GP2 Discorsi 2002 124

124 3. "Voi siete la luce del mondo" (Mt 5,14). Ecco l'altro messaggio di Gesù ai suoi discepoli. La luce ha la caratteristica di fugare le tenebre, di riscaldare ciò che raggiunge, di esaltarne le forme. Tutto questo lo fa con velocità altissima. Essere luce del mondo vuol dire allora per i cristiani, e specialmente per i giovani cristiani, diffondere dovunque la luce che viene dall'Alto. Vuol dire combattere l'oscurità, tanto quella dovuta alla resistenza del male e del peccato, quanto quella causata da ignoranza e pregiudizi.

Giovani di Ischia, siate raggi della luce di Cristo. E' Lui la "luce del mondo" (Jn 8,12)! Propagate questa luce in ogni ambiente, specialmente là dove Gesù non è conosciuto e amato o è addirittura rifiutato. Con la vostra vita fate capire che la luce proveniente dall'Alto non distrugge l'umano; al contrario, lo esalta, come il sole che con il suo fulgore mette in rilievo le forme e i colori. Dio non è il concorrente dell'uomo, ma l'amico vero, il suo più fedele alleato.

Questo messaggio va trasmesso con la velocità della luce! Non perdete tempo: la vostra giovinezza è troppo preziosa per essere sciupata anche solo in minima parte. Dio ha bisogno di voi e vi chiama ciascuno per nome.

4. Da quest'Isola, ricca di sole e di bellezze naturali, coperta di verde e immersa nelle acque meravigliose del "mare nostrum", giunga a tutti i giovani - a cominciare dai tanti che vengono a visitarla - un messaggio di luce e di speranza. Cari ragazzi e ragazze, insieme ai vostri genitori, ai pastori, agli educatori, ai catechisti, agli amici, siate "sale e luce" per coloro che il Signore metterà sulla vostra strada.

Vi guidi Maria Santissima, "Stella del mare", che orienta i naviganti nel grande mare della vita al porto sicuro, splendendo come stella luminosa anche nelle ore più buie. Vi siano di esempio i Santi patroni, specialmente santa Restituta e san Giovan Giuseppe della Croce. Nessun turbamento, nessuna paura, nessun peccato vi separino dall'amore di Dio. Gesù è la luce che vince le tenebre; il sale che dà sapore ai vostri verdi anni e all'intera vostra esistenza. E' Lui che vi conserva nella bellezza e nella fedeltà a Dio, suo e nostro Padre.

Arrivederci a Toronto, dove vi attendo numerosi: insieme ai vostri coetanei d'ogni Continente offriremo al mondo un messaggio di speranza. Il vostro Vescovo, all'inizio, vi ha presentati come "sentinelle del mattino". Sì, carissimi giovani amici, siate sentinelle intrepide del Vangelo, che attendono e preparano l'avvento del Giorno nuovo che è Cristo.

Vi benedico tutti con affetto.

Al termine dell’incontro con i giovani è stata consegnata al Santo Padre un’offerta per i bambini di Betlemme. Quindi, il Papa ha pronunciato le seguenti parole:

Qualcuno potrebbe pensare che i giovani di Ischia, e i giovani d’Italia, siano tanto ricchi. Ma, io so che qui entra un’altra economia. È l’economia evangelica dei poveri in spirito. Vi auguro che la prossima Giornata Mondiale della Gioventù sia l’espressione della maturità evangelica di tutti i giovani del mondo e, in modo speciale, dei giovani d’Italia e dei giovani di questa vostra bella isola.
Allora, coraggio! Coraggio e speranza. Sia lodato Gesù Cristo.


ALLE GUARDIE SVIZZERE PONTIFICIE


Lunedì, 6 maggio 2002




125 Egregio signor Comandante,
Reverendo Cappellano,
mie care Guardie,
cari parenti e amici della Guardia Svizzera!

1. Con tutto il cuore vi saluto qui nel Palazzo Apostolico! Porgo un particolare benvenuto alle reclute che oggi sono riunite festosamente insieme ai loro genitori, parenti e amici. Voi, care Guardie, avete il privilegio di lavorare per alcuni anni nella Città Santa e di poter vivere nella "Città Eterna".

