GPII 1980 Insegnamenti - Conclusione


L'omelia alla messa in suffragio del Cardinal Pignedoli - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Fruttuosa testimonianza di libertà interiore

Venerati confratelli del sacro collegio, e voi tutti, carissimi figli che mi ascoltate! Ho voluto questa raccolta concelebrazione all'interno della Basilica di san Pietro per ricordare e suffragare, a dieci giorni dall'immatura ed inaspettata scomparsa, l'anima dell'amabile nostro fratello, il Cardinale Sergio Pignedoli.

Egli si è ritirato da noi silenziosamente, quasi in punta di piedi, conformemente al suo stile delicato e discreto, lasciando in noi tutti un'onda di commosso e sincero rimpianto.

1. Perché il Signore ce l'ha sottratto così all'improvviso? E perché ne è rimasta questa impressione di doloroso stupore? Non tentero di rispondere alla prima di queste due domande perché essa porterebbe a tentar di leggere - e sarebbe un tentativo infruttuoso - negli arcani, ma sempre misericordiosi e provvidi disegni del Signore, nel quale fermamente crediamo come datore ed arbitro della vita umana per ciascuno dei giorni, molti o pochi, che ci è dato di vivere su questa terra.

"Sei tu, o Signore - ripetero con l'autore del libro della Sapienza - che hai potere sulla vita e sulla morte, conduci giù alle porte degli inferi e fai risalire" (Sg 16,13 cfr. 1S 2,6).


2. Alla seconda domanda, invece, che è di tipo storico o antropologico, è possibile ed anche facile trovar risposta, evocando sia pure rapidamente la persona e, direi, i lineamenti di colui che ci ha lasciato. Sta di fatto che, ogni volta che muore un uomo che ha ben operato nel corso della sua esistenza, è naturale e diffuso il sentimento di un vivo cordoglio.

Tutto ciò si è verificato immediatamente all'inizio della scorsa settimana, quando è giunta da Reggio Emilia la notizia che era morto il Cardinale Pignedoli. Tutto ciò continua, a modo di una precisa sensazione comune a tutti noi, anche stasera, perché dinanzi alla nostra mente o, meglio, dentro il nostro cuore, appare l'immagine dell'amato fratello. Potremmo davvero dimenticare la carica umana, cioè la ricca sensibilità, la straordinaria capacità di rapporti e la particolare attenzione ch'egli rivelo sempre nei confronti degli altri uomini, nella molteplicità dei contatti e degli incontri, da lui avuti, e nella stessa varietà degli incarichi, a lui affidati? Più che menzionare l'assunzione di crescenti responsabilità - dagli anni giovanili del suo sacerdozio, trascorsi con gli studenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, fino agli anni della maturità passati come segretario della sacra congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, ed al più recente periodo in cui fu presidente del segretariato per i non cristiani - è giusto ed opportuno dare rilievo a questa insigne sua qualità, che fu in lui naturale ed insieme acquisita, cioè non solo fu una dote della sua personalità, ma anche un frutto maturo delle sue virtù sacerdotali. Da essa scaturivano altre sue caratteristiche, che mi limito a nominare: anzitutto, la cura, anzi il culto dell'amicizia, il cui raggio in lui fu assai vasto: l'interesse costante per i giovani, che egli in gran numero conobbe e segui ed aiuto in vario modo. Assidue furono verso di loro le sue sollecitudini, come frequenti ed apprezzati i suoi consigli.


3. Ma è tempo ormai di portare il discorso dall'evocazione affettuosa del fratello scomparso all'atmosfera più elevata, nella quale ci vuole e ci porta la parola di Dio, testé proclamata. Ecco, fratelli e figli carissimi, è risuonato al nostro orecchio l'alto monito evangelico dell'"estote parati" (Lc 12,40): il Signore ci ha parlato di vigilanza, di prontezza e di preparazione - "con la cintura ai fianchi e con le lucerne accese" - in attesa della sua venuta.

E' questa, una lezione di permanente validità, perché si riconnette alla pochezza del nostro vivere su questa terra, ci ricorda la "relatività" del temporaneo soggiorno quaggiù ed insieme la sua determinante importanza in ordine all'altro e definitivo soggiorno nel cielo. E' per questo che la mesta circostanza che qui ci ha raccolto, come del resto ogni evento di morte, si rivela alla luce della fede una realtà salutare, quale occasione di meditazione e fonte di grazia.

