GPII Discorsi 2000 302

302 3. Tra le opere sgorgate dal cuore di Madre Teresa, una delle più significative è il movimento per le adozioni. Per questo oggi sono qui tante famiglie adottive.

Vi saluto con affetto, cari genitori e ragazzi! Sono lieto di questo incontro, che mi consente di riflettere con voi sul cammino che state percorrendo. Adottare un bambino è una grande opera di amore. Quando la si compie, si dà molto, ma anche si riceve molto. È un vero scambio di doni.

Il nostro tempo conosce purtroppo, anche in questo ambito, non poche contraddizioni. A fronte di numerosi bambini che, per la morte o l’inabilità dei genitori, restano senza famiglia, ci sono tante coppie che decidono di restare senza figli per motivi non di rado egoistici. Altre si lasciano scoraggiare da difficoltà economiche, sociali o burocratiche. Altre ancora, nel desiderio di avere un bambino "proprio" a qualunque costo, vanno ben oltre il legittimo aiuto che la scienza medica può assicurare alla procreazione, spingendosi a pratiche moralmente riprensibili. Nei confronti di tali tendenze occorre ribadire che le indicazioni della legge morale non si risolvono in astratti principi, ma tutelano il vero bene dell’uomo, e in questo caso il bene del bambino, rispetto all’interesse degli stessi genitori.

In alternativa a queste discutibili vie, l’esistenza stessa di tanti bambini senza famiglia suggerisce l’adozione come una via concreta dell’amore.Famiglie come le vostre sono qui a dire che questa è una strada possibile e bella, pur con le sue difficoltà; una strada, peraltro, praticabile ancor più di ieri, nell’era della globalizzazione, che accorcia tutte le distanze.

4. Adottare dei bambini, sentendoli e trattandoli come veri figli, significa riconoscere che il rapporto tra genitori e figli non si misura solo sui parametri genetici. L’amore che genera è innanzitutto dono di sé. C’è una "generazione" che avviene attraverso l’accoglienza, la premura, la dedizione. Il rapporto che ne scaturisce è così intimo e duraturo, da non essere per nulla inferiore a quello fondato sull’appartenenza biologica. Quando esso, come nell’adozione, è anche giuridicamente tutelato, in una famiglia stabilmente legata dal vincolo matrimoniale, esso assicura al bambino quel clima sereno e quell’affetto, insieme paterno e materno, di cui egli ha bisogno per il suo pieno sviluppo umano.

Proprio questo emerge dalla vostra esperienza. La vostra scelta e il vostro impegno sono un invito al coraggio e alla generosità per tutta la società, perché questo dono sia sempre più stimato, favorito e anche legalmente sostenuto.

5. Vi ringrazio per la vostra testimonianza! Celebrando i duemila anni dalla nascita di Cristo, in questo Grande Giubileo, ricordiamo anche che ogni uomo che viene al mondo, in qualunque condizione, porta il segno dell’amore di Dio. Per ciascun bimbo del mondo Cristo è nato e ha dato la vita. Non c’è pertanto nessun bimbo che non gli appartenga.

"Lasciate che i bambini vengano a me" (
Mc 10,14). A queste parole di Cristo Madre Teresa fece, in certo senso, eco, quando alle madri tentate di abortire disse: "Portate a me i vostri bambini". Sulle sue orme, voi vi siete messi con Cristo dalla parte dei bambini. Voglia il Signore colmarvi di ogni consolazione e vi sostenga nelle difficoltà del cammino.

Nel suo nome tutti vi abbraccio e benedico.


MESSAGGIO ALLA COMUNITA’ BENEDETTINA NELLA RICORRENZA DEL BICENTENARIO DELL’ELEZIONE DI PAPA PIO VII

Ai Reverendissimi Padri DOM ISIDORO CATANESI, Presidente della Congregazione Benedettina Cassinese, e DOM INNOCENZO NEGRATO

Visitatore della Provincia Italiana
della Congregazione Benedettina Sublacense

14 Agosto 2000

1408 1. Ho appreso con vivo compiacimento che la Congregazione Benedettina Cassinese ed il Centro Storico Benedettino Italiano intendono commemorare, con opportune iniziative, il bicentenario dell'elezione alla cattedra di Pietro del venerato mio predecessore, il Papa Pio VII. Per tale felice circostanza, mi è gradito inviare all'intera Comunità benedettina, come pure agli organizzatori del Congresso Storico Internazionale ed a quanti prenderanno parte alle celebrazioni giubilari, il mio cordiale e beneaugurante saluto, lieto che siano opportunamente ricordate la figura e l'opera di così illustre Pontefice e fedele figlio di San Benedetto.