Le vostre famiglie e i numerosi ospiti, qui presenti, hanno unito la loro partecipazione alla cerimonia di giuramento a un pellegrinaggio ai luoghi santi della nostra fede, alle Tombe degli Apostoli. A voi tutti auguro di fare qui a Roma l'esperienza eccezionale del significato della "Chiesa universale" e soprattutto che il gioioso Ufficio Divino e gli incontri di questo giorno possano rinnovare e approfondire la vostra fede.

2. Quest'oggi, 6 maggio, è un giorno significativo e memorabile nella vita della Guardia Svizzera Pontificia e di tutte le persone ad essa legate, sia a Roma sia nella vostra amata Svizzera. 475 anni fa i vostri predecessori, care Guardie, durante il "sacco di Roma" del 1527 dimostrarono la loro fedeltà eroica alla Sede di Pietro e al Pontefice con il sacrificio della propria vita. Nel corso della storia i soldati della Guardia Svizzera hanno sempre voluto dimostrare al Papa e a tutta la Chiesa che il Successore di Pietro poteva contare su di loro. Il servizio onorato e coraggioso della protezione della persona del Santo Padre non poteva allora e non può neanche oggi compiersi senza quelle caratteristiche che contraddistinguono ogni Guardia Svizzera: fermezza nella fede cattolica, fedeltà e amore verso la Chiesa di Gesù Cristo, coscienziosità e perseveranza nei piccoli e grandi compiti del servizio quotidiano, coraggio e umiltà, altruismo e umanità. Di queste virtù dev'essere colmo il vostro cuore quando prestate il servizio d'onore e di sicurezza in Vaticano.

3. Cari giovani, vi ringrazio di avere accettato di donare qualche anno della vostra vita per vegliare sul Papa e per garantire la sicurezza di tutti coloro che lavorano per la Santa Sede, divenendo così gli eredi di una lunga tradizione di fedeltà e di dedizione, in seno alla Guardia Svizzera. Auspico che, nonostante le difficoltà e le fatiche del vostro servizio, viviate pienamente questo tempo di missione come un approfondimento della vostra fede e del vostro attaccamento alla Chiesa, e come un'esperienza di fraternità fra voi. Siate attenti gli uni agli altri, per sostenervi nel lavoro quotidiano e per arricchirvi reciprocamente, ricordandovi sempre che "vi è più gioia nel dare che nel ricevere", come dice l'Apostolo (
Ac 20,35). Porgo un saluto cordiale alle vostre famiglie, ai vostri amici, come pure ai Rappresentanti delle Autorità svizzere, che sono venuti per accompagnarvi in questo giorno di festa.

4. Care reclute, non dimenticate mai di vivere il responsabile servizio che prestate alla Santa Sede in qualità di "soldati del Papa", come missione che il Signore stesso vi affida. Profittate del tempo che trascorrete qui a Roma, nel centro della Chiesa, per crescere nell'amicizia con Cristo e camminare verso la meta di ogni vera vita cristiana: la santità.

Vi aiuti Maria, che onoriamo in modo speciale nel mese di maggio, a sperimentare ogni giorno di più quella comunione profonda con Dio, che per noi credenti inizia sulla terra e sarà completa nel cielo. Siamo infatti chiamati, come ricorda san Paolo, ad essere "concittadini dei Santi e familiari di Dio" (Ep 2,19).

5. Affidando voi, le vostre famiglie, i vostri amici e quanti, in occasione del giuramento, sono venuti a Roma, all'intercessione della Santa Vergine e Madre di Dio, dei vostri patroni, san Martino e san Sebastiano e del protettore della vostra patria, Nicola da Flüe, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.


AI VESCOVI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLE ANTILLE


IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"


126
Martedì, 7 maggio 2002




Cari Fratelli Vescovi,

1. "Pace ai fratelli e carità e fede da parte di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo" (
Ep 6,23). Con le parole dell'Apostolo Paolo e la gioia della Pasqua, vi do il benvenuto, Vescovi delle Antille, in occasione della vostra visita ad limina Apostolorum. Mediante voi, saluto tutti i fedeli di Cristo affidati alla vostra sollecitudine. Che la pace del Signore Risorto regni in tutti i cuori e in tutte le case della regione caraibica!

