GP2 Discorsi 2003


1                                                                                         2003

                                                                           Gennaio 2003

INCONTRO DEL SANTO PADRE


GIOVANNI PAOLO II


CON I NETTURBINI DI ROMA


Domenica, 5 gennaio 2003




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Benvenuti nella casa del Papa! Vi saluto tutti cordialmente, insieme alle vostre famiglie. Rivolgo un deferente pensiero alle autorità presenti, in particolare al Signor Sindaco e al Presidente dell’Ama, che ringrazio per le cortesi parole con cui hanno interpretato i comuni sentimenti.

E’ tradizione ormai, da diversi anni, che il Papa si rechi a visitare il caratteristico presepio, noto come Il presepio dei Netturbini, ogni anno migliorato dal realizzatore, il Signor Giuseppe Ianni. Questa volta non sono venuto di persona a vederlo nella vostra sede di Via dei Cavalleggeri; mi accontento di ammirarlo, in un certo senso, attraverso la fotografia che di esso mi avete portato, insieme con un piccolo presepio costruito con gli stessi materiali.

Ho voluto però, a conclusione delle Festività natalizie, invitarvi io, quasi per ricambiare la cortesia che mi avete sempre usata. Qui nel Palazzo apostolico e in altri ambienti del Vaticano sono stati allestiti diversi presepi, con statue, personaggi e paesaggi che rispecchiano l’universalità della Chiesa. Potete ammirarne uno molto bello in questa sala. Ce n’è un altro grande in piazza S. Pietro e un altro ancora nella Basilica Vaticana. I presepi accolgono i pellegrini e i visitatori e aiutano a rievocare il mistero della Notte Santa.

2. Carissimi, grazie di cuore per avere accettato il mio invito. Quest’incontro, che vuole essere semplice e familiare, mi dà modo di rinnovare un grato apprezzamento al Presidente, ai Dirigenti e all’intero personale dell’AMA per l’importante servizio che giorno e notte la vostra Azienda rende alla Città e ai suoi abitanti. Iddio vi aiuti a svolgerlo con impegno e dedizione.

Siamo poi all’inizio del nuovo anno, e per questo formulo con affetto fervidi voti augurali: il 2003 sia un anno di serenità e di pace per tutti. La solennità dell’Epifania, che celebreremo domani, ci ricorda la manifestazione di Gesù al mondo.

Maria Santissima, che ha offerto Gesù all’adorazione dei Magi, protegga voi, i vostri cari, le vostre attività e i vostri progetti. Con tali sentimenti, di cuore imparto a tutti la mia Benedizione.




AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DAL PONTIFICIO


COLLEGIO AMERICANO DEL NORD IN ROMA


Venerdì, 10 gennaio 2003




Eminenze,
Eccellenze,
2 Cari Fratelli in Cristo,

Con grande affetto saluto gli ex alunni del Pontificio Collegio Americano del Nord, e con loro il Rettore, la facoltà, gli studenti del seminario e i sacerdoti studenti della Casa Santa Maria dell'Umiltà. Vi siete riuniti a Roma per celebrare il cinquantesimo anniversario di due eventi che hanno inaugurato un nuovo capitolo della storia del Collegio: la dedicazione dell'edificio del seminario sul Gianicolo e l'inaugurazione della Casa Santa Maria quale casa sacerdotale di studio.

Che questo anniversario intensifichi il vostro impegno per la missione permanente del Collegio di formare sacerdoti caratterizzati dal senso profondo dell'universalità della Chiesa e dallo zelo per la diffusione del Regno di Dio sia nel vostro Paese natale sia nel resto del mondo!

Quest'anno, il vostro incontro vi riporta a Roma e al Collegio, luoghi a voi cari nei quali, con l'idealismo e la generosità della gioventù, un tempo vi siete impegnati nella ricerca della conoscenza, della saggezza e della santità al servizio del Popolo di Dio. In un momento difficile e doloroso per i cattolici negli Stati Uniti, assicuro voi tutti della mia solidarietà orante. Spero con fervore che questi giorni di riflessione, preghiera e fraternità sacerdotale rafforzino la vostra nobile vocazione a essere discepoli di Gesù Cristo, testimoni della verità del suo Vangelo e Pastori totalmente dediti al rinnovamento della sua Chiesa in fede, speranza e carità.

