GP2 Discorsi 2002 174

174 A tale riguardo, esprimo vivo compiacimento per la valida e costante attenzione pastorale rivolta alle persone che operano all'interno delle Istituzioni accademiche, soprattutto verso gli studenti che provengono da varie parti d'Italia e che si fanno portatori di valori, istanze e attese di non poco rilievo. Se è vero che, nella propria lunga storia, l'Università non è mai rimasta estranea alla Comunità cristiana, la continua crescita del numero degli studenti e dei docenti e il ruolo che essa ha assunto come fattore di innovazione e di creazione di modelli culturali esigono oggi un supplemento di attenzione e di sensibilità pastorale.

3. Tra le numerose iniziative intraprese in passato, un posto rilevante spetta all'Istituto Superiore di Scienze Religiose, nato dal congiunto impegno delle Istituzioni ecclesiastiche locali e delle Autorità accademiche. Esso da 24 anni svolge il compito di preparare docenti di religione nelle scuole e di avviare i giovani allo studio e alla ricerca nelle scienze religiose. Proprio in virtù di questa attenzione alla dimensione culturale, l'Istituto è diventato sempre più punto di riferimento sicuro per studenti e ricercatori che intendono approfondire i temi religiosi o confrontarsi col pensiero contemporaneo di ispirazione cristiana, affinché il messaggio evangelico possa esprimere sempre meglio la propria natura di lievito e fermento anche in ambito culturale.

So che codesta Comunità diocesana si sta impegnando in modo particolare a formare un laicato cattolico qualificato, in grado di testimoniare e vivere i valori della fede cristiana non soltanto nella sfera privata, ma anche in tutti gli ambiti della vita e dell'attività quotidiana. A tale proposito, desidero incoraggiare l'impegno del "Forum permanente dei laici", di recente costituzione, e il cammino dell'Azione Cattolica Diocesana: si tratta di risorse quanto mai preziose in vista della nuova evangelizzazione.

4. In connessione con quanto ora illustrato, non posso poi non sottolineare l'importanza dell'ambito pastorale costituito dal mondo giovanile. Ho appreso con piacere, al riguardo, dell'impegno assunto dall'Arcidiocesi di formare, a livello sia parrocchiale che diocesano, educatori per gruppi di giovanissimi e giovani. Particolarmente apprezzabile è, poi, l'iniziativa di portare nelle parrocchie della Diocesi la "Croce dei giovani", attorno alla quale ci si incontra, si riflette e si prega insieme.

Pensando con affetto ai giovani di codesta Arcidiocesi, rivolgo un particolare pensiero al gruppo di ragazzi che parteciperà alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù a Toronto: esorto tutti ad essere, in ogni ambiente, "sale della terra e luce del mondo" (cfr
Mt 5,13-14).

Con tali sentimenti e voti, desidero unirmi spiritualmente a Lei, venerato Fratello, e all'intera Comunità diocesana affidata alle sue cure pastorali, per la significativa celebrazione del prossimo 1E giugno: giorno di gioia e di festa, di preghiera e di testimonianza, di speranza e di impegno.

In questa prospettiva, mentre invoco la celeste intercessione della Vergine Maria e del santo martire Crescentino, imparto di cuore a Lei, al clero, ai religiosi e alle religiose, alle famiglie, ai giovani, agli anziani e a tutti i fedeli di Urbino-Urbania-Sant'Angelo in Vado una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 27 Maggio 2002

IOANNES PAULUS II


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


AL PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DELLA COLOMBIA




A Monsignor

ALBERTO GIRALDO JARAMILLO

Arcivescovo di Medellín
Presidente della Conferenza Episcopale della Colombia

175 1. Si compie ora un secolo da quando, il 22 giugno 1902, i Vescovi, le Autorità civili e il popolo della Colombia, animati da profondi sentimenti di amore e di devozione, consacrarono la Repubblica al Sacro Cuore di Gesù promettendo parimenti di edificare un tempio votivo ove implorare la pace per la Nazione. Da allora, con entusiasmo e speranza costanti, si è rinnovata ogni anno questa Consacrazione, che si fa anche nelle parrocchie, nelle case religiose e in tante famiglie, confidando in tal modo nell'amore e nella misericordia del Salvatore, che ha amato e continua ad amare gli uomini, e li accoglie con queste dolci parole: "Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò" (Mt 11,28).