Ringrazio l'Arcivescovo Clarke per le cortesi parole con le quali ha espresso quella spiritualità di comunione che è il centro della Chiesa (cfr Novo Millennio ineunte NM 43-45).

È questa comunione che vi porta a Roma, in pellegrinaggio sulle Tombe degli Apostoli, dove rinnovate la vostra fedeltà alla tradizione apostolica, le cui radici affondano nel comandamento del Signore (cfr Mt 28,19-20) e coinvolgono la vita interiore della Trinità, base di tutta la realtà.

Venite come Pastori chiamati a condividere la pienezza del sacerdote eterno di Cristo. Prima di tutto, siete sacerdoti: non dirigenti esecutivi, uomini d'affari, funzionari economici o burocrati, ma sacerdoti. Ciò significa soprattutto che siete stati chiamati a offrire sacrifici, poiché questa è l'essenza del sacerdozio. Il centro del sacerdozio cristiano consiste nell'offrire il sacrificio di Cristo. L'Eucaristia è l'essenza dell'essere sacerdoti, motivo per cui non c'è nulla di più importante dell'offerta del Sacrificio Eucaristico. Per questo, la celebrazione dell'Eucaristia è al centro della vostra visita ad limina.Non possiamo mai dimenticare che le Tombe degli Apostoli che veneriamo a Roma sono tombe di martiri, la cui vita e la cui morte sono state attirate sempre più nelle profondità del sacrificio di Cristo fino ad affermare: "Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (Ga 2,20). È stato il grembo della loro straordinaria opera missionaria che noi, loro Successori, dobbiamo emulare in questo tempo se dobbiamo essere fedeli alla nuova evangelizzazione alla quale il Concilio Vaticano II ha provvidenzialmente preparato la Chiesa.

2. Il Concilio è stato "la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX" (Novo Millennio ineunte NM 57). Benché i decenni che ci separano da esso non siano stati esenti da difficoltà - ci sono stati periodi nel corso dei quali elementi importanti della vita cristiana sembravano persino in pericolo -, numerosi segni denotano ora questa nuova primavera dello spirito di cui il grande Giubileo dell'anno 2000 ha mostrato in modo evidente il carattere profetico.

Negli anni che sono seguiti al Concilio, l'apparizione di nuove aspirazioni spirituali e di nuove energie apostoliche fra i fedeli della Chiesa è stata senza dubbio uno dei frutti dello Spirito. I laici vivono la grazia del loro Battesimo sotto forme che rivelano in modo più splendente il ricco ventaglio dei carismi nella Chiesa; per questo non cessiamo di rendere grazie a Dio.

È parimenti vero che il risveglio dei fedeli laici nella Chiesa ha visto sorgere allo stesso tempo, anche nei vostri Paesi, problemi relativi alla chiamata al sacerdozio, uniti a deboli ingressi in seminario nelle Chiese che vi sono state affidate. In quanto Pastori, siete vivamente preoccupati poiché, come ben sapete, la Chiesa cattolica non può esistere senza il ministero sacerdotale che Cristo stesso desidera per essa.

Alcune persone, si sa, affermano che la diminuzione del numero dei sacerdoti è opera dello Spirito Santo e che Dio stesso sta guidando la Chiesa facendo in modo che il governo dei fedeli laici si sostituisca al governo dei sacerdoti. Una simile affermazione non tiene certamente conto di ciò che i Padri conciliari hanno affermato quando hanno cercato di promuovere un coinvolgimento maggiore dei fedeli laici nella Chiesa. Nel loro insegnamento, i Padri conciliari hanno semplicemente messo in evidenza la profonda complementarità fra i sacerdoti e i laici che la natura sinfonica della Chiesa implica. Un'errata comprensione di tale complementarità a volte porta a una crisi d'identità e di fiducia fra i sacerdoti e anche a forme di impegno laico troppo clericali o troppo politicizzate.