Cari fratelli, fra le sfide e le speranze del momento attuale, vi esorto a fissare lo sguardo su Gesù, il nostro Sommo Sacerdote, che non cessa mai di ispirare e perfezionare la nostra fede (cfr
He 12,2). Affidando voi e i fedeli che servite alle preghiere amorevoli di Nostra Signora dell'Umiltà, Patrona del Collegio, imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica in pegno di gioia e di pace nel Signore.

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


ALL’OPERA DELLA SANTA INFANZIA MISSIONARIA




Carissimi ragazzi missionari!

1. Nella prima metà del 1800, l’Europa registrò una grande espansione missionaria, e la Chiesa, consapevole della potenzialità missionaria dell’infanzia, cominciò a chiedere ai bambini di farsi protagonisti nell’annunciare il Vangelo ai loro coetanei.

Il 9 maggio del 1843, il Vescovo di Nancy, Mons. Charles de Forbin-Janson, desideroso di sostenere le attività dei cattolici in Cina, propose ai ragazzi di Parigi di aiutare i loro coetanei recitando un’Ave Maria al giorno e offrendo un soldo al mese. In poco tempo, quest’iniziativa missionaria di sostegno materiale e spirituale oltrepassò i confini della Francia e si diffuse in altri Paesi.

Il 30 settembre 1919 il mio venerato Predecessore Benedetto XV scriveva: "Noi raccomandiamo vivamente a tutti i fedeli l’Opera della Santa Infanzia, che ha come obiettivo di assicurare il battesimo ai bambini non cristiani. Raccomandiamo che tutti i bambini cristiani possano aderire a quest’Opera, perché grazie ad essa imparano a portare aiuto all’evangelizzazione del prossimo e comprendono già alla loro età il valore prezioso della fede" (Maximum illud).

La festa dell’Epifania di quest’anno riveste un valore singolare, perché ricorrono i 160 anni di storia dell’Opera della Santa Infanzia, attualmente presente in 110 Nazioni. Essa propone ai bambini di tutte le diocesi del mondo un programma, che ha come fondamento la preghiera, il sacrificio e gesti di concreta solidarietà: in questo modo essi possono diventare evangelizzatori dei loro coetanei.

Il tempo della missione giovane

3 2. Cari ragazzi missionari, so con quanta cura e generosità voi cercate di portare avanti questo impegno apostolico. Vi sforzate in tanti modi di condividere la sorte dei bambini costretti anzitempo al lavoro e di soccorrere l’indigenza di quelli poveri; solidarizzate con le ansie e con i drammi dei bambini coinvolti nelle guerre dei grandi, restando spesso vittime della violenza bellica; pregate ogni giorno perché il dono della fede, che voi avete ricevuto, sia partecipato a milioni di vostri piccoli amici che ancora non conoscono Gesù.

Siete giustamente persuasi che chi incontra Gesù e accetta il suo Vangelo si arricchisce di tanti valori spirituali: la vita divina della grazia, l’amore che affratella, la dedizione per gli altri, il perdono dato e ricevuto, la disponibilità ad accogliere e ad essere accolti, la speranza che ci proietta nell’eternità, la pace come dono e come impegno.

In questo tempo natalizio, in molte Chiese locali i bambini dell'Opera della Santa Infanzia, vestiti da magi o da pastori, passano di casa in casa a dare l’annuncio gioioso del Natale. E' la simpatica usanza dei Cantori della Stella, che ha preso avvio per iniziativa dell'Opera dei Paesi Germanici e si è diffusa in seguito in tante altre Nazioni: ragazzi e ragazze bussano alle porte, cantano inni natalizi, recitano preghiere, presentano alle famiglie progetti di solidarietà. Così i piccoli evangelizzano anche i grandi.

Amore che abbraccia il mondo

3. Quest’impegno di evangelizzazione e di solidarietà - voi ben lo sapete - non si limita ad alcune settimane e al solo periodo natalizio, ma si estende a tutta la vita. Ecco perché vi incoraggio a rispondere generosamente alle innumerevoli richieste di aiuto che pervengono dai Paesi poveri.

Quanti ragazzi in Europa, in America, in Asia, in Africa e in Oceania pregano e lavorano per questo stesso ideale! E' stato creato un Fondo Mondiale di solidarietà, incrementato da offerte che giungono da ogni parte della Terra. Da esso si attinge per finanziare piccoli e grandi progetti destinati all’infanzia.

