GP2 Discorsi 2001 141


TREDICESIMA STAZIONE

142
Gesù è deposto dalla Croce e consegnato alla Madre

Dal Vangelo secondo Matteo 27, 54-55


Il centurione
e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù,
sentito il terremoto e visto quel che succedeva,
furono presi da grande timore e dicevano:
"Davvero costui era Figlio di Dio".
C'erano anche là molte donne
che stavano a osservare da lontano;
esse avevano seguito Gesù dalla Galilea
per servirlo.
* * *


143 Ora Gesù è nuovamente tuo, o Vergine Madre, perché, dopo il suo incontro con il mondo, egli e il mondo si sono di nuovo separati. Si era allontanato da te per compiere l'opera del Padre suo. Con sofferenza l'ha portata a termine. Satana e i malvagi non hanno ora più nulla da rivendicare su di lui: troppo a lungo egli è stato nelle loro mani. Satana l'aveva sollevato sull'alto monte; uomini malvagi lo hanno innalzato sulla Croce.
* * *


Egli non era più stato fra le tue braccia,
o Madre di Dio, da quando era bambino;
ma tu puoi rivendicare un diritto su di lui,
ora che il mondo ha fatto di lui quanto di peggio poteva.
Poiché tu sei ricca di ogni divino favore,
la tutta benedetta, colma di ogni grazia,
la Madre dell'Altissimo,
noi gioiamo di questo grande mistero.
Egli è rimasto nascosto nel tuo ventre,
144 ha dormito sul tuo petto, ha succhiato al tuo seno,
è stato portato dalle tue braccia,
e, ora che è morto, è deposto sul tuo grembo.
Vergine Madre di Dio, intercedi per noi.
A te, Madre, donna dalla pietà immensa,
che stringi tra le braccia il Figlio,
immerso nel sonno della morte,
il nostro amore fedele e grato.
Amen.

QUATTORDICESIMA STAZIONE

Gesù è deposto nel sepolcro

Dal Vangelo secondo Matteo 27, 57-60


145 Venuta la sera, giunse un uomo ricco di Arimatea,
chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui
discepolo di Gesù.
Egli andò da Pilato
e gli chiese il corpo di Gesù.
Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato.
Giuseppe, preso il corpo di Gesù,
lo avvolse in un candido lenzuolo
e lo depose nella sua tomba nuova,
che si era fatta scavare nella roccia;
rotolata poi una gran pietra
146 sulla porta del sepolcro, se ne andò.
* * *


Sulla soglia del suo eterno trionfo, Gesù sembra quanto mai lontano dalla vittoria. Prossimo ormai ad entrare nel suo regno per esercitare ogni potere in cielo e sulla terra, egli giace esanime in una cavità della roccia. È avvolto in un lenzuolo funebre e chiuso in un sepolcro di pietra. Egli, però, sta per avere un glorioso corpo spirituale, capace di passare attraverso qualsiasi elemento e di spostarsi più veloce del pensiero; un corpo che ben presto ascenderà in Cielo.
* * *


Fa', o Gesù, che ci affidiamo a te,
attendendo che tu voglia disporre per noi
una sorte simile alla tua.
Rendici sicuri, o Signore,
che più grande è la nostra abiezione,
più siamo vicini a te;
più gli uomini ci dileggiano, più tu ci onori;
147 più gli uomini ci disprezzano, più tu ci esalterai;
più essi ci dimenticano, più tu ti ricordi di noi;
più essi ci abbandonano, più vicino a te ci porterai.
Gesù, chicco di frumento deposto nella terra,
in attesa di germogliare
quale immagine gloriosa dell'Uomo nuovo,
ricevi la nostra lode fervida e perenne.
Amen.

VIA CRUCIS


PAROLE DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


Colosseo, venerdì 13 aprile 2001




(Pubblichiamo di seguito le parole che il Santo Padre Giovanni Paolo II ha pronunciato a braccio al termine del pio esercizio della Via Crucis al Colosseo)
Ecce lignum crucis, in quo salus mundi pependit! Venite adoremus!

148 Oggi, per la prima volta in questo Terzo Millennio, si è levata questa confessione nella Basilica di San Pietro. In questo stesso giorno, Venerdì Santo, la stessa verità sconvolgente è stata proclamata in tutti i Continenti, in tutti i Paesi del mondo: Ecce lignum crucis!

La Chiesa di Cristo confessa questa realtà divina e umana: Crux, ave Crux! Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi, quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.