Luigi Barnaba Chiaramonti, ultimo di sei figli del conte Scipione e della marchesa Giovanna Coronata Ghini, vide la luce a Cesena il 14 agosto 1742, vigilia della festa dell'Assunta, titolare del monastero in cui avrebbe ricevuto la sua formazione: in quella stessa solennità mariana, tanto cara al popolo cesenate, fu battezzato nella Cattedrale di San Giovanni Battista. La data stessa della sua nascita sembra, pertanto, legarlo all'abbazia benedettina di Santa Maria del Monte, presso Cesena, che ho avuto la gioia di visitare nel 1986.

All'età di undici anni entrò come alunno monastico in quest'abbazia, dove avrebbe avuto come maestro dei novizi dom Gregorio Calderara, il quale, prima di morire, poté vedere Sommo Pontefice il suo antico novizio. Dopo la solenne professione dei voti monastici nel 1758, Gregorio Chiaramonti fu mandato a Padova, nell'abbazia di Santa Giustina, culla dell'antica Congregazione benedettina, a completare gli studi filosofici e teologici, nei quali si distinse per acutezza di ingegno. Venne in seguito a Roma per perfezionarsi nel Pontificio Collegio di Sant'Anselmo, annesso alla residenza urbana dell'abbazia di San Paolo fuori le mura, cioè a San Calisto in Trastevere, riservato agli studenti più capaci della Congregazione Benedettina Cassinese.

La disciplina monastica e le ricchezze spirituali e culturali acquisite con tenace sforzo durante gli anni della formazione furono la migliore preparazione per l'alto ministero universale, che avrebbe svolto in un tempo particolarmente travagliato per la Chiesa e per l'Europa.

2. Ordinato sacerdote nel 1765, dom Gregorio venne inviato a Parma come insegnante di filosofia nel monastero di San Giovanni Evangelista, dove, al compiersi del suo trentesimo anno, nel 1772, fu insignito del grado accademico di "lettore", col quale la sua Congregazione lo abilitava all'insegnamento della teologia e del diritto canonico. Va ricordato a questo riguardo come i nove anni trascorsi a Parma furono determinanti per la formazione culturale del futuro Papa, che in quell'ambiente ebbe il suo primo significativo contatto con la cultura francese e con le sue istanze di rinnovamento, sfociate poi drammaticamente nella Rivoluzione.

Il giovane monaco Chiaramonti avvertiva il bisogno per la sua Congregazione di un profondo rinnovamento, soprattutto nel campo formativo. Egli auspicava, da una parte, il ritorno all'ispirazione originaria della vita monastica e dall'altra una modernizzazione dei programmi d'insegnamento, così da condurre i giovani monaci ad un più diretto contatto con le problematiche concrete ed attuali sia in campo religioso che sociale.

Divenne poi docente e bibliotecario del collegio Sant'Anselmo di Roma e priore dell'Abbazia di San Paolo fuori le mura. Pio VI, che lo aveva personalmente conosciuto mentre da Cardinale esercitava l'ufficio di Abate commendatario di Subiaco, derogando d'autorità a quanto prescrivevano in materia le Costituzioni dell'antica Congregazione Cassinese, lo promosse Abate titolare.

3. Nel dicembre del 1782 venne nominato Vescovo di Tivoli e nel 1785 fu trasferito alla sede vescovile di Imola e contemporaneamente promosso Cardinale. Il 14 marzo 1800, al termine del Conclave svoltosi a Venezia, il Signore lo chiamò a guidare la Chiesa di Roma e l'intero popolo cristiano quale Successore dell'apostolo Pietro. L'elezione avvenne in un momento di gravi preoccupazioni e di ansie per l'avvenire della Comunità cristiana. Come è noto, nel 1800 non poté avere luogo nemmeno la celebrazione dell'Anno Santo. Superata poi la difficile situazione caratterizzata da forme di oppressione nei confronti dei credenti, si cominciò ad intravedere una stagione di relativa tolleranza verso la fede cristiana, tuttavia relegata sempre ai margini della società europea.

In questo clima si svolse il suo pontificato, durante il quale egli ebbe modo di far fruttificare su vasto raggio e in maniera incisiva i preziosi talenti di natura e di grazia, di cui Iddio lo aveva dotato: uno spirito di semplicità e di mitezza, uno spiccato senso della giustizia, un'indubbia capacità di contemperare prudenza e fermezza, una singolare passione per la salvezza delle anime. Il pontificato di Pio VII ha impresso un'orma significativa nella storia della Chiesa, grazie anche all'efficace strumento giuridico del Concordato, risultato in seguito molto utile per regolare i rapporti con gli Stati.

4. Pio VII aveva piena consapevolezza del clima sociale e politico, segnato dal confronto serrato con la personalità di Napoleone Bonaparte e dal manifestarsi delle spinte restauratrici in Italia ed in Europa. Non gli mancarono, quindi, prove e contrasti: nel 1809 fu arrestato per ordine dell'Imperatore e condotto prigioniero in Francia e poi a Savona. Liberato nel 1814, dopo un anno fu costretto, a seguito dell'invasione di Roma e degli Stati Pontifici, a riprendere ancora una volta la triste strada dell'esilio, e a riparare a Genova. In tali frangenti, egli mostrò costanza nel difendere la Chiesa e tenace coraggio nel sopportare affronti e sofferenze. Sorretto dalla fede non cedette a soprusi e violenze, testimoniando un attaccamento alla sua missione ed al servizio della Chiesa e del mondo che resta motivo di imperitura ammirazione.