Ci sono bellissime storie di bambini che, per adottare a distanza loro piccoli amici, si sono fatti venditori di stelle o raccoglitori di francobolli; per liberare loro coetanei costretti a combattere, hanno rinunciato ad un giocattolo o ad uno svago costoso; per finanziare i libri di catechismo o per costruire scuole in zone di missione, si sono impegnati in varie forme di risparmio. E gli esempi potrebbero continuare. Sono più di tremila i progetti che i bambini missionari stanno finanziando con i loro contributi. Non è un vero miracolo dell’amore di Dio, vasto e silenzioso, che lascia un segno nel mondo?

A questo miracolo dovete partecipare tutti, cari bambini missionari! E chi non possiede proprio nulla, può offrire il contributo della preghiera insieme al disagio della sua povertà.

La forza educativa della missione

4. Cari ragazzi e ragazze, l’impegno missionario aiuta voi stessi a crescere nella fede e vi rende gioiosi discepoli di Gesù.

La solidarietà verso chi è meno fortunato vi apre il cuore alle grandi esigenze dell’umanità. Nei bambini poveri e bisognosi potete riconoscere il volto di Gesù. Così hanno agito insigni missionari come Francesco Saverio, Matteo Ricci, Charles de Foucauld, Madre Teresa di Calcutta e tanti altri in ogni regione del mondo.

4 Auspico di cuore che i vostri Pastori, Vescovi e sacerdoti, come pure i vostri catechisti e animatori, i vostri genitori e gli insegnanti prendano a cuore l’Opera dell’Infanzia Missionaria. Sin dalla sua fondazione, essa ha portato frutti di eroismo missionario, e ha scritto pagine molto belle nella storia della Chiesa. I primi bambini cinesi, salvati dai "bambini missionari", sono diventati insegnanti, catechisti, medici e sacerdoti. Il dono del Battesimo si è tramutato in luce per loro e per le loro famiglie.

Tra i ragazzi aiutati dall’offerta e dalla preghiera di altri bambini, ci sono il martire Paolo Tchen e il primo Arcivescovo di Pechino, il Cardinale Tien Kenhsin. Lungo gli anni è poi sbocciata in molti ragazzi e ragazze la vocazione alla totale consacrazione all’evangelizzazione.

Come non ricordare la piccola Teresa di Lisieux che, a sette anni, il 12 maggio 1882, si iscrisse all'Opera della Santa Infanzia e a 14 anni aveva già deciso di donarsi a Gesù per la salvezza del mondo? Questa fecondità spirituale non si è oggi estinta. Preghiamo perché un numero sempre più grande di bambini metta a disposizione del Vangelo, non solo una stagione, ma tutta la propria esistenza. Chiediamo altresì a Dio che si estenda dappertutto l’azione benefica dell’Infanzia Missionaria.

Ancora un’Ave Maria

5. I bisogni dei bambini del mondo sono così numerosi e complessi che nessun salvadanaio e nessun gesto di solidarietà, per quanto grande, basterebbe a risolverli. E' necessario l'aiuto dell'Alto. Voi, cari ragazzi missionari, iscrivendovi all’Opera della Santa Infanzia, assumete come primo impegno la recita di un’Ave Maria al giorno. Sapete infatti che l’efficacia della missione poggia anzitutto sulla preghiera e per questo vi rivolgete alla Madonna, Stella dell’evangelizzazione.

Da 160 anni La invocate in nome dei bambini del mondo intero. Vi esorto a perseverare in questa bella pratica con impegno rinnovato in questo "Anno del Rosario". I più grandicelli potrebbero tentare, almeno qualche volta, di recitate un'intera decina di Rosario o addirittura l'intera Corona. E' molto suggestivo il Rosario missionario: una decina, quella bianca è per la vecchia Europa, perché sia capace di riappropriarsi della forza evangelizzatrice che ha generato tante Chiese; la decina gialla è per l’Asia, che esplode di vita e di giovinezza; la decina verde è per l’Africa, provata dalla sofferenza, ma disponibile all’annuncio; la decina rossa è per l’America, promessa di nuove forze missionarie; la decina azzurra è per il Continente dell’Oceania, che attende una più capillare diffusione del Vangelo.

Cari ragazzi missionari, vi accompagni la Madonna nel vostro impegno! A Lei vi affido unitamente ai vostri familiari e alle comunità cristiane alle quali appartenete. Tutti vi benedico con affetto.

Dal Vaticano, 6 Gennaio 2003, Solennità dell'Epifania del Signore.

