GP2 Discorsi 2002 71

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


AL PRO-PENITENZIERE MAGGIORE,


S.E. MONS. LUIGI DE MAGISTRIS




Al venerato Fratello
Mons. LUIGI DE MAGISTRIS
Pro-Penitenziere Maggiore

1. Anche quest'anno il Signore mi concede la gioia di rivolgere la mia parola a codesto Dicastero. Saluto cordialmente Lei, venerato Fratello, come pure i Prelati e gli Officiali della Penitenzieria Apostolica, ed i religiosi delle varie Famiglie che esercitano il ministero penitenziale nelle Basiliche Patriarcali dell'Urbe. Un particolare pensiero va ai giovani sacerdoti e candidati al sacerdozio, che partecipano al tradizionale corso sul foro interno, offerto come servizio ecclesiale dalla Penitenzieria.

Vorrei che si leggesse in questo Messaggio la testimonianza dell'apprezzamento che il Papa riserva non solo alla funzione della Penitenzieria, vicaria per Lui nell'esercizio ordinario della Potestà delle Chiavi, ma anche alla fatica dei Padri Penitenzieri, i quali svolgono nel rapporto diretto con la coscienza dei singoli penitenti il ministero della Riconciliazione e, infine, alla dedizione con cui i giovani sacerdoti e candidati al sacerdozio si stanno preparando all'altissimo ufficio di confessori.

2. La missione del sacerdote è efficacemente sintetizzata dalle note parole di san Paolo: "Noi fungiamo... da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Co 5,20).

72 In questa circostanza, desidero riprendere ed ampliare un concetto che già espressi nella prima Udienza alla Penitenzieria Apostolica e ai Padri Penitenzieri delle Basiliche Patriarcali dell'Urbe, il 30 gennaio 1981. Dicevo allora: "Il sacramento della Penitenza... è non solo strumento diretto a distruggere il peccato - momento negativo - ma prezioso esercizio della virtù, espiazione esso stesso, scuola insostituibile di spiritualità, lavorio altamente positivo di rigenerazione nelle anime del «vir perfectus», «in mensuram aetatis plenitudinis Christi» (cfr Ep 4,13)". Vorrei sottolineare questa efficacia "in positivo" del Sacramento, per esortare i sacerdoti a ricorrere ad esso personalmente, come valido aiuto nel proprio cammino di santificazione, e quindi valersene anche come forma qualificata di direzione spirituale.

Alla santità infatti, e in specie alla santità sacerdotale, si può in concreto giungere solo col ricorso abituale, umile e fiducioso al sacramento della Penitenza, inteso come veicolo della grazia, indispensabile quando questa purtroppo è stata perduta a motivo del peccato mortale, e privilegiato quando il peccato mortale non vi è stato e perciò la confessione sacramentale è Sacramento dei vivi che accresce la grazia stessa, non solo, ma corrobora le virtù ed aiuta a mitigare le tendenze ereditate a motivo della colpa di origine e aggravate dai peccati personali.

3. Ascrivo tra i massimi doni, che la celebrazione dell'Anno Santo 2000 ci ha ottenuto dal Signore, una rinata consapevolezza in molti fedeli del ruolo decisivo che il sacramento della Penitenza svolge nella vita cristiana, e conseguentemente un confortante incremento del numero di coloro che vi fanno ricorso.

Certo, nel cammino di ascesi cristiana. il Signore può dirigere interiormente le anime in forme che trascendono l'ordinaria mediazione sacramentale. Ciò tuttavia non elimina la necessità del ricorso al sacramento della Penitenza, né la subordinazione dei carismi alla responsabilità della Gerarchia. È quanto traspare dal noto passo della prima Lettera ai Corinzi, ove l'apostolo Paolo afferma: "Quosdam quidem posuit Deus in ecclesia primum apostolos, secundo prophetas, tertio doctores...", con quel che segue (cfr 1Co 12,28-31). Nel testo è chiaramente enunziato un ordine gerarchico tra le diverse funzioni, istituzionali e carismatiche, nella struttura della vita della Chiesa. Questo insegnamento san Paolo ribadisce poi nell'intero capitolo 14 della medesima Lettera, ove enuncia il principio della subordinazione dei doni carismatici alla sua autorità di Apostolo. Ricorre per questo senza titubanza al verbo voglio e a forme imperative.

4. Ma è lo stesso Signore Gesù, fonte di ogni carisma, ad affermare nel modo più solenne la insostituibilità, per la vita di grazia, del sacramento della Penitenza, da Lui affidato agli Apostoli ed ai loro successori: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi" (Jn 20,22-23).

