare, illuminando con la parola di Dio le vicende della cronaca e della storia, difendendo i valori umani e cristiani di cui la società odierna sente così profondo il bisogno, e dando all'opinione pubblica e all'educazlone sociale un genuino, sano e forte senso morale.

Sulla scia del vostro padre fondatore, continuate a lavorare per questi ideali e ad operare costantemente nella piena adesione agli orientamenti dottrinali e disciplinari della Chiesa, sapendo ben valutare non soltanto l'interesse che una pubblicazione può suscitare nei lettori, ma anche gli effetti che essa può produrre negli animi in ordine all'incremento della fede e alla vita spirituale. A questo proposito, giova ricordare le parole che il mio venerato predecessore, Paolo VI, vi indirizzo in occasione del sessantesimo anniversario di fondazione della società: "Libri e riviste comportano una grande responsabilità, tanto più grave quanto più larga è la loro diffusione; e voi evitando ciò che può essere causa di turbamento, di compiacente e deleterio permissivismo, dovete porre ogni cura nel formare sanamente e cristianamente i lettori ad un profondo senso religioso, alla purezza dei costumi, alle austere e nobilitanti esigenze del messaggio evangelico" ("Insegnamenti di Paolo VI", XII [1974] 1136).

Parole queste, che riecheggiano quelle ancor più incisive, esplicite e programmatiche che don Alberione scrisse, da Alba in una lettera del 4 agosto 1931, a due suoi figli in Brasile: "Voi andrete a spargere la divina parola con la stampa: datela con il cuore stesso che ebbe Gesù maestro nel predicare; con l'ardore che animo san Paolo nel diffonderla; con la grazia e l'umiltà per cui la santa Madonna divenne la madre dei Verbo incarnato. Non fate commercio, ma negozio spirituale, negotium vestrum agatis, non industria, ma infinite industrie per salvare le anime; non denari, ma tesori eterni".

Di cuore vi incoraggio a svolgere la vostra attività sempre con feconda consapevolezza delle esigenze proprie dell'apostolato per contribuire efficacemente al vero bene delle anime e all'edificazione della Chiesa. Studiatevi poi di conoscere, avvicinare, servire e, soprattutto, amare la società in cui vivete. Guardatela con gli stessi occhi del vostro fondatore e avvertite le stesse esigenze spirituali: la preghiera, la pratica dell'ascesi e la disponibilità verso le anime.

Vi siano queste brevi esortazioni di guida e di stimolo nei lavori conclusivi del vostro capitolo. Da parte mia vi accompagno con la preghiera, affinché la luce dello Spirito Santo vi illumini e vi conforti a seguire più da vicino Gesù crocifisso e risorto che ci apprestiamo a meditare in special modo in questi giorni della Settimana Santa; e vi aiuti ad approfondire sempre più la vocazione "paolina", in modo che ciascuno di voi possa riconoscersi nell'impulso generoso che, fin dall'inizio, ha orientato il vostro istituto verso le sue mete geniali, così sentite nella società di oggi. Nei momenti più impegnativi e più difficili sappiate trovare rifugio in Cristo, che vi ha scelti come suoi amici e suoi araldi nel mondo, e al quale avete consacrato la vostra vita. Sia egli il vostro sostegno e il vostro conforto.

Non lasciatevi scoraggiare dalle difficoltà. Abbiate fiducia. Abbiate fiducia in Cristo.

A conferma di questi voti e in segno della mia benevolenza, imparto a voi e a tutti i vostri confratelli la mia benedizione apostolica.

Il santo padre, prima di concludere il discorso, ha aggiunto: Ascoltando le parole del vostro neo-eletto superiore generale ho sentito questo momento speciale della vostra famiglia religiosa. Ho sentito; erano parole molto ponderate, pero si sentiva anche la grande sincerità di chi ha parlato a nome di tutti. E non posso, avendo sentito tutto questo, non completare questo breve discorso con alcune riflessioni più personali. Ha detto il vostro superiore generale: per salvare gli altri, bisogna salvare se stesso, cercare di salvare se stesso; questo non è un principio egoistico; è un vero principio apostolico.