IOANNES PAULUS II



ALLA COMUNITÀ DEL PONTIFICIO COLLEGIO


PORTOGHESE DI ROMA


Sabato, 11 gennaio 2003


Signor Cardinale Patriarca,
Cari sacerdoti del Pontificio Collegio Portoghese,
5 Amati fratelli e sorelle,

Con grande gioia vi do il benvenuto nella casa di Pietro, ricordando la visita che vi ho reso, 18 anni fa. Vi saluto uno ad uno, includendo nel mio saluto le vostre famiglie e i vostri Paesi di origine che serbo nel cuore.

Nella persona del signor Cardinale, che gentilmente mi ha presentato la famiglia del Collegio e, che in qualità di presidente rappresenta la Conferenza dei Vescovi Portoghesi, desidero congratularmi per la sfida che essi hanno accolto e per la sollecitudine e fiducia dimostrate in questi cento anni di vita dell'Istituto. Colgo l'occasione per ringraziare i responsabili dei servizi della casa e della formazione per la diligenza e la competenza dimostrate e gli studenti per la serietà e l'entusiasmo posti nel corrispondere alle aspettative delle rispettive Diocesi.

Da parte mia, mi unisco di buon grado alla vostra lode a Dio per i cento anni di questo Istituto e rinnovo la speranza in esso riposta dai miei Predecessori, a cominciare da Papa Leone XIII che, con il Breve Rei Catholicae apud Lusitanos del 20 ottobre 1900, istituì il Pontificio Collegio Portoghese, munendolo anche di residenza e direzione stabile, al fine di "offrire - si legge nel documento - a quanti si dedicano al sacerdozio un'educazione più accurata, poiché con questo unico beneficio si danno alla Chiesa (portoghese) quasi tutti gli aiuti di cui ha bisogno".

In una Chiesa locale è molto utile che alcuni membri del clero approfondiscano la loro conoscenza del messaggio cristiano nel quadro degli studi universitari. Sono a conoscenza del diligente impegno con cui i Vescovi portoghesi hanno cercato di offrire strumenti di formazione qualificata ai loro sacerdoti, in particolare con l'istituzione e l'incessante ampliamento dell'Università Cattolica nel Paese, ma è proprio dello spirito delle stesse istituzioni universitarie far sì che una parte dei propri studenti frequenti centri accademici all'estero al fine di acquisire un'altra visione e una formazione complementare. Da qui la grande utilità che ha avuto e continuerà ad avere il Collegio Portoghese nell'accogliere degnamente i sacerdoti, ai quali è data la grazia di proseguire la loro formazione teologica e pastorale, beneficiando di tutti i mezzi che la Città Eterna offre loro.

A titolo di omaggio, come non ricordare che, nel corso dei primi cento anni, sono passati per il Collegio 867 studenti, la maggioranza di essi sacerdoti che si sono rivelati Pastori illuminati e zelanti - fra di essi si contano 3 Cardinali e 64 Vescovi -, alla cui formazione questo Istituto ha dato un contributo di prim'ordine? Roma ha contribuito a consolidare in essi una mentalità universale e cattolica conforme alle linee fondamentali dell'azione da svolgere, quando, in seguito, pervasi da un autentico spirito apostolico, hanno posto al servizio dell'evangelizzazione il sapere acquisito, avvalendosi molte volte della conoscenza diretta di persone e situazioni che il soggiorno romano aveva dato loro. Una lezione che ci lascia questo centenario è la grande fecondità spirituale che proviene dal collocamento di questo Istituto portoghese qui, nel cuore della cattolicità, offrendo eccezionali opportunità non solo per il lavoro accademico ma anche per l'esperienza personale.

Il Collegio, che ricorda sotto vari aspetti il Cenacolo di Gerusalemme, è entrato nel secondo secolo di esistenza. Su quanti formano la sua famiglia imploro la venuta dello Spirito Santo con i suoi doni.

Come ha detto il signor Cardinale, oggi trovano accoglienza in esso sacerdoti di diversi Paesi e lingue, facendone un luogo privilegiato di incontro sacerdotale e un vincolo promotore di unità fra diverse Chiese locali. Al termine del Grande Giubileo dell'anno 2000, ho invitato tutto il popolo di Dio a "fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo" (Lettera Apostolica, Novo Millennio ineunte
NM 43). In ricordo di questo nostro incontro, vi affido un auspicio: che tutti sappiano dare il proprio contributo per approfondire e consolidare l'unità della Chiesa, di cui Roma è segno e centro posto al suo servizio!