Non è pertanto conforme alla Fede voler ridurre la remissione dei peccati a un contatto, per così dire, privato ed individualistico tra la coscienza del singolo fedele e Dio. Certamente il peccato non viene perdonato se non c'è il pentimento personale, ma nell'ordine attuale della Provvidenza la remissione è subordinata all'adempimento della positiva volontà di Cristo, che ha legato la remissione stessa al ministero ecclesiale o almeno alla seria volontà di ricorrere ad esso al più presto, quando nell'immediato non vi sia la possibilità di compiere la confessione sacramentale.

Ugualmente erronea è la convinzione di chi, pur non negando un positivo valore al sacramento della Penitenza, lo concepisce però come cosa supererogatoria, perché il perdono del Signore sarebbe stato dato "semel pro semper" sul Calvario e l'applicazione sacramentale della misericordia divina non risulterebbe necessaria al recupero della grazia.

5. Analogamente, giova ribadire che il sacramento della Penitenza non è un atto di terapia psicologica, ma una realtà soprannaturale destinata a produrre nel cuore effetti di serenità e di pace, che sono frutto della grazia. Anche quando fossero ritenute utili tecniche psicologiche esterne al Sacramento, esse potranno essere consigliate con prudenza, ma mai imposte (cfr per analogia il monito del Santo Offizio in data 15 luglio 1961, n. 4).

Quanto poi a specifiche forme di ascetismo verso le quali orientare il penitente, il confessore potrà avvalersene, a condizione che non siano ispirate a concezioni filosofiche o religiose contrarie alla verità cristiana. Tali sono, ad esempio, quelle che riducono l'uomo a un elemento della natura o, al contrario, lo esaltano come detentore di un'assoluta libertà. È facile riconoscere, soprattutto in quest'ultimo caso, una rinnovata forma di pelagianesimo.

6. Il sacerdote, ministro del Sacramento, avrà presenti queste verità sia nel contatto con ogni singolo penitente, sia nell'insegnamento catechetico da impartire ai fedeli.

È per altro evidente che i sacerdoti, come recettori del sacramento della Penitenza, sono chiamati ad applicare innanzitutto a se stessi queste certezze con i relativi orientamenti pratici. Ciò li aiuterà nella personale ricerca della santità, come pure nell'apostolato vivo e vitale che debbono svolgere soprattutto con l'esempio: "verba movent, exempla trahunt".

73 In modo privilegiato, tali criteri guidino i sacerdoti confessori e direttori di spirito nel trattare i candidati al sacerdozio e alla vita consacrata. Il sacramento della Penitenza è lo strumento principe per il discernimento vocazionale. Per proseguire verso la meta del sacerdozio è necessaria infatti una virtù matura e solida, tale cioè da garantire, per quanto è possibile "in humanis", una fondata prospettiva di perseveranza nel futuro. È ben vero che il Signore, come fece con Saulo sulla via di Damasco, può trasformare istantaneamente un peccatore in santo. Ciò tuttavia non rientra nella via abituale della Provvidenza. Perciò chi ha la responsabilità di autorizzare un candidato a proseguire verso il sacerdozio deve avere "hic et nunc" la sicurezza della sua attuale idoneità. Se questo vale per ogni virtù e abito morale, è chiaro che ciò si esige anche maggiormente per quanto riguarda la castità, dal momento che, ricevendo gli Ordini, il candidato sarà tenuto al celibato perpetuo.

7. Affido queste riflessioni, che si trasformano ora in pressante supplica, a Gesù, Sacerdote Sommo ed Eterno. Interceda la Vergine Santissima, Madre della Chiesa, presso il Figlio suo, affinché si degni concedere alla sua Chiesa santi penitenti, santi sacerdoti, santi candidati al sacerdozio.

Con questo auspicio, di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 15 Marzo 2002

IOANNES PAULUS II



AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA PLENARIA


DEL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA


Sabato, 16 marzo 2002


Signori Cardinali,
Cari Fratelli nell'Episcopato,
Cari amici,

1. Sono lieto di accogliervi, al termine dell'Assemblea plenaria del vostro dicastero nel corso della quale avete voluto ripartire dalla Lettera Novo Millennio ineunte per apportare il vostro contributo alla missione della Chiesa nel terzo millennio (cfr n. 40). Il vostro incontro coincide con il ventesimo anniversario della creazione del Pontificio Consiglio della Cultura. Rendendo grazie per il lavoro svolto dai membri e dai collaboratori del Pontificio Consiglio nel corso di questi venti anni, porgo i miei saluti al signor Cardinale Poupard, ringraziandolo per le sue cordiali parole che interpretano i vostri sentimenti.

