GP2 Discorsi 2002 14

14 Lodiamo Dio, Creatore e Signore dell'universo, per il dono della vita e specialmente della vita umana, sbocciata sul pianeta per un misterioso disegno della sua bontà. La vita in tutte le sue forme è affidata in maniera speciale alla responsabilità degli uomini.

Con meraviglia ogni giorno rinnovata noi constatiamo la varietà con cui la vita umana si manifesta, a partire dalla polarità femminile e maschile, fino a una molteplicità di doni caratteristici, propri delle diverse culture e tradizioni, che formano un multiforme e poliedrico cosmo linguistico, culturale ed artistico. E' una molteplicità chiamata ad integrarsi nel confronto e nel dialogo per l'arricchimento e la gioia di tutti.

Dio stesso ha posto nel cuore umano un'istintiva spinta a vivere in pace e armonia. E' un anelito più intimo e tenace di qualsiasi istinto di violenza, un anelito che insieme siamo venuti a riaffermare qui, ad Assisi. Lo facciamo nella consapevolezza di interpretare il sentimento più profondo di ogni essere umano.

La storia ha conosciuto e continua a conoscere uomini e donne che, proprio in quanto credenti, si sono distinti come testimoni di pace. Con il loro esempio, essi ci insegnano che è possibile costruire tra gli individui e i popoli ponti per incontrarsi e camminare insieme sulle vie della pace. A loro vogliamo guardare per trarre ispirazione nel nostro impegno a servizio dell'umanità. Essi ci incoraggiano a sperare che, anche nel nuovo millennio da poco iniziato, non mancheranno uomini e donne di pace, capaci di irradiare nel mondo la luce dell'amore e della speranza.

3. La pace! L'umanità ha bisogno della pace sempre, ma ancor più ne ha bisogno ora, dopo i tragici eventi che hanno scosso la sua fiducia e in presenza dei persistenti focolai di laceranti conflitti che tengono in apprensione il mondo. Nel Messaggio del 1°gennaio scorso, ho posto l'accento su due "pilastri" sui quali poggia la pace: l'impegno per la giustizia e la disponibilità al perdono.

Giustizia, in primo luogo, perché non ci può essere pace vera se non nel rispetto della dignità delle persone e dei popoli, dei diritti e dei doveri di ciascuno e nell’equa distribuzione di benefici ed oneri tra individui e collettività. Non si può dimenticare che situazioni di oppressione e di emarginazione sono spesso all’origine delle manifestazioni di violenza e di terrorismo. E poi anche perdono, perché la giustizia umana è esposta alla fragilità e ai limiti degli egoismi individuali e di gruppo. Solo il perdono risana le ferite dei cuori e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati.

Occorre umiltà e coraggio per incamminarsi in questo itinerario. Il contesto dell'odierno incontro, quello cioè del dialogo con Dio, ci offre l'opportunità di riaffermare che in Dio troviamo l’unione eminente della giustizia e della misericordia. Egli è sommamente fedele a se stesso e all'uomo, anche quando l'essere umano si allontana da Lui. Per questo le religioni sono al servizio della pace.Appartiene ad esse, e soprattutto ai loro leaders, il compito di diffondere tra gli uomini del nostro tempo una rinnovata consapevolezza dell'urgenza di costruire la pace.

4. Lo hanno riconosciuto i partecipanti all'Assemblea Interreligiosa tenutasi in Vaticano nell'ottobre 1999, affermando che le tradizioni religiose posseggono le risorse necessarie per superare le frammentazioni e per favorire la reciproca amicizia e il rispetto tra i popoli. In quella occasione fu pure riconosciuto che tragici conflitti sono spesso derivati dall'ingiusta associazione della religione con interessi nazionalistici, politici, economici o di altro genere. Ancora una volta noi, insieme qui riuniti, affermiamo che chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l'ispirazione più autentica e profonda.

E' doveroso, pertanto, che le persone e le comunità religiose manifestino il più netto e radicale ripudio della violenza, di ogni violenza, a partire da quella che pretende di ammantarsi di religiosità, facendo addirittura appello al nome sacrosanto di Dio per offendere l'uomo. L'offesa dell'uomo è, in definitiva, offesa di Dio.Non v’è finalità religiosa che possa giustificare la pratica della violenza dell'uomo sull'uomo.

5. Mi rivolgo ora in modo particolare a voi, Fratelli e Sorelle cristiani. Il nostro Maestro e Signore Gesù Cristo ci chiama a essere apostoli di pace. Egli ha fatto sua la regola d'oro nota alla sapienza antica: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (
Mt 7,12 cfr Lc 6,31) ed il comandamento di Dio a Mosè: "Ama il prossimo tuo come te stesso" (cfr Lv 19,18 paralleli), portandoli a compimento nel comandamento nuovo: "Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi" (Jn 13,34).

Con la morte sul Golgota ha impresso nella sua carne le stigmate della divina passione per l'umanità. Testimone del disegno d’amore del Padre celeste, è diventato "nostra pace. Colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia" (Ep 2,14).

15 Con Francesco, il Santo che ha respirato l'aria di questi colli e percorso queste contrade, fissiamo lo sguardo sul mistero della Croce, albero di salvezza irrorato dal sangue redentore di Cristo. Dal mistero della Croce fu segnata l'esistenza del Poverello, di santa Chiara e di innumerevoli altri santi e martiri cristiani. Il loro segreto fu proprio questo segno vittorioso dell'amore sull'odio, del perdono sulla vendetta, del bene sul male. Sulle loro orme siamo invitati ad avanzare, perché la pace di Cristo diventi anelito incessante della vita del mondo.