Come sapete, una comunità cristiana vive dello sforzo di comunicazione e cooperazione di ognuno dei suoi membri, obbedendo all'amore che proviene dalla Santissima Trinità, le cui Persone sussistono nella reciproca e incessante comunicazione e nello scambio di essere e vita. Questa comunione trinitaria è il modello che deve trasparire dall'essere e dal servizio sacerdotale, che "ha una radicale "forma comunitaria" e può essere assolto solo come un "opera collettiva"" (Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis PDV 17), in comunione gerarchica con il proprio Vescovo e insieme agli altri presbiteri e ai fedeli laici.

Amati fratelli e sorelle,

Questi sono alcuni dei sentimenti che mi ispira il centenario del vostro e nostro Collegio. Continuate a progredire, senza venir meno, nella formazione cristiana e sacerdotale, apostolica e culturale, che la Chiesa si aspetta da voi. Amate profondamente il Vangelo e gli uomini fra i quali siete inviati, secondo l'esempio e la misura del Cuore di Cristo (cfr Jr 3,15), al quale è solennemente consacrato il Collegio con un atto di affidamento che le successive generazioni di Superiori e studenti hanno rinnovato, trovando in Lui serenità, ispirazione e santità.

6 Così questo Istituto deve continuare a essere, come in passato, vivaio di apostoli, punto di unione della Roma cattolica con i vostri Paesi, testimonianza viva della dedizione e della fedeltà di questi ultimi alla Sede di Pietro. Con questi auspici per il migliore futuro del Collegio Portoghese, imparto di cuore ai Superiori e agli studenti, ai benefattori e ai collaboratori, presenti e assenti, la mia Benedizione Apostolica.

DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


AL CORPO DIPLOMATICO


ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE


Lunedì, 13 gennaio 2003

Signore e Signori,


1. Felice tradizione quella dell’odierno incontro all’inizio del nuovo anno, che mi offre la gioia di ricevervi e di abbracciare, in un certo senso, tutti i popoli che voi rappresentate! In effetti, attraverso di voi e grazie a voi, mi giungono le speranze e le aspirazioni, i successi e gli insuccessi dei vostri Paesi. Oggi, desidero formulare per i vostri Paesi fervidi voti di felicità, di pace e di prosperità.

Alla soglia del nuovo anno, mi è gradito presentare a voi tutti i miei migliori auguri, mentre invoco sulle vostre persone, sulle vostre famiglie e sui vostri connazionali l’abbondanza delle benedizioni divine.

Prima di condividere con voi qualche riflessione, ispirata dall’attualità nel mondo e nella Chiesa, sento il bisogno di ringraziare il vostro Decano, l’Ambasciatore Giovanni Galassi, per il discorso che mi ha appena rivolto, come pure per gli auguri che, a nome di tutti, ha cortesemente espresso per la mia persona e per il mio ministero. Vogliate accogliere tutti la mia viva gratitudine!

Signor Ambasciatore, Ella ha evocato in maniera sobria le legittime attese dei nostri contemporanei, troppo spesso, purtroppo, ostacolate dalle crisi politiche, dalla violenza armata, dai conflitti sociali, dalla povertà o dalle catastrofi naturali. Mai come in questo inizio di millennio, l’uomo ha percepito quanto il mondo da lui plasmato sia precario.

2. Sono impressionato dal sentimento di paura che dimora sovente nel cuore dei nostri contemporanei. Il terrorismo subdolo che può colpire in qualsiasi istante e ovunque; il problema non risolto del Medio Oriente, con la Terra Santa e l’Iraq; gli scossoni che scompigliano il Sud America, particolarmente l’Argentina, la Colombia e il Venezuela; i conflitti che impediscono a numerosi Paesi africani di dedicarsi al proprio sviluppo; le malattie che propagano il contagio e la morte; il problema grave della fame, in modo speciale in Africa; i comportamenti irresponsabili che contribuiscono all’impoverimento delle risorse del pianeta: ecco altrettanti flagelli che minacciano la sopravvivenza dell’umanità, la serenità delle persone e la sicurezza delle società.

3. Ma tutto può cambiare. Dipende da ciascuno di noi. Ognuno può sviluppare in se stesso il proprio potenziale di fede, di probità, di rispetto altrui, di dedizione al servizio degli altri.

