GPII 1980 Insegnamenti - L'arrivo a Parigi - Champs Elysées (Francia)

L'arrivo a Parigi - Champs Elysées (Francia)

Titolo: Cattolici di Francia, siate fieri della vostra fede

Signor presidente.

Sono particolarmente colpito dalle parole che mi avete rivolto al mio arrivo sul suolo di Francia. Vi ringrazio vivamente. L'avete fatto a titolo personale e l'avete fatto a nome del popolo francese, al quale, vostro tramite, vorrei rivolgere il mio primo messaggio.

1. Sia lodato Gesù Cristo. Si, è proprio con queste parole piene di fervore e di rendimento di grazie che ho voluto, fin dalla sera della mia elezione a Vescovo di Roma e pastore universale, inaugurare il mio ministero di predicazione del Vangelo. Questo saluto l'ho rivolto anzitutto ai miei fedeli diocesani sulle rive del Tevere, che mi erano affidati per essere guidati secondo i disegni della divina provvidenza. L'ho rivolto in seguito ad altri popoli, ad altre Chiese locali, con tutto il carico di stima, di sollecitudine pastorale, e anche di speranza di cui è portatore.

Questo stesso saluto, vengo a portare ora in Francia, con tutto il mio cuore, con tutto il mio affetto, dicendole: Sono profondamente felice di visitarti in questi giorni, e di mostrarti il mio desiderio di servire te in ciascuno dei tuoi figli. Il messaggio che voglio consegnarti è un messaggio di pace, di fiducia, di amore e di fede. Di fede in Dio, certo, ma allo stesso modo, se posso esprimermi così, di fede nell'uomo, di fede nelle meravigliose possibilità che gli sono state donate perché ne usi con saggezza e con la preoccupazione del bene comune, per la gloria del Creatore.

A tutti i figli e le figlie di questa grande nazione, a tutti il Papa porge i suoi cordiali auguri, nel nome del Signore. La Francia simboleggia per il mondo un paese dalla storia antichissima e anche assai densa. Un paese con un patrimonio artistico e culturale incomparabile, la cui irradiazione non ha bisogno di essere illustrata. Quanti popoli hanno beneficiato del genio francese, che ne ha segnato le radici e costituisce ancora per essi nello stesso tempo un motivo di fierezza e, si può ben dire, una specie di referenza! Il ruolo della Francia continua nella comunità internazionale, al livello che le appartiene, ma con uno spirito di apertura e la preoccupazione di portare un contributo contemporaneamente ai principali problemi internazionali e alle situazioni delle aree meno favorite. Durante i miei precedenti viaggi, ho potuto constatare quale sia il posto che essa occupa sotto altri cieli. Ma più che all'ampiezza dei mezzi dispiegati, necessariamente limitati, è al suo popolo che essa deve il suo posto, a uomini e donne eredi della sua civiltà.


2. Sono questi uomini e queste donne, l'anima della Francia, che io incontrero in questi giorni. Come non essere colpiti dall'accoglienza che mi riservate qui, nella vostra capitale? Molti di voi mi hanno scritto prima di questa visita e voi siete molto numerosi questa sera ad augurarmi il benvenuto. Non posso purtroppo ringraziare ciascuno in particolare, né stringere tutte le mani che vorreste tendermi. Ma davanti a voi, rappresentanti della sovranità nazionale, vorrei testimoniare la mia viva gratitudine.

Signor presidente, voi che vostri connazionali hanno designato ad assumere la più alta responsabilità dello Stato, vogliate dunque accettare l'omaggio riconoscente che io rivolgo a tutto il popolo francese. Vorrei aggiungere i sentimenti di compiacimento per l'estrema disponibilità di cui hanno dato prova personalmente vostra eccellenza, e pure il signor primo ministro e il governo, non appena hanno conosciuto il mio progetto.

Di questo viaggio avete immediatamente colto la vera natura: anzitutto un viaggio pastorale, per visitare ed incoraggiare i cattolici di Francia; un viaggio che vuole ugualmente tradurre la mia stima e la mia amicizia per l'insieme della popolazione, e penso qui, in particolare, ai membri delle altre confessioni cristiane, della comunità ebraica e della religione islamica. Era mio desiderio che questo viaggio potesse compiersi nella semplicità e nella dignità, sfruttando tutte le occasioni possibili per avere contatti ed incontri. Voi avete offerto tutta la vostra collaborazione per la realizzazione del programma, e sono a ciò tanto più sensibile in quanto era richiesta una preparazione minuziosa. Penso infine alle persone per le quali questi avvenimenti creano un sovrappiù di lavoro.

Tutto ciò fa parte dell'ospitalità, una virtù di cui la Francia può, a buon diritto, essere onorata. Veramente, esprimo a tutti un grazie cordiale.