Anche noi dobbiamo essere sempre preparati psicologicamente, spiritualmente, nel possesso di quella libertà interiore, che, tenendoci svincolati dai lacci del mondo e mantenendoci nella tensione del desiderio, facilita ed affretta nella speranza il nostro incontro con Cristo Signore lassù, nella patria.

A me sembra che il Cardinale Pignedoli, anche per il modo con cui si è da noi allontanato, ci offra un tale spettacolo di serenità e di distacco. Certo, io desidero, anzi debbo ringraziarlo per il multiforme e sempre diligente servizio ch'egli, per lunghi anni, ha prestato alla santa Sede ed alla Chiesa; ma una ragione particolare di riconoscenza voglio ora manifestare, anche a nome vostro, per la fruttuosa lezione che ci ha lasciato morendo.

Concludero allora col libro della Sapienza: "Il giusto, anche se muore prematuramente, troverà riposo". Davvero, per la sua vita di servo buono e fedele, per la sua morte di servo pronto e vigilante, egli ha già trovato riposo in Dio, cioè il conforto, il premio e la pace. così sia!

Data: 1980-06-26 Data estesa: Giovedi 26 Giugno 1980.


Per il settimo Congresso Internazionale di Musica Sacra

Titolo: Lettera al Cardinale Hoffner di Colonia

Al Venerabile Fratello Nostro Joseph di S.R.C. Cardinale Hoffner Arcivescovo di Colonia Mentre procede felicemente l'anno giubilare della veneranda Chiesa Cattedrale di Colonia, quella Arcidiocesi ospiterà i partecipanti al settimo Congresso Internazionale dl musica sacra; il quale avvenimento, senza dubbio, farà progredire e arricchirà il tesoro della musica della Chiesa. Infatti, l'opera svolta negli anni passati dai moderatori dell'Associazione Internazionale di Musica Sacra, sarà davvero vigorosamente confermata nel medesimo congresso.

Vogliamo perciò che questo nostro Nunzio sia una testimonianza della gratitudine per il lavoro già compiuto in questo campo e insieme uno stimolo a proseguirla in futuro.

Il Concilio Vaticano II nella sua Costituzione "Sacrosanctum Concilium" esalta con forza la funzione "ministeriale" attribuita alla musica sacra. Le parole, infatti, che nella celebrazione liturgica hanno tanta importanza, con il canto sono maggiormente sublimate e così ricevono un tono particolare di solennità, bellezza, dignità, che permettono alla folla presente di sentirsi in qualche maniera più vicina alla santità dello stesso mistero operante nella Liturgia.

Proprio per questo motivo il Concilio ritenne molto opportuno far sapere a tutti che un enorme e ricco tesoro di tradizione musicale si trova presso le diverse famiglie liturgiche, sia orientali che occidentali; tesoro che, acquisito nel corso dei secoli, è ancora adoperato come specchio dell'arte e della cultura dei vari popoli.

Allo stesso tempo, inoltre, il Concilio mostra a tutti quanto sia necessario spendere forze e fatica perché questa ricchezza della Chiesa sia conservata: al quale incarico sono destinati particolarmente coloro che curano queste cose e i cultori della musica sacra.

Ma una menzione speciale la rivendica il "canto gregoriano", che per la sua importanza ed efficacia è riconosciuto ormai, sia per l'uso quotidiano da parte della Chiesa, sia per il suo magistero, come il canto della Liturgia Romana, legato con vincoli propri e stretti con la lingua latina. Anche il canto polifonico tuttavia viene riconosciuto come notevole mezzo dell'espressione liturgica.

Lo stesso fervore di attività, il quale fa si che vengano indetti e realizzati congressi di musica sacra, può giovare moltissimo a scoprire i beni interiori della suddetta tradizione musicale e a definire le sue singole funzioni, perché sia degnamente e rispettosamente mantenuta nella liturgia della Chiesa.

Ma il Concilio non soltanto raccomanda i valori della tradizione secolare musicale ancora in vigore. Consapevole infatti della necessità, che ha sempre riguardato la Chiesa, di trovare una giusta, per così dire, incarnazione nella cultura e nell'arte dei popoli che vengono alla fede di Cristo, esorta a che specialmente per essi "sia conservato e sostenuto con somma cura il tesoro della musica-sacra".