Possono salvare gli altri, servire all'opera della salvezza soltanto coloro che prendono profondamente la responsabilità della propria anima, della propria vita eterna.

E' questo un principio della fede: per fare l'apostolato bisogna cominciare con una fede e bisogna arrivare a una fede. Cominciare con una fede pronta a andare con Gesù, a seguire Gesù come apostoli, e poi terminare con una fede matura. Apostolato in ogni sua forma, in ogni sua edizione; anche quell'apostolato moderno che è il vostro impegno, l'apostolato della stampa, è un frutto maturo, un frutto della maturazione della fede, della fede autentica delle fede che sempre diventa matura e apostolica nell'amore.

Per fare tutto questo, per compiere anche quello che è compito della vostra adunanza, bisogna tornare a queste radici, a questi principi, a queste dimensioni della vita religiosa personale e comunitaria; a questi principi che sono evidenti e che non possono essere sostituiti da altri. Se vengono sostituiti da altri non è più la stessa realtà, non è più la stessa vocazione.

Si sentiva, nelle parole del vostro superiore generale, una grande responsabilità e forse anche un timore, timore dovuto al momento storico non direi della vostra famiglia religiosa, ma al momento storico della Chiesa. Ho parlato durante la quaresima sulle tentazioni, sulle tentazioni che vive la Chiesa. Sono diverse. Tra queste c'è anche quella conosciuta già molto bene e determinata con le parole di san Paolo: non fatevi simili al mondo, non cercate di farvi simili al mondo. Questo vuol dire cercate di fare il mondo simile alla parola eterna. Ecco l'essenziale, e se si accettano in tutta la verità e con tutta la carità queste parole si sa bene che cosa fare per aggiornare anche i vostri statuti, per dare una dimensione postconciliare al vostro apostolato, alla vostra identità religiosa. Non abbiate paura di rimanere indietro, non abbiate paura. Questa paura è una tentazione. Non abbiate paura di essere giudicati non moderni, al corrente del progresso. E' sempre un problema attuale. Il Vaticano II ci ha parlato del vero progresso nella fede e questo si deve cercare. Ma su questa parola "progresso" si sovrappongono diverse interpretazioni, diversi sensi che non sono quelli giusti, che non sono quelli del Vaticano II e neanche di san Paolo. Non so se ho ben interpretato quel timore di responsabilità che ho sentito nelle parole del vostro superiore generale neo-eletto. Forse ho capito bene. Se ho capito bene, l'ha accettata. A conferma di tutto questo, di questi voti e in segno della mia simpatia, perché simpatizzo con tale apostolato - grazie a Dio che ci sono iniziative simili, bisogna che restino, anche che si moltiplichino nella Chiesa -,imparto a voi e a tutti i vostri confratelli, a tutta l'immensa opera di don Alberione (dieci famiglie, dieci rami) la mia benedizione apostolica.

Data: 1980-03-31Data estesa: Lunedi 31Marzo 1980.


Ai partecipanti al congresso "Univ '80" - Aula Paolo VI - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La dimensione morale dello studio e della ricerca

Figli carissimi.

Siate i benvenuti a Roma in questi giorni della Settimana Santa, nei quali avete voluto celebrare ancora una volta il vostro congresso sulla situazione dell'università nel mondo. Vi saluto e vi ringrazio per la vostra visita e per il significato che assume nel cuore di ciascuno di voi.

Con questa vostra iniziativa, voi continuate a mettere a fuoco la realtà, i problemi e gli ideali del mondo universitario, nel quale si formano - o si possono deformare - tante coscienze dei giovani, che sono a me carissimi. So che, nel vostro impegno universitario, voi desiderate servire l'uomo, con uno sforzo operoso e costruttivo; perciò studiate e meditate per offrire idee e proposte che aprano sempre nuovi spazi di speranza nella difficile situazione attraversata dall'università in questo scorcio di secolo.

1. Questo vostro congresso romano è stato preceduto da un intero anno di lavoro: avete realizzato inchieste in più di quattrocento università dei cinque continenti ed avete effettuato numerosi ed approfonditi dibattiti e incontri a livello locale; siete così giunti a sempre meglio individuare luci ed ombre nel panorama mondiale della vita universitaria.