Questo la Chiesa ha confessato durante duemila anni, i due millenni passati. Oggi, per la prima volta, lo confessiamo in tutto il mondo e qui a Roma con questa Via Crucis intorno al Colosseo. Vogliamo trasmettere, portare avanti questa verità divina e umana nel Terzo Millennio. Vogliamo professare che, per la sua Croce, il Figlio di Dio accettando questa umiliazione - una condanna destinata agli schiavi - ha aperto all’umanità la strada verso la glorificazione. Per questo noi oggi pieghiamo il ginocchio nell’adorazione.

Adoramus te, Christe, et benedicimus tibi, quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.

Che questa verità, oggi confessata nella Basilica di San Pietro e qui presso il Colosseo romano, sia per noi la luce e la forza di questo tempo che abbiamo inaugurato da qualche mese.

Ave Crux! Ave Crux del Colosseo romano!

Ave alla soglia del Terzo Millennio!

Ave attraverso tutti gli anni e i secoli di questo nuovo tempo che si apre davanti a noi!

Sia lodato Gesù Cristo!
* * * * *


1. "Cristo si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (
Ph 2,8).

149 Abbiamo appena terminato la Via Crucis che, come ogni anno, ci vede raccolti la sera del Venerdì Santo in questo luogo evocatore di profondi ricordi cristiani. Abbiamo ripercorso le orme dell'Innocente ingiustamente condannato, tenendo fisso lo sguardo sul suo volto adorabile: volto offeso dall'umana cattiveria, ma illuminato dall'amore e dal perdono.

Davvero sconvolgente è la vicenda drammatica di Gesù di Nazaret! Per ridare pienezza di vita all'uomo, il Figlio di Dio si è annientato nel modo più umiliante. Dalla morte, liberamente da Lui scelta, scaturisce però la vita. Dice la Scrittura: oblatus est quia ipse voluit. La sua è una straordinaria testimonianza d'amore, frutto di un'obbedienza senza eguali, che s'è spinta fino all'estremo dono di sé.

2. "Obbediente fino alla morte e alla morte di croce".

Come staccare lo sguardo da Gesù, che muore sulla Croce? Il suo viso martoriato suscita sconcerto. Afferma il Profeta: "Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia" (
Is 53,2-3).

Su quel volto s'addensano le ombre di tutte le sofferenze, le ingiustizie, le violenze subite dagli esseri umani di ogni epoca della storia. Ma ora, dinanzi alla Croce, le nostre pene di ogni giorno, e persino la morte, appaiono rivestite della maestà di Cristo abbandonato e morente.

Il volto del Messia sanguinante e crocifisso rivela che Dio si è lasciato coinvolgere per amore nelle vicende tormentate dell'umanità. Il nostro non è più un dolore solitario, perché Egli ha pagato per noi con il suo sangue versato sino all'ultima goccia. E' entrato nella nostra sofferenza e ha infranto la barriera del nostro pianto disperato.

Nella sua morte acquista senso e valore la vita dell'uomo e persino la sua stessa morte. Dalla Croce Cristo fa appello alla libertà personale degli uomini e delle donne di tutti i tempi e chiama ciascuno a seguirlo sulla strada del totale abbandono nelle mani di Dio. Ci fa riscoprire persino la misteriosa fecondità del dolore.

3. "Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto" (Ps 4,7).

Mentre si scioglie la nostra assemblea, continuiamo a meditare sul mistero di questo Volto che innumerevoli artisti, lungo i secoli, hanno raffigurato impegnando ogni loro maestria.

Oh, se gli uomini si lasciassero intenerire dai suoi tratti inconfondibili! In quel Volto santo possono trovare adeguata risposta i tanti interrogativi e dubbi che agitano il cuore umano. Dalla contemplazione del Volto amorevole del Figlio di Dio fatto uomo è possibile trarre la forza per superare le ore del buio e del pianto. Dal Calvario una pace divina inonda l'universo in attesa della gloria della Pasqua.

Vergine Maria, che sei rimasta intrepida sotto la Croce e hai raccolto in grembo il corpo esanime di Gesù, aiutaci a capire che il nostro soffrire è partecipazione preziosa alla Passione del tuo divin Figlio, che per amore nostro "si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce". Guida i nostri passi a calcare le sue orme indelebili, che ci condurranno allo stupore e alla gioia della sua risurrezione.