3. Saluto in modo specialissimo voi, cari cattolici di Francia, miei fratelli e mie sorelle in Cristo, amici miei. Mi avete invitato a constatare, quasi 1.500 anni dopo il battesimo della vostra nazione, che la fede vi è sempre viva, giovane, dinamica, che la generosità non manca fra voi. Essa si traduce pure in un ribollire di iniziative, di ricerche, di riflessioni. Vi tocca infatti affrontare problemi spesso nuovi, o almeno problematiche nuove. Il contesto in cui vivete evolve rapidamente, in funzione delle trasformazioni culturali e sociali che non possono non influire progressivamente sui costumi e sulle mentalità. Una moltitudine di interrogativi vi si pongono. Che fare? Come rispondere ai bisogni fondamentali dell'uomo contemporaneo, che rivelano in fondo un immenso bisogno di Dio? In unione con i vostri Vescovi e in particolare con il caro Cardinale Arcivescovo di Parigi e il presidente della conferenza episcopale francese, sono venuto ad incoraggiarvi nella via del Vangelo, una via stretta certo, ma la via regale, sicura, sperimentata da generazioni di cristiani, insegnata dai santi e dai beati di cui la vostra patria si onora, la via su cui, proprio come voi, i vostri fratelli nella Chiesa universale si sforzano di camminare. Questa via non passa per la rassegnazione, le rinunce o gli abbandoni. Non si piega al decadimento del senso morale, e auspicherebbe che la legge civile stessa fosse di aiuto per l'elevazione dell'uomo. Essa non cerca di nascondersi, di restare celata, ma richiede, al contrario, l'audacia gioiosa degli apostoli. Mette dunque al bando la pusillanimità, pur mostrandosi perfettamente rispettosa verso coloro che non condividono lo stesso ideale. Se davvero la Chiesa rivendica per se stessa la libertà religiosa e se essa ha molteplici ragioni di rallegrarsi di poterne godere in Francia, è naturale che essa rispetti anche le convinzioni degli altri.

Essa chiede, per parte sua, che le si permetta di vivere, di professare pubblicamente e di rivolgersi alle coscienze.

"Riconosci, cristiano, la tua dignità", diceva il grande Papa san Leone Magno. E io, suo indegno successore, dico a voi, fratelli e sorelle cattolici della Francia: riconoscete la vostra dignità! Siate fieri della vostra fede, del dono dello Spirito che il Padre vi ha fatto! Vengo tra voi come un povero, con la sola ricchezza della fede, pellegrino del Vangelo. Date alla Chiesa e al mondo l'esempio della vostra fedeltà senza incrinature e del vostro zelo missionario. La mia visita tra voi vuol essere nello stesso tempo una testimonianza di solidarietà verso i vostri pastori e un appello a un nuovo slancio davanti ai numerosi compiti che vi attendono.

Sento che nel fondo dei vostri cuori voi capirete questa esortazione. Io la rivolgo, fin dal mio arrivo sul suolo di Francia, a tutti quelli che mi ascoltano, e avro poi l'occasione di ripeterla in questi giorni intrattenendomi con i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i laici impegnati nell'apostolato, e incontrandomi con il mondo del lavoro e quello dei giovani, con gli uomini di pensiero e di scienza. Un momento del tutto speciale sarà riservato all'Unesco, che ha la sua sede nella vostra capitale: mi è parso molto importante davvero rispondere al suo cortese invito per salutare un'areopago eccezionale di testimoni della cultura del nostro tempo, e portarvi la testimonianza propria della Chiesa.

Bisogna concludere per il momento questo primo contatto. Sto per recarmi alla Basilica di Notre-Dame, la madre delle chiese di questa diocesi, e uno dei più venerabili edifici religiosi di questa nazione. Voglio là affidare al Signore e alla Vergine santissima gli auguri che formulo per tutto il popolo francese. Che Dio benedica la Francia!

Data: 1980-05-30 Data estesa: Venerdi 30 Maggio 1980.


Omelia della messa a Notre-Dame - Parigi (Francia)

Titolo: Dalla risposta alla domanda "ami tu?" il valore e il significato della vita

1. "Ami tu"? Domanda fondamentale, domanda comune. E' la domanda che apre il cuore - e che dà alla vita il suo significato. E' la domanda che decide della vera dimensione dell'uomo. In essa l'uomo tutto intero è chiamato ad esprimersi, e, ancora, ad andare oltre se stesso.

"Mi ami tu"? Questa domanda è stata posta un momento fa in questo luogo. E' un luogo storico, un luogo sacro.

Qui si incontra il genio della Francia, il genio che si è espresso nell'architettura di questo tempo otto secoli fa e che sta ancora a dare testimonianza dell'uomo. L'uomo, infatti, attraverso tutte le formule con le quali cerca di definirsi, non può dimenticare che egli pure è un tempio: egli è il tempio in cui abita lo Spirito Santo. Per questa ragione l'uomo ha innalzato questo tempio che da otto secoli gli rende testimonianza: Notre-Dame.