Dei problemi suscitati da questo settore, vorrei soffermarmi in particolare su uno: quello della frammentazione della cultura universitaria, e delle sue ripercussioni sulla formazione umana. Noi viviamo un'ora di accelerazione del progresso scientifico, in tutti i settori. L'espansione delle conoscenze si manifesta oggi nell'accumularsi di una quantità inimmaginabile di dati. Non sono soltanto le discipline scientifico-sperimentali ad essere coinvolte da questa frammentazione del sapere, ma anche quelle umanistiche, sia filosofiche che storiche, giuridiche, linguistiche, ecc... L'uomo non può né deve arrestare tali spinte del progresso scientifico, poiché egli si vede spronato da Dio stesso ad assoggettare il mondo (cfr. Gn 1,28) col proprio lavoro. Tuttavia è necessario che, in un simile compito, egli non dimentichi la necessità di integrare il proprio impegno di studio e di ricerca in un sapere di più globale dimensione; altrimenti, nel fare scienza e cultura, rischierà di perdere la nozione stessa del proprio essere, il senso pieno e completo della propria esistenza, e conseguentemente agirà in lacerante disaccordo con la propria peculiare identità.


2. Infatti, quando l'uomo perde di vista l'unità interiore del suo essere rischia di perdere se stesso, anche se contemporaneamente può aggrapparsi a molte parziali certezze relative al mondo o ad aspetti periferici della realtà umana. Per questi motivi, dobbiamo ribadire che ogni universitario, docente e studente, ha urgente bisogno di concedere, dentro di sé, spazio all'indagine su se stesso, sul proprio concreto statuto ontologico; ha bisogno di riflettere sul destino trascendente, inciso in sé come creatura di Dio. E qui, in questo sapere, che si trova il filo che intreccia in armoniosa unità tutto l'agire dell'uomo.

Vi invito, perciò, a scoprire, nell'integrale e grandiosa unità interiore dell'uomo, il criterio al quale debbono ispirarsi l'attività scientifica e lo studio, per poter procedere in armonia con la realtà profonda della persona, e quindi al servizio di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. L'impegno scientifico non è un'attività che riguarda la sola sfera intellettuale. Esso coinvolge l'uomo intero. Questi infatti si lancia con tutte le proprie forze nella ricerca della verità, proprio perché la verità gli appare come un bene. Esiste dunque una inscindibile corrispondenza fra la verità e il bene. Questo significa che tutto l'operare umano possiede una dimensione morale. In altre parole: qualunque cosa facciamo - anche lo studio - noi avvertiamo al fondo del nostro spirito un'esigenza di pienezza e di unità.

Per evitare che la scienza si presenti come fine a se stessa, come compito soltanto intellettuale, oggettivamente e soggettivamente estraneo all'ambito morale, il Concilio ha ricordato che "l'ordine morale investe nella totalità del suo essere l'uomo" (IM 6). In ultima analisi - e ciascuno di noi lo sa per esperienza - l'uomo o cerca se stesso, la propria affermazione, l'utilità personale, come finalità ultima dell'esistenza, oppure si rivolge a Dio, bene supremo e vero fine ultimo, l'unico in grado di unificare, subordinandoli e orientandoli a sé, i molteplici fini che di volta in volta costituiscono l'oggetto delle nostre aspirazioni e del nostro lavoro. Scienza e cultura, pertanto, acquistano un senso pieno e coerente e unitario, se sono ordinate al raggiungimento del fine ultimo dell'uomo, che è la gloria di Dio.

Cercare la verità e mettersi in cammino per attingere il bene supremo: ecco la chiave di un impegno intellettuale, che superi il rischio di consentire che la frammentazione del sapere scinda interiormente la persona, frantumandone la vita in una moltitudine di settori reciprocamente indipendenti e, nel loro insieme, indifferenti al dovere e al destino dell'uomo.