A voi tutti esprimo la mia riconoscenza per la vostra generosa collaborazione al servizio della missione universale del Successore di Pietro, e vi incoraggio a proseguire, con rinnovato zelo, le vostre relazioni con le culture, per creare ponti fra gli uomini, per testimoniare Cristo e per aprire i nostri fratelli al Vangelo (cfr Costituzione Apostolica Pastor Bonus, art. 166-168). Tutto ciò di fatto si realizza mediante un dialogo aperto con tutte le persone di buona volontà, diverse per appartenenza e tradizioni, segnate dalla loro religione o dalla loro non credenza, ma tutte unite dalla stessa umanità e chiamate a condividere la vita di Cristo, il Redentore dell'uomo.

2. La creazione del Pontificio Consiglio della Cultura, volta a "dare a tutta la Chiesa un impulso comune nell'incontro, continuamente rinnovato, del messaggio salvifico del Vangelo con la pluralità delle culture, nella diversità dei popoli, ai quali deve portare i suoi frutti di grazia" (Lettera al Cardinale Casaroli per la creazione del Pontificio Consiglio della Cultura, 20 maggio 1982), segue la linea della riflessione e delle decisioni del Concilio Ecumenico Vaticano II. In effetti i Padri avevano sottolineato con forza il posto centrale della cultura nella vita degli uomini e la sua importanza per la penetrazione dei valori evangelici, come pure per la diffusione del messaggio biblico nei costumi, nelle scienze e nelle arti. Sempre in questo spirito, l'unione del Pontificio Consiglio per il Dialogo con i non credenti e del Pontificio Consiglio della Cultura in un solo organismo, il 25 marzo 1993, aveva come obiettivo quello di promuovere "lo studio del problema della non credenza e dell'indifferenza religiosa presente in varie forme nei diversi ambiti culturali..., con l'intento di fornire sussidi adeguati all'azione pastorale della Chiesa per l'evangelizzazione delle culture e l'inculturazione del Vangelo" (Motu proprio Inde a pontificatus).

74 La trasmissione del messaggio evangelico nel mondo di oggi è particolarmente ardua, soprattutto perché i nostri contemporanei sono immersi in ambiti culturali spesso estranei a qualsiasi dimensione spirituale e d'interiorità, in situazioni dove dominano aspetti essenzialmente materialistici. Senza dubbio, più che in qualsiasi altro periodo della storia, si deve inoltre notare una rottura nel processo di trasmissione dei valori morali e religiosi fra le generazioni, che conduce a una sorta di eterogeneità fra la Chiesa e il mondo contemporaneo. In questa prospettiva, il Consiglio ha un ruolo particolarmente importante di osservatorio, da un lato per individuare lo sviluppo delle diverse culture e le questioni antropologiche che vi sorgono e dall'altro per prospettare le possibili relazioni fra le culture e la fede cristiana, in modo da proporre nuovi modi di evangelizzazione, a partire dalle aspettative dei nostri contemporanei. Di fatto, è importante raggiungere gli uomini laddove sono, con le loro preoccupazioni e i loro interrogativi, per permettere loro di scoprire i punti di riferimento morali e spirituali necessari a qualsiasi esistenza conforme alla nostra vocazione specifica, e di trovare nella chiamata di Cristo quella speranza che non delude (cfr Rm 5,5), fondandosi sull'esperienza stessa dell'Apostolo Paolo nell'Areopago di Atene (cfr Ac 17,22-34). È evidente, l'attenzione per la cultura permette di andare il più lontano possibile nell'incontro con gli uomini. È dunque una mediazione privilegiata fra comunicazione ed evangelizzazione.

3. Fra i più grandi ostacoli attuali si osservano le difficoltà incontrate dalle famiglie e dall'istituzione scolastica, che hanno il gravoso compito di trasmettere alle giovani generazioni i valori umani, morali e spirituali che permetteranno loro di essere uomini e donne desiderosi di condurre una vita personale degna e d'impegnarsi nella vita sociale. Parimenti, la trasmissione del messaggio cristiano e dei valori che ne derivano, e che conducono a decisioni e a comportamenti coerenti, costituisce una sfida che tutte le comunità ecclesiali sono chiamate a raccogliere, soprattutto nell'ambito della catechesi e del catecumenato. Altri periodi della storia della Chiesa, ad esempio al tempo di sant'Agostino oppure più di recente, nel corso del ventesimo secolo dove si è potuto registrare l'apporto di numerosi filosofi cristiani, ci hanno insegnato a radicare il nostro discorso e il nostro modo di evangelizzare in una sana antropologia e una sana filosofia. Di fatto, è dal momento in cui la filosofia passa a Cristo che il Vangelo può veramente cominciare a diffondersi in tutte le nazioni.