Qui, in questo luogo, nel corso del nostro primo incontro, questa domanda doveva essere posta: "Mi ami tu?". Ma essa deve essere posta ovunque e sempre. Questa domanda è posta all'uomo da Dio. Questa domanda l'uomo deve continuamente rivolgerla a se stesso.


2. Questa domanda è stata posta da Cristo a Pietro. Cristo l'ha posta tre volte, e per tre volte Pietro gli ha risposto. "Simone di Giovanni, mi ami? - Certo, Signore, tu lo sai che ti amo" (Jn 21,15-17).

E Pietro s'impegnava già, con questa domanda e con questa risposta, sul cammino che doveva essere il suo fino alla fine della sua vita. Ovunque doveva seguirlo il mirabile dialogo nel quale egli aveva anche udito tre volte l'invito: "Pasci i miei agnelli", "Pasci le mie pecorelle"... "Sii il pastore di questo gregge del quale io, io stesso, sono la porta e il buon pastore" (cfr. Jn 10,7).

Per sempre, fino alla fine della sua vita, Pietro doveva avanzare sul cammino, accompagnato da questa triplice domanda: "Mi ami tu?". E avrebbe misurato tutte le sue attività sulla risposta che aveva allora dato. Quando fu convocato davanti al sinedrio. Quando fu messo in prigione a Gerusalemme, prigione dalla quale non doveva uscire... e dalla quale tuttavia usci. E quando, fuggiasco, si allontano da Gerusalemme verso il nord, ad Antiochia, e poi più lontano ancora, da Antiochia a Roma. E quando a Roma ebbe perseverato fino alla fine dei suoi giorni, conobbe la forza di quelle parole secondo le quali un Altro lo avrebbe condotto dove egli non voleva... (cfr. Jn 21,18).

E sapeva anche che, grazie alla forza di quelle parole, la Chiesa era assidua "nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere"... e che "il Signore aggiungeva ogni giorno alla comunità quelli che erano salvati" (Ac 2,4 Ac 2 Ac 2,48).

Fu così a Gerusalemme. Poi ad Antiochia. Poi a Roma. E poi ancora qui, all'ovest e al nord delle Alpi: a Marsiglia, Lione, Parigi.


3. Pietro non può mai staccarsi da questa domanda: "Mi ami tu?". Egli la porta con sé ovunque vada. La porta attraverso i secoli, attraverso le generazioni. Nel mezzo di popoli nuovi e di nuove nazioni. Attraverso lingue e razze sempre nuove.

La porta lui solo, e tuttavia non è più solo. Altri la portano con lui: Paolo, Giovanni, Giacomo, Andrea, Ireneo di Lione, Benedetto da Norcia, Martino di Tours, Bernardo di Chiaravalle, il Poverello di Assisi, Giovanna d'Arco, Francesco di Sales, Giovanna Francesca di Chantal, Vincenzo de' Paoli, Giovanni Maria Vianney, Teresa di Lisieux.

In questa terra che oggi mi è dato di visitare, qui, in questa città, ci sono stati, ci sono molti uomini e donne che hanno saputo e che sanno ancora oggi che tutta la loro vita ha valore e significato solo ed esclusivamente nella misura in cui essa è una risposta alla medesima domanda: Ami tu? Mi ami tu? Essi hanno dato, e danno la loro risposta in maniera totale e perfetta - una risposta eroica - o talora in maniera comune, ordinaria. Ma in ogni caso essi sanno che la loro vita, la vita umana in generale, ha valore e significato nella misura in cui è la risposta a questa domanda: ami tu? Solo grazie a questa domanda la vita vale la pena di essere vissuta.

Vengo qui sulle loro orme. Vengo a visitare la loro patria terrestre.

Alla loro intercessione raccomando la Francia e Parigi, la Chiesa e il mondo. La risposta che essi hanno dato a questa domanda: "Ami tu?" ha un significato universale, un valore che non passa. Essa costruisce nella storia dell'umanità il mondo del bene. Solo l'amore costruisce un tale mondo. Esso lo costruisce con fatica. E deve lottare per dargli forma: deve lottare contro le forze del male, del peccato, dell'odio, contro la concupiscenza della carne, contro la concupiscenza degli occhi e contro la superbia della vita (cfr. 1Jn 2,16).

Questa lotta è incessante. Essa è vecchia quanto la storia dell'uomo.

Nel nostro tempo, questa lotta per dare forma al nostro mondo sembra essere più grande che mai. E più di una volta ci domandiamo tremando se l'odio non avrà il sopravvento sull'amore, la guerra sulla pace, la distruzione sulla costruzione.

Quanto straordinaria è l'eloquenza di questa domanda posta da Cristo: "Ami tu?"! Essa è fondamentale per ognuno di noi e per tutti. E' fondamentale per l'individuo e per la società, per la nazione e per lo Stato. E' fondamentale per Parigi e per la Francia: "Ami tu?".