Dipende chiaramente anche dai responsabili politici chiamati a servire il bene comune. Non vi sorprenda il fatto che, di fronte ad una platea di diplomatici, io proponga al riguardo alcuni imperativi, ai quali mi sembra necessario ottemperare, se si vuole evitare che popoli interi, forse addirittura l’umanità stessa, precipitino nell’abisso.

Anzitutto un «SÌ ALLA VITA»! Rispettare la vita e le vite: tutto comincia da qui, poiché il più fondamentale diritto umano è il diritto alla vita. L’aborto, l’eutanasia o la clonazione umana, ad esempio, rischiano di ridurre la persona umana ad un semplice oggetto: in qualche modo, la vita e la morte a comando! Quando sono prive di ogni criterio morale, le ricerche scientifiche che manipolano le sorgenti della vita, sono una negazione dell’essere e della dignità della persona. Anche la stessa guerra attenta alla vita umana, perché reca con sé sofferenza e morte. La lotta per la pace è sempre una lotta per la vita!

7 Poi, il RISPETTO DEL DIRITTO. La vita in società – in particolare la vita internazionale – suppone dei principi comuni intangibili, il cui scopo è di garantire la sicurezza e la libertà dei cittadini e delle Nazioni. Tali regole di condotta sono alla base della stabilità nazionale e internazionale. Oggi, i responsabili politici hanno a disposizione testi appropriati e pertinenti istituzioni. Basta metterli in pratica. Il mondo sarebbe totalmente diverso se si cominciasse ad applicare, in maniera sincera, gli accordi sottoscritti!

Infine il DOVERE DELLA SOLIDARIETÀ. In un mondo inondato da informazioni, ma che paradossalmente comunica con tanta difficoltà, e dove le condizioni di esistenza sono scandalosamente ineguali, è importante non lasciare nulla di intentato perché tutti si sentano responsabili della crescita e della felicità di tutti. Ne va del nostro avvenire. Giovani senza lavoro, persone disabili marginalizzate, anziani abbandonati, Paesi prigionieri della fame e della miseria: ecco ciò che troppo spesso fa sì che l’uomo perda la speranza e soccomba alla tentazione del ripiegamento su sé stesso o alla violenza.

4. Si impongono pertanto alcune scelte affinché l’uomo abbia ancora un avvenire: i popoli della terra e i loro dirigenti devono avere talvolta il coraggio di dire “no”.

«NO ALLA MORTE»! Cioè, “no” a tutto ciò che attenta all’incomparabile dignità di ogni essere umano, a cominciare da quella dei bambini non ancora nati. Se la vita è davvero un tesoro, bisogna saperlo conservare e farlo fruttificare senza snaturarlo. “No” a tutto ciò che indebolisce la famiglia, cellula fondamentale della società. “No” a tutto ciò che distrugge nel bambino il senso dello sforzo, il rispetto di sé e dell’altro, il senso del servizio.

«NO ALL’EGOISMO»! Cioè, “no” a tutto ciò che spinge l’uomo a rifugiarsi nel bozzolo di una classe sociale privilegiata o di una cultura di comodo che esclude l’altro. Il modo di vivere di quanti usufruiscono del benessere, il loro modo di consumare, debbono essere rivisti alla luce delle ripercussioni che hanno sugli altri Paesi. Si pensi, ad esempio, al problema dell’acqua, che l’Organizzazione delle Nazioni Unite propone alla riflessione di tutti nel corso del 2003. Egoismo è anche l’indifferenza delle Nazioni opulente nei confronti dei Paesi abbandonati a se stessi. Tutti i popoli hanno il diritto di ricevere una parte equa dei beni di questo mondo, e della conoscenza scientifica e tecnologica dei Paesi più capaci. Come, ad esempio, non pensare all’accesso per tutti ai medicinali generici, necessari per sostenere la lotta contro le epidemie attuali? Questo accesso è spesso impedito da considerazioni economiche a corto termine.