2. Il Vangelo ci rivela le ricchezze insondabili del cuore di Cristo nei suoi atteggiamenti di perdono e di misericordia verso tutti, e nel suo ardente amore per il Padre e l'umanità intera. Allo stesso tempo, Gesù ci mostra il cammino di una vita nuova: "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore" (Mt 11,29). Da questo cuore, simbolo particolarmente espressivo dell'amore divino, trafitto dalla lancia di un soldato (cfr Jn 19,33-34), sgorgano abbondanti doni per la vita del mondo. "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Jn 10,10). Questi sono i doni che ricordava Papa Pio XII nella sua Enciclica Haurietis Aquas: la sua stessa vita, lo Spirito Santo, l'Eucaristia e il sacerdozio, la Chiesa, sua Madre, la sua preghiera incessante per noi (cfr nn. 36-44).

3. Ora che i fedeli cattolici colombiani, guidati dai loro Pastori e dalle Autorità, si dispongono a rinnovare questa Consacrazione centenaria della Patria al Cuore di Gesù, desidero ripetere loro l'appello che ho fatto all'inizio della mia missione come Successore di Pietro: "Spalancate le porte a Cristo!" (Omelia, 22 ottobre 1978, n. 5). Ascoltate, cari fratelli, la voce di Cristo che continua a parlare all'uomo di oggi. Come ho avuto l'opportunità di scrivere in un'altra occasione: "Dal Cuore di Cristo, il cuore dell'uomo impara a conoscere il senso vero e unico della sua vita e del suo destino, a comprendere il valore di una vita autenticamente cristiana, a guardarsi da certe perversioni del cuore umano, ad unire all'amore filiale verso Dio, l'amore del prossimo. Così - ed è questa la vera riparazione chiesta dal Cuore del Salvatore - sulle rovine accumulate dall'odio e dalla violenza, potrà essere costruita la civiltà dell'amore tanto desiderato, il Regno del Cuore di Cristo" (Lettera al Preposito Generale della Compagnia di Gesù, 5 ottobre 1986).

4. La Consacrazione degli uomini e delle donne della Colombia al Sacro Cuore di Gesù, che state per rinnovare seguendo questa lodevole tradizione consolidata da cento anni, dev'essere un singolare momento di grazia e di forte impegno. In effetti, deve essere una supplica ardente al Signore affinché rinnovi tutta la società colombiana, di modo che agisca con un cuore e uno spirito nuovi (cfr Ez 11,19). Sarà così possibile accogliere la chiamata alla preghiera che ho fatto nella Lettera Apostolica Novo Millennio ineunte (cfr nn. 32-33), indicando come ogni cristiano deve distinguersi proprio nell'arte della preghiera e della contemplazione del Volto del Signore (cfr Ibidem, nn. 16-28), di Colui che hanno trafitto (cfr Jn 19,37); al contempo, ciò favorirà l'impulso verso una costante conversione, base indispensabile per vivere come uomini nuovi (cfr Col 3,10).

Questa conversione personale deve però essere accompagnata anche da una profonda trasformazione sociale, che inizia con il rafforzamento dell'istituzione familiare, che è la più ricca scuola di umanesimo. In effetti, le famiglie salde sono i nuclei dove si promuovono e si trasmettono le virtù umane e cristiane, si alimenta la speranza e l'autentico impegno fra i membri, e la vita umana viene accolta e rispettata in tutte le fasi della sua esistenza, dal concepimento fino alla sua morte naturale.

La società che ascolta e segue il messaggio di Cristo procede verso l'autentica pace, rifiuta qualsiasi forma di violenza e genera nuove forme di convivenza lungo il cammino sicuro e fermo della giustizia, della riconciliazione e del perdono, promuovendo vincoli di unità, fraternità e rispetto di ogni persona.

5. Desidero vivamente che questa commemorazione, che purtroppo si celebra in un momento in cui la vostra amata Nazione non beneficia ancora di una pace interna stabile e la violenza continua a seminare vittime in tutte le componenti della società, senza escludere persino i Pastori della Chiesa, sia l'occasione perché tutti - sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici -, uniti ai loro Vescovi e provenienti da ogni angolo di questo amato Paese, diano vita a un grande movimento nazionale di riconciliazione e di perdono. Che sia anche un momento per implorare da Dio il dono della pace e per impegnarsi, ognuno dal proprio ambito nella società, a gettare le basi per la ricostruzione morale e materiale della vostra comunità nazionale. Voi sapete che, in questa opera, Gesù Cristo, il Principe della Pace, vi darà la forza necessaria per ristabilire una società giusta, solidale, responsabile e pacifica.