4. Cristo è la pietra angolare di questa costruzione. Egli e la pietra angolare di questa forma che il mondo, il nostro mondo umano, può prendere grazie all'amore.

Lo sapeva Pietro, lui al quale Cristo ha domandato per tre volte: "Mi ami tu?". Pietro lo sapeva, lui che nell'ora della prova ha rinnegato il suo maestro tre volte. E la sua voce tremava nel rispondere: "Signore, tu lo sai che ti amo" (Jn 21,15). Tuttavia, egli non ha risposto: "Eppure, Signore, ti ho deluso", ma: "Signore, tu lo sai che ti amo". Dicendo questo, egli sapeva già che Cristo è la pietra angolare sulla quale, nonostante ogni debolezza umana, può crescere in lui, Pietro, questa costruzione che avrà la forma dell'amore.

Attraverso tutte le situazioni e tutte le prove. Fino alla fine. Per questo egli scriverà un giorno, nella sua lettera da noi appena letta, il testo su Gesù Cristo, la pietra angolare sulla quale "anche voi venivate impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo" (1P 2,5).

Tutto questo non significa nient'altro che rispondere sempre e costantemente, con tenacia e in maniera conseguente, a quest'unica domanda: Ami tu? Mi ami tu? Mi ami di più? Questa risposta, ossia questo amore, è ciò che fa di noi "la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato..." (1P 2,9). E' ciò che ci permette di proclamare le opere meravigliose di colui che ci "ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce" (1P 2,9).

Tutto questo Pietro lo ha saputo nell'assoluta certezza della sua fede.

E tutto questo egli lo sa, e continua a confessarlo anche nei suoi successori.

Egli sa, si, e confessa che questa pietra angolare, che dà a tutta la costruzione della storia umana la forma dell'amore, della giustizia e della pace, fu, è e sarà, veramente, la pietra rigettata dagli uomini..., si, dagli uomini, da molti di coloro che sono i costruttori del destino del mondo; e tuttavia, nonostante questo, è veramente lui, Gesù Cristo, colui che è stato, che è e che sarà la pietra angolare della storia umana. E' da lui che, nonostante tutti i conflitti, le obiezioni e le negazioni, nonostante l'oscurità e le nubi che non cessano di accumularsi all'orizzonte della storia - e voi sapete quanto esse siano minacciose oggi, nel nostro tempo! - è da lui che la costruzione indefettibile sorgerà, è su di lui che essa si innalzerà, ed è a partire da lui che si svilupperà. Solo l'amore ha la forza di fare questo. Solo l'amore non conosce declino.

Solo l'amore dura sempre (cfr. 1Co 13,8). Esso solo costruisce la forma dell'eternità nelle dimensioni terrestri e fugaci della storia dell'uomo sulla terra.


5. Noi siamo qui in un luogo sacro: Notre-Dame. Questa splendida costruzione, tesoro dell'arte gotica, i vostri antenati l'hanno consacrata alla Madre di Dio.

Essi l'hanno consacrata a colei che, tra tutti gli esseri umani, ha dato la risposta più perfetta a quella domanda: Ami tu? Mi ami tu? Mi ami di più? La sua vita tutta intera fu infatti una risposta perfetta, senza alcun errore, a questa domanda.

Era dunque conveniente che io cominciassi in un luogo consacrato a Maria il mio incontro con Parigi e con la Francia, incontro al quale sono stato così cortesemente invitato dalle autorità dello Stato e della città, dalla Chiesa e dai suoi pastori. La mia visita di lunedi alla sede dell'Unesco a Parigi acquista in questo modo il suo quadro completo e la dimensione che conviene alla mia missione di testimonianza e di servizio apostolico.

Questo invito ha per me un grande valore. Lo apprezzo altamente.

Desidero anche, secondo le mie possibilità e secondo la grazia di stato che mi è stata data, rispondere a questo invito e fare in modo che esso raggiunga il suo scopo.

Perciò mi rallegro che questo nostro primo incontro abbia luogo in presenza della Madre di Dio, davanti a colei che è la nostra speranza. Desidero affidare a lei il servizio che mi spetta di compiere in mezzo a voi. A lei anche chiedo, così come lo chiedete voi tutti, cari fratelli e sorelle, che questo servizio sia utile e fruttuoso per la Chiesa in Francia, per l'uomo e per il mondo contemporaneo.


6. Sono numerosi i luoghi del vostro paese ai quali assai spesso, forse ogni giorno, il mio pensiero e il mio cuore si recano in pellegrinaggio: il santuario della Vergine Immacolata a Lourdes, Lisieux, e Ars, dove questa volta non potro recarmi, e Annecy, dove sono stato invitato da molto tempo senza che possa ora realizzare il mio desiderio.