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


AL MOVIMENTO "FEDE E LUCE"


IN OCCASIONE DEL 30° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE


150
Ai miei figli e alle mie figlie del Movimento Fede e Luce


1. In questa Settimana Santa del primo anno del nuovo millennio, unendomi a voi con affetto e con la preghiera, saluto tutti voi che vi siete raccolti presso la Grotta di Massabielle, in occasione del 30°anniversario di fondazione del vostro Movimento. E' Maria stessa che vi accoglie, per ravvivare in voi il desiderio di "venire a bere alla sorgente", e per condurvi, come un giorno fece con Bernadetta, all'incontro con suo Figlio. A Lourdes l'amore di Gesù e di Maria per i più deboli si manifesta con singolare potenza e invita a rendere grazie a Dio per le meraviglie che Egli compie in voi. Io vi incoraggio a mantenere viva e a consolidare la vostra fede perché possiate essere missionari nella vita d'ogni giorno.

2. Voi disabili costituite il cuore della grande famiglia "Fede e Luce". La vostra esistenza è dono di Dio e vi rende testimoni della gioia autentica; se pur talora l'handicap vi porta a difficili combattimenti esistenziali, voi spesso vivete, secondo l'espressione di Claudel, con "anime ingrandite in corpi impediti". Cari amici, voi siete un prezioso tesoro per la Chiesa, che è pure famiglia vostra, e occupate un posto speciale nel cuore di Gesù.

3. Da trent'anni, "Fede e Luce" non ha cessato di richiamare con audace coraggio e perseveranza la dignità eminente di ogni persona umana. Possiamo render grazie per la speranza e la fiducia che tante persone, tante famiglie hanno trovato nel vostro Movimento. Desidero ringraziare cordialmente coloro che stanno accanto ai disabili, per l'insostituibile lavoro quotidianamente portato avanti a servizio dei dimenticati delle nostre società, e soprattutto per la gioia che a loro offrono. Essi testimoniano che la gioia di vivere è una sorgente nascosta la cui origine sta nella fiducia in Dio e in Maria, sua Madre. Vorrei salutare, in modo particolare Jean Vanier e Maria Elena Mathieu, che da molto tempo si impegnano per la vita e la promozione dei disabili.

4. La vostra presenza a Lourdes, cari Fratelli e Sorelle, costituisce inoltre, un appello ai cristiani e ai responsabili della nostra società perché comprendano sempre meglio che se il disabile ha bisogno di aiuto, la disabilità costituisce in primo luogo un invito a superare ogni egoismo e a impegnarsi per nuove forme di fraternità e di solidarietà. Come ho avuto modo di ricordare a Roma, in occasione del loro Giubileo, le persone disabili mettono "in crisi le concezioni della vita legate soltanto all'appagamento, all'apparire, alla fretta, all'efficienza" (Omelia, 3 dicembre 2000, n. 5). Esse chiamano ogni membro della società a sostenere moralmente e materialmente i genitori con figli portatori d'handicap. Mentre si tende sempre più a sopprimere prima della nascita l'essere umano probabile portatore d'handicap, l'azione di "Fede e Luce" rappresenta un segno profetico a favore della vita, e di attenzione prioritaria ai più deboli della società.

5. Nella vostra grande diversità, provenendo da 75 paesi, voi vi trovate a sperimentare una vera dimensione ecumenica. La presenza insieme a Lourdes di cristiani di varie confessioni, cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti, attesta, partendo da una convinzione fondata sulla comune fede in Cristo risorto, che ogni persona è dono di Dio, dotata di dignità e diritti inalienabili, e che, nonostante l'handicap, è possibile vivere felici.

6. Con tutto il mio affetto invoco su di voi, su coloro che vi accompagnano e su quanti non sono potuti venire, la forza del Signore risuscitato, perché renda ciascuno capace di continuare con coraggio e gioia a testimoniare l'amore di Dio nel mondo. Possiate voi, seguendo l'esempio di Bernadetta, accogliere e far fruttificare sempre più la Buona Novella, di cui la nostra umanità ha tanto bisogno! Vi affido alla tenerezza materna di Nostra Signora di Lourdes, e di gran cuore vi imparto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 2 Aprile 2001

IOANNES PAULUS II


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO


DELLE CONFERENZE EPISCOPALI D’EUROPA (CCEE)




Al Signor Cardinale Miloslav VLK
Arcivescovo di Praga
Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa

151 Lei mi ha informato del prossimo Incontro ecumenico europeo che si terrà a Strasburgo dal 19 al 22 aprile. Un simile raduno suscita in me un profondo sentimento di gioia e una grande speranza.