In ciò i partecipanti al congresso hanno un campo estesissimo di ricerche e di studi. In realtà importa moltissimo al presente che il patrimonio musicale della Chiesa sia spiegato e moltiplicato, non solo tra le nuove giovani Chiese, ma anche tra quelle che per diversi secoli avevano conosciuto il canto gregoriano e quello polifonico prodotto in lingua latina, ma che ora, dopo l'introduzione nella pratica delle lingue vernacole, sembrano richiedere altre forme idonee di musica nella stessa liturgia.

Ma ogni volta che vengono esaminate queste nuove forme, si tenga conto, con giusta valutazione, degli elementi propri degli usi tramandati e dell'indole stessa dei diversi popoli. Perciò il consiglio ha detto: "quando in certe regioni, specialmente di missioni, si trovassero popolazioni che hanno una tradizione musicale propria, che sia di grande importanza nella loro vita religiosa e sociale, si dia a questa musica la debita valutazione e il posto conveniente, sia nel formare il loro senso religioso che nell'adattare il culto alla loro indole".

Ogni cultura degli uomini infatti ha potuto trovare nobilissime espressioni dell'anima mediante le melodie della musica; bisogna, perciò, cercare di prestabilire, sia nel campo delle discipline, sia nel campo dell'azione pastorale, principi fermi, che rispondano inoltre ai valori veri presso le molteplici tradizioni musicali.

Ma uno studio di questo genere, perché sia fatto con metodo scientifico, è bene che abbracci un'indagine comparativa sia delle forme recenti di espressione, sia di quelle antiche; poiché la nuova musica sacra, quella, cioè, che deve servire alla celebrazione liturgica delle varie Chiese, può e deve attingere dalle forme precedenti e soprattutto dal canto gregoriano una più profonda ispirazione e specificità delle cose sacre e il senso genuino della religione. Molto a ragione si è detto che il canto gregoriano sta di fronte agli altri canti come una statua di fronte a una pittura.

Mentre, perciò, desideriamo che gli studi del settimo Congresso Internazionale di Musica Sacra - il cui lavoro è rivolto tutto all'Africa Centrale e Orientale - diventino per le diverse comunità ecclesiali, non solo di antica tradizione cristiana, ma anche in quello nelle quali è stato da poco predicato il Vangelo, fonti di incitamento e stimolo per una feconda e qualificata attività musicale, molto volentieri impartiamo a te, venerabile fratello nostro, e ai responsabili e partecipanti al congresso, una speciale Benedizione Apostolica, in segno del nostro immutabile affetto e pegno di doni celesti.

Dai Palazzi Vaticani, il 25 maggio, solennità di Pentecoste, anno 1980, secondo del nostro pontificato.

[Traduzione dal latino]

Data: 1980-06-27 Data estesa: Venerdi 27 Giugno 1980.


Ai collaboratori nel governo centrale - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: La Chiesa oggi vuol essere "Chiesa nel mondo contemporaneo"

Signori Cardinali.

E voi tutti qui presenti, miei collaboratori negli organismi della curia romana! Vi saluto tutti molto cordialmente, in questa vigilia della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, e vi esprimo la mia gioia nel trovarmi con voi.

Ringrazio il signor Cardinale Carlo Confalonieri, decano del sacro collegio, che ha interpretato, con la sua sempre grande finezza d'animo, i sentimenti di tutti voi, presentandomi i vostri auguri in questa vigilia della festa del pescatore di Betsaida, di cui sono l'ultimo e umile successore.

"Curia Sancti Petri"

1. Ho desiderato tanto che, proprio oggi, ci trovassimo insieme, perché è la nostra festa. E' la festa della Curia "Sancti Petri in Ecclesia Romana". Qui, poco lontano dal luogo, ove Pietro diede l'estrema prova del suo amore a Cristo, seguendolo sulla croce - "tu me sequere" (Jn 21,22) - siamo riuniti, noi tutti che formiamo la curia, in ogni suo ordine e grado.

Ho tenuto tanto a celebrare insieme con voi questa festa, perché dobbiamo sentirci, tutti insieme, parte viva di questa santa Chiesa di Dio che è in Roma, e provare il nobile vanto di farne parte, a motivo della nostra qualifica: il Papa, che vi parla, come successore di Pietro, i Cardinali che formano a titolo speciale il presbiterio della Chiesa romana, come collaboratori diretti del Papa, e tutti gli altri, prelati superiori, officiali, religiosi e religiose, laici, uniti in un solo vincolo di operosità e di affetto, per un servizio di particolare onore e di speciale responsabilità.