Ecco che si presenta davanti ai miei occhi la Francia, madre dei santi nel corso di tante generazioni e di tanti secoli. Oh, quanto desidero che essi tornino tutti nel nostro secolo, e nella nostra generazione, secondo la misura dei suoi bisogni e delle sue responsabilità! In questo primo incontro, auguro a tutti e a ciascuno di intendere in tutta la sua eloquenza la domanda che Cristo ha rivolto una volta a Pietro: Ami tu? Mi ami tu? Che questa domanda risuoni e trovi un'eco profonda in ciascuno di noi! Ne dipende l'avvenire dell'uomo e del mondo: ascolteremo noi questa domanda? Comprenderemo la sua importanza? Come risponderemo ad essa?

Data: 1980-05-30 Data estesa: Venerdi 30 Maggio 1980.


Al clero dell'Ile de France - Basilica di Notre-Dame (Francia)

Titolo: Il mondo ha sempre più bisogno del vostro ministero quotidiano

Cari fratelli sacerdoti, 1. E' una grande gioia per me rivolgermi a voi, questa sera - e in primo luogo - a voi sacerdoti e diaconi di Parigi e della regione parigina e attraverso voi all'insieme dei sacerdoti e dei diaconi di Francia. Per voi, io sono Vescovo; con voi, io sono sacerdote. Voi siete miei fratelli, in virtù del sacramento dell'ordine. La lettera che vi ho indirizzato l'anno scorso in occasione del Giovedi Santo vi diceva la mia stima, il mio affetto, la mia fiducia tutta particolare. Dopodomani io incontrero lungamente i vostri Vescovi, che sono a titolo speciale miei fratelli; è in unione con loro che io vi parlo. Ma ai miei occhi. agli occhi del Concilio, voi siete inseparabili dai Vescovi ed io pensero a voi intrattenendomi con loro. Una profonda comunione unisce i sacerdoti e i Vescovi, fondata sul sacramento e il ministero. Cari amici, possiate comprendere l'amore che vi porto in Cristo Gesù! Si, Cristo mi chiede, come all'apostolo Pietro, di "confermare i miei fratelli" e siete voi che prima di tutto ne dovete beneficiare.


2. Per camminare con gioia e con speranza nella nostra vita sacerdotale, bisogna risalire alle sorgenti. Non è il mondo che fissa il nostro ruolo, il nostro statuto, la nostra identità. E' Cristo Gesù; è la Chiesa. E' Cristo Gesù che ci ha scelto, come suoi amici affinché portiamo frutto: che ha fatto di noi i suoi ministri: noi partecipiamo all'incarico dell'unico mediatore che è Cristo. E' la Chiesa, il corpo di Cristo, che, da duemila anni, esprime il posto indispensabile che tengono nel suo seno i Vescovi, i sacerdoti, i diaconi.

E voi, sacerdoti di Francia, voi avete la fortuna di essere gli eredi di una moltitudine di sacerdoti che restano esempi per la Chiesa intera, e che sono per me una sorgente costante di meditazione. Per non parlare del periodo più vicino, penso a san Francesco di Sales, a san Vincenzo de' Paoli, a san Giovanni Eudes, ai maestri della scuola francese, a san Luigi Maria Grignion de Montfort, a san Giovanni Maria Vianney, ai missionari del diciannovesimo e del ventesimo secolo, di cui ho ammirato il lavoro in Africa. La spiritualità di tutti questi pastori porta il segno del loro tempo, ma il dinamismo interiore è lo stesso e la caratteristica di ciascuno arricchisce la testimonianza globale del sacerdozio che noi dobbiamo vivere. Come avrei desiderato andare pellegrino ad Ars, se fosse stato possibile! Il curato d'Ars resta di fatto per tutti i paesi un modello fuori dal comune sia per il compimento del ministero che per la santità del ministro, dedicato alla preghiera e alla penitenza per la conversione delle anime.

Molti studi ed esortazioni hanno pure delineato il cammino della vita dei sacerdoti del vostro paese: penso ad esempio all'ammirevole lettera del Cardinal Suhard: "Il sacerdote nella città".

Il Concilio Vaticano II ha ripreso tutta la dottrina del sacerdozio nella costituzione "Lumen Gentium" (LG 28) e nel decreto "Presbyterorum Ordinis", che hanno avuto il merito di considerare la consacrazione dei sacerdoti nella prospettiva della loro missione apostolica, in seno al Popolo di Dio e come una partecipazione al sacerdozio e alla missione del Vescovo. Questi testi sono prolungati da molti altri, in particolare da quelli di Paolo VI, dal Sinodo e dalla mia lettera.

Ecco le testimonianze, ecco i documenti che tracciano per noi la vita del sacerdozio. Questa sera, in questo alto luogo che è come un cenacolo, io vi faccio soltanto, cari amici, alcune raccomandazioni essenziali.