È dunque urgente che tutti i protagonisti dei sistemi educativi si dedichino a uno studio antropologico serio, per considerare ciò che l'uomo è e ciò che lo fa vivere. Le famiglie hanno un grande bisogno di essere assecondate da educatori che rispettino i loro valori e che le aiutino a proporre riflessioni sulle questioni fondamentali che i giovani si pongono, anche se ciò sembra andare contro corrente rispetto alle proposte della società attuale. In tutte le epoche, uomini e donne hanno saputo far risplendere la verità con un coraggio profetico. Questo stesso atteggiamento è ancora necessario ai nostri giorni.

Il fenomeno della mondializzazione, divenuto oggi un fatto culturale, costituisce una difficoltà e al contempo un'opportunità. Pur tendendo a livellare le identità specifiche delle diverse comunità e a ridurle a volte a semplici ricordi folcloristici di antiche tradizioni spogliate del loro significato e del loro valore culturale e religioso originali, questo fenomeno permette di abbattere le barriere fra le culture e dà alle persone la possibilità di incontrarsi e di conoscersi; allo stesso tempo, obbliga i Dirigenti delle Nazioni e gli uomini di buona volontà a fare tutto il possibile per far sì che sia rispettato ciò che è proprio degli individui e delle culture, per garantire il bene delle persone e dei popoli, e per mettere in pratica la fraternità e la solidarietà. La società nel suo insieme deve così confrontarsi con temibili interrogativi sull'uomo e sul suo futuro, in particolare in ambiti quali la bioetica, l'uso delle risorse del pianeta, le deliberazioni in materia economica e politica, affinché l'uomo venga riconosciuto in tutta la sua dignità e rimanga sempre l'attore principale della società e il criterio ultimo delle decisioni sociali. La Chiesa non cerca assolutamente di sostituirsi a coloro che hanno il compito di gestire gli affari pubblici, ma desidera avere il suo posto nei dibattiti, per illuminare le coscienze alla luce del significato dell'uomo, inscritto nella sua stessa natura.

4. Spetta al Pontificio Consiglio della Cultura proseguire la sua azione e offrire il suo apporto ai Vescovi, alle comunità cattoliche e a tutte le istituzioni che lo desiderano, di modo che i cristiani abbiano i mezzi per testimoniare la loro fede e la loro speranza in maniera coerente e responsabile, e tutti gli uomini di buona volontà possano impegnarsi nella costruzione di una società nella quale venga promosso l'essere integrale di ogni persona. Il futuro dell'uomo e delle culture, l'annuncio del Vangelo e la vita della Chiesa dipendono da questo.

Che possiate contribuire a una presa di coscienza rinnovata del ruolo della cultura per il futuro dell'uomo e della società, come pure per l'evangelizzazione, affinché l'uomo divenga sempre più libero e usi questa libertà in modo responsabile! Al termine del vostro incontro, affidando la vostra missione alla Vergine Maria, vi imparto volentieri una particolare Benedizione Apostolica, che estendo a tutti coloro che collaborano con voi e a quanti vi sono cari.


ALLA COMUNITÀ DEL SEMINARIO TEOLOGICO REGIONALE


"SAN PIO X" DI CATANZARO


Lunedì, 18 marzo 2002




Venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio!
Carissimi Seminaristi!

1. Grazie per questa visita, che avete voluto rendermi in occasione delle celebrazioni del 90E anniversario di fondazione del vostro Seminario. Grazie per l'affetto con cui avete voluto esprimere il vostro attaccamento al Successore di Pietro!

Saluto con viva riconoscenza Mons. Antonio Cantisani, che con le sue parole ha voluto farsi interprete dei sentimenti dei Confratelli nell'Episcopato, e grazie anche al Rettore del Seminario che ha parlato a nome dei Superiori e di tutti i presenti.