E' anche mio desiderio, in questo periodo che precede le vacanze, ringraziarvi per l'opera attenta, valida, generosa, che prestate al mio ministero di Papa della Chiesa universale e di Vescovo di Roma. Sono ben consapevole che il mio lavoro apostolico, se ha un raggio di portata tanto vasta per rispondere alle esigenze crescenti poste dall'attuazione del Concilio Vaticano II, può raggiungere questi scopi, con l'aiuto di Dio, proprio perché è inserito in una più ampia e capillare collaborazione di altri posti, di altre persone, di altre cellule vitali. Molte, moltissime di queste rimangono sconosciute, nascoste nell'ombra. Ma per portare avanti una missione così sovrumana ci vogliono tanti lavori nascosti, discreti, silenziosi. Di questo contributo, che ritengo insostituibile, io vi ringrazio.

Attività della Chiesa "ad intra"

2. Intendo con voi gettare uno sguardo sui fatti ed elementi, molto importanti, che in quest'anno hanno contrassegnato l'azione della Chiesa "ad intra", nella propria vita, autonoma e sovrana, che si dispiega nel tempo per la prosecuzione dell'annunzio evangelico. Vogliamo insieme cercare l'identificazione della via che la Chiesa deve seguire, senza timori e con grande fiducia, nell'unica consapevolezza che essa ha di esser diretta dallo Spirito Santo, il quale, secondo la solenne promessa del Signore, agisce nella Chiesa. Ormai in prospettiva della conclusione del secondo millennio, vediamo sempre meglio come il Concilio Vaticano II sia stato un "momento" particolare e privilegiato dell'azione della Chiesa nella nostra epoca, e che il nostro dovere è quello di darvi piena realizzazione.

In questa luce, occorre vedere quanto, umilmente ma fermamente, la santa Sede ha cercato di compiere, con la vostra collaborazione, su questa linea maestra dell'attuazione del Concilio in tutti i campi della vita ecclesiale.


3. La solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo favorisce queste riflessioni, carissimi fratelli e amici. Essi stanno alle fondamenta della Chiesa di Roma.

Dopo la sua risurrezione, Cristo disse tre volte a Pietro: "Pasci"; ma prima gli domando: "Simone di Giovanni, mi ami?" (Jn 21,16). In questo modo riconfermava la missione che gli aveva affidato già prima nella comunità fraterna dei "dodici": missione che vari momenti importanti e significativi contribuiscono a preparare. Il Vangelo ce li elenca in un "crescendo" continuo, fino ai culmini delle parole pronunciate da Cristo a Cesarea di Filippo, che riudremo nella messa di domani (cfr. Mt 16,13-19), nell'ultima cena (Lc 22,31ss), e al lago di Tiberiade, che ho appena ricordate. Tuttavia, forse il momento più rilevante, considerate le circostanze, è questo: "Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68). Nelle "parole di vita eterna" la Chiesa trova la sua ultima ragion d'essere. Esse costituiscono la base dell'autentica vita della Chiesa anche nelle dimensioni delle singole tappe della storia.

La Chiesa contemporanea ha una particolare sensibilità "storica": vuol essere, in tutta l'estensione del termine, "Chiesa nel mondo contemporaneo". E' appunto per questo che la Chiesa deve profondamente "sentire" la forza del Vangelo, contenuta nella piena dimensione del mistero di Cristo: "mistero nascosto da secoli nella mente di Dio" (Ep 3,9), rilevato nel tempo, e, in certo senso sempre maggiormente a misura delle necessità della storia, cioè "dei segni dei tempi". In ciò consiste la giusta proporzione tra la "verticalità" e l'"orizzontalità": non vi è "orizzontalità" autenticamente evangelica senza la "verticalità", e viceversa.

In questo senso il Vaticano II è il "dono" che lo Spirito Santo ha fatto alla Chiesa nella grande svolta dei millennio: come ho amato rilevare nella enciclica "Redemptor Hominis", ciò "che lo Spirito disse alla Chiesa mediante il Concilio del nostro tempo... non può - nonostante inquietudini momentanee - servire a nient'altro che ad una più matura compattezza di tutto il Popolo di Dio, consapevole della sua missione salvifica... Illuminata e sorretta dallo Spirito Santo, la Chiesa ha una coscienza sempre più approfondita sia riguardo al suo mistero divino, sia riguardo alla sua missione umana"(Ioannis Pauli PP. II RH 3).