6. Se la pace è dono di Dio ed ha in Lui la sua sorgente, dove è possibile cercarla e come possiamo costruirla se non in un rapporto intimo e profondo con Lui? Edificare la pace nell'ordine, nella giustizia e nella libertà richiede, pertanto, l'impegno prioritario della preghiera, che è apertura, ascolto, dialogo e ultimamente unione con Dio, fonte originaria della pace vera.

Pregare non significa evadere dalla storiae dai problemi che essa presenta. Al contrario, è scegliere di affrontare la realtà non da soli, ma con la forza che viene dall'Alto, la forza della verità e dell'amore la cui ultima sorgente è in Dio. L'uomo religioso, di fronte alle insidie del male, sa di poter contare su Dio, assoluta volontà di bene; sa di poterLo pregare per ottenere il coraggio di affrontare le difficoltà, anche le più dure, con personale responsabilità, senza cedere a fatalismi o a reazioni impulsive.

7. Fratelli e Sorelle qui convenuti da varie parti del mondo! Tra poco ci recheremo nei luoghi previsti per invocare da Dio il dono della pace per l'intera umanità. Chiediamo che ci sia dato di riconoscere la via della pace, dei giusti rapporti con Dio e fra di noi. Chiediamo a Dio di aprire i cuori alla verità su di Lui e sull'uomo. Unico è lo scopo e medesima è l'intenzione, ma pregheremo secondo forme diverse, rispettando le altrui tradizioni religiose. Anche in questo, in fondo, c'è un messaggio: vogliamo mostrare al mondo che lo slancio sincero della preghiera non spinge alla contrapposizione e meno ancora al disprezzo dell’altro, ma piuttosto ad un costruttivo dialogo, nel quale ciascuno, senza indulgere in alcun modo al relativismo né al sincretismo, prende anzi più viva coscienza del dovere della testimonianza e dell’annuncio.

E’ ora di superare decisamente quelle tentazioni di ostilità che non sono mancate nella storia anche religiosa dell’umanità. In realtà, quando esse si richiamano alla religione, ne esprimono un volto profondamente immaturo. Il genuino sentimento religioso infatti conduce a percepire in qualche modo il mistero di Dio, fonte della bontà, e ciò costituisce una sorgente di rispetto e di armonia tra i popoli: in esso, anzi, risiede il principale antidoto contro la violenza e i conflitti (cfr Messaggio, n.14).

E Assisi oggi, come il 27 ottobre del 1986, diventa nuovamente il “cuore” di una folla innumerevole che invoca la pace. A noi si uniscono tante persone, che da ieri e fino a stasera, nei luoghi di culto, nelle case, nelle comunità, nel mondo intero, pregano per la pace. Sono anziani, bambini, adulti e giovani: un popolo che non si stanca di credere nella forza della preghiera per ottenere la pace.

La pace abiti specialmente nell'animo delle nuove generazioni. Giovani del terzo millennio, giovani cristiani, giovani di tutte le religioni, chiedo a voi di essere, come Francesco d'Assisi, "sentinelle" docili e coraggiose della pace vera, fondata nella giustizia e nel perdono, nella verità e nella misericordia!

Avanzate verso il futuro tenendo alta la fiaccola della pace. Della sua luce ha bisogno il mondo!

Ha parlato l'uomo. Hanno parlato diversi uomini qui presenti. Ha parlato anche il vento, un vento forte. Dice la Scrittura: "Spiritus flat ubi vult". Voglia oggi questo Spirito Santo parlare ai cuori di noi tutti qui presenti. Egli è simboleggiato da quel vento che accompagnava le parole umane ascoltate da noi tutti. Grazie.

AGAPE FRATERNA CON I MEMBRI DELLE DELEGAZIONI

CHE HANNO PARTECIPATO ALLA "GIORNATA DI PREGHIERA

PER LA PACE NEL MONDO" AD ASSISI

PAROLE DI SALUTO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Venerdì, 25 gennaio 2002




Illustri Ospiti,
cari Amici!

16 Quanto accaduto ieri ad Assisi rimarrà a lungo nei nostri cuori e, lo speriamo, avrà un’eco profonda tra i popoli del mondo. Desidero ringraziare ciascuno di voi per la generosità con la quale avete risposto al mio invito. Mi rendo conto che per voi arrivare sin qui ha significato un grande sforzo. Vi ringrazio soprattutto per la vostra volontà di operare per la pace e per il coraggio di dichiarare di fronte al mondo che violenza e religione non possono mai camminare insieme.

Dalle colline dell’Umbria siamo giunti ai colli di Roma, e con grande gioia vi do il benvenuto in questa che è la mia abitazione. La porta di questa casa è aperta a tutti, e voi vi sedete a questa mensa non come stranieri, ma come amici. Ieri ci siamo raccolti all’ombra di san Francesco. Qui siamo riuniti all’ombra del pescatore, Pietro. Assisi e Roma, Francesco e Pietro: i luoghi e le persone sono diversi. Ma ambedue erano latori del messaggio di pace cantato dagli Angeli a Betlemme: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama!

Con tutte le nostre diversità, noi sediamo a questa tavola, uniti nell’impegno per la causa della pace. Tale impegno, scaturito da sincera religiosità, è sicuramente ciò che Dio si attende da noi. È quanto il mondo cerca nelle persone religiose. Questo impegno è la speranza che possiamo offrire in questo speciale momento. Dio ci conceda di essere umili ed efficaci strumenti della sua pace.

Benedica noi e questo cibo che ci viene dalla provvida bontà della terra da Lui creata. Amen.


AI PARTECIPANTI AL PELLEGRINAGGIO


DELLA DIOCESI DI ORIA


Sabato, 26 gennaio 2002




Venerato Fratello nell'Episcopato,
Carissimi Sacerdoti, Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di rivolgere a ciascuno un cordiale benvenuto. Con l'odierno pellegrinaggio, voi intendete prepararvi alla Visita Pastorale, che il Vescovo si appresta a compiere alla Diocesi. Vi ringrazio per questa festosa presenza, che realizza il vostro desiderio di "vedere Pietro".