L'impegno dei laici diviene una forma di clericalismo quando i ruoli sacramentali o liturgici che spettano al sacerdote vengono assunti da fedeli laici o quando questi iniziano a svolgere compiti che competono al governo pastorale proprio del sacerdote. In simili situazioni, ciò che il Concilio ha insegnato sul carattere essenzialmente secolare della vocazione laica viene spesso trascurato (cfr Lumen gentium LG 31). È il sacerdote, in quanto ministro ordinato, che, a nome di Cristo, presiede la comunità cristiana, sul piano liturgico e su quello pastorale. I Laici l'assistono in diversi modi in questo compito. Tuttavia, il principale ambito dell'esercizio della vocazione laicale è il mondo delle realtà economiche, sociali, politiche e culturali. È in questo mondo che i laici sono invitati a vivere la loro vocazione battesimale, non come consumatori passivi, ma come membri attivi della grande opera che esprime il carattere cristiano. Spetta al sacerdote presiedere la comunità cristiana al fine di permettere ai laici di svolgere il compito ecclesiale e missionario che corrisponde loro. In un'epoca di secolarizzazione insidiosa, può apparire strano che la Chiesa insista tanto sulla vocazione secolare dei laici. Ora, è proprio la testimonianza evangelica dei fedeli nel mondo ad essere al centro della risposta della Chiesa al malessere della secolarizzazione (cfr Ecclesia in America, n. 44).

127 L'impegno dei laici è politicizzato quando il laicato è assorbito dall'esercizio del "potere" all'interno della Chiesa. Ciò avviene quando la Chiesa non è vista in termini del "mistero" di grazia che la caratterizza, ma in termini sociologici o persino politici, spesso sulla base di una comprensione errata della nozione di "popolo di Dio", una nozione che possiede profonde e ricche basi bibliche e che è stata così ben utilizzata dal Concilio Vaticano II. Quando non è il servizio ma il potere a modellare ogni forma di governo nella Chiesa, sia nel clero sia nel laicato, gli interessi opposti cominciano a farsi sentire. Il clericalismo è per i sacerdoti quella forma di governo che proviene più dal potere che dal servizio, e che genera sempre antagonismi fra i sacerdoti e il popolo; tale clericalismo si ritrova in forme di guida laicale che non tengono sufficientemente conto della natura trascendentale e sacramentale della Chiesa, come pure del suo ruolo nel mondo. Questi due atteggiamenti sono nocivi. Al contrario, ciò di cui la Chiesa ha bisogno è di un senso della complementarità fra la vocazione del sacerdote e quella dei laici che sia più profondo e più creativo. Senza di ciò, non possiamo sperare di restare fedeli agli insegnamenti del Concilio né di superare le abituali difficoltà riguardanti l'identità del sacerdote, la fiducia in lui e la chiamata al sacerdozio.

3. Tuttavia dobbiamo andare oltre i confini della Chiesa perché il Concilio Vaticano II ha voluto essenzialmente promuovere nuove energie per la sua missione nel mondo. Siete consapevoli del fatto che una parte essenziale della sua missione evangelizzatrice è l'inculturazione del Vangelo e so che nella vostra regione si è prestata molta attenzione alla necessità di sviluppare forme caraibiche di culto e di vita cattolici. Nell'Enciclica Fides et Ratio ho sottolineato che: "Il Vangelo non è contrario a questa od a quella cultura come se volesse privarla di ciò che le appartiene e la obbligasse ad assumere forme estrinseche che non le sono conformi" (n. 71). Ho continuato sottolineando che le culture non solo non vengono sminuite dall'incontro con il Vangelo, ma sono "anzi stimolate ad aprirsi al nuovo della verità evangelica per trarne incentivo verso ulteriori sviluppi" (ibidem; cfr Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in America, n. 70).

A tal fine, è importante ricordare i tre criteri per comprendere se i nostri tentativi di inculturare il Vangelo hanno un fondamento sano. Il primo è l'universalità dello spirito umano, le cui esigenze basilari non sono diverse neanche in culture completamente differenti. Quindi, nessuna cultura potrà mai essere assoluta in modo da negare che lo spirito umano è, a livello più profondo, lo stesso in ogni tempo, luogo e cultura. Il secondo criterio è che, nell'impegnarsi in nuove culture, la Chiesa non può abbandonare l'eredità preziosa che le deriva dal suo impegno iniziale con la cultura greco-latina, perché significherebbe "negare il piano provvidenziale di Dio che guida la sua Chiesa lungo i sentieri del tempo e della storia" (Fides et Ratio, n. 72). Non si tratta, dunque, di rifiutare l'eredità greco-latina per permettere al Vangelo di incarnarsi di nuovo nella cultura caraibica. Si tratta piuttosto di impegnare l'eredità culturale della Chiesa in un dialogo profondo e reciprocamente nobilitante con la cultura caraibica. Il terzo criterio è che la cultura non deve chiudersi nella propria diversità, non deve rifugiarsi nell'isolamento e opporsi alle altre culture e tradizioni.