3. La connessione fra intelligenza e volontà appare esplicita soprattutto nell'atto di coscienza, cioè nell'atto in cui ciascuno valuta la ragione di bene o di male inerente ad un'azione concreta. Formare la propria coscienza appare, così, come un dovere indilazionabile. Formare la coscienza significa scoprire con chiarezza sempre maggiore la luce che avvia l'uomo a raggiungere nella propria condotta la vera pienezza della sua umanità. E solo obbedendo alla legge divina l'uomo realizza pienamente se stesso come uomo: "L'uomo - cito ancora il Concilio - ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore: obbedire ad essa è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato" (GS 16).

Se la storia dell'umanità, fin dai suoi primi passi, è segnata dal drammatico indebolimento prodotto dal peccato, essa pero è anche, e soprattutto, la storia dell'amore divino: questo viene incontro a noi e, attraverso il sacrificio di Cristo, Redentore dell'uomo, perdona le nostre trasgressioni, illumina la coscienza e reintegra la capacità della volontà di tendere al bene.

Cristo è via, verità e vita (cfr. Jn 14,6); Cristo guida ogni uomo, lo illumina, lo vivifica. Solo con la grazia di Cristo, con la sua luce e la sua forza, l'uomo può situarsi al livello soprannaturale che gli compete come figlio di Dio; inoltre, solo con questa grazia gli diviene possibile realizzare anche tutto il bene proporzionato alla sua stessa natura umana.


4. Carissimi, nel vostro impegno per la dignità dell'uomo, per la difesa dell'unità interiore di chi opera sui diversi fronti della scienza, la formazione delle coscienze occupa pertanto un luogo preminente. A questa formazione si oppone l'ignoranza religiosa e, specialmente, il peccato, che distende nella coscienza dell'uomo un'oscurità che gli impedisce di discernere la luce offertagli da Dio (cfr. S.Augustini "In Io. Ev.", Tr. I,19). Ebbene, proprio perché è palese la nostra debolezza, Cristo Redentore è venuto verso di noi come medico che risana.

Avvicinatelo con una fede viva e con la frequenza ai sacramenti, e sperimenterete in voi la forza e la luce del sangue, che per noi è stato versato sulla croce.

Ditegli con fiducia, come il cieco del Vangelo: Domine, ut videam! (Lc 18,41), "Signore, che io veda", e scoprirete il senso profondo di ciò che siete e di tutto ciò che fate.

Queste riflessioni ci portano ai piedi di una singolare cattedra che, specie in questi giorni della Settimana Santa, Cristo ci invita a frequentare per colmarci di una saggezza nuova: la cattedra della croce, le cui lezioni già lo scorso anno vi ho incoraggiato ad ascoltare. Sostiamo davanti al Figlio di Dio, che muore per liberarci dai nostri peccati e restituirci la vita. Dalla croce di Cristo una luce di straordinaria chiarezza passa nell'intelligenza degli uomini: ci viene donata la sapienza di Dio e ci si manifesta il senso più alto della nostra esistenza, poiché colui che pende da quest'albero è "la vera luce, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo" (Jn 1,9). E la nostra volontà riceve dalla croce novità di gioia e di forza, che ci permette di camminare "vivendo secondo la verità nella carità" (Ep 4,15).

La croce è il libro vivo, da cui impariamo definitivamente chi siamo e come dobbiamo agire. Questo libro ci è sempre aperto dinanzi. Leggete, riflettete, assaporate questa nuova sapienza. Fatela vostra, e camminerete anche per i sentieri della scienza, della cultura, della vita universitaria, diffondendo luce in un servizio d'amore, degno dei figli di Dio.

E guardate anche a Maria santissima, ritta accanto alla croce di Gesù (Jn 19,25), dove ci viene data come madre: è lei la nostra speranza, la sede della vera sapienza.

E che il Signore vi accompagni ogni giorno, sostenga la vostra testimonianza e fecondi ampiamente le vostre fatiche.

Da parte mia, vi concedo di cuore l'apostolica benedizione, propiziatrice di copiosi favori celesti, e vi invito ad estenderla ai vostri amici e a quanti vi sono cari.

Data: 1980-04-01Data estesa: Martedi 1Aprile 1980.






GPII 1980 Insegnamenti - Città del Vaticano (Roma)