Saluto anzitutto il vostro Pastore, Monsignor Marcello Semeraro, che nella recente Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi ha svolto il compito di Segretario speciale, offrendo un prezioso contributo a quell'importante assise. Gli sono molto grato per le affettuose parole, che ha voluto poc'anzi indirizzarmi a nome di tutti. Saluto i sacerdoti, i religiosi, le religiose, i laici attivamente impegnati nelle attività apostoliche, i bambini, i giovani e le famiglie presenti.

Rivolgo, altresì, il mio deferente pensiero alle Autorità civili e militari, che hanno voluto partecipare a quest'incontro.

2. La Visita Pastorale, prassi ecclesiale iniziata con il Concilio di Trento, rappresenta, come ebbe a dire il mio predecessore il Servo di Dio Paolo VI, "una ricerca di anime bisognose di sapersi amate e guidate; una ricerca della Chiesa affinché davvero sia Chiesa" (Insegnamenti di Paolo VI, vol. V, p. 155).

17 Sono certo che anche per voi, carissimi Fratelli e Sorelle, la visita del vostro Pastore costituirà un'intensa opportunità d'incontrare Cristo e di ascoltarne la voce. Il Signore vi ha colmato di innumerevoli doni di grazia e di santità, e chiama tutti a un rinnovato impegno di fedeltà evangelica. Egli vi invita a "prendere il largo" verso nuove frontiere apostoliche, seguendo l'esempi del beato Bartolo Longo, esimio figlio della vostra Terra, devotissimo alla Madre di Dio, a cui dedicò il Santuario di Pompei.

3. Auspico di cuore che da questo provvidenziale evento scaturisca un vigoroso slancio missionario specialmente per le parrocchie, dove la comunione ecclesiale trova la sua più immediata e visibile espressione. In esse, infatti, è "la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie" (Christifideles laici
CL 26).

Possa ogni comunità parrocchiale essere luogo privilegiato dell'ascolto e dell'annuncio della Parola; casa di preghiera raccolta attorno all'Eucaristia; vera scuola della comunione, in cui l'ardore della carità, vinca la tentazione di una religiosità epidermica e folcloristica, e costituisca un ambiente atto ad educare i fedeli a quella misura alta della vita cristiana ordinaria che è la santità (cfr Novo millennio ineunte NM 31). Così stimolati, i credenti non si accontenteranno di un'esistenza vissuta all'insegna della mediocrità e del minimalismo etico, ma assumeranno piuttosto una più forte consapevolezza degli impegni del Battesimo.

Quando cresce la tensione alla santità, si supera ogni stanchezza e delusione, si irrobustisce la "fantasia della carità" e matura l'attenzione verso quanti sono afflitti da antiche e nuove povertà. Il cristiano impegnato avverte il bisogno di affrontare con coraggio e competenza i gravi problemi sociali e culturali del momento presente ed è pronto ad accettare le sfide poste dall'ambiente in cui vive, offrendo un personale apporto per far sì che cresca la qualità della convivenza civile.

4. Nell'impegno, che deve caratterizzare la vostra azione apostolica, carissimi Fratelli e Sorelle, riservate singolare attenzione alla famiglia, cellula primaria della società e roccaforte per il futuro dell'umanità, reagendo con fermezza a talune gravi pressioni culturali che offendono e relativizzano il valore del matrimonio.

E' in famiglie cristiane che più facilmente sbocciano vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata. Iddio benedica la Diocesi di Oria con un'abbondante fioritura vocazionale, affinché non le vengano a mancare ministri e apostoli di Cristo, totalmente dediti alla costruzione del Regno.

5. Prego il Signore perché la Visita Pastorale del vostro Vescovo costituisca un tempo di grazia singolare, aiutando tutti i credenti a crescere nell'ascolto di Dio e nella comunione fraterna. Così vissuta, essa ridesterà nei sacerdoti e nei diaconi un più vivo zelo apostolico. Per le persone consacrate sarà stimolo a una più intensa testimonianza evangelica. Sarà incoraggiamento per i fedeli laici - particolarmente per quelli impegnati nelle diverse aggregazioni laicali, come le Confraternite, le Associazioni e i nuovi Movimenti ecclesiali - a camminare in piena sintonia con le direttive dei parroci e del Vescovo. Sarà per l'intera Comunità diocesana occasione di reciproca edificazione.

Vi accompagnino, carissimi Fratelli e Sorelle, i vostri celesti protettori; vi sostenga, in particolare, la protezione materna della Vergine Maria, venerata con speciali titoli in diverse chiese e santuari della vostra Diocesi. Nell'assicurarvi il sostegno della mia preghiera, imparto con affetto al Vescovo e all'intera e cara Chiesa di Oria una speciale Benedizione Apostolica.


AI PRELATI UDITORI, OFFICIALI E AVVOCATI


DEL TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA,


IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE


DELL’ANNO GIUDIZIARIO


Lunedì, 28 gennaio 2002




1. Ringrazio vivamente Mons. Decano, che, bene interpretando i vostri sentimenti e le vostre preoccupazioni, con brevi osservazioni e dati in cifre ha sottolineato il vostro quotidiano lavoro e le gravi e complesse questioni, oggetto dei vostri giudizi.

La solenne inaugurazione dell'anno giudiziario mi offre la gradita occasione di un cordiale incontro con quanti operano nel Tribunale della Rota Romana - Prelati Uditori, Promotori di Giustizia, Difensori del Vincolo, Officiali e Avvocati - per manifestare loro il mio grato apprezzamento, la mia stima ed il mio incoraggiamento. L'amministrazione della giustizia all'interno della comunità cristiana è servizio prezioso, perché costituisce la premessa indispensabile per un'autentica carità.