In effetti, Pio VII si mostrò consapevole fin dalla sua elezione dei travagli che avrebbe dovuto affrontare. Nella prima Enciclica, indirizzata al mondo cattolico dal monastero veeziano di San Giorgio, egli, ricordando le tristi vicende del suo immediato predecessore, il Papa Pio VI, e risalendo man mano lungo la storia della Chiesa, poneva in luce come la persecuzione e l'incomprensione non costituissero una novità per i Vicari di Cristo. Esortava al tempo stesso i cristiani a perseverare con coraggio in mezzo alle avversità, confidando in Dio e mantenendosi saldi nella testimonianza evangelica. Egli sapeva bene quale fosse la missione del Successore di Pietro, quella cioè di confermare nella fede i suoi fratelli (cfr
Lc 22,32).

5. Nel suo ministero Pio VII fu sempre sorretto da indomita fiducia nel Signore e da amore filiale per la celeste Madre di Dio. Mi piace, a questo riguardo, sottolineare la sua devozione verso la Santissima Vergine, che, quasi con il latte materno, gli era stata comunicata in famiglia e che coltivò poi sempre nel corso degli anni. Elevato al Soglio Pontificio, ne manifestò continui segni. Basti ricordare che egli tenne ad incoronare personalmente molte immagini mariane. Durante il primo viaggio a Roma, passando da Spoleto, incoronò, il 30 giugno 1800, la sacra icona della Madonna di San Luca, venerata nella cattedrale di quella città. Liberato dalla prigionia napoleonica il 22 gennaio 1814, prima di rientrare a Roma, non solo volle incoronare di propria mano il venerato simulacro della Madonna del Monte di Cesena, il 1° maggio 1814, ma, nel corso di quel medesimo mese di maggio, ripeté lo stesso atto di squisita devozione verso la Madonna della Pietà, popolarmente detta dell'Acqua, che si venera nella Cattedrale di Rimini, e verso la Madonna Regina di Tutti i Santi della Cattedrale di Ancona. Ed ancora, il 10 maggio 1815, egli fece ritorno a Savona per incoronarvi solennemente il simulacro della Madonna della Misericordia, sciogliendo un voto fatto nei lunghi mesi del suo triennale esilio savonese.

6. Proprio a sottolineare la costante relazione tra questo Pontefice e la Madre di Dio, il Congresso storico commemorativo della sua elezione ha scelto come data di inizio il 15 settembre, memoria liturgica della Madonna Addolorata che, il 18 settembre 1814, egli volle estendere a tutta la Chiesa, in ricordo dei dolori da cui la Chiesa fu afflitta nell'età della Rivoluzione francese e della dominazione napoleonica. Inoltre, il 15 settembre 1815, per perpetuare il ricordo del suo trionfale ritorno a Roma avvenuto il 24 maggio 1814, decretò che ogni anno la diocesi di Roma celebrasse il 24 maggio la festa di Maria Ausiliatrice del popolo cristiano: festa passata poi nel calendario proprio di numerose Diocesi e Famiglie religiose. Nei momenti burrascosi del pontificato, era proprio Lei, la Vergine Santa, il suo sostegno nell'incrollabile certezza che i diritti di Dio e della Chiesa avrebbero finito con il trionfare.

Altra caratteristica del pontificato di questo mio illustre Predecessore fu un grande amore, attinto alla tradizione benedettina, per lo studio e la cultura, che lo rese benemerito per il ricupero del patrimonio artistico e storico della Santa Sede, in gran parte disperso dalle razzie napoleoniche. Egli si adoperò per il suo incremento, come viene eloquentemente testimoniato dal Museo Chiaramonti, che porta il suo nome, e dagli affreschi nella Biblioteca Vaticana, che ne raccontano ancor oggi le gesta.