Ciò significherebbe negare non solo l'universalità dello spirito umano, ma anche quella del Vangelo, che non è estraneo ad alcuna cultura e cerca di mettere radici in tutte le culture.

4. In Ecclesia in America ho osservato che: "è quanto mai necessario che i fedeli passino da una fede abitudinaria... ad una fede consapevole, vissuta personalmente. Rinnovarsi nella fede sarà sempre la via migliore per condurre tutti alla Verità che è Cristo" (n. 73). Per questo, è essenziale sviluppare nelle vostre Chiese particolari una nuova apologetica per il vostro popolo affinché possa capire ciò che la Chiesa insegna ed essere quindi in grado di dare ragione della propria speranza (cfr
1P 3,15). In un mondo in cui le persone sono continuamente sottoposte alla pressione culturale e ideologica dei mezzi di comunicazione sociale e all'atteggiamento aggressivamente anti-cattolico di molte sette, è essenziale che i cattolici sappiano che cosa insegna la Chiesa, capiscano quell'insegnamento e sperimentino la sua forza liberatrice. La mancanza di comprensione porta alla carenza di quell'energia spirituale che è invece necessaria alla vita cristiana e all'opera di evangelizzazione.

La Chiesa è chiamata a proclamare una verità assoluta e universale al mondo in un momento in cui molte culture provano profonda incertezza sull'esistenza o meno di tale verità. Quindi, la Chiesa deve parlare con la forza della testimonianza autentica. Nel considerare ciò che tale compito implica, Papa Paolo VI ha identificato quattro qualità, che ha definito perspicuitas, lenitas, fiducia, prudentia - chiarezza, mitezza, fiducia e prudenza (cfr Lettera Enciclica Ecclesiam suam, n. 81).

Parlare con chiarezza significa spiegare in maniera comprensibile la verità della Rivelazione e gli insegnamenti della Chiesa che ne derivano. Quanto insegniamo non è sempre immediatamente o facilmente accessibile alle persone di oggi. Per questo, bisogna spiegare e non solo ripetere.

Intendevo proprio questo quando ho detto che abbiamo bisogno di una nuova apologetica, adatta alle esigenze di oggi, che consideri che il nostro compito non consiste nel conquistare argomenti, ma anime, nell'impegnarci in una specie di lotta spirituale, non in una disputa ideologica, nel difendere e promuovere il Vangelo, non noi stessi.

Questa apologetica avrà bisogno di respirare uno spirito di mitezza, quell'umiltà e quella compassione che comprendono le ansie e gli interrogativi delle persone e, al contempo, non cedono a una dimensione sentimentale dell'amore e della compassione di Cristo, separandoli dalla verità. Sappiamo che l'amore di Cristo può fare molte richieste, proprio perché queste non sono legate al sentimentalismo, ma alla verità che sola rende liberi (cfr Jn 8,32).

Parlare con fiducia significherà non perdere mai di vista la verità assoluta e universale rivelata in Cristo e il fatto che essa è la verità alla quale tutti anelano, indipendentemente da quanto disinteressati, ostili o restii possano sembrare.

Parlare con quella saggezza pratica e quel buon senso che Papa Paolo VI definisce prudenza e che Gregorio Magno considera una virtù dei coraggiosi (Moralia, 22, 1) significherà dare una risposta chiara a chi chiede: "che cosa dobbiamo fare?" (Lc 3, 10, 12, 14). In questo la grave responsabilità del nostro ministero episcopale appare in tutta la sua difficoltà. Dobbiamo pregare ogni giorno affinché lo Spirito Santo ci illumini, possiamo parlare secondo la sapienza di Dio, e non secondo quella del mondo, "perché non venga resa vana la croce di Cristo" (1Co 1,17).