18 La vostra attività giudiziaria, come ha sottolineato Mons. Decano, riguarda soprattutto cause di nullità del matrimonio. In questa materia, insieme agli altri tribunali ecclesiastici e con una funzione specialissima tra di essi, da me sottolineata nella Pastor Bonus (cfr art. 126), costituite una manifestazione istituzionale specifica della sollecitudine della Chiesa nel giudicare, secondo verità e giustizia, la delicata questione concernente la stessa esistenza o meno di un matrimonio. Tale compito dei tribunali nella Chiesa s'inserisce, quale contributo imprescindibile, nel contesto dell'intera pastorale matrimoniale e familiare. Proprio l'ottica della pastoralità richiede un costante sforzo di approfondimento della verità sul matrimonio e sulla famiglia, anche come condizione necessaria per l'amministrazione della giustizia in questo campo.

2. Le proprietà essenziali del matrimonio - l'unità e l'indissolubilità (cfr CIC, can.
CIC 1056 CCEO, can. 776 § 3) - offrono l'opportunità per una proficua riflessione sullo stesso matrimonio. Perciò oggi, riallacciandomi a quanto ebbi modo di trattare nel mio discorso dell'anno scorso circa l'indissolubilità (cfr AAS, 92 [2000], PP 350-355), desidero considerare l'indissolubilità quale bene per gli sposi, per i figli, per la Chiesa e per l'intera umanità.

E' importante la presentazione positiva dell'unione indissolubile, per riscoprirne il bene e la bellezza. Anzitutto, bisogna superare la visione dell'indissolubilità come di un limite alla libertà dei contraenti, e pertanto come di un peso, che talora può diventare insopportabile. L'indissolubilità, in questa concezione, è vista come legge estrinseca al matrimonio, come "imposizione" di una norma contro le "legittime" aspettative di un'ulteriore realizzazione della persona. A ciò s'aggiunge l'idea abbastanza diffusa, secondo cui il matrimonio indissolubile sarebbe proprio dei credenti, per cui essi non possono pretendere di "imporlo" alla società civile nel suo insieme.

3. Per dare una valida ed esauriente risposta a questo problema occorre partire dalla parola di Dio.Penso concretamente al brano del Vangelo di Matteo che riporta il dialogo di Gesù con alcuni farisei, e poi con i suoi discepoli, circa il divorzio (cfr Mt 19,3-12). Gesù supera radicalmente le discussioni di allora sui motivi che potevano autorizzare il divorzio affermando: "Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così" (Mt 19,8).

Secondo l'insegnamento di Gesù, è Dio che ha congiunto nel vincolo coniugale l'uomo e la donna. Certamente tale unione ha luogo attraverso il libero consenso di entrambi, ma tale consenso umano verte su di un disegno che è divino. In altre parole, è la dimensione naturale dell'unione, e più concretamente la natura dell'uomo plasmata da Dio stesso, a fornire l'indispensabile chiave di lettura delle proprietà essenziali del matrimonio. Il loro rafforzamento ulteriore nel matrimonio cristiano attraverso il sacramento (cfr can. 1056) poggia su un fondamento di diritto naturale, tolto il quale diventerebbe incomprensibile la stessa opera salvifica e l'elevazione che Cristo ha operato una volta per sempre nei riguardi della realtà coniugale.

4. A questo disegno divino naturale si sono conformati innumerevoli uomini e donne di tutti i tempi e luoghi, anche prima della venuta del Salvatore, e vi si conformano dopo la sua venuta tanti altri, anche senza conoscerlo. La loro libertà si apre al dono di Dio, sia al momento di sposarsi sia durante tutto l'arco della vita coniugale. Sempre sussiste, tuttavia, la possibilità di ribellarsi contro quel disegno d'amore: si ripresenta allora quella "durezza del cuore" (cfr Mt 19,8) per la quale Mosè permise il ripudio, ma che Cristo ha definitivamente vinto. A tali situazioni bisogna rispondere con l'umile coraggio della fede, di una fede che sostiene e corrobora la stessa ragione, per metterla in grado di dialogare con tutti alla ricerca del vero bene della persona umana e della società. Considerare l'indissolubilità non come una norma giuridica naturale, ma come un semplice ideale, svuota il senso dell'inequivocabile dichiarazione di Gesù Cristo, che ha rifiutato assolutamente il divorzio perché "da principio non fu così" (Mt 19,8).

Il matrimonio «è» indissolubile: questa proprietà esprime una dimensione del suo stesso essere oggettivo, non è un mero fatto soggettivo. Di conseguenza, il bene dell'indissolubilità è il bene dello stesso matrimonio; e l'incomprensione dell'indole indissolubile costituisce l'incomprensione del matrimonio nella sua essenza. Ne consegue che il «peso» dell'indissolubilità ed i limiti che essa comporta per la libertà umana non sono altro che il rovescio, per così dire, della medaglia nei confronti del bene e delle potenzialità insite nell'istituto matrimoniale come tale. In questa prospettiva, non ha senso parlare di «imposizione» da parte della legge umana, poiché questa deve riflettere e tutelare la legge naturale e divina, che è sempre verità liberatrice (cfr Jn 8,32).

5. Questa verità sull'indissolubilità del matrimonio, come tutto il messaggio cristiano, è destinata agli uomini e alle donne di ogni tempo e luogo. Affinché ciò si realizzi, è necessario che tale verità sia testimoniata dalla Chiesa e, in particolare, dalle singole famiglie come "chiese domestiche", nelle quali marito e moglie si riconoscono mutuamente vincolati per sempre, con un legame che esige un amore sempre rinnovato, generoso e pronto al sacrificio.