7. Molte e significative sono, pertanto, le ragioni di far memoria di questo degno Successore dell'Apostolo Pietro, duramente provato da avversità e incomprensioni. La testimonianza del suo indomito e perseverante servizio alla Chiesa costituisce un utile ammaestramento per tutti. Ripensare a quanto egli dovette penare per espletare il suo ministero apostolico porta a meditare sulla vocazione d'ogni apostolo di Cristo. In effetti, i cristiani di ogni epoca, nonostante contrasti e umiliazioni, ostacoli e persecuzioni, sono chiamati a proseguire senza sosta nella fedeltà al loro Signore. Essi sanno di dover aderire al Vangelo senza compromessi e senza paure, disponibili ogni giorno a prendere la croce per seguire Lui, il Maestro crocifisso. CamminarGli dietro, abbracciare con amore il suo Vangelo: ecco l'impegno attivo e generoso di tutti i discepoli di Gesù. A questa missione è inevitabilmente legata l'esperienza della croce, secondo le parole stesse del Signore: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24). Auspico di cuore che questa ricorrenza giubilare offra l'occasione di conoscere meglio il messaggio di Papa Chiaramonti e di apprezzare ancor più la sua sapienza e la sua fortezza interiore. Guardando alla sua vita e al suo esempio, possano gli uomini del nostro tempo trarre preziose indicazioni, per affrontare con uguale ardore missionario le sfide dell'epoca moderna. Oggi, come ai tempi in cui egli visse, occorre saper passare attraverso le asprezze della vita, rimanendo incrollabili nell'ascolto e nell'obbedienza del Vangelo.

Voglia il Signore, per intercessione di Maria, Madre dei cristiani, concedere in modo speciale ai monasteri delle due Congregazioni derivate dall'unica antica Congregazione Cassinese il dono d'una fedeltà sempre più grande al proprio carisma. Accordi loro, altresì, numerose vocazioni per la "scuola del divino servizio", secondo i dettami della Regola di san Benedetto.

A tal fine, assicuro un ricordo nella preghiera e, come auspicio di abbondanti grazie celesti, mi è grato impartire ai Reverendissimi Padri Abati, alle Comunità benedettine maschili e femminili, nonché a quanti prenderanno parte al Congresso Storico Internazionale, l'implorata Benedizione Apostolica.

Da Castel Gandolfo, 14 Agosto 2000


AI PARTECIPANTI AL CONGRESSO DEGLI ABATI E DELLE ABBADESSE DI ORDINI BENEDETTINI

Venerdì, 8 settembre 2000

0809
1. Con grande gioia, accolgo e saluto tutti voi, cari Abati, Priori Conventuali e Amministratori dell'Ordine di San Benedetto, in occasione del vostro Congresso, che, nell'Anno giubilare, state svolgendo qui a Roma. Nell’esprimere riconoscenza all’Abate Dom Marcel Rooney per il lavoro svolto in questi anni, porgo i miei rallegramenti al nuovo Abate Primate Dom Notker Wolf, che ringrazio per le parole rivoltemi a nome di tutti. Saluto pure il gruppo di Abbadesse venute in rappresentanza delle Consorelle di ogni parte del mondo.

Quest’incontro col Vescovo di Roma si inserisce nel vostro pellegrinaggio giubilare assai ricco ed intenso, e ne mette bene in luce il significato spirituale ed ecclesiale. Ripenso in questo momento al mio glorioso predecessore san Gregorio Magno, nella cui ricorrenza è iniziata la vostra assemblea, e rendo grazie con voi a Dio per il dono grande che sono stati e che sono, nella Chiesa e per la Chiesa, i figli e le figlie di san Benedetto.

Avete attraversato le Porte Sante delle Basiliche maggiori, recando spiritualmente con voi le vostre comunità. Questa è, da parte vostra, anzitutto una lodevole testimonianza di fede. E diventa al tempo stesso simbolo del significato profondo di questa vostra riunione: nell'Anno Santo 2000, l'Ordine benedettino, sparso in tutto il mondo, vuole passare attraverso Cristo, per entrare con Lui ed in Lui nel nuovo millennio, stringendo tra le mani il Vangelo, Parola di salvezza per l’uomo di ogni tempo e di ogni cultura.

2. In Oriente e in Occidente la vita monastica costituisce per la Chiesa un patrimonio di inestimabile valore. Scrivevo nell’Esortazione post-sinodale Vita consecrata: "I monasteri sono stati e sono tuttora, nel cuore della Chiesa, un eloquente segno di comunione, un'accogliente dimora per coloro che cercano Dio e le cose dello spirito, scuole di fede e veri laboratori di studio, di dialogo e di cultura per l'edificazione della vita ecclesiale e della stessa città terrena, in attesa di quella celeste" (6).

Il monachesimo occidentale si è ispirato soprattutto a san Benedetto e alla sua Regola, che ha formato generazioni di uomini e donne chiamati a lasciare il mondo per dedicarsi interamente a Dio, ponendo l'amore di Cristo al centro e al di sopra di tutto (cfr Regola,
RB 4,21 e RB 72,11).

Con la forza di questa missione, l'Ordine benedettino non ha cessato di contribuire all'attività apostolica della Chiesa. Con questa medesima forza, esso opera per la nuova evangelizzazione. Ne sono testimoni coloro, giovani e adulti, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, che trovano in voi e nei vostri monasteri dei punti di riferimento, come dei pozzi da cui attingere l'"acqua viva" di Cristo, che sola può saziare la sete degli uomini. E come non sottolineare che caratteristica di non poche vostre case è oggi quella di essere alle “frontiere del Cristianesimo”, in luoghi dove il Cristianesimo è minoranza? Qualche volta la testimonianza di alcuni membri dell’Ordine benedettino è stata coronata dal martirio. Nonostante ciò, continuate a restare in quelle terre, non temendo pericoli e difficoltà. Svolgendo una significativa attività ecumenica e di paziente dialogo inter-religioso offrite un servizio prezioso al Vangelo. Testimoniate che solo Dio basta.