3. E anzitutto, abbiate fede nel vostro sacerdozio.

Oh, non è che non conosca tutto quello che oggi potrebbe scoraggiare e forse far vacillare certi sacerdoti. Molte analisi e testimonianze insistono su queste difficoltà reali che io tengo molto presenti allo spirito - in particolare l'esiguo numero di ordinazioni - anche se non voglio usar del tempo ad enumerarle questa sera. E tuttavia vi dico: siate felici e fieri di essere sacerdoti. Tutti i battezzati formano un popolo sacerdotale, vale a dire che essi devono offrire a Dio il sacrificio spirituale di tutta la loro vita, animata da una fede piena di carità, unendola al sacrificio unico di Cristo. Felice il Concilio che ce l'ha ricordato! Ma proprio per questo, noi abbiamo ricevuto un sacerdozio ministeriale per rendere i laici coscienti del loro sacerdozio e permettere loro di esercitarlo. Noi siamo stati configurati a Cristo sacerdote per essere capaci di agire in nome di Cristo capo in persona (cfr. PO 2). Noi siamo stati presi in mezzo agli uomini e rimaniamo del poveri servitori, ma la nostra missione di sacerdoti del Nuovo Testamento è sublime e indispensabile: è quella di Cristo, l'unico mediatore e santificatore, a tal punto che essa richiede una consacrazione totale della nostra vita e del nostro essere. Mai la Chiesa potrà adattarsi a fare a meno di sacerdoti, di santi sacerdoti. Più il Popolo di Dio raggiunge la sua maturità, IPU le famiglie cristiane e i laici cristiani assumono il loro ruolo nei loro molteplici impegni di apostolato, più essi hanno bisogno di sacerdoti che siano pienamente sacerdoti, proprio per la vitalità della loro vita cristiana. E in un altro senso, più il mondo è scristianizzato o manca di maturità nella fede, più ha bisogno di sacerdoti che siano totalmente votati a testimoniare la pienezza del mistero di Cristo. Ecco la sicurezza che deve sostenere il nostro proprio zelo sacerdotale, ecco la prospettiva che deve incitarci a incoraggiare con tutte le nostre forze, con la preghiera, la testimonianza, l'invito e la formazione, le vocazioni di sacerdoti e di diaconi.


4. Aggiungo: apostoli di Cristo Gesù per volontà di Dio (cfr. "Introductio omnium epistularum S.Pauli") conservate la sollecitudine apostolica, missionaria, che è così viva presso la maggior parte dei sacerdoti francesi. Molti - questo è particolarmente toccante in questi ultimi trentacinque anni - sono stati presi dall'assillo di annunciare il Vangelo al cuore del mondo, al cuore della vita dei nostri contemporanei, in tutti gli ambienti, fossero intellettuali, operai o anche del "quarto mondo", a coloro che sono spesso lontano dalla Chiesa, che un muro sembra separare dalla Chiesa, e questo mediante approcci nuovi di ogni sorta, iniziative ingegnose e coraggiose, giungendo fino a condividere il lavoro e le condizioni di vita dei lavoratori nella prospettiva della missione, in ogni caso quasi sempre con dei mezzi poveri. Molti - ad esempio cappellani - sono costantemente sulla breccia per far fronte ai bisogni spirituali d'un mondo scristianizzato, secolarizzato, spesso agitato da nuove polemiche culturali.

Questa cura pastorale, pensata e compiuta con i vostri Vescovi, torna a vostro onore: che essa venga proseguita e purificata incessantemente. Questo è l'augurio del Papa. Come essere sacerdote senza condividere lo zelo del buon pastore? Il buon pastore si preoccupa di quelli che si sono allontanati dall'ovile per mancanza di fede o di pratica religiosa (cfr. PO 6); a maggior ragione egli si preoccupa dell'insieme del gregge dei fedeli da riunire e nutrire, come lo testimonia il ministero pastorale quotidiano di tanti parroci e vicari.


5. In questa prospettiva pastorale e missionaria sia il vostro ministero sempre quello dell'apostolo di Gesù Cristo, del sacerdote di Gesù Cristo. Non perdete mai di vista ciò per cui siete stati ordinati: far avanzare gli uomini nella vita divina (cfr. PO 2). Il Concilio Vaticano II vi domanda allo stesso tempo di non restare estranei alla vita degli uomini e di essere "testimoni e dispensatori di una vita diversa dalla vita terrestre" (cfr. PO 3).