75 L'odierna visita mi dà l'occasione di continuare il dialogo avviato il 6 ottobre 1984, quando venni personalmente a visitare la vostra casa, il Seminario Regionale San Pio X di Catanzaro. Di quell'incontro, benché lontano nel tempo, serbo vivo e grato ricordo. Fu per me un momento particolarmente intenso. Ebbi allora l'occasione di meditare insieme ai sacerdoti ed ai seminaristi della Calabria sulla grazia della divina chiamata, che impegna costantemente a diventare icone viventi del Buon Pastore in mezzo al suo Popolo.

2. Nel ricevere in dono la prima copia della vostra «Regola di Vita», apprendo con gioia che il dialogo di fede, avviato in quell'incontro, non si è mai interrotto. Infatti, l'indirizzo che allora rivolsi ai seminaristi è diventato quasi un «portale» che introduce al progetto formativo della vostra Comunità, a conferma della comunione che sin dagli inizi vi lega al Papa.

In questa circostanza, come non ricordare il mio venerato predecessore San Pio X che, con animo paterno e munifico, volle l'erezione di un Centro di formazione altamente qualificato per il futuro Clero di Calabria? Come non fare memoria degli innumerevoli segni di predilezione con i quali circondò la nascente Istituzione, seguendo personalmente l'acquisto del terreno, la progettazione e l'esecuzione dell'edificio e offrendo, altresì, con la Costituzione apostolica Susceptum inde sapienti direttive per l'impostazione dell'opera formativa?

Tale predilezione ha trovato premurosa continuità nell'opera dei suoi Successori e, particolarmente, del Servo di Dio il Papa Pio XII che, dopo il funesto incendio del settembre 1940, ricostruendo nel 1954 il Seminario, ne divenne quasi il secondo fondatore.

Il felice rapporto tra il Successore di Pietro e codesta Istituzione educativa trova nell'incontro odierno una preziosa occasione per rinsaldarsi e per costituire un rinnovato ed incisivo fattore della qualità della formazione spirituale e teologica dei futuri sacerdoti in Calabria.

3. "Voi chi dite che io sia?" (
Mt 16,13). E' questa la domanda che Gesù pone a quei «seminaristi» del tutto particolari, che furono gli Apostoli. Questa stessa domanda Egli rivolge a ciascuno di voi, chiamati ad essere gli evangelizzatori della terra di Calabria. Non è, infatti, il Seminario una scuola di fede nella quale si impara ad offrire a Gesù con il cuore, l'intelligenza e la vita, la risposta che Egli attende dai «suoi»? Tale risposta fu espressa in modo ineguagliabile dalle parole dell'apostolo Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio Vivente".

"Soprattutto oggi, in una società contrassegnata dal fenomeno della secolarizzazione, occorre chiarezza di propositi e fermezza di volontà, che attingono direttamente alle fonti genuine del Vangelo... Più la gente si scristianizza, più è in preda all'incertezza o all'indifferenza, più ha bisogno di vedere nella persona dei sacerdoti quella fede radicale che è come un faro nella notte o come una roccia alla quale attaccarsi" (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII/2, 1984, p.792). Queste parole, che rivolsi ai sacerdoti calabresi nel corso del menzionato incontro, rimangono attuali e sollecitano all'impegno per una formazione che deve trovare nella rinnovata e radicale adesione a Cristo dei candidati al sacerdozio la sua finalità prima e irrinunciabile. Infatti la scommessa formativa del Seminario si gioca tutta sulla sua capacità di offrire ai giovani un reale ed impegnativo percorso di fede che, senza dare nulla per scontato, li renda capaci di accogliere nella verità il mistero della persona di Gesù, cioè di riconoscere in Lui il Figlio del Dio Vivente e il Signore della storia e di seguirlo sempre più generosamente "sulla via di Gerusalemme".

4. L'episodio di Cesarea di Filippo, tramandatoci dagli evangelisti san Matteo e san Luca, e la Tradizione vivente della Chiesa ci ricordano che "alla contemplazione piena del volto del Signore non arriviamo con le sole nostre forze, ma lasciandoci prendere per mano dalla grazia. Solo l'esperienza del silenzio e della preghiera offre l'orizzonte adeguato in cui può maturare e svilupparsi la conoscenza più vera, ardente e coerente di quel mistero che ha la sua espressione culminante nella solenne proclamazione dell'evangelista san Giovanni: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità" (Jn 1,14) (Novo millennio ineunte NM 20).