Non ci si può arrendere alla mentalità divorzistica: lo impedisce la fiducia nei doni naturali e soprannaturali di Dio all'uomo. L'attività pastorale deve sostenere e promuovere l'indissolubilità. Gli aspetti dottrinali vanno trasmessi, chiariti e difesi, ma ancor più importanti sono le azioni coerenti. Quando una coppia attraversa delle difficoltà, la comprensione dei Pastori e degli altri fedeli deve essere unita alla chiarezza e alla fortezza nel ricordare che l'amore coniugale è la via per risolvere positivamente la crisi. Proprio perché Dio li ha uniti mediante un legame indissolubile, marito e moglie, impiegando tutte le loro risorse umane con buona volontà, ma soprattutto fidandosi dell'aiuto della grazia divina, possono e devono uscire rinnovati e fortificati dai momenti di smarrimento.

6. Quando si considera il ruolo del diritto nelle crisi matrimoniali, troppo sovente si pensa quasi esclusivamente ai processi che sanciscono la nullità matrimoniale oppure lo scioglimento del vincolo. Tale mentalità si estende talvolta anche al diritto canonico, che appare così come la via per trovare soluzioni di coscienza ai problemi matrimoniali dei fedeli. Ciò ha una sua verità, ma queste eventuali soluzioni devono essere esaminate in modo che l'indissolubilità del vincolo, qualora questo risultasse validamente contratto, continui ad essere salvaguardata. L'atteggiamento della Chiesa è, anzi, favorevole a convalidare, se è possibile, i matrimoni nulli (cfr CIC, can. CIC 1676 CCEO, can. 1362). E' vero che la dichiarazione di nullità matrimoniale, secondo la verità acquisita tramite il legittimo processo, riporta la pace alle coscienze, ma tale dichiarazione - e lo stesso vale per lo scioglimento del matrimonio rato e non consumato e per il privilegio della fede - deve essere presentata ed attuata in un contesto ecclesiale profondamente a favore del matrimonio indissolubile e della famiglia su di esso fondata. Gli stessi coniugi devono essere i primi a comprendere che solo nella leale ricerca della verità si trova il loro vero bene, senza escludere a priori la possibile convalidazione di un'unione che, pur non essendo ancora matrimoniale, contiene elementi di bene, per loro e per i figli, che vanno attentamente valutati in coscienza prima di prendere una diversa decisione.

7. L'attività giudiziaria della Chiesa, che nella sua specificità è anch'essa attività veramente pastorale, s'ispira al principio dell'indissolubilità del matrimonio e tende a garantirne l'effettività nel Popolo di Dio. In effetti, senza i processi e le sentenze dei tribunali ecclesiastici, la questione sull'esistenza o meno di un matrimonio indissolubile dei fedeli verrebbe relegata alla sola coscienza dei medesimi, con il rischio evidente di soggettivismo, specialmente quando nella società civile vi è una profonda crisi circa l'istituto del matrimonio.

19 Ogni sentenza giusta di validità o nullità del matrimonio è un apporto alla cultura dell'indissolubilità sia nella Chiesa che nel mondo. Si tratta di un contributo assai rilevante e necessario: infatti, esso si situa su un piano immediatamente pratico, dando certezza non solo alle singole persone coinvolte, ma anche a tutti i matrimoni e alle famiglie. Di conseguenza, l'ingiustizia di una dichiarazione di nullità, opposta alla verità dei principi normativi o dei fatti, riveste particolare gravità, poiché il suo legame ufficiale con la Chiesa favorisce la diffusione di atteggiamenti in cui l'indissolubilità viene sostenuta a parole ma oscurata nella vita.

Talvolta, in questi anni, si è avversato il tradizionale «favor matrimonii», in nome di un «favor libertatis» o «favor personae». In questa dialettica è ovvio che il tema di fondo è quello dell'indissolubilità, ma l'antitesi è ancor più radicale in quanto concerne la stessa verità sul matrimonio, più o meno apertamente relativizzata. Contro la verità di un vincolo coniugale non è corretto invocare la libertà dei contraenti che, nell'assumerlo liberamente, si sono impegnati a rispettare le esigenze oggettive della realtà matrimoniale, la quale non può essere alterata dalla libertà umana. L'attività giudiziaria deve dunque ispirarsi ad un «favor indissolubilitatis», il quale ovviamente non significa pregiudizio contro le giuste dichiarazioni di nullità, ma la convinzione operativa sul bene in gioco nei processi, unitamente all'ottimismo sempre rinnovato che proviene dall'indole naturale del matrimonio e dal sostegno del Signore agli sposi.

8. La Chiesa ed ogni cristiano devono essere luce del mondo: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (
Mt 5,16). Queste parole di Gesù trovano oggi un'applicazione singolare riguardo al matrimonio indissolubile. Potrebbe quasi sembrare che il divorzio sia talmente radicato in certi ambienti sociali, che quasi non valga la pena di continuare a combatterlo, diffondendo una mentalità, un costume sociale ed una legislazione civile a favore dell'indissolubilità. Eppure ne vale la pena! In realtà questo bene si colloca proprio alla base dell'intera società, quale condizione necessaria dell'esistenza della famiglia. Pertanto la sua assenza ha conseguenze devastanti, che si propagano nel corpo sociale come una piaga - secondo il termine usato dal Concilio Vaticano II per descrivere il divorzio (cfr Gaudium et spes GS 47) -, e influiscono negativamente sulle nuove generazioni dinanzi alle quali viene offuscata la bellezza del vero matrimonio.