La collegialità episcopale e la missione "primaziale" di Pietro

4. Il Concilio ha dimostrato che la missione di Pietro è "primaziale" in una forte "cornice" di collegialità. A questa verità del "principio esistenziale" della Chiesa dobbiamo risalire sempre e in vari modi (cfr. LG 20-23), ed essa è quotidianamente vissuta dalla Chiesa stessa, in forma sempre più adeguata alle esigenze del tempo presente, secondo le indicazioni del Concilio.

Anzitutto, il Sinodo dei Vescovi apre grandi possibilità a questa collaborazione collegiale del corpo episcopale di tutto il mondo, intorno al successore di Pietro.

Ma non bisogna dimenticare che vi sono nella Chiesa anche altre forme collegiali più antiche del Sinodo, ad esempio l'antichissima forma istituzionalizzata del sacro collegio cardinalizio; questo, nella sua fisionomia composta dai Vescovi di tutta la Chiesa, incardinati a Roma con le loro sedi suburbicarie, titoli e diaconie, circonda e sostiene con la sua saggezza, la sua esperienza e il suo consiglio, l'opera del Papa "nella sollecitudine pastorale per la Chiesa nelle sue dimensioni universali", come ho detto all'inaugurazione della riunione plenaria avvenuta dal 6 al 9 novembre dello scorso anno ("Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II,2[1979] 1048).

Se ho voluto indire quell'incontro, che è stato definito storico perché - a parte le riunioni durante i due conclavi del 1978 - da secoli non si era più offerta la possibilità di convocarlo (tanto meno nella vasta misura oggi offerta dalla composizione e dal numero del sacro collegio), ciò è stato appunto e principalmente in vista di un peculiare esercizio della collegialità episcopale.

E poiché ho ricordato quel primo solenne consesso del sacro collegio, mi piace qui ricordare, alla luce dello stesso principio della collegialità episcopale "cum Petro et sub Petro", il primo concistoro del mio pontificato, celebrato lo scorso anno, il 30 giugno, quando quattordici nuovi Cardinali, chiamati da varie diocesi del mondo e dal servizio della curia romana sono stati aggregati al vostro antico collegio: nuova linfa vitale inserita nel ceppo vetusto della Chiesa romana! Vi sono poi le conferenze nazionali dei Vescovi, che in vari modi tendono ad esprimere quello "iunctim" che è il punto di contatto tra il carattere "collegiale" dei Vescovi e quello "primaziale" di Pietro nell'esercizio del rispettivo ministero pastorale nella Chiesa.


5. A questo punto mi piace ricordare con speciale gratitudine, in questa cornice di collegialità vissuta nella preghiera intensa e nella lucida disamina dei problemi del momento, la celebrazione, qui in Vaticano, di due sessioni straordinarie di Sinodi particolari: il Sinodo particolare dei Vescovi ucraini, per la nomina del coadiutore, con diritto di successione, del venerato e caro Arcivescovo maggiore e Metropolita di Lviv, il Cardinale Giuseppe Slipyj, Sinodo convocato per il 24 marzo 1980; era stato preceduto dal Sinodo particolare dei Vescovi olandesi, celebrato dal 14 al 31gennaio, suscitando un vivo e universale interesse nella Chiesa. Per più di due settimane abbiamo lavorato insieme, lasciandoci guidare dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che riunisce il Popolo di Dio (cfr. LG 4). La decisione di riunire il Sinodo era maturata nei numerosi incontri avuti con i Vescovi di quella nazione: e il senso profondo della decisione si coglie già nel titolo dell'ordine del giorno: "l'esercizio del lavoro pastorale della Chiesa nei Paesi Bassi nelle presenti circostanze, affinché la Chiesa si manifesti sempre più come comunione". Tale profondo significato è stato pure compreso dai fedeli, come lo dimostrano le osservazioni da essi avanzate, ma soprattutto la preghiera fervorosa con cui hanno accompagnato i lavori dei loro Vescovi insieme col Papa. Ho potuto essere presente, in tutti quei giorni, e partecipare alla maggior parte delle sedute di lavoro. Insieme abbiamo pregato, insieme celebrato l'eucaristia, insieme invocato la Vergine Maria. Voglio qui rendere omaggio alla disponibilità, alla devozione e all'obiettività dei pastori olandesi, che si sono lasciati guidare unicamente dalla realtà e dalle esigenze fondamentali della comunione ecclesiale: comunione locale e universale insieme.