3. Sì, solo Dio, solo Cristo è "la vita dell'anima". Queste parole richiamano alla mente il titolo di un noto libro del vostro venerato confratello Columba Marmion, che ho avuto la gioia di iscrivere domenica scorsa nell’Albo dei Beati. La vita e l'azione del grande Abate di Maredsous ha segnato profondamente la spiritualità del secolo ventesimo, in perfetta sintonia con il cammino di autentico rinnovamento ecclesiale, culminato nel Concilio Ecumenico Vaticano II. Su questa medesima scia volete porvi voi, seguendo i luminosi esempi del Beato Columba Marmion, come pure dei Beati Dusmet di Catania e Schuster di Milano, figli fedeli di san Benedetto.

Il vostro Congresso, oltre ad essere un pellegrinaggio giubilare, costituisce in proposito un forte momento di riflessione e confronto, alle soglie del nuovo millennio. Come responsabili dell'Ordine, vi proponete di considerare il ruolo stesso dell'Abate nella comunità. Inoltre, è vostro intendimento esaminare, nell'ascolto e nello scambio delle ricche e differenti esperienze, quale sia la “missione” del monastero nel mondo attuale.

4. Al riguardo, come Pastore della Chiesa, in un mondo in cui si moltiplicano le attività dispersive e si rischia di perdere talora persino il senso del vivere e del morire, vorrei richiamare - ben sapendo che proprio di questo voi siete maestri - il primato dell'interiorità. Più che mai l'uomo di oggi, per non smarrire se stesso, ha bisogno di ritrovare Dio e di ritrovarsi in Dio. E questo non è possibile se non quando il cuore si pone in ascolto del Signore nel silenzio e nella contemplazione prolungata, nell’incontro cioè con “l'unico mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù” (1Tm 2,5).

Traggo di qui il mio augurio, che accompagno con l’assicurazione di uno speciale ricordo all’altare per voi. Carissimi, siate segni eloquenti per i nostri contemporanei della validità della vita monastica. E’ questa la prima forma di vita consacrata apparsa nella Chiesa e che lungo i secoli continua a restare un dono per tutti. Siate assidui contemplatori del mistero di Dio e offrite le vostre esistenze “ut in omnibus glorificetur Deus”.

Affido questi miei voti all'intercessione di Maria Santissima, di cui oggi celebriamo la Natività. Come Madre buona, vi protegga in ogni vostro passo. Con affetto vi imparto la Benedizione Apostolica, pregandovi di recarla alle vostre comunità.


UDIENZA AI PARTECIPANTI A VARI PELLEGRINAGGI GIUBILARI

Sabato 9 settembre 2000

0909
Carissimi Fratelli e Sorelle!


1. Sono lieto di incontrarvi e con gioia tutti vi saluto. Questo vostro incontro si svolge nel giorno dedicato alla memoria di San Pietro Claver, sacerdote gesuita, apostolo fra i negri deportati e modello per quanti ancora oggi si prodigano per alleviare le condizioni di chi soffre. Nello spirito del Giubileo, il suo esempio ci aiuta a comprendere uno degli impegni che scaturiscono da questo fondamentale evento, l’attenzione per quanti, costretti dalle circostanze, abbandonano il loro paese e subiscono le angherie di coloro che approfittano delle povertà altrui.

Che questo spirito, lo spirito vero del Giubileo che stiamo celebrando, possa permeare la vita delle nostre comunità cristiane ed animare ogni attività delle Chiese diocesane. A duemila anni dalla sua nascita celebriamo Cristo e lo contempliamo nel mistero della sua incarnazione. Egli ci appare autentica fonte di salvezza per il mondo e per ogni essere umano. La vicenda umana è la storia dell’incontro tra la povertà spirituale di ciascuno e la grandezza salvifica di un Dio che ama in modo sconfinato la sua creatura.

2. A questo amore deve corrispondere la testimonianza di una vita tesa a configurare il discepolo al suo Maestro. Attraverso la confessione individuale e le celebrazioni penitenziali proprie del Giubileo, oltre che attraverso la celebrazione degli altri Sacramenti, il credente compie un cammino di configurazione a Cristo.

Questo cammino è simbolicamente raffigurato dal pellegrinaggio e dal passaggio attraverso la Porta Santa. Giustamente pertanto «il termine Giubileo parla di gioia; non soltanto di gioia interiore, ma di un giubilo che si manifesta all’esterno, poiché la venuta di Dio è un evento anche esteriore, visibile, udibile e tangibile, come ricorda san Giovanni (cfr
1Jn 1,1)» (Tertio millennio adveniente, nn. TMA 16 TMA 32). Ed è anche la gioia per la remissione delle colpe, la gioia della conversione.