Questo incontro, promosso congiuntamente dal Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa e dalla Conferenza delle Chiese d'Europa, è un felice frutto di un'intensa collaborazione fra diversi organismi ecclesiali del continente europeo. Si situa opportunamente sulla scia del grande Giubileo dell'Anno 2000, nel corso del quale le Chiese e le Comunità ecclesiali hanno celebrato il mistero dell'Incarnazione di Gesù Cristo, Verbo di Dio che si è fatto carne, fondamento della nostra fede e fonte della nostra salvezza. Inoltre l'iniziativa si tiene in questo anno in cui tutti i cristiani celebrano lo stesso giorno la Resurrezione di Colui che è "la via, la verità e la vita" (
Jn 14,6).

Il tempo pasquale risplende delle parole del Maestro che invita i suoi discepoli a portare al mondo la Buona Novella della salvezza: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). Queste parole che accompagnano la Chiesa di Cristo da due millenni costituiscono parimenti il tema dell'Incontro ecumenico europeo di Strasburgo. Fonte di consolazione per tutti i cristiani, questa promessa non può essere separata dalla preghiera di Gesù la sera della Cena: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una sola cosa, perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21). L'unità per la quale il Signore ha pregato nel Cenacolo è una condizione della credibilità della testimonianza cristiana. Oggi più che mai, dobbiamo fondare la nostra riflessione su questo profondo rapporto che svolge un ruolo decisivo per l'impatto che il messaggio cristiano può avere sul mondo. In Europa è particolarmente urgente un chiaro annuncio del Vangelo. Intessuta di diverse culture, tradizioni e valori legati ai Paesi che la compongono, l'Europa non può essere compresa né edificata senza tener conto delle radici che costituiscono la sua identità originale; né può costruirsi rifiutando la spiritualità cristiana di cui è pervasa.

Per affrontare questa importante sfida è necessario intensificare la collaborazione a tutti i livelli della vita sociale ed ecclesiale, e approfondire i dialoghi bilaterali e multilaterali. I risultati ottenuti attraverso tali dialoghi, come dimostra l'esperienza, rafforzano la comunione già esistente e ravvivano il desiderio di giungere alla comunione perfetta. Dalla stessa professione di fede nascerà la piena comunione fra i discepoli in Cristo, capo del Corpo che è la Chiesa.

Formulo a lei, mio venerato Fratello, come pure a tutte le persone presenti nell'Incontro ecumenico europeo di Strasburgo, soprattutto ai rappresentanti delle Chiese e delle Comunità ecclesiali, e ai giovani, i miei auspici più sinceri, affinché questo raduno possa suscitare nuovi e fecondi slanci in vista di una testimonianza cristiana comune in Europa e in tutta la terra, "perché il mondo creda" (Jn 17,21).

Dal Vaticano, 13 aprile 2001

GIOVANNI PAOLO II





AI MEMBRI DELLA "PAPAL FOUNDATION"


Martedì, 24 aprile 2001




Caro Cardinale Bevilacqua,
Eminenze,
Eccellenza,
Cari fratelli e care sorelle in Cristo,

152 ancora una volta ho il piacere di salutarvi, membri della Papal Foundation, in occasione della vostra visita annuale a Roma. Vi do il benvenuto oggi con le parole che il nostro Salvatore Risorto disse ai suoi discepoli la sera della prima Domenica di Pasqua, quasi duemila anni fa: "La pace sia con voi" (Jn 20,19).

Sì, il dono duraturo del Signore alla sua Chiesa e al suo popolo in ogni epoca è il dono della sua pace, la sua rassicurante presenza con noi sempre, "fino alla fine dei tempi" (Mt 28,20). Spetta a quanti credono e proclamano che il Signore è veramente risorto dai morti portare questo dono della sua pace agli altri, in particolare ai poveri e ai sofferenti, ai negletti e agli oppressi, a coloro le cui grida non trovano ascolto, le cui speranze appaiono sempre vane. Non posso non percepire questo dovere in modo particolare poiché l'incarico affidato dal Signore Risorto all'Apostolo Pietro, il compito di "pascere i suoi agnelli" e di "pascere le sue pecorelle" (cfr Jn 21,15-17), spetta in particolare al Successore di Pietro. Al Vescovo di Roma, infatti, è affidata la cura di tutte le Chiese. Egli è chiamato a utilizzare qualsiasi mezzo a sua disposizione per assistere e rafforzare quelle comunità che hanno maggiore bisogno di sollecitudine materiale e spirituale.