Questa forma di dialogo all'interno della Chiesa stessa serve a rafforzare i vincoli di una comunione, il cui principio organico e costruttore è sempre la carità.

Le conclusioni finali di quel Sinodo rivestono un'importanza fondamentale, e ricca di speranze, anzitutto per la Chiesa nei Paesi Bassi, ma anche per l'intera Chiesa, poiché i problemi ivi esaminati alla luce del Vaticano II riguardano anche altre Chiese locali. Ma in primo luogo è la testimonianza di comunione e di collegialità, data durante tutte le fasi del Sinodo, che ne fanno un evento storico per tutta la Chiesa.


6. Ma come dimenticare, quali momenti privilegiati e unici della collegialità episcopale - nella cornice "primaziale" - vissuta a fianco degli stessi Vescovi nei loro propri paesi, quindi a contatto diretto con i loro problemi e le loro ansie pastorali, i memorabili incontri che ho avuto con i pastori, durante le visite finora compiute nei diversi paesi, partecipando in quelle occasioni alle sessioni delle varie conferenze episcopali nazionali? Porto profondamente impressa nel cuore, con un ricordo che non si cancellerà mai, l'esperienza fatta a Puebla, in Messico, insieme con tutti i Vescovi del continente latino-americano; quella con i confratelli dell'episcopato della Polonia, d'Irlanda, degli Stati Uniti d'America, dello Zaire, del Congo, della Repubblica Centroafricana e del Ciad, del Kenya, del Ghana, dell'Alto Volta, della Costa d'Avorio, della Francia, oltre agli incontri con la Conferenza Episcopale Italiana, qui a Roma.


7. Mi è poi caro ricordare qui le preziosissime e densissime esperienze costituite dalle visite "ad limina" dei vari episcopati del mondo che vengono, come Paolo di Tarso, "videre Petrum" (Ga 1,8) e a dargli un quadro vivo delle loro singole Chiese, delle quali si sente come la vita pulsante nelle sue ricchezze di energia umana e di grazia divina, nelle sue speranze, nelle sue tribolazioni: finora ho avuto la consolazione di incontrare, anche a più riprese, i Vescovi della Colombia, dell'Argentina, del Cile, del Perù, di Papua-Nuova Guinea e isole Salomone, del Messico, del Venezuela, dell'Ecuador, del Nicaragua, del Giappone, della Malesia, Singapore e Brunei, di Indonesia e del Vietnam.

E' stato un reciproco donare e donarsi, i Vescovi al Papa, il Papa ai Vescovi: queste visite offrono effettivamente la possibilità di un colloquio personale con ogni singolo pastore delle varie Chiese particolari, e di incontri collegiali, direi riassuntivi e più sintetici, con i vari gruppi dell'episcopato del paese o della regione, presi insieme.


8. Trovo anche assai importante rilevare l'intenso e continuo scambio della corrispondenza epistolare tra la santa Sede e le singole diocesi del mondo, in tutte le loro componenti che presentano alla mente il volto umano del Popolo di Dio, le sue esigenze, i suoi problemi, le sue sofferenze, le sue gioie. E' tanto prezioso ciò che questa sede apostolica "riceve" e "sente" per potere a sua volta, in modo adeguato "dare" e "rispondere". Sono lieto, in questa occasione che ci vede riuniti come i membri di una sola famiglia, dare atto al lodevole e costante sforzo comune che tutti i dicasteri compiono - e di cui ho ogni giorno le conferme consolanti - nel porre in atto la collegialità "sui generis" esistente all'interno della curia romana. Tale collegialità si esplica nel quotidiano dovere, che ha la caratteristica unica e specifica di una collaborazione prestata a servizio esclusivo del vicario di Cristo e successore di Pietro per la respirazione di tutta la Chiesa: e questa cooperazione è unita ad una stretta e responsabile "corresponsabilità" di tutte le sue componenti, cominciando dal Cardinale prefetto e finendo agli uscieri. La costituzione apostolica "Regimini Ecclesiae Universae" ha messo in evidenza la necessità e i vantaggi di una sempre più stretta collaborazione, specialmente in materie di mista competenza (cfr. Pauli VI "Regimini Ecclesiae Universae", 13-17), e ciò sta dando i suoi frutti: non posso pertanto omettere una parola di elogio. e di incoraggiamento sia per gli incontri di consultazione e di studio che avvengono nell'ambito dei singoli dicasteri o di vari dicasteri insieme (tra prefetti, segretari, sotto-segretari con i loro collaboratori), sia in modo particolare per le riunioni di tutti i capi dei dicasteri della curia romana, inculcati dalla stessa "Regimini", (cfr. Pauli VI "Regimini Ecclesiae Universae", 18). e alle quali mi sono sentito in dovere di partecipare sempre, fin dall'inizio del pontificato.