«NO ALLA GUERRA»! La guerra non è mai una fatalità; essa è sempre una sconfitta dell’umanità. Il diritto internazionale, il dialogo leale, la solidarietà fra Stati, l’esercizio nobile della diplomazia, sono mezzi degni dell’uomo e delle Nazioni per risolvere i loro contenziosi. Dico questo pensando a coloro che ripongono ancora la loro fiducia nell’arma nucleare e ai troppi conflitti che tengono ancora in ostaggio nostri fratelli in umanità. A Natale, Betlemme ci ha richiamato la crisi non risolta del Medio Oriente dove due popoli, quello israeliano e quello palestinese, sono chiamati a vivere fianco a fianco, ugualmente liberi e sovrani, rispettosi l’uno dell’altro. Senza dover ripetere ciò che dicevo l’anno scorso in questa stessa circostanza, mi accontenterò oggi di aggiungere, davanti al costante aggravarsi della crisi mediorientale, che la sua soluzione non potrà mai essere imposta ricorrendo al terrorismo o ai conflitti armati, ritenendo addirittura che vittorie militari possano essere la soluzione. E che dire delle minacce di una guerra che potrebbe abbattersi sulle popolazioni dell’Iraq, terra dei profeti, popolazioni già estenuate da più di dodici anni di embargo? Mai la guerra può essere considerata un mezzo come un altro, da utilizzare per regolare i contenziosi fra le Nazioni. Come ricordano la Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Diritto internazionale, non si può far ricorso alla guerra, anche se si tratta di assicurare il bene comune, se non come estrema possibilità e nel rispetto di ben rigorose condizioni, nè vanno trascurate le conseguenze che essa comporta per le popolazioni civili durante e dopo le operazioni militari.

5. È dunque possibile cambiare il corso degli eventi quando prevalgono la buona volontà, la fiducia nell’altro, l’attuazione degli impegni assunti e la cooperazione fra partner responsabili. Accennerò a due esempi.

L’Europa di oggi, contemporaneamente unita e allargata. Essa ha saputo abbattere i muri che la sfiguravano. Si è impegnata nell’elaborazione e nella costruzione di una realtà capace di coniugare unità e diversità, sovranità nazionale e azione comune, progresso economico e giustizia sociale. Questa Europa nuova porta in sé i valori che hanno fecondato, per due millenni, un’arte di pensare e di vivere di cui il mondo intero ha beneficiato. Fra questi valori, il cristianesimo occupa un posto privilegiato avendo dato origine a un umanesimo che ha impregnato la sua storia e le sue istituzioni. Ricordando tale patrimonio, la Santa Sede e l’insieme delle Chiese cristiane hanno insistito presso i redattori del futuro Trattato costituzionale dell’Unione Europea affinché in esso figuri un riferimento alle Chiese e alle istituzioni religiose. Infatti, sembra augurabile che, nel pieno rispetto della laicità, siano riconosciuti tre elementi complementari: la libertà religiosa nella sua dimensione non solo individuale e cultuale, ma pure sociale e comunitaria; l’opportunità di un dialogo e di una consultazione strutturati fra i Governi e le comunità dei credenti; il rispetto dello statuto giuridico di cui le Chiese e le istituzioni religiose già godono negli Stati membri dell’Unione. Un’Europa che rinnegasse il proprio passato, che negasse il fatto religioso e non tenesse in conto alcuna dimensione spirituale, risulterebbe fortemente sminuita di fronte al progetto ambizioso che mobilita le sue energie: costruire l’Europa di tutti!

Anche l’Africa ci offre oggi l’occasione di rallegrarci: l’Angola ha cominciato l’opera di ricostruzione; il Burundi ha intrapreso il cammino che potrebbe condurre alla pace, ed attende dalla comunità internazionale comprensione e aiuti finanziari; la Repubblica Democratica del Congo si è impegnata seriamente in un dialogo nazionale che dovrebbe condurre alla democrazia. Il Sudan ha ugualmente dato prova di buona volontà, anche se il cammino verso la pace è lungo e arduo. Ci si deve senz’altro rallegrare per simili progressi e i responsabili politici vanno incoraggiati a non risparmiare alcuno sforzo perché, a poco a poco, i popoli dell’Africa conoscano un processo di pacificazione e quindi di prosperità, al riparo dalle lotte etniche, dall’arbitrio e dalla corruzione. Ecco perché non si possono non deplorare i gravi avvenimenti che scuotono la Costa d’Avorio e la Repubblica Centroafricana, invitando gli abitanti dei rispettivi Paesi a deporre le armi, a rispettare le loro Costituzioni e a gettare le basi di un dialogo nazionale. Sarà, così, facile coinvolgere le varie componenti della comunità nazionale nell’elaborazione di un progetto di società in cui tutti possano ritrovarsi. Inoltre, sempre di più, è bene ricordarlo, gli Africani tentano di trovare le soluzioni più adatte ai loro problemi, grazie all’azione dell’Unione Africana e a efficaci mediazioni regionali.