3. Con tali sentimenti, do cordialmente il benvenuto a voi, cari pellegrini giunti dalla diocesi di Lucera-Troia, accompagnati dal vostro Vescovo, Mons. Francesco Zerrillo, ed anche a voi, pellegrini della Diocesi di Caserta. Nel varcare la Porta Santa vi auguro di sperimentare la ricchezza che Dio riversa nelle celebrazioni giubilari, affinché il vostro cuore e le vostre comunità si aprano alla vita nuova che è Cristo.

A voi, carissimi Fratelli e Sorelle giunti da varie parrocchie, ed a voi, partecipanti alla Staffetta podistica degli sportivi bolognesi, auspico che l’odierno pellegrinaggio vi lasci nel cuore segni efficaci di giustizia e di carità. Nell’itinerario giubilare, voi avete l’opportunità di accostarvi al sacramento della Penitenza e della Riconciliazione; di nutrirvi alla mensa dell’Eucaristia; di visitare le memorie degli Apostoli. Siano, questi, intensi momenti di comunione con Dio. Nel tornare alle vostre comunità vi sentirete rafforzati nella fede e spronati nel fare il bene e la carità nel vostro stato di vita e nell’impegno a cui il Signore vi chiama.

4. Sono lieto di accogliere il gruppo degli ex studenti del Seminario Francese di Roma. Siate i benvenuti, cari fratelli nel sacerdozio e nell'Episcopato! La vostra presenza, questa mattina, è un segno della riconoscenza che voi tutti, giovani e meno giovani, continuate a nutrire verso il vostro Seminario. Voi potete testimoniarne la qualità della formazione umana, spirituale, dottrinale e pastorale. Incoraggio vivamente i responsabili del Seminario a portare avanti una così importante missione per la vita della Chiesa, augurandomi che il Seminario Francese continui ad essere, in particolare per il mondo francofono, il luogo in cui fioriranno ancora numerose generazioni di sacerdoti chiamati ad essere gli "eredi del Vangelo" per il nuovo millennio. A voi tutti, di cuore, imparto la Benedizione apostolica.

5. Sono lieto di salutare i pellegrini della Diocesi di Saint Catharines in Canada, guidati dal loro Vicario Generale. In quest'anno di Grande Giubileo avete viaggiato percorrendo grandi distanze per visitare questi luoghi resi santi dal sangue dei martiri. Prego affinché i giorni che trascorrerete a Roma vi permettano un'esperienza nuova e profonda della misericordia di Dio, cosicché, una volta tornati in Canada, potrete recare una testimonianza più forte del Vangelo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio e Salvatore del mondo. Attraverso di voi invio saluti affettuosi al Vescovo O'Mara, al Vescovo Fulton e a tutti i fedeli di Cristo nella Diocesi. Che la Beata Vergine Maria e santa Caterina veglino sempre su di voi! Che Dio onnipotente benedica voi e le vostre famiglie abbondantemente con il dono della sua pace!

6. Su tutti invoco la materna protezione di Maria Santissima, di cui ieri abbiamo celebrato la Natività. La Madre del Salvatore ottenga a ciascuno pace e serenità. Con questo augurio volentieri imparto a tutti una speciale Benedizione Apostolica.



GIUBILEO DEI DOCENTI UNIVERSITARI

AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO MONDIALE DEI DOCENTI UNIVERSITARI

Sabato 9 Settembre 2000

09091

Carissimi Docenti universitari!


1. Sono lieto di incontrarvi, in questo anno di grazia, in cui Cristo fortemente ci chiama a una più convinta adesione di fede e a un profondo rinnovamento di vita. Vi ringrazio soprattutto per l’impegno manifestato negli incontri spirituali e culturali che hanno scandito queste giornate. Guardando a voi il mio pensiero si allarga in un saluto cordiale ai Docenti universitari di tutte le Nazioni, come anche agli studenti affidati alla loro guida nel cammino, faticoso e gioioso insieme, della ricerca. Saluto pure il Senatore Ortensio Zecchino Ministro per l’Università, qui con voi in rappresentanza del governo italiano.

Gli illustri Professori che hanno or ora preso la parola mi hanno consentito di farmi un’idea di quanto ricca e articolata sia stata la vostra riflessione. Li ringrazio di cuore. Questo incontro giubilare ha costituito per ciascuno di voi un’occasione propizia per verificare in che misura il grande evento che celebriamo, l’incarnazione del Verbo di Dio, sia stato accolto quale principio vitale da cui tutta la vita viene informata e trasformata.