Come non vedere in queste suggestioni l'invito a fare del Seminario il "luogo del silenzio" e "la casa della preghiera", dove il Signore convoca ancora i «suoi» in "un luogo appartato" (cfr Lc 9,18) a vivere un'intensa esperienza di incontro e di contemplazione? Per tale via Egli vuole prepararli a diventare "maestri della fede", ed "educatori del Popolo di Dio nella fede", e renderli pronti a "proclamare con autorità la Parola di Dio", a "radunare il Popolo di Dio che era disperso" e a nutrirlo con i Sacramenti, segni efficaci dell'azione di Cristo a "condurlo sulla via della salvezza" e a conservarlo nell'unità, cioè ad "animare incessantemente questa comunità raccolta intorno al Cristo secondo la sua più intima vocazione" (Evangelii nuntiandi EN 68).

In tale contesto, lo studio diviene momento irrinunciabile di un itinerario pedagogico mirato all'educazione di una fede viva e operante per mezzo della carità, strumento privilegiato di una conoscenza sapienziale e scientifica, capace di fondare e consolidare tutto l'edificio della formazione spirituale e pastorale dei futuri presbiteri. Questi devono prepararsi a vivere la carità pastorale come espressione della loro fede in Cristo che dona la sua vita per la Chiesa (cfr Ep 5,25-27), come modalità di missione universale (cfr Mt 28-18) e come risposta piena alla carità del Signore (cfr Jn 21,15-20), insieme ai fratelli del presbiterio sotto la guida del Vescovo.

5. Il legame cristologico, tratto fondamentale dell'identità del presbitero, e la sua appartenenza all'unico presbiterio della diocesi, al cui servizio è assegnato sotto il proprio Vescovo (cfr Presbyterorum ordinis PO 8), sono elementi altrettanto fondamentali che devono presiedere alla formazione seminaristica.

76 Questa dovrà condurre i candidati a valutare ogni loro azione in riferimento a Cristo e a considerare l'appartenenza all'unico presbiterio come dimensione previa dell'agire pastorale e testimonianza di comunione, indispensabili per servire efficacemente il mistero della Chiesa e la sua missione nel mondo.

E' a partire da queste prospettive che comprenderemo il periodo della formazione seminaristica come un tempo speciale di silenzio e di attesa, di povertà e di comunione, di ricerca di Dio e di amore per i fratelli, particolarmente per gli ultimi, facendo della comunità del Seminario un'espressione privilegiata della Chiesa, "germe e inizio" sulla terra del Regno di Cristo e di Dio (cfr Lumen gentium
LG 5).

6. Cari Seminaristi, questo nostro incontro si svolge alla vigilia della Solennità di San Giuseppe, Sposo della Vergine e custode del Redentore. Egli risplende nella Chiesa per la sua singolare vocazione vissuta nel silenzio, nella ricerca attenta del disegno amorevole di Dio e nella totale dedizione a Cristo. Egli, che fu vicino a Gesù negli anni della sua vita nascosta di Nazaret, vi aiuti a scoprire ogni giorno il tesoro prezioso dell'amore di Cristo, diventando annunciatori gioiosi del suo Vangelo.

Con tali auspici, affido i vostri generosi propositi e le vostre attese alla materna protezione della Vergine Santa, del suo castissimo Sposo e di tutti i Santi che hanno costellato il cammino di fede della diletta Calabria, e con grande affetto imparto a tutti una speciale Benedizione Apostolica.

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


AL RETTORE MAGNIFICO DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ


LATERANENSE, S.E. MONS. SALVATORE FISICHELLA




Al venerato Fratello
Mons. SALVATORE FISICHELLA
Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense

1. Ho appreso con piacere che l'Institutum Utriusque Iuris di codesta Pontificia Università Lateranense ha promosso un Colloquio Giuridico Internazionale dedicato all'approfondimento dell'intrinseca relazione tra i contenuti fondamentali del diritto e l'ideale di giustizia che è proprio della legislazione canonica. Nel rivolgerLe il mio saluto, venerato Fratello, mi è caro rinnovarLe le mie felicitazioni per il compito che Le è stato recentemente affidato alla guida di quella che, a giusto titolo, viene qualificata come l'«Università del Papa». Estendo il mio cordiale saluto al Preside dell'Istituto «Utriusque Iuris», Padre Domingo Andrés, ed ai Decani delle Facoltà di Diritto Canonico e di Diritto Civile, ai quali è affidata l'organizzazione e la direzione di questa importante iniziativa giuridica e culturale.