128 Papa Paolo VI ha concluso osservando che parlare con perspicuitas, lenitas, fiducia e prudentia "ci farà sapienti; ci farà maestri" (cfr Ecclesiam suam, n. 83) e che questo è ciò che siamo soprattutto chiamati a essere: maestri di verità, che non smettono mai di implorare "la grazia di vedere la vita intera e la forza di parlarne efficacemente" (Gregorio Magno, Su Ezechiele, I, II, 6).

5. Sono convinto, cari Fratelli, che molti dei problemi del vostro ministero, inclusa la necessità di un numero più alto di vocazioni sacerdotali e religiose, potranno essere risolti osando dedicarsi con ancor più grande generosità al compito missionario. Questo è stato un obiettivo importante del Concilio, e se, da allora, ci sono stati problemi interni nella Chiesa, è avvenuto forse perché la comunità cattolica è stata meno missionaria di quanto voluto dal Signore Gesù e dal Concilio.

Cari Fratelli Vescovi, anche le Chiese particolari devono essere missionarie, nel senso di andare con coraggio in ogni angolo della società caraibica, anche nel più buio, armate della luce del Vangelo e dell'amore che non conosce limiti. È ora di gettare le reti anche dove non sembra esserci del pesce (cfr
Lc 5,4-5): Duc in altum! Nel pianificare questa missione, è fondamentale che consideriate che dobbiamo "scommettere sulla carità" (Novo Millennio ineunte NM 49), perché "il secolo e il millennio che si avviano dovranno ancora vedere, ed anzi è auspicabile che lo vedano con forza maggiore, a quale grado di dedizione sappia arrivare la carità verso i più poveri" (Ibidem).

Tuttavia, è ancor più importante che teniate lo sguardo fisso su Gesù (cfr He 12,2), senza perdere di vista Colui che è l'inizio e la fine di tutta la missione cristiana.

Invocando su di voi in questo tempo di Pasqua i doni dello Spirito Santo e affidando le vostre amate comunità, questi "semi santi del cielo" (sant'Agostino, Sermone, 34, 5) all'incessante protezione di Maria, Madre del Redentore, imparto la mia Benedizione Apostolica a voi, ai sacerdoti, ai religiosi, uomini e donne, e a tutti i fedeli laici della regione caraibica quale pegno di grazia e di pace in Gesù Cristo, primogenito dei morti.


AL NUOVO AMBASCIATORE


DELLA REPUBBLICA DI ALBANIA


PRESSO LA SANTA SEDE IN OCCASIONE


DELLA PRESENTAZIONE DELLE LETTERE CREDENZIALI


Venerdì, 10 maggio 2002




Signor Ambasciatore!

1. Accolgo volentieri le Lettere con le quali il Dott. Rexhep Meidani, Presidente della Repubblica di Albania, La accredita quale Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario presso la Santa Sede.

Nel porgerLe un cordiale benvenuto, desidero ringraziare, per Suo tramite, il Signor Presidente della Repubblica, per le cortesi parole rivoltemi, come pure confermare la costante benevolenza che nutro verso l'amato Paese che Ella è chiamato a rappresentare.

L'odierno incontro rievoca in me il ricordo della visita che Iddio mi ha dato di compiere il 25 aprile 1993 in Albania e i vibranti sentimenti di affetto che tanti Suoi compatrioti mi hanno in quell'occasione manifestato. Costantemente prego Dio perché l'Albania continui con fiducia l'intrapreso cammino di prosperità e di pace, sempre salvaguardando tra tutti i suoi abitanti il mutuo rispetto, il dialogo e la collaborazione. Se, infatti, si desidera costruire una salda unità nazionale, occorre che ogni cittadino creda nei valori della ritrovata democrazia e nei benefici della concordia sociale, e cooperi al consolidamento delle strutture delle istituzioni, che devono mostrarsi sempre efficienti nel rendere alla gente quei servizi che essa legittimamente attende.

La vostra Patria, che può contare su un ricco tesoro di tradizioni etniche, culturali e spirituali, deve saper attingere da esse la linfa vitale che le permetterà di proseguire con fiducia il cammino di profondo rinnovamento sociale nel quale s'è impegnata.