Ringrazio, data l'occasione, gli eminentissimi Cardinali König, Philippe e Bafile, che in questi giorni hanno lasciato il loro alto incarico, e sono loro molto obbligato per l'aiuto tanto prezioso, che hanno dato a me e alla curia romana; e saluto, con i migliori auguri, coloro che subentrano al loro posto.

Nella citata riunione plenaria del sacro collegio, ho rilevato che "la prospettiva dell'ulteriore attuazione del Concilio Vaticano II dipende in buona parte dall'efficace funzionamento delle strutture della curia romana - e dalla loro programmata cooperazione con le analoghe strutture nell'ambito delle Chiese locali e delle conferenze episcopali" ("", II,2[1979] 1056). Perciò occorre domandarci continuamente: Quale deve essere la curia? Come deve operare per rispondere sempre meglio alla sua vocazione, ai compiti specifici che ha verso la Chiesa universale, in base al carattere "primaziale" e "collegiale" insieme, che è specifico del ministero del Vescovo e della struttura gerarchica della Chiesa, come pure della sua missione apostolica e pastorale? Nella misura in cui risponderemo a questi interrogativi, che interpellano la nostra coscienza, potremo dire di aver risposto alla fiducia, che il Signore ha messa in noi chiamandoci a far parte di un organismo tanto complesso e delicato.

I viaggi apostolici del Papa


9. Il "magisterium" del Vaticano II contiene una stupenda e ricca visione della Chiesa, che richiede una perseverante "realizzazione". Molte cose sono ancora da fare, forse ancor più di quello che è stato già compiuto finora. Al centro dell'autorealizzazione della Chiesa sta la coscienza della missione. Partecipiamo alla "missione trinitaria" (cfr. LG 2-4; AGD 2-9); è una partecipazione che deve esprimersi nella missionarietà della Chiesa stessa ("Ecclesia in statu missionis"). La missione è la rivelazione "della potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del giudeo prima e poi del greco" (Rm 1,16), nel significato e nella portata attuale dei destinatari, a cui si rivolge.

Il Vaticano II ci ha insegnato come "manifestare" questa potenza di Dio, con piena comprensione e rispetto sia di ogni uomo, sia delle singole nazioni e popoli, culture, lingue, tradizioni ed anche delle differenze religiose e perfino della fede e della non credenza (tanto nella affermazione quanto nella negazione di Dio).


10. In tale contesto prendono il loro pieno significato tutti e singoli i viaggi-pellegrinaggi del Papa, per quanto riguarda sia la specificità di ciascuno di essi, sia la loro globalità. Questi viaggi sono visite compiute alle singole Chiese locali, e servono a dimostrare il posto che queste hanno nella dimensione universale della Chiesa, a sottolineare la peculiare attitudine che hanno nel costituire l'universalità della Chiesa. Come ho affermato altra volta, ogni viaggio del Papa è "un autentico pellegrinaggio al santuario vivente del Popolo di Dio" ("", II,2[1979] 765). In questa ottica, il Papa viaggia, sostenuto, come Pietro, dalla preghiera di tutta la Chiesa (cfr. Ac 12,5), per annunciare il Vangelo, per "confermare i fratelli" nella fede, per consolare la Chiesa, per incontrare l'uomo. Sono viaggi di fede, di preghiera, che hanno sempre, al cuore la meditazione e la proclamazione della parola di Dio, la celebrazione eucaristica, l'invocazione a Maria. Sono altrettante occasioni di catechesi itinerante, di annuncio evangelico nel prolungamento, a tutte le latitudini, del Vangelo e del magistero apostolico dilatato alle odierne sfere planetarie. Sono viaggi di amore, di pace, di fratellanza universale (cfr. "", II,2[1979] 710ss). Messico, Polonia, Irlanda, Stati Uniti, Turchia, Africa, Francia, prossimamente Brasile: in questi incontri di anime, pur nell'immensità delle folle, si riconosce il carisma dell'odierno ministero di Pietro sulle vie del mondo.