Per questo motivo, cari amici, vi sono particolarmente grato: il sostegno offerto attraverso la Papal Foundation permette la realizzazione di molte opere buone nel nome di Cristo e della sua Chiesa. I numerosi programmi e progetti finanziati da fondi messi a disposizione dalla Papal Foundation permettono alla proclamazione pasquale di gioia, speranza e pace da parte della Chiesa di raggiungere le orecchie, la mente e il cuore di persone che vivono in molte parti del mondo. La generosa condivisione del vostro tempo, delle vostre capacità e delle vostre risorse manifesta dunque il vostro amore per il Successore di Pietro ed è espressione eloquente della comunione fraterna che contraddistingue la vita di quanti conoscono il Signore e vivono "la potenza della sua resurrezione" (Ph 3,10).

All'inizio del terzo millennio cristiano, rinnovati e rafforzati dall'incontro giubilare pieno di grazia con Colui che è la fonte viva della nostra speranza, siamo invitati ancora una volta a intraprendere il nostro cammino di fede e di servizio, con l'assicurazione che Cristo risorto stesso cammina al nostro fianco. Affidando tutti voi all'amorevole intercessione della Beata Vergine Maria, modello per tutti i discepoli e "guida sicura del nostro cammino" (Novo Millennio ineunte, NM 58), imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica a voi e alle vostre famiglie quale pegno di gioia e di pace nel Salvatore Risorto.



AI MOVIMENTI, ASSOCIAZIONI, FAMIGLIE E PARROCCHIE

CHE HANNO OSPITATO I BAMBINI


DELLA REGIONE DI CHERNOBYL


Giovedì, 26 aprile 2001




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Con grande affetto vi accolgo in questa significativa ricorrenza, a quindici anni dal tragico incidente accaduto nella città di Chernobyl il 26 aprile 1986. Porgo di cuore a ciascuno di voi un saluto cordiale e un caloroso benvenuto.

Il mio pensiero va, in primo luogo, al Presidente della Repubblica dell'Ucraina, il Sig. Leonid Kuchma, che ha voluto essere qui presente con un suo messaggio, poc'anzi letto in quest'Aula. Saluto l'Ambasciatore della Repubblica di Ucraina presso la Santa Sede, Sua Eccellenza la Signora Nina Kovalska, e la ringrazio per le parole che a nome di tutti mi ha appena rivolto. Saluto poi le Autorità e le personalità che con la loro partecipazione hanno voluto manifestare la solidarietà delle Comunità e delle Nazioni che rappresentano verso i bambini di Chernobyl. Saluto tutti i presenti, a cominciare dai rappresentanti delle famiglie, delle Parrocchie, delle Associazioni, dei Movimenti e delle Organizzazioni che in questi anni hanno ospitato e continuano ad accogliere in Italia bambini colpiti dalle conseguenze di quanto avvenne a Chernobyl.

All'approssimarsi, poi, del mio viaggio in Ucraina, diventa sempre più vivo in me il desiderio di abbracciare gli abitanti del popolo ucraino, a me tanto caro, e di baciare quella terra tanto provata anche dal disastro nucleare, i cui nefasti effetti ancor oggi si fanno sentire. Con ardente speranza mi preparo, inoltre, a incontrare i fratelli e le sorelle nella fede che là abitano, per poter condividere con loro l'ansia di una rinnovata evangelizzazione.

2. Il pensiero di tutti noi torna in questo momento a quel 26 aprile 1986, quando nel cuore della notte si verificò una tremenda esplosione nella centrale nucleare di Chernobyl. Dopo pochi minuti una vasta nube tossica ricoprì il cielo della città e dell'Ucraina spingendosi molto lontano. I tragici esiti di così infausto evento non tardarono a rivelarsi d'una gravità ben più grande di quanto si potesse immaginare. Non senza ragione qualcuno l'ha definita una catastrofe tecnologica epocale, che ha reso tristemente famosa nel mondo la città di Chernobyl, divenuta da allora simbolo dei rischi connessi con l'utilizzo dell'energia nucleare.

Il mio apprezzamento va alle amministrazioni civili, alle comunità religiose, alle diocesi e a coloro che, nel corso di questi anni, si sono adoperati per venire in aiuto a chi, senza colpa, ha pagato e continua a pagare il prezzo di una calamità di così vasta portata.