Così, voi siete ministri della parola di Dio, per evangelizzare e formare evangelizzatori, per risvegliare, insegnare e nutrire la fede - la fede della Chiesa - per invitare gli uomini alla conversione e alla santità (cfr. PO 4). Voi siete associati all'opera di santificazione di Cristo, per insegnare ai cristiani a fare l'offerta della loro vita, in ogni momento, e specialmente nell'eucaristia che "è la sorgente e il vertice dell'evangelizzazione" (PO 5). E qui, cari fratelli sacerdoti, bisogna sempre vigilare, con una cura estrema, ad una celebrazione dell'eucaristia che sia veramente degna di questo sacro mistero, come l'ho recentemente ricordato nella mia lettera su questo tema. Il nostro atteggiamento in questa celebrazione deve veramente far entrare i fedeli in quell'azione santa che li mette in relazione con Cristo, il Santo di Dio. La Chiesa ci ha affidato questo mistero ed è essa che ci dice come celebrare. Voi insegnate anche ai cristiani a impregnare tutta la loro vita dello spirito di preghiera, voi li preparate ai sacramenti: penso specialmente al sacramento della penitenza o riconciliazione che è d'una importanza capitale per il cammino di conversione del popolo cristiano. Voi siete educatori della fede, formatori delle coscienze, guide delle anime, per permettere a ciascun cristiano di far sbocciare la sua vocazione personale secondo il Vangelo in una carità sincera e attiva, di leggere negli avvenimenti ciò che Dio attende da lui, di prendere tutto il suo posto nella comunità dei cristiani di cui voi siete le guide e i pastori e che deve essere missionaria (cfr. PO 6), di assumere anche le sue responsabilità temporali nella comunità degli uomini in un modo conforme alla fede cristiana. I catecumeni, i battezzati, i cresimati, gli sposi, i religiosi e le religiose, individualmente o in associazione, contano sul vostro aiuto specifico per diventare essi stessi ciò che devono essere. In breve, tutte le vostre forze sono consacrate alla crescita spirituale del corpo di Cristo. qualunque sia il ministero specifico o la presenza missionaria che vi sono affidati. Questa è la vostra parte che è fonte di gioia molto grande ed anche di sacrifici molto grandi.

Voi siete vicini a tutti gli uomini e a tutti i loro problemi "come sacerdoti", conservando la vostra identità sacerdotale che vi permette di assicurare il servizio di Cristo per il quale siete stati ordinati. La vostra personalità sacerdotale deve essere per gli altri un segno e un'indicazione; in questo senso la vostra vita sacerdotale non può accettare di essere laicizzata.


6. Ben situato in rapporto ai laici, il vostro sacerdozio si articola su quello del vostro Vescovo. Voi partecipate al vostro livello al ministero episcopale mediante il sacramento dell'ordine e la missione canonica. Questo è ciò che fonda la vostra obbedienza responsabile e volontaria verso il Vescovo, la vostra cooperazione attenta e fiduciosa in lui. Egli è il padre del presbiterio. Voi non potete costruire la Chiesa di Dio al di fuori di lui. E' lui che fa l'unità della responsabilità pastorale, come il Papa fa l'unità nella Chiesa universale.

Reciprocamente, è con voi, grazie a voi, che il Vescovo esercita la sua triplice funzione che il Concilio ha ampiamente sviluppato (cfr. LG 25-28).

Vi è qui una comunione feconda che non entra soltanto nell'ambito della coordinazione pratica, ma che fa parte del mistero della Chiesa e che prende un rilievo particolare nel consiglio presbiterale.


7. Questa unità con i vostri Vescovi, cari amici, è inseparabile da quella che voi dovete vivere fra sacerdoti. Tutti i discepoli di Cristo hanno ricevuto il comandamento del mutuo amore; per voi, il Concilio arriva a parlare di fraternità sacramentale: voi partecipate al medesimo sacerdozio di Cristo (cfr. PO 8). L'unità deve essere nella verità: voi stabilite le basi sicure dell'unità essendo i testimoni coraggiosi della verità insegnata dalla Chiesa perché i cristiani non siano trasportati da tutti i venti di dottrina, e compiendo tutti gli atti del vostro ministero in conformità con le norme che la Chiesa ha precisato, senza di cui vi sarebbero scandalo e divisione. L'unità deve essere nel lavoro apostolico dove voi siete chiamati ad accettare dei compiti diversi e complementari nella stima reciproca e nella collaborazione. L'unità è non meno necessaria sul piano dell'amore fraterno: nessuno deve giudicare suo fratello sospettando a priori che egli sia infedele, non sapendo far altro che criticarlo o calunniarlo, come Gesù rimproverava ai farisei. E' a partire dalla nostra carità sacerdotale che noi diamo testimonianza ed edifichiamo la Chiesa.

Tanto più che noi abbiamo il compito, come dice il Concilio, di condurre tutti i laici all'unità nell'amore e a far si che nessuno si senta straniero nella comunità dei cristiani (cfr. PO 9). In un mondo sovente diviso, dove le opzioni sono unilaterali e radicali e i metodi troppo esclusivi, i sacerdoti hanno la bella vocazione di essere gli artefici dell'avvicinamento e dell'unità.