La scelta del tema del Colloquio è un rinnovato segno dell'attaccamento di codesto Istituto alla Cattedra di Pietro e della sua fedeltà al Magistero della Chiesa. Esso, infatti, mediante il lavoro accademico e formativo delle sue due Facoltà, di diritto canonico e di diritto civile, è chiamato a preparare validi giuristi in entrambi gli ordinamenti del diritto, quello della Chiesa e quello della Comunità civile, in una prospettiva che, partendo dalla propria consolidata tradizione, si apre alle sollecitazioni poste dalla scienza giuridica contemporanea e, al tempo stesso, alle esigenze sempre nuove che maturano in entrambi gli ordinamenti giuridici.

2. In questi giorni vi state confrontando sull'inscindibile relazione tra diritto e giustizia nella vigente legislazione canonica, a partire dalla promulgazione del nuovo Codice di Diritto Canonico e del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, e di come tale relazione trovi accoglienza negli indirizzi legislativi e nei contenuti sostanziali che caratterizzano gli ordinamenti civili, da quelli interni dei singoli Stati a quello internazionale.

In questo sforzo di approfondimento vi è di sostegno, quale criterio di indagine, il principio che la giustizia resta l'essenza di ogni atto, che per sua natura è finalizzato al bene di una comunità e di quanti ne sono parte. Secondo il metodo proprio dell'utrumque ius, vi viene pertanto chiesto di affiancare l'analisi della vigente legislazione canonica a quanto matura negli ordinamenti giuridici della società civile, contribuendo così a delineare il reciproco apporto tra i due diritti, scoprendone convergenze e peculiarità nell'ottica del servizio alla persona umana.

77 Non vi è dubbio che l'unità del diritto e della scienza giuridica trovi il proprio fondamento in una giustizia dinamica, espressione non soltanto dello stretto ordine legale, ma soprattutto di quella recta ratio che deve governare sia i comportamenti dei singoli che quelli dell'autorità. E' quanto afferma san Tommaso d'Aquino, quando ricorda che: "omnis lex humanitus posita in tantum habet de ratione legis, inquantum a lege naturae derivatur" (Summa Theol., I-II, q. 95, a.2).

3. Nella visione cristiana i termini diritto e giustizia, in quanto operanti nello strutturarsi degli ordinamenti giuridici, costituiscono altrettanti richiami ad una giustizia superiore, che diventa criterio di confronto per ogni comportamento giuridicamente rilevante, da quello dei legislatori a quello di quanti, a diverso titolo, operano nel campo della giustizia.

In effetti, a partire dall'essenza stessa del diritto della Chiesa emerge immediatamente l'esigenza di garantire la salus animarum quale criterio del corretto rapporto tra norma giuridica e legittime aspirazioni dei christifideles. L'ordinamento giuridico della Comunità ecclesiale tende primariamente a realizzare la comunione ecclesiale, facendo prevalere la dignità di ogni battezzato, nella sostanziale eguaglianza e nella diversità dei ruoli di ciascuno. Questa diversità, infatti, non è espressione semplicemente di una «esigenza funzionale», ma è indice della peculiare visione antropologica cristiana e della realtà sacramentale e istituzionale della Chiesa.

Solo nella comunione organica della Comunità ecclesiale, infatti, la dignità dei christifideles trova lo spazio ed i modi per collocare l'esigenza legittima di tutela dei diritti e di assunzione di doveri. Ecco perché la comunione esige che sia sempre presente la carità, che non contraddice il diritto, ma lo eleva a strumento di verità, contribuendo a creare la certezza delle regole e quindi l'ordinato svolgersi di relazioni giuridiche non lesive della giustizia.

4. Guardando la realtà odierna degli ordinamenti della società civile, pur in presenza di diversità culturali e di concezioni alle quali si ispirano i diversi sistemi giuridici, possiamo rilevare quanto il senso del diritto trovi ovunque considerazione, fino a giungere a vere e proprie rivendicazioni quando emergono conflitti o anche atteggiamenti profondi che si oppongono ad un'effettiva giustizia.

Assistiamo spesso, purtroppo, alla formulazione di norme che, invece di contemperare le esigenze del bene comune con la garanzia della tutela legittima dei singoli, si limitano a considerare soltanto gli interessi di ristrette categorie, deformando così la stessa idea di giustizia e riducendo l'ordinamento giuridico a mero strumento di pragmatica regolamentazione. Anzi, in molti casi, un rapido ed inconsueto accrescersi delle norme, giustificato in nome di un'apparente necessità di regolamentare ogni aspetto dell'ordine sociale, tende a sottrarre ai singoli ed alle formazioni sociali intermedie quegli spazi vitali necessari a garantire le aspirazioni più profonde dell'uomo.