153 Mi dirigo soprattutto a voi, cari bambini di Chernobyl. Voi rappresentate le migliaia di vostri piccoli amici, che nel tempo hanno trovato ospitalità in Italia per essere curati e superare una fase difficile della loro esistenza. Il Papa vi abbraccia e vi domanda di recare il suo saluto e la sua benedizione alle vostre famiglie, ai vostri amici e compagni di scuola. A tutti!

Guardandovi, non posso non rendere grazie a Dio per la gara di generosità che da allora non ha cessato di alleviare le pene e le difficoltà di coloro che continuano ad essere vittime innocenti delle conseguenze di quell'immane catastrofe. Quante istituzioni cattoliche in diversi Paesi hanno aperto le loro porte e hanno spalancato le loro braccia verso chi si è trovato nel bisogno! Quanti possono guardare con fiducia all'avvenire grazie a questo sostegno solidale, che l'odierna manifestazione pone bene in luce!

3. Vorrei, quest'oggi, farmi interprete dei grati sentimenti di tutti voi per questa catena di solidarietà nei confronti delle vittime di Chernobyl. E' solidarietà che si è tradotta in gesti di attenzione concreta a fratelli e sorelle stretti dal bisogno. Per i cristiani, questo lodevole slancio di bontà trova autorevole fondamento nel grande comandamento lasciato da Gesù: "Amatevi gli uni gli altri" (
Jn 15,17). L'amore reciproco non deve forse manifestarsi particolarmente nell'ora della prova? Lo afferma pure un noto proverbio popolare: "Un amico vero si conosce nel bisogno". E' un grande conforto nella necessità avere accanto amici fidati. E' importante che non si spezzi mai questa catena di bontà. Essa, mentre solleva chi viene beneficato, arricchisce spiritualmente chi gratuitamente va in suo soccorso.

Gesù poi nel Vangelo assicura i credenti: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). E' la carità la via per la quale si può migliorare il mondo. Amare tutti senza distinzione di razza, lingua o religione diviene, infatti, un segno direi quasi palpabile della predilezione di Dio verso ogni essere umano, di cui Egli è Padre.

4. Rievocando i tragici effetti provocati dall'incidente del reattore nucleare di Chernobyl, il pensiero va alle future generazioni che questi bambini rappresentano. Occorre preparare per loro un avvenire di pace, privo di paure e di simili minacce. Ecco un impegno per tutti. Perché questo avvenga, è necessario che ci sia un corale sforzo tecnico, scientifico e umano per porre ogni energia al servizio della pace, nel rispetto delle esigenze dell'uomo e della natura. Da quest'impegno dipende l'avvenire dell'intero genere umano.

Mentre preghiamo per le numerose vittime di Chernobyl e per quanti portano nel loro corpo i segni d'una così immane catastrofe, invochiamo dal Signore luce e sostegno per coloro che, a vari livelli, sono responsabili delle sorti dell'umanità.

Chiedo, inoltre, a Dio che nella sua onnipotenza e misericordia conceda consolazione a quanti soffrono, e faccia sì che mai più abbia a ripetersi quanto oggi con tristezza ricordiamo.

Con tali sentimenti, invoco la protezione di Maria, Madre della Speranza, e, mentre rinnovo a ciascuno il mio saluto cordiale, imparto volentieri a tutti una speciale Benedizione.


DURANTE LA VISITA


ALLA PONTIFICIA ACCADEMIA ECCLESIASTICA


Giovedì, 26 aprile 2001




Signor Cardinale,
carissimi Superiori ed alunni
154 della Pontificia Accademia Ecclesiastica!

1. Stamane, prima di avviarmi verso Piazza della Minerva, dove si fronteggiano la storica chiesa che custodisce le spoglie mortali di Santa Caterina da Siena, tanto devota al Successore di Pietro, e la vostra ormai tricentenaria Istituzione, ho pregato per tutti voi. Sono lieto ora di incontrarvi e di rivolgervi il mio saluto cordiale. Ringrazio l'Arcivescovo Mons. Justo Mullor García, Presidente dell'Accademia, per le nobili parole con cui ha interpretato i vostri sentimenti, delineando con efficacia gli intendimenti che orientano il vostro impegno. Ripenso con gratitudine anche a quanti lo hanno preceduto in questo incarico ed hanno svolto con dedizione e sacrificio una mansione di così grande responsabilità.