Sì, perché Cristo non è la cifra di una vaga dimensione religiosa, ma il luogo concreto in cui Dio fa pienamente sua, nella persona del Figlio, la nostra umanità. Con Lui "l’Eterno entra nel tempo, il Tutto si nasconde nel frammento, Dio assume il volto dell’uomo" (Fides et ratio, 12). Questa "kenosi" di Dio, fino allo "scandalo" della Croce (cfr
Ph 2,7), può apparire una stoltezza per una ragione ebbra di sé. In realtà, essa è "potenza di Dio e sapienza di Dio" (1Co 1,23-24) per quanti si aprono alla sorpresa del suo amore. Voi siete qui a darne testimonianza.

2. Il tema di fondo sul quale avete riflettuto - L’università per un nuovo umanesimo – ben si inquadra nella riscoperta giubilare della centralità di Cristo. L’evento dell’Incarnazione infatti tocca l’uomo in profondità, ne illumina le radici e il destino, lo apre ad una speranza che non delude. Da uomini di scienza, voi vi interrogate continuamente sul valore della persona umana. Ciascuno potrebbe dire, con l’antico filosofo: "Cerco l’uomo"!

Tra le tante risposte date a questa ricerca fondamentale, voi avete accolto la risposta di Cristo: quella che emerge dalle sue parole, ma ancor prima brilla sul suo volto. Ecce homo: ecco l’uomo! (Jn 19,5). Pilato, mostrando alla folla scalmanata il volto martoriato di Cristo, non immaginava di farsi, in certo senso, voce di una rivelazione. Senza saperlo, additava al mondo Colui nel quale ogni uomo può riconoscere la sua radice, e dal quale ogni uomo può sperare la sua salvezza. Redemptor hominis: è questa l’immagine di Cristo che, fin dalla mia prima Enciclica, ho voluto "gridare" al mondo, e che quest’anno giubilare vuole rilanciare nelle menti e nei cuori.

3. Ispirandovi a Cristo, rivelatore dell’uomo all’uomo (cfr Gaudium et spes GS 22), nei Convegni celebrati nei giorni scorsi, avete voluto riaffermare l’esigenza di una cultura universitaria veramente "umanistica". E ciò anzitutto nel senso che la cultura deve essere a misura della persona umana, superando la tentazione di un sapere piegato al pragmatismo o disperso negli infiniti rivoli dell’erudizione, e pertanto incapace di dare senso alla vita.

Avete per questo ribadito che non c’è contraddizione, ma piuttosto un nesso logico, tra la libertà della ricerca e il riconoscimento della verità, a cui appunto la ricerca mira, pur tra i limiti e le fatiche del pensiero umano. E’ un aspetto da sottolineare, per non cedere al clima relativistico che insidia gran parte della cultura odierna. In realtà, senza orientamento alla verità, da cercare con atteggiamento umile ma, al tempo stesso, fiducioso, la cultura è destinata a cadere nell’effimero, abbandonandosi alla volubilità delle opinioni e magari consegnandosi alla prepotenza, spesso subdola, dei più forti.

Una cultura senza verità non è una garanzia, ma piuttosto un rischio per la libertà. Lo dicevo già in altra occasione: "Le esigenze della verità e della moralità non umiliano e non annullano la nostra libertà, ma al contrario le permettono di essere e la liberano dalle minacce che essa porta dentro di sé" (Discorso al Convegno ecclesiale di Palermo, in Insegnamenti, XVIII, 2, 1995, p. 1198). Rimane, in questo senso, perentorio, il monito di Cristo: "La verità vi farà liberi" (Jn 8,32).

4. Radicato nella prospettiva della verità, l’umanesimo cristiano implica innanzitutto l’apertura al Trascendente. E’ qui la verità e la grandezza dell’uomo, l’unica creatura del mondo visibile capace di prendere coscienza di sé, riconoscendosi avvolta da quel Mistero supremo a cui la ragione e la fede insieme danno il nome di Dio. Occorre un umanesimo in cui l’orizzonte della scienza e quello della fede non appaiano più in conflitto.

308 Non ci si può tuttavia accontentare di un riavvicinamento ambiguo, come quello favorito da una cultura che dubiti delle stesse capacità veritative della ragione. Si rischia, per questa strada, l’equivoco di una fede ridotta al sentimento, all’emozione, all’arte, una fede insomma privata di ogni fondamento critico. Ma non sarebbe, questa, la fede cristiana, che esige invece una ragionevole e responsabile adesione a quanto Dio ha rivelato in Cristo. La fede non germoglia sulle ceneri della ragione! Esorto vivamente tutti voi, uomini dell’Università, a fare ogni sforzo perché sia ricostruito un orizzonte del sapere aperto alla Verità e all’Assoluto.