129 2. Come Ella ha opportunamente sottolineato, i legami tra la Sede Apostolica e la Nazione albanese sono plurisecolari e intensi. Essi hanno permesso ad entrambe di crescere nella reciproca conoscenza e fiducia. Si è così instaurata una proficua collaborazione che, dopo la triste parentesi della dittatura comunista, ha potuto essere ripresa in un clima di intesa e di stima. Per questa ragione, sono convinto che i problemi da Lei evocati saranno affrontati e risolti in maniera positiva e si potrà giungere all'auspicata realizzazione dei non pochi progetti attualmente in cantiere.

Il popolo albanese potrà far appello alle ben note doti di coraggio e di determinazione che lo contrassegnano. Di queste virtù, come Ella opportunamente ha ricordato, fu campione Giorgio Castriota Skanderbeg, eroe nazionale, che entrò in contatto ripetutamente con i Romani Pontefici. Mi piace ricordare, a tale proposito, la sollecitudine del mio Predecessore Callisto III verso le imprese di questo "invitto soldato e atleta di Cristo" (Liber Brevium, n. 298), che egli invitava a perseverare nella coraggiosa difesa della fede di fronte alla minaccia ottomana (cfr ibid., n. 302). Come dimenticare, poi, Ganxha (Agnese) Bojaxhiu, Madre Teresa di Calcutta, figlia del popolo albanese, che ha dato onore e lustro alla sua nazione e alla Chiesa Cattolica? La sua attività e la sua testimonianza hanno contribuito a tenere desta nel mondo l'amicizia per la sua Patria, anche durante il periodo buio della persecuzione comunista e antireligiosa.

A questi personaggi il popolo albanese fa costante riferimento e delle loro doti umane e spirituali va giustamente fiero. Proprio queste virtù possono aiutarlo a concretizzare gli obiettivi di ricostruzione e di sviluppo che l'attendono, come Ella ha voluto poc'anzi sottolineare.

3. Inserita in un quadro culturale, storico e geografico europeo, l'Albania aspira legittimamente ad intessere con gli altri popoli del Vecchio Continente un dialogo costruttivo, volendo attivamente contribuire all'edificazione della comune "casa europea".

Questa volontà di proficuo confronto non si svolge soltanto verso i Paesi confinanti e, più in generale, verso l'Unione Europea. Il popolo albanese desidera trovare il suo ruolo in un quadro internazionale più ampio, aprendosi al mondo intero. Prima condizione, e al tempo stesso conseguenza, di questa giusta aspirazione è però l'esigenza di una maggiore coesione e stabilità al suo interno, che renda l'Albania più autorevole nel consesso delle Nazioni. A questo riguardo, come non lodare ed incoraggiare, anche in questa occasione, gli sforzi concreti che stanno permettendo al Paese, che Ella rappresenta, di procedere sulla via del risanamento delle gravi ferite inflitte dai tragici decenni della tirannia?

4. Signor Ambasciatore, per quanto è nelle sue possibilità anche la Santa Sede continuerà a sostenere, come sino ad ora ha fatto, il popolo albanese nella sua ricerca di autentico progresso e di stabile pace. I buoni rapporti reciproci, improntati a fiducia e stima, pongono in luce il valore d'un ritrovato linguaggio comune a vantaggio di tutti gli albanesi. Ne è prova il recente accordo di collaborazione, che l'Albania e la Santa Sede hanno siglato, al fine di regolarizzare le loro relazioni, accordo che ora attende di essere ratificato dal Parlamento, come Ella ha ricordato.

La Chiesa, pur avendo essenzialmente una missione spirituale, è ben consapevole di dover intrattenere un dialogo costante con la società, richiamando, come riferimenti di ogni umana attività, gli intramontabili valori etici e morali. Per costruire un Paese libero e accogliente, i cristiani intendono continuare a collaborare con le altre Confessioni religiose tradizionalmente presenti e con le quali già esiste una rispettosa e fruttuosa intesa.

5. Signor Ambasciatore, Le chiedo di farsi interprete presso il Presidente della Repubblica dei miei sentimenti di deferente ossequio. Desidero al tempo stesso confermarLe che Ella, nell'espletamento dell'alta missione affidataLe dal suo Governo, troverà da parte della Sede Apostolica piena accoglienza, ascolto e collaborazione.