Entrando fra queste mura, non ho potuto non riandare col pensiero a tutti coloro che qui si sono formati ai loro futuri compiti a servizio della Chiesa. Come non ricordare i miei Predecessori che hanno fondata e apprezzata questa Accademia, o che vi hanno trascorso una parte della loro giovanile esistenza sacerdotale? Una menzione speciale merita sicuramente il Servo di Dio Paolo VI, ma alla mia mente torna anche il grande Pastore che mi ha ordinato sacerdote, il Cardinale Adam Sapieha. Egli entrò in questa Accademia un anno prima che ne diventasse Presidente il Servo di Dio Raffaele Merry del Val, futuro Cardinale Segretario di Stato. Di fronte a questi ed altri ecclesiastici di grande levatura spirituale, è doveroso sentirsi impegnati ad imitarne le virtù e l'esemplare dedizione al servizio della Chiesa.

Quanti formate l'attuale comunità docente e discente, siete tutti uomini del Concilio Vaticano II; siete pure sacerdoti che hanno vissuto l'esperienza del Grande Giubileo dell'Incarnazione. Nella vostra esistenza, sia singolare sia collettiva, tutto deve pertanto convergere nell'impegno di rispondere alla vocazione universale alla santità, nella quale si riassume il messaggio fondamentale di questi due grandi eventi ecclesiali. Siete qui venuti per imparare ad essere "esperti in umanità", secondo la suggestiva espressione di Paolo VI, perché questo richiede l'arte, a volte complessa, della diplomazia. Ma siete qui innanzitutto per provvedere alla vostra santificazione: lo esige il vostro futuro servizio alla Chiesa e al Papa.

Il fatto che celebrate una ricorrenza tre volte centenaria mostra che pure le istituzioni hanno una loro continuità vitale: un progetto di vita e di servizio che, maturato nel passato, si è arricchito lungo il cammino ed è ora affidato alla generazione presente, affinché lo trasmetta a quelle del futuro. E' così che nella Chiesa le vere tradizioni, quando sono autentiche e portatrici della linfa del Vangelo, lungi dal favorire conservatismi paralizzanti, spingono verso traguardi di nuova vitalità ecclesiale e di rinnovamento creatore. La Chiesa cammina nella storia con gli uomini di tutti i tempi.

2. L'incontro con voi in questo tempo pasquale richiama alla mia mente il capitolo 21 di Giovanni, nel quale l'Evangelista presenta il Cristo risorto a colloquio con Pietro ed alcuni altri Apostoli in una pausa del loro abituale lavoro di pescatori. Erano reduci da una notte di fatica sul lago di Tiberiade. Era stata una pesca infruttuosa. Pietro ed i suoi compagni l'avevano svolta confidando solo nelle loro forze e nelle loro conoscenze di uomini esperti di "cose del mare". Ma quella stessa pesca fu poi eccezionalmente abbondante quando essa fu affrontata poggiando sulla parola di Cristo. Non furono allora le loro conoscenze "tecniche" a riempire la rete di pesci. Quella pesca eccezionalmente abbondante avvenne grazie alla Parola del Maestro, vincitore della morte e, pertanto, vincitore anche della sofferenza, della fame, dell'emarginazione, dell'ignoranza.

3. La nostra è una Chiesa calata nella storia. Cristo la fondò sugli Apostoli, pescatori di uomini (cfr
Mt 4,19), perché ripetesse, attraverso i secoli, le sue azioni e le sue parole salvatrici. Scene come quella descritta nel capitolo 21 di Giovanni si sono ripetute tante volte attraverso i tempi. In quanti frangenti i risultati dell'azione apostolica, anche di quella sviluppata nei fori civili nazionali o internazionali ai quali voi sarete inviati un giorno, sono apparsi magri e quasi vani. Fenomeni come il secolarismo, il consumismo paganizzante e perfino la persecuzione religiosa rendono assai difficile e, alle volte, quasi impossibile l'annuncio di Cristo, che è "la Via, la Verità e la Vita" (Jn 14,6).