E' chiaro che la dignità della persona umana, anche se formalmente riconosciuta come fondamento di ogni diritto, risulterebbe violata o almeno disattesa, qualora la giustizia fosse ridotta a semplice funzione di soluzione di controversie. In questo caso, anche il ruolo della scienza giuridica ne uscirebbe mortificato e l'attività degli operatori della giustizia si ridurrebbe all'applicazione di decisioni puramente tecniche.

5. Gli ordinamenti giuridici presentano oggi lacune preoccupanti di fronte a quei settori nei quali i progressi della tecnologia e della ricerca scientifica, come pure i nuovi stili di vita, hanno posto interrogativi inediti. In questi casi il ricorso a funzioni di supplenza, o all'analogia con altre situazioni e norme giuridiche, non sempre risulta appropriato, come pure manifesta tutti i propri limiti l'applicazione del criterio secondo il quale risulta moralmente permesso e praticabile ciò che l'ordinamento giuridico non proibisce.

Una tale situazione culturale mette in luce una crescente carenza di riferimento a presupposti etici ed a valori fondativi dell'ordine sociale ispirati a quella dottrina morale oggettiva che sta alla base di ogni giusta convivenza umana. Occorre dunque ribadire che la funzione legislativa, ad ogni livello, non può trovare giustificazione o fondamento ricorrendo semplicemente all'applicazione della sola regola della maggioranza, poiché, come ho sottolineato nell'Enciclica Veritatis splendor, "la dottrina morale non può certo dipendere dal semplice rispetto di una procedura; essa infatti non viene minimamente stabilita seguendo le regole e le forme di una deliberazione di tipo democratico" (n. 113).

6. Muovendo da un tale presupposto, si possono meglio cogliere anche le difficoltà che percorrono attualmente l'ordine internazionale, nel quale un graduale distacco da inderogabili presupposti etici rischia di limitare gli effetti dei principi insostituibili che di tale ordine sono propri, indebolendo, di conseguenza, la forza del diritto internazionale pazientemente costruito. Assistiamo a volte, con rammarico, a comportamenti nella comunità delle Nazioni che disattendono il fondamentale principio del pacta sunt servanda, preferendo un continuo ricorso alla prassi del consensus per adottare atti che, soggetti alle interpretazioni più varie, risultano limitati negli obblighi che creano per i destinatari e quindi rimangono condizionati nei loro effetti.

Si tratta purtroppo di atteggiamenti rilevabili non solo negli ordinari rapporti tra Stati, ma anche nei processi di integrazione sovranazionale, che sembrano spesso orientati a separare la dimensione materiale e sociale dell'uomo da quella etica e da quella religiosa, con immediati riflessi anche nella sfera politica e normativa. Il fatto religioso non può essere equiparato ad una mera convinzione soggettiva, né soprattutto può essere ridotto ad una manifestazione individuale di culto, poiché, per sua intrinseca natura, la religione comporta l'esigenza di un'espressione comunitaria e di un'adeguata formazione dei suoi membri.

78 7. Criterio di fondo di ogni retto ordinamento giuridico deve essere sempre il riferimento alla persona umana, in quanto depositaria di una dignità inalienabile, sia nella sua dimensione individuale che in quella comunitaria. Diventa così importante compiere ogni sforzo affinché sia realizzata un'effettiva tutela dei diritti umani fondamentali, senza però costruire intorno ad essi teorie e comportamenti che mirino a privilegiare solo alcuni aspetti di questi diritti, o quelli rispondenti a particolari interessi e sensibilità di un determinato momento storico. Si dimenticherebbe in questo modo quell'essenziale principio della indivisibilità dei diritti dell'uomo che trova fondamento nell'unità della persona umana e nella sua intrinseca dignità.

Nell'esprimere profonda stima e apprezzamento, illustri e cari partecipanti al Simposio, per l'impegno e la competenza con la quale offrite il vostro servizio culturale e giuridico in un ambito tanto importante e vitale per la Chiesa e per la comunità civile, invoco su di voi, come pure sulla vostra quotidiana attività di studio e di ricerca, la materna protezione della Vergine Maria, Speculum Iustitiae.Accompagno questi sentimenti e voti con una speciale Benedizione Apostolica, che volentieri estendo ai collaboratori, agli studenti e a quanti vi sono cari.

Dal Vaticano, 21 Marzo 2002


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