Nel rinnovare fervidi auspici per il felice svolgimento della Sua attività, accompagno i miei voti con l'assicurazione della preghiera affinché Dio Onnipotente assista con i suoi doni Lei, i suoi Collaboratori, le Autorità del Suo Paese e il popolo albanese, sempre presente al mio cuore.


AI PARTECIPANTI ALL’ASSEMBLEA GENERALE


DEL CENTRO CATTOLICO INTERNAZIONALE PER L’UNESCO


Venerdì, 10 maggio 2002




Signor Cardinale,
130 Signor Presidente,
Cari amici del Centro Cattolico Internazionale per l'UNESCO

1. Sono lieto di accogliervi questa mattina, per esprimervi la mia riconoscenza e ribadirvi la mia fiducia in occasione della vostra trentesima Assemblea generale, che ha per tema "Il dialogo interculturale e interreligioso: un'opportunità per l'umanità". Ringrazio il Presidente, signor Bernard Lacan, per le sue delicate parole. Saluto i membri del Centro cattolico, in particolare il signor Gilles Deliance, il suo Direttore, esprimendo a tutti la mia gratitudine per l'attività che svolgete al servizio della cultura. Sono lieto che sia presente con voi l'Osservatore permanente della Santa Sede presso l'Unesco, Monsignor Renzo Frana, e lo ringrazio per il lavoro che ha svolto nei lunghi anni presso questa Organizzazione delle Nazioni Unite.

Quest'anno si compie il cinquantesimo anniversario della nomina del primo Osservatore permanente della Santa Sede presso l'Unesco, nella persona di Monsignor Roncalli, il beato Papa Giovanni XXIII. Da allora, la Santa Sede segue con attenzione le attività dell'Unesco negli ambiti fondamentali dell'educazione, delle scienze, delle scienze umane, della comunicazione e dell'informazione, altrettanti aspetti della cultura, "realtà fondamentale che ci unisce e che è alla base dell'istituzione e delle finalità dell'Unesco" (Allocuzione all'Unesco, Parigi, 2 giugno 1980, n. 8).

2. Il vostro centro facilita il lavoro e la cooperazione delle Organizzazioni internazionali cattoliche che partecipano alle grandi attività dell'Unesco legate all'educazione e alla formazione. Vi incoraggio, nella missione che vi è propria, a diffondere, attraverso le vostre iniziative e pubblicazioni, il sapere e un savoir-faire specifici, offrendo ai nostri contemporanei la possibilità di accogliere le grandi sfide culturali del nostro tempo apportando risposte degne della persona umana.

I grandi ambiti dell'educazione e della cultura, della comunicazione e della scienza, comportano una dimensione etica fondamentale. Per dare risposte appropriate, è opportuno acquisire una giusta conoscenza scientifica, condurre una riflessione approfondita e proporre la luce dell'umanesimo cristiano e dei valori morali universali. La famiglia deve essere oggetto di un'attenzione particolare, poiché è ad essa, in primo luogo, che spetta la missione educatrice presso i giovani.

3. Vi incoraggio a proseguire senza posa il vostro lavoro, affinché si operi un dialogo fecondo tra il messaggio di Cristo e le culture. Vi sono grato per il servizio che svolgete nella formazione di esperti cattolici, preoccupandovi di prepararli seriamente e di radicarli nella fede, rendendoli capaci di recare al mondo una testimonianza credibile, nutrita dalla Parola di Dio e dall'insegnamento della Chiesa. È auspicabile che le vostre ricerche sui temi scientifici, culturali ed educativi, realizzate alla luce del Vangelo, possano essere messe a disposizione dei cattolici che operano in questi ambiti, e ciò in maniera abituale e accessibile, secondo le possibilità offerte dai mezzi moderni.

Voi avete scelto Roma per tenere i vostri incontri, manifestando così il vostro attaccamento al Successore di Pietro e alla Santa Sede. Sensibile a questo gesto, vi ringrazio per la missione ecclesiale che garantite in modo generoso e attento presso l'Unesco, al servizio di tutti gli uomini.
A ognuno e a ognuna di voi, e a tutte le persone che vi sono care, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.


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