Tale, e soltanto tale, è il fine del Papa-pellegrino, sebbene taluni possono attribuirgli altre motivazioni. Lo scopo dei pastori è di "radunare il Popolo di Dio" in diversa portata e dimensione. In tale "raduno" la Chiesa riconosce se stessa, e, al tempo stesso, realizza se stessa. Tra vari metodi di attuazione del Vaticano II, questo sembra essere fondamentale e particolarmente importante. E' il metodo apostolico: è quello di Pietro, e, ancor più quello di Paolo. Come non sentirsi commossi nel leggere le peregrinazioni dell'apostolo delle genti, quali ce le propongono con tanta vivezza gli Atti? Come non sentirsi scossi da quell'ardimento, da quella sfida di tutti gli ostacoli, di tutte le difficoltà? I mezzi tecnici, offerti dalla nostra epoca, facilitano oggi questo metodo e in certo senso "costringono" a seguirlo. Già Giovanni XXIII lo presentiva, ma fu Paolo VI a darvi piena realizzazione, e su vasta scala, Giovanni Paolo I l'avrebbe certamente continuato.


11. In quelle assemblee veramente plenarie delle comunità ecclesiali nei vari paesi, si attua il fondamentale capitolo II della "Lumen Gentium", che tratta di molte "sfere" di appartenenza alla Chiesa quale Popolo di Dio, e del legame che esiste con essa, anche da parte di coloro che non vi appartengono ancora.

In tale visione multipla della realtà della Chiesa nel mondo, le visite hanno condotto alle volte ad una società in maggioranza "cattolica" (come il Messico, l'Irlanda, la Polonia, la Francia e fra poco il Brasile), ma altrettanto spesso anche a Paesi dove i "cattolici" convivono con i fratelli di altre Chiese e confessioni cristiane (come negli Stati Uniti d'America), formando sovente la minoranza; e inoltre a paesi, dove i cattolici convivono con i seguaci di altre religioni, e sono uno dei vari gruppi operanti nelle singole nazioni (come nei paesi africani, finora visitati), o perfino quale modesta minoranza (come in Turchia). Infine, i viaggi si articolano altresi in varie situazioni che si profilano tra credenti e non credenti.


12. Si può dire che, dopo il Concilio Vaticano II (in base al citato capitolo II della "Lumen Gentium", e ad altri documenti particolari), il Papa-pellegrino si sente dappertutto come "a casa sua", perfino "tra gli estranei". E ne ha le prove anche nel rapporto che essi intrattengono nei suoi confronti.

Non posso dimenticare gli incontri col Gran Rabbino e i suoi collaboratori a Istanbul; con la comunità ebraica a Battery Park, a Nuova York; con i capi musulmani a Nairobi, ad Accra, a Ouagadougou; con i capi indù ancora a Nairobi; con i rappresentanti della comunità musulmana, e di quella ebraica a Parigi. E' la prosecuzione di un colloquio, che la sede apostolica continua a intrattenere con i rappresentanti delle religioni non cristiane (ricordo le udienze a vari gruppi di buddisti e di shintoisti in Vaticano), grazie anche all'opera intelligente e discreta dell'omonimo segretariato, di cui ancora una volta ricordo il compianto presidente, Cardinale Pignedoli!

13. Ovunque, senza riguardo alla tradizione o all'appartenenza religiosa, il Papa porta con sé la profonda coscienza che Dio vuole che "tutti siano salvati e giungano alla conoscenza della verità" (1Tm 2,4); la coscienza dell'opera redentrice di Cristo, che si è attuata nel suo sangue versato per tutti gli uomini, senza distinzione in credenti o non-credenti. Il Papa porta dappertutto con sé anche la coscienza della fraternità universale di tutti gli uomini, nel cui nome essi debbono sentirsi uniti intorno ai grandi e difficili problemi dell'intera famiglia umana: pace, libertà, giustizia, fame, cultura e altri problemi, che, con l'aiuto di Dio, ho ampiamente trattato nella sede dell'Onu, a New York, per l'assemblea generale delle Nazioni Unite, il 2 ottobre dello scorso anno; all'organizzazione degli Stati americani, il 6 ottobre; in quella della Fao, a Roma, il 12 novembre, e infine nella sede di Parigi dell'Unesco, il 2 giugno scorso. Il Vangelo è la fondamentale "magna charta" di tale coscienza.


GPII 1980 Insegnamenti - Conclusione