Anche questa Accademia forma parte di quell'"incarnazione" della Chiesa che si esprime mediante la sua presenza nel mondo e nelle sue istituzioni civili, nazionali o internazionali. Quanto qui imparate è orientato a far presente la Parola di Dio fino ai confini della terra. Perciò, è una Parola che deve prendere prima possesso delle vostre intelligenze, delle vostre volontà, delle vostre vite. Se il Vangelo non ha affondato le sue radici nella vostra vita personale e comunitaria, la vostra attività potrebbe ridursi ad una nobile professione nella quale con maggiore o minore successo affrontate questioni attinenti la Chiesa o la sua presenza in determinati ambiti umani. Se invece il Vangelo è presente e fortemente radicato nella vostra esistenza, esso tenderà a dare un contenuto ben preciso alla vostra azione nel complesso ambito dei rapporti internazionali. In mezzo ad un mondo percorso da interessi materiali spesso contrastanti, voi dovete essere gli uomini dello spirito alla ricerca della concordia, gli araldi del dialogo, i più convinti e tenaci costruttori della pace. Voi non sarete promotori - né potreste mai esserlo - di alcuna «ragion di stato». La Chiesa, pur presente nel concerto delle nazioni, persegue un solo interesse: farsi eco della Parola di Dio nel mondo a difesa e protezione degli uomini.

4. I valori da sempre difesi dalla diplomazia pontificia si focalizzano principalmente intorno all'esercizio della libertà religiosa e la tutela dei diritti della Chiesa. Tali temi permangono attuali anche ai giorni nostri, e allo stesso tempo l'attenzione del Rappresentante Pontificio si orienta sempre più, specie nei fori internazionali, anche verso altre questioni umane e sociali di grande portata morale. Ciò che oggi soprattutto urge è la difesa dell'uomo e dell'immagine di Dio che è in lui. Siete chiamati a farvi portatori dei valori umani che hanno la loro sorgente nel Vangelo, secondo il quale ogni uomo è un fratello da rispettare ed amare.

Il mondo in cui andrete ad esercitare la vostra missione ha conosciuto, nel corso del ventesimo secolo, innegabili conquiste scientifiche e tecniche. Ma, dal punto di vista etico, esso presenta non pochi aspetti preoccupanti, esposto com'è alla tentazione di manipolare tutto, compreso lo stesso uomo. Nella vostra azione dovrete essere i paladini della dignità dell'uomo, la cui natura, grazie all'incarnazione del Figlio di Dio, è stata innalzata ad una dignità sublime (cfr Gaudium et spes GS 22).

Come Simon Pietro, come Tommaso detto Didimo, Natanaele e i figli di Zebedeo, e gli altri due apostoli spossati da una notte in cui "non avevano preso nulla" (cfr Jn 21,3), anche voi potrete essere presi a volte dallo scoraggiamento. Non abbandonatevi a questa tentazione del Maligno. Avvicinatevi piuttosto a Cristo risorto e gustate e fate gustare in profondità il potere che promana dalla definizione che Egli ha dato di se stesso: "Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine" (Ap 21,6). Sostenuti dalla forza che promana da Lui, anche voi potrete realizzare una pesca abbondante, orientando tanti altri esseri umani nella ricerca del vero e del bene. Vi basterà essere fedeli al Vangelo senza alcuna esitazione: sarà così che offrirete agli altri la possibilità di conoscere l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Cristo (cfr Ep 3,18).

155 5. Nella Lettera che ho scritto a conclusione dell'Anno Santo, mi sono fatto eco della parola di Cristo a Pietro: Duc in altum! Questo invito rivolgo anche a voi, che tra non molto dovrete lasciare Roma per il mondo, l'Urbe per l'Orbe. Il mondo che vi attende è assetato di Dio, anche quando non ne ha consapevolezza riflessa. Evocando l'incontro dell'apostolo Filippo con alcuni greci, io stesso ho scritto che, "come quei pellegrini di duemila anni fa, gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di «parlare» di Cristo, ma in certo senso di farlo loro «vedere»" (Novo millennio ineunte NM 16).

Altri dovranno far «vedere» Cristo in una parrocchia o in mezzo ad un gruppo giovanile, in un quartiere industriale o tra gli emarginati della società. Voi lo dovete «mostrare» nei contatti con gli ambienti politici e diplomatici; ciò otterrete attraverso la testimonianza della vita prima ancora che attraverso la forza degli argomenti giuridici o diplomatici. Sarete efficaci nella misura in cui chi vi avvicinerà avrà la sensazione di incontrare nella vostra parola, nei vostri atteggiamenti, nella vostra vita la presenza liberante del Cristo risorto.

Percorrerete nel futuro le strade del mondo: sentitevi sempre al servizio del Successore di Pietro e in dialogo creativo con i Pastori delle Chiese particolari dei Paesi ove sarete inviati a svolgere la vostra missione. Portate Cristo con voi. Maria vi aiuti a viverne intensamente i pensieri ed i sentimenti (cfr Ph 2,5-11). La mia affettuosa Benedizione vi accompagni!




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