5. Sia chiaro tuttavia che questa dimensione "verticale" del sapere non implica alcuna chiusura intimistica; al contrario, si apre per sua natura alle dimensioni del creato. E come potrebbe essere diversamente? Riconoscendo il Creatore, l’uomo riconosce il valore delle creature. Aprendosi al Verbo incarnato, accoglie anche tutte le cose che in lui sono state fatte (cfr
Jn 1,3) e da lui sono state redente. E’ necessario perciò riscoprire il senso originario ed escatologico della creazione, rispettandola nelle sue esigenze intrinseche, ma al tempo stesso godendone in termini di libertà, responsabilità, creatività, gioia, "riposo" e contemplazione. Come ci ricorda una splendida pagina del Concilio Vaticano II, "godendo delle creature in povertà e libertà di spirito, [l’uomo] viene introdotto nel vero possesso del mondo, quasi al tempo stesso niente abbia e tutto possegga. « Tutto infatti è vostro: ma voi siete di Cristo, e Cristo di Dio» (1Co 3,22-23)" (Gaudium et spes GS 37).

Oggi la più attenta riflessione epistemologica riconosce la necessità che le scienze dell’uomo e quelle della natura tornino a incontrarsi, perché il sapere ritrovi una ispirazione profondamente unitaria. Il progresso delle scienze e delle tecnologie pone oggi nelle mani dell’uomo possibilità magnifiche, ma anche terribili. La consapevolezza dei limiti della scienza, nella considerazione delle esigenze morali, non è oscurantismo, ma salvaguardia di una ricerca degna dell’uomo e posta al servizio della vita.

Fate in modo, carissimi Uomini della ricerca scientifica, che le Università diventino "laboratori culturali" nei quali tra teologia, filosofia, scienze dell’uomo e scienze della natura si dialoghi costruttivamente, guardando alla norma morale come a un’esigenza intrinseca della ricerca e condizione del suo pieno valore nell’approccio alla verità.

6. Il sapere illuminato dalla fede, lungi dal disertare gli ambiti del vissuto quotidiano, li abita con tutta la forza della speranza e della profezia. L’umanesimo che auspichiamo propugna una visione della società centrata sulla persona umana e i suoi diritti inalienabili, sui valori della giustizia e della pace, su un corretto rapporto tra individui, società e Stato, nella logica della solidarietà e della sussidiarietà. È un umanesimo capace di infondere un’anima allo stesso progresso economico, perché esso sia volto "alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo" (Populorum progressio PP 14 Sollicitudo rei socialis, SRS 30).

In particolare, è urgente che ci adoperiamo perché il vero senso della democrazia, autentica conquista della cultura, sia pienamente salvaguardato. Su questo tema infatti si profilano derive preoccupanti, quando si riduce la democrazia a fatto puramente procedurale, o si pensa che la volontà espressa dalla maggioranza basti tout court a determinare l’accettabilità morale di una legge. In realtà, "il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna e promuove. […] Alla base di questi valori non possono esservi provvisorie e mutevoli «maggioranze» di opinione, ma solo il riconoscimento di una legge morale obiettiva che, in quanto «legge naturale» iscritta nel cuore dell’uomo, è punto di riferimento della legge civile" (Evangelium vitae EV 70).

7. Carissimi, anche l’Università, non meno di altre istituzioni, sente il travaglio dell’ora presente. E tuttavia essa rimane insostituibile per la cultura, purché non smarrisca la sua originaria figura di istituzione deputata alla ricerca e insieme a una vitale funzione formativa - e direi "educativa" - a vantaggio soprattutto delle giovani generazioni. Questa funzione deve essere posta al centro delle riforme e degli adattamenti di cui anche questa antica istituzione può avere bisogno per adeguarsi ai tempi.

Con la sua valenza umanistica, la fede cristiana può offrire un contributo originale alla vita dell’Università e al suo compito educativo, nella misura in cui viene testimoniata con energia di pensiero e coerenza di vita, in dialogo critico e costruttivo con quanti sono fautori di una diversa ispirazione. Mi auguro che questa prospettiva possa essere approfondita anche negli incontri mondiali in cui saranno prossimamente impegnati i Rettori, i dirigenti amministrativi delle Università, i cappellani universitari, gli stessi studenti nel loro "forum" internazionale.

8. Chiarissimi Docenti! Nel Vangelo si fonda una concezione del mondo e dell’uomo che non cessa di sprigionare valenze culturali, umanistiche ed etiche per una corretta visione della vita e della storia. Abbiatene profonda convinzione, e fatene un criterio del vostro impegno.

La Chiesa, che ha avuto storicamente un ruolo di primo piano nel sorgere stesso delle Università, continua a guardare ad esse con profonda simpatia, e da voi si aspetta un contributo decisivo, perché questa istituzione entri nel nuovo Millennio ritrovando pienamente se stessa, come luogo in cui si sviluppano in modo qualificato l’apertura al sapere, la passione per la verità, l’interesse per il futuro dell’uomo. Che questo incontro giubilare lasci dentro ciascuno di voi un segno indelebile e vi infonda nuovo vigore per questo compito impegnativo.

Con tale auspicio, nel nome di Cristo, Signore della storia e Redentore dell’uomo, vi benedico tutti con grande affetto.




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