9. L'essenziale testimonianza sul valore dell'indissolubilità è resa mediante la vita matrimoniale dei coniugi, nella fedeltà al loro vincolo attraverso le gioie e le prove della vita. Il valore dell'indissolubilità non può però essere ritenuto l'oggetto di una mera scelta privata: esso riguarda uno dei capisaldi dell'intera società. E pertanto, mentre sono da incoraggiare le tante iniziative che i cristiani con altre persone di buona volontà promuovono per il bene delle famiglie (ad esempio, la celebrazioni degli anniversari delle nozze), si deve evitare il rischio del permissivismo in questioni di fondo concernenti l'essenza del matrimonio e della famiglia (cfr Lettera alle famiglie LF 17).

Fra tali iniziative non possono mancare quelle rivolte al riconoscimento pubblico del matrimonio indissolubile negli ordinamenti giuridici civili (cfr ibid., n. 17). All'opposizione decisa a tutte le misure legali e amministrative che introducano il divorzio o che equiparino al matrimonio le unioni di fatto, perfino quelle omosessuali, si deve accompagnare un atteggiamento propositivo, mediante provvedimenti giuridici tendenti a migliorare il riconoscimento sociale del vero matrimonio nell'ambito degli ordinamenti che purtroppo ammettono il divorzio.

D'altra parte, gli operatori del diritto in campo civile devono evitare di essere personalmente coinvolti in quanto possa implicare una cooperazione al divorzio. Per i giudici ciò può risultare difficile, poiché gli ordinamenti non riconoscono un'obiezione di coscienza per esimerli dal sentenziare. Per gravi e proporzionati motivi essi possono pertanto agire secondo i principi tradizionali della cooperazione materiale al male. Ma anch'essi devono trovare mezzi efficaci per favorire le unioni matrimoniali, soprattutto mediante un'opera di conciliazione saggiamente condotta.

Gli avvocati, come liberi professionisti, devono sempre declinare l'uso della loro professione per una finalità contraria alla giustizia com'è il divorzio; soltanto possono collaborare ad un'azione in tal senso quando essa, nell'intenzione del cliente, non sia indirizzata alla rottura del matrimonio, bensì ad altri effetti legittimi che solo mediante tale via giudiziaria si possono ottenere in un determinato ordinamento (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica CEC 2383). In questo modo, con la loro opera di aiuto e pacificazione delle persone che attraversano crisi matrimoniali, gli avvocati servono davvero i diritti delle persone, ed evitano di diventare dei meri tecnici al servizio di qualunque interesse.

10. All'intercessione di Maria, Regina della famiglia e Specchio di giustizia, affido la crescita della consapevolezza di tutti circa il bene dell'indissolubilità del matrimonio. A Lei affido, altresì, l'impegno della Chiesa e dei suoi figli, insieme con quello di molte altre persone di buona volontà, in questa causa tanto decisiva per l'avvenire dell'umanità.

Con questi voti, nell'invocare l'assistenza divina sulla vostra attività, cari Prelati Uditori, Officiali ed Avvocati della Rota Romana, a tutti imparto con affetto la mia Benedizione.


AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DI TAIWAN IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"


Martedì 29 gennaio 2002


Caro Cardinale Shan,
20 Cari Fratelli Vescovi,

1. È con grande gioia che vi accolgo, Vescovi di Taiwan, in occasione della vostra visita ad Limina Apostolorum, una visita che esprime e rafforza i vincoli di comunione ecclesiale che uniscono i Pastori delle Chiese particolari al Successore di Pietro nel servizio del Vangelo di Gesù Cristo.

Mentre pregate sulle tombe degli Apostoli e riflettete sul vostro ministero alla luce del loro insegnamento e del loro esempio, prego con fervore affinché riceviate nuova ispirazione e forza per la vostra opera nell'edificazione del Corpo di Cristo, la Chiesa, nelle vostre diocesi. Penso con affetto ai fedeli cattolici di Taiwan e chiedo al nostro Padre celeste di insegnare loro a conoscere ancor meglio la "grandezza della sua potenza verso di noi credenti" (
Ep 1,19).

2. Il Grande Giubileo dell'Anno 2000 è stato un evento gioioso per tutta la Chiesa, mentre abbiamo ponderato con rinnovato stupore le opere della grazia di Dio e la sua capacità di conseguire molto più di quanto possiamo pretendere o immaginare (cfr Ep 3,21-22). Nel corso del Giubileo numerose persone sono giunte in pellegrinaggio a Roma o in altri luoghi sacri per rinnovare il loro impegno per Cristo attraverso la preghiera e i Sacramenti, e in particolare per ottenere la sua misericordia, soprattutto nel Sacramento della penitenza. In occasione della chiusura della Porta Santa, ho affermato: "Il cristianesimo nasce, e continuamente si rigenera a partire da questa contemplazione della gloria di Dio che rifulge sul volto di Cristo" (Omelia in occasione della chiusura della Porta Santa, 6 gennaio 2001, n. 6). Ho espresso la speranza che tutta la comunità cristiana avrebbe ricominciato da questa contemplazione di Cristo con nuovo entusiasmo e un nuovo impegno a ricercare la santità per testimoniare il suo amore "vivendo una vita cristiana, caratterizzata dalla comunione, dalla carità e dalla testimonianza di fronte al mondo" (cfr n. 8).

Questo è un compito che ho affidato alla sollecitudine delle Chiese particolari nella Lettera Apostolica Novo Millennio ineunte, quale modo di edificare partendo da quanto il Giubileo ha prodotto nella vita degli individui e nelle comunità.

Lo scorso anno, la comunità cattolica a Taiwan ha assunto questa missione riflettendo sul tema: "Nuovo secolo, nuova evangelizzazione", allo scopo di contribuire con iniziative concrete al rinnovamento della vita ecclesiale nelle vostre diocesi. Ora è tempo di ricominciare con fiducia nel Signore e di mettere in pratica i propositi per affrontare le sfide del nuovo millennio.