6. Eccellenze, Signore e Signori, una constatazione si impone: ormai l’indipendenza degli Stati non può più essere concepita, se non nell’interdipendenza. Tutti sono legati nel bene come nel male. Per tale ragione, giustamente, occorre saper distinguere il bene dal male e chiamarli con il loro proprio nome. Al riguardo, quando il dubbio o la confusione prendono il sopravvento, si devono temere i più grandi mali, come la storia ci ha insegnato innumerevoli volte.

Per evitare di precipitare nel caos, mi sembra che si impongano due esigenze.Anzitutto recuperare in seno agli Stati e fra gli Stati il valore primordiale della legge naturale, che ha ispirato, un tempo, il diritto delle genti e i primi pensatori del diritto internazionale. Anche se alcuni oggi ne mettono in discussione la validità, sono convinto che i suoi principi generali e universali sono sempre atti a far meglio percepire l’unità del genere umano, e a favorire il perfezionamento della coscienza di chi governa e di chi è governato.

8 Inoltre, l’azione senza sosta di uomini di Stato probi e disinteressati. In effetti, l’indispensabile competenza professionale dei responsabili politici non può essere legittimata che da un saldo riferimento a forti convinzioni etiche. Come si potrebbe pretendere di trattare gli affari del mondo senza riferimento a quell’insieme di principi, che sono alla base di quel “bene comune universale” di cui l’Enciclica Pacem in terris di Papa Giovanni XXIII ha così ben parlato? Sarà sempre possibile a un dirigente, coerente con le proprie convinzioni, di rifiutarsi dinanzi a situazioni ingiuste e a deviazioni istituzionali, o di porvi fine. Ritroviamo qui, penso, ciò che di solito oggi viene chiamato “il buon governo”. Il benessere materiale e spirituale dell’umanità, la tutela delle libertà e dei diritti della persona umana, il servizio pubblico disinteressato, la vicinanza alle situazioni concrete, precedono qualsiasi programma politico e costituiscono un’esigenza etica che è quanto di meglio possa assicurare la pace interna delle Nazioni e la pace fra gli Stati.

7. È evidente che per un credente a simili motivazioni si aggiungono quelle che offre la fede in Dio creatore e padre di tutti gli uomini, il quale gli affida la gestione della terra e il dovere dell’amore fraterno. Tenendo conto di ciò, lo Stato ha tutto l’interesse a vigilare perché la libertà religiosa, diritto naturale - individuale e sociale – sia effettivamente garantita a tutti. Come ho già avuto occasione di affermare, quando i credenti si sentono rispettati nella propria fede, e vedono le proprie comunità giuridicamente riconosciute, collaborano con tanta più convinzione al progetto comune della società civile di cui sono membri. Voi comprendete allora perché io mi faccio portavoce di tutti i cristiani che, dall’Asia all’Europa, sono ancora vittime della violenza e dell’intolleranza, come è avvenuto recentemente in occasione della celebrazione del Natale. Il dialogo ecumenico fra cristiani, e i contatti rispettosi con le altre religioni, in particolare con l’Islam, costituiscono il miglior antidoto alle derive settarie, al fanatismo o al terrorismo religioso. Per quanto concerne la Chiesa cattolica, non citerò che un caso per me motivo di grande sofferenza: la sorte riservata alle comunità cattoliche nella Federazione Russa, che da diversi mesi vedono alcuni dei loro pastori impediti di raggiungerle, per ragioni amministrative. La Santa Sede si attende dalle autorità governative decisioni concrete che mettano fine a questa crisi, decisioni che siano conformi agli impegni internazionali sottoscritti dalla Russia moderna e democratica. I cattolici russi vogliono vivere come i loro fratelli del resto del mondo, con la stessa libertà e la medesima dignità.
8. Eccellenze, Signore e Signori, auspico che a noi riuniti in questo luogo, simbolo di spiritualità, di dialogo e di pace, sia dato di contribuire, mediante il nostro impegno quotidiano, a far avanzare tutti i popoli della terra, nella giustizia e nella concordia, verso condizioni più felici e più giuste, lontano dalla povertà, dalla violenza e dalle minacce di guerra! Voglia Dio colmare di abbondanti benedizioni le vostre persone e quanti voi qui rappresentate! Buono e felice Anno a tutti! DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II



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