8. Tutto questo, cari fratelli, è collegato con l'esperienza che noi abbiamo di Gesù Cristo, vale a dire alla santità. La nostra santità è un apporto essenziale per rendere fruttuoso il ministero che compiamo (cfr. PO 12). Noi siamo gli strumenti viventi di Cristo sacerdote eterno. A tale scopo siamo dotati di una grazia particolare, per tendere, a beneficio del Popolo di Dio, alla perfezione di colui che rappresentiamo. Sono anzitutto i differenti atti del nostro ministero che ci ordinano per se stessi a questa santità: trasmettere ciò che noi abbiamo contemplato, imitare quello che compiamo, offrirci totalmente nella messa, prestare la nostra voce alla Chiesa nella preghiera delle ore, unirci alla carità pastorale di Cristo... (cfr. PO 12 PO 14). Il nostro celibato esprime da parte sua che noi siamo interamente consacrati all'opera alla quale il Signore ci ha chiamato: il sacerdote, scelto da Cristo, diventa "l'uomo per gli altri", tutto disponibile per il regno, col cuore indiviso, capace di accogliere la paternità in Cristo. Il nostro attaccamento alla persona di Gesù Cristo deve dunque fortificarsi in ogni maniera, mediante la meditazione della Parola, con la preghiera, in relazione col nostro ministero e anzitutto col santo sacrificio che celebriamo ogni giorno (cfr. Ioannis Pauli PP. II "Epistula ad universos Ecclesiae Sacerdotes advenientes Feria V in Cena Domini anno MCMLXXIX, 10, die 8 apr. 1979: "", II [1979] 857-860); questo attaccamento deve usare i mezzi che la Chiesa ha sempre consigliato ai suoi sacerdoti. Bisogna incessantemente ritrovare con gioia l'intuizione della prima chiamata che ci è venuta da Dio: "Vieni, seguimi".


9. Cari amici, io vi invito alla speranza. Io so che voi portate "il peso del giorno e della calura", con molti meriti. Si potrebbe fare l'elenco delle difficoltà interiori ed esteriori, dei motivi d'inquietudine, soprattutto in questo tempo di mancanza di fede: nessuno meglio dell'apostolo Paolo ha parlato delle tribolazioni del ministero apostolico, (cfr. 2Co 4-5), ma anche delle sue speranze. E' dunque per primo una questione di fede. Non crediamo che Cristo ci ha santificato e inviato? Non crediamo che egli dimora in noi anche se noi portiamo questo tesoro in vasi fragili e abbiamo noi stessi bisogno della sua misericordia di cui siamo i ministri per gli altri? Non crediamo che egli agisce per mezzo nostro, almeno se noi facciamo la sua opera, e che egli farà crescere ciò che noi abbiamo faticosamente seminato secondo il suo Spirito? E non crediamo che egli accorderà anche il dono della vocazione sacerdotale a tutti coloro che dovranno lavorare con noi e darci il cambio, soprattutto se noi stessi sappiamo ravvivare il dono che abbiamo ricevuto con l'imposizione delle mani? Che Dio aumenti la nostra fede! Dispensiamo anche la nostra speranza all'assemblea della Chiesa: certi membri soffrono, altri sono in diverse difficoltà, altri vivono una vera primavera. Cristo deve sovente ripeterci: "Perché temete, uomini di poca fede?" (Mt 8,26). Cristo non abbandonerà coloro che si sono dati a lui, coloro che si danno a lui ogni giorno.


10. Questa cattedrale è dedicata a Notre-Dame. L'anno prossimo io andro a Lourdes, davanti alla grotta di Massabielle, e me ne rallegro. Il vostro paese ha molti santuari dove i fedeli amano pregare la Vergine benedetta, loro madre. Noi sacerdoti dobbiamo essere i primi a invocarla come nostra madre. Ella è la madre del sacerdozio che noi abbiamo ricevuto da Cristo. Io vi prego, affidate a lei il vostro ministero, affidate a lei la vostra vita. Che ella vi accompagni, come i primi discepoli, dopo il primo incontro gioioso di Cana, che vi fa pensare all'alba del vostro sacerdozio, fino al sacrificio della croce, che segna necessariamente le nostre vite, fino alla Pentecoste, nella attesa sempre più penetrante dello Spirito Santo di cui ella è la sposa dal momento dell'incarnazione. Noi termineremo il nostro incontro con un'ave Maria.

Con dispiacere, io devo lasciarvi, per oggi. Ma i sacerdoti sono sempre vicini al mio cuore e alla mia preghiera. Nel nome del Signore io sto per benedirvi: benedico ciascuno di voi, benedico i sacerdoti che voi rappresentate, benedico specialmente coloro che conoscono la prova, fisica e morale, la solitudine o la tentazione, affinché Dio doni a tutti la sua pace. Che Cristo sia la vostra gioia! Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo! Amen!

Data: 1980-05-30 Data estesa: Venerdi 30 Maggio 1980.



GPII 1980 Insegnamenti - L'arrivo a Parigi - Champs Elysées (Francia)