3. Le vostre iniziative recheranno frutti se rispecchieranno le due dimensioni necessarie in tutte le attività della Chiesa: la dimensione ad intra e la dimensione ad extra.Ad intra: uno spirito di preghiera e contemplazione, vitale alla vita cristiana, deve essere il tratto distintivo di tutto quanto diciamo e facciamo: "Nulla uguaglia la preghiera, perché essa rende possibile ciò che è impossibile, facile ciò che è difficile" (san Giovanni Crisostomo, De Anna, 4, 5). Ad extra: il dovere di annunciare Cristo, certi che la diffusione del Vangelo sia "il primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità nel mondo odierno" (Redemptoris missio RMi 2). Le due dimensioni sono inseparabili perché la spiritualità manifesta la propria autenticità nel proclamare e nel testimoniare Cristo, mentre l'attività missionaria può produrre risultati positivi solo se radicata in una comunione intima con Dio: senza preghiera, la nostra evangelizzazione sarebbe vana, senza missione la comunità cristiana perderebbe il suo sapore e il suo aroma.

Di fronte alle difficoltà della vita di fede oggi, i Pastori potrebbero avere la tentazione di assumere un atteggiamento di rassegnazione e di dire come l'Apostolo Pietro: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla" (Lc 5,5). Tuttavia, anche quando non vediamo i risultati dei nostri sforzi pastorali, non dobbiamo scoraggiarci: piantiamo e innaffiamo, ma è Dio che permette la crescita (cfr 1Co 3,6). Il Signore Gesù ci invita costantemente a vincere la paura e a "calare le reti per la pesca" (Lc 5,4). Convinti che Gesù Cristo, la Via, la Verità e la Vita (cfr Jn 14,6), sia la Buona Novella per gli uomini e per le donne di ogni tempo e luogo nella loro ricerca del significato della vita e della verità della propria umanità (cfr Ecclesia in Asia, n. 14), non dovremmo mai aver paura di annunciare la verità piena su di Lui, in tutta la sua difficile realtà. La Buona Novella possiede la forza intrinseca di attrarre le persone.

4. Nel corso della Recente Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi la figura di Cristo il Buon Pastore è emersa come una "icona" del ministero episcopale, il modello al quale dobbiamo conformarci ancor più strettamente. In quanto Pastori del Popolo di Dio a Taiwan, rappresentate Cristo nelle vostre Chiese particolari, poiché da Lui ricevete la missione e il potere sacro di agire in persona Christi capitis e di insegnare e governare con autorità in suo nome. Ciò esige un'intimità profonda e orante con il Signore cosicché assumendo la forma di Cristo servo (cfr Fil Ph 2,7) potrete operare con umiltà, generosità e impegno per il bene dei fedeli affidati alla vostra sollecitudine pastorale. Nello svolgimento del suo primo e principale compito, ossia la cura delle anime, cura animarum, il Vescovo deve stare vicino alle persone e conoscerle per promuovere quanto è buono e positivo, sostenere e guidare quanti sono deboli nella fede (cfr Rm 14,1) e, se necessario, intervenire smascherando falsità e correggendo abusi (cfr Omelia in occasione della chiusura della X Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi,27 ottobre 2001, n. 4). La vostra è soprattutto una missione di speranza perché sapete che la vera soluzione ai problemi complicati che affliggono l'umanità è la ricezione del messaggio salvifico del Vangelo. Per questo motivo, la vostra programmazione pastorale per i primi anni del nuovo millennio dovrebbe mirare soprattutto a permettere all'annuncio di Cristo "di raggiungere le persone, plasmare le comunità, incidere in profondità mediante la testimonianza dei valori evangelici nella società e nella cultura" (Novo Millennio ineunte NM 29).

5. Di certo, non operate da soli. La missione appartiene a tutto il popolo di Dio. I vostri sacerdoti sono i vostri più stretti collaboratori nell'opera di evangelizzazione, e, se deve questa avere un esito positivo, dovete fare tutto il possibile per promuovere nelle vostre diocesi stretti vincoli di fraternità sacerdotale e il senso di un obiettivo comune. La vita devota e dedicata dei sacerdoti, in contatto diretto sia con i cristiani sia con i non cristiani, nelle parrocchie e nei vari luoghi dove esercitano il loro ministero pastorale, è la misura della vitalità di ogni comunità. Il rispetto tradizionale per gli aspetti dello spirito, tipico della cultura asiatica, offre loro una ragione in più per essere uomini di preghiera, veramente esperti delle vie di Dio, desiderosi di condividere con gli altri l'amore di Dio che hanno sperimentato nella propria vita. In tal modo, saranno in grado di rispondere alla fame di Dio della società moderna e di penetrare più profondamente nelle speranze e nelle necessità di quanti sono loro affidati.

Riconoscete chiaramente che è necessario compiere costantemente sforzi nuovi per presentare l'ideale della vita sacerdotale quale scelta valida per tutti i giovani uomini che acquisiscono una conoscenza profonda del Signore. Ho fiducia nel fatto che il vostro popolo vi sosterrà quando gli chiederete di pregare più intensamente per le vocazioni e quando gli spiegherete quale grande grazia e quale grande privilegio rappresentano per una famiglia che un proprio membro sia chiamato da Dio alla vita sacerdotale o a quella consacrata.

21 6. Desidero esprimere gratitudine, apprezzamento e incoraggiamento agli uomini e alle donne che appartengono ai numerosi Istituti di vita consacrata a Taiwan.

I consacrati, uomini e donne, offrono un contributo unico all'opera di evangelizzazione, vivendo la propria consacrazione mediante la preghiera e l'apostolato secondo il carisma di ogni Istituto. Mediante la loro condizione di vita, che implica il dono totale di sé a Dio, amato sopra ogni cosa, e che esorta a una consacrazione più intima al suo servizio, testimoniano e proclamano nella Chiesa la gloria del mondo che verrà (cfr Codice di Diritto Canonico, canone 573) e testimoniano la nuova creazione, inaugurata da Cristo e resa possibile in noi per grazia e potere dello Spirito Santo.

Attraverso la loro generosa dedizione alle opere sociali e caritative, all'istruzione e alla sanità, essi sono stati e continuano a essere una grande fonte spirituale per la vita delle vostre Chiese particolari.

Incoraggerete gli uomini e le donne consacrati a essere in prima linea nell'apostolato di preghiera, che è il segreto di un cristianesimo realmente vitale (cfr Novo Millennio ineunte
NM 32). Oggi, è diffusa la domanda di spiritualità autentica, che si esprime in gran parte come rinnovato bisogno di preghiera.

Ciò avviene soprattutto nelle società come la vostra che da una parte possiedono un ricco patrimonio di tradizione spirituale e dall'altra sono minacciate dal materialismo e dall'individualismo.

Per questo motivo, gli uomini e le donne che conducono vita contemplativa non dovrebbero solo coltivare attentamente la vita di preghiera alla quale sono chiamati, ma dovrebbero divenire autentici maestri di preghiera per il clero e per i laicato.

7. Nella missione ecclesiale i membri del laicato hanno una specifica responsabilità e una specifica missione: sono chiamati a essere "sale della terra" e "luce del mondo" (cfr Mt 5,13-14). In virtù del loro Battesimo e della loro Confermazione tutti i laici sono missionari ed è nel mondo che sono chiamati a diffondere il Vangelo di Gesù Cristo, nella Chiesa locale a Taiwan il loro ruolo è vitale: sebbene siano pochi, agiscono come lievito della società, trasformandola secondo i valori del Vangelo. Attraverso la loro fede, la loro bontà e il loro servizio amorevole, possono contribuire alla diffusione di una cultura cristiana autentica, caratterizzata dal rispetto per la vita a ogni stadio, da una vibrante vita familiare, dalla sollecitudine per i malati e gli anziani, dall'armonia, dalla cooperazione e dalla solidarietà fra tutti i settori della società, dal rispetto per quanti pensano in maniera diversa e dall'impegno per la promozione del bene comune. Nel vivere la propria vocazione cristiana, i laici guardano a voi in cerca di sostegno, incoraggiamento e guida. Infatti, devono affrontare le sfide della società contemporanea "non solo con la saggezza e l'efficienza terrene, ma con cuore rinnovato e rafforzato dalla verità di Cristo" (cfr Ecclesia in Asia, n. 45).

Avete il compito di insegnare loro e di ispirarli, con le parole e con l'esempio, a condurre vite autenticamente cristiane affinché siano in grado di testimoniare Cristo nelle loro case, sui posti di lavoro e in tutte le attività che svolgono.

8. Poiché è proprio di ogni Chiesa particolare vivere in comunione con la Chiesa universale, il Vescovo non può non essere sensibile alle necessità della Chiesa nel mondo. Questa è la sollicitudo omnium Ecclesiarum di cui parla l'Apostolo Paolo (cfr 2Co 11,28). In vari modi, la Chiesa a Taiwan ha risposto alle necessità e alle aspirazioni dei cristiani ovunque, in particolare a livello regionale offrendo opportunità educative e sostegno finanziario al personale ecclesiale di altre parti dell'Asia e offrendo risorse all'attività missionaria. La vostra sollecitudine si esprime in particolare nell'attenzione che prestate ai vostri fratelli e alle vostre sorelle in patria, che hanno in comune con voi così tanti valori culturali, spirituali e storici. In questo, i vostri sforzi sono volti a promuovere la comprensione reciproca, la riconciliazione e l'amore fraterno fra tutti i cattolici della grande famiglia cinese. Confido che tutti questi sforzi, compiuti in comunione con altre Chiese particolari e con la Sede di Pietro, contribuiranno a superare le difficoltà del passato cosicché possano esservi altre opportunità di dialogo e di reciproco arricchimento spirituale e umano.

9. Cari Fratelli Vescovi, ogni situazione è un'opportunità per i cristiani di mostrare la forza in cui la verità di Cristo si è trasformata nella loro vita.

Sebbene la secolarizzazione imperante possa dare l'impressione che la società moderna sia chiusa ai valori spirituali e trascendenti, molte persone cercano il significato della propria vita e la felicità che solo Dio può dare. La convinzione che mi ha accompagnato nel corso del Pontificato è questa: "la potestà assoluta e pure dolce e soave del Signore risponde a tutto il profondo dell'uomo, alle sue più elevate aspirazioni di intelletto, di volontà, di cuore" (Omelia, 22 ottobre 1978, n. 4).

22 Questa potestà, la cui fonte non è nel potere terreno, ma nel mistero della croce e della resurrezione, è la fonte autentica della nostra fiducia nell'esercizio del nostro ministero. Sappiamo che il Signore non ci abbandonerà mai nella nostra missione pastorale, sempre che riponiamo la nostra fiducia in Lui e ci rivolgiamo a Lui. Ricominciamo dunque con coraggio, con l'assicurazione che Cristo che conosce ogni cuore umano è con voi.

Cari Fratelli, con affetto nel Signore per quanti sono affidati alla vostra sollecitudine pastorale, affido tutta la Chiesa a Taiwan alla protezione materna di Maria, stella luminosa dell'evangelizzazione in ogni epoca, e a tutti voi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

GP2 Discorsi 2002 14