Unendomi spiritualmente a voi nella Consacrazione al Sacro Cuore di Gesù, imploro da Lui abbondanti doni su tutti i colombiani, sulle famiglie, sulle comunità ecclesiali e sulle diverse istituzioni pubbliche e su quanti le reggono, e al contempo, affidando questi voti alla materna intercessione di Nuestra Señora de Chiquinquirá, Regina della Colombia, vi imparto con affetto la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 9 maggio, Solennità dell'Ascensione del Signore, dell'anno 2002.

GIOVANNI PAOLO II



AI PELLEGRINI DELLA DIOCESI DI CAPUA


ED AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO SU ARMIDA BARELLI


Sabato, 8 giugno 2002




Carissimi Fratelli e Sorelle!

176 1. Sono lieto di rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto! Grazie per questa visita che avete voluto rendermi per ricordare il mio viaggio pastorale compiuto dieci anni or sono nella diletta Arcidiocesi di Capua. Serbo ancora vivo ricordo dei luoghi e delle persone incontrate in quella memorabile occasione. Come dimenticare la calorosa accoglienza dell'antica e nobile Città di Capua?

Ancora una volta desidero manifestarvi la mia riconoscenza e salutare con affetto il vostro Arcivescovo Mons. Bruno Schettino, ringraziandolo per le cordiali parole che ha voluto indirizzarmi a nome di tutti. Con lui saluto il carissimo Mons. Luigi Diligenza, Pastore emerito della Chiesa di Capua e principale artefice dell'importante evento che oggi intendete commemorare. Saluto i presbiteri, i religiosi, le religiose e i laici impegnati al servizio del Vangelo. Rivolgo, altresì, un deferente e rispettoso pensiero alle Autorità, che hanno voluto partecipare a questa Udienza.

2. Come ricordava poc'anzi l'Arcivescovo, la vostra Diocesi ha avuto il privilegio di ricevere l'annuncio del Vangelo sin dai tempi apostolici, ed è stata fecondata dal sangue di numerosi martiri. Pastori insigni per fede, cultura e santità di vita l'hanno guidata: mi è caro qui ricordare la figura e l'opera di san Roberto Bellarmino, che 400 anni fa iniziò nella vostra Diocesi un servizio pastorale breve, ma denso di dottrina e di ardore apostolico. Come non impegnarsi ad essere degni di un'eredità spirituale così singolare?

La Visita pastorale, che il vostro Arcivescovo inizierà il prossimo 17 settembre, festa appunto di san Roberto Bellarmino, offrirà alla vostra Diocesi questa singolare opportunità. Non mancate di andare incontro a Cristo con ardore nuovo, per ascoltarne la voce, che vi chiama a più intensa fedeltà evangelica. Egli vi chiede di renderlo presente dove l'uomo è solo, emarginato o umiliato dal dolore e dalla violenza e dove le persone, stanche di parole umane, nutrono una profonda nostalgia di Dio.

3. Formulo voti che la Visita pastorale susciti un vigoroso slancio missionario specialmente nelle parrocchie, dove la comunione ecclesiale trova la sua più immediata e visibile espressione. Ogni comunità parrocchiale sia luogo privilegiato dell'ascolto e dell'annuncio del Vangelo; casa di preghiera raccolta intorno all'Eucaristia; vera scuola della comunione, dove l'ardore della carità prevalga sulla tentazione di una religiosità epidermica e inconcludente.

La tensione verso la santità darà rinnovato vigore e motivazioni sempre più forti a quel lodevole sforzo caritativo verso gli immigrati e i poveri che rappresenta già una felice realtà della vostra Diocesi. Vi accosterete così a chi è senza casa e posto di lavoro, a quanti sono afflitti da antiche e nuove povertà non soltanto per provvedere alle loro necessità più urgenti, ma per costruire insieme con loro una società accogliente, rispettosa delle diversità, desiderosa di giustizia e di solidarietà.

4. "Andate... e ammaestrate tutte le nazioni" (
Mt 28,19). Commentando queste parole del Risorto ai Dodici, dieci anni or sono, invitavo i giovani capuani a rispondere generosamente all'invito di Gesù e ricordavo loro che si può portare il Vangelo di Cristo senza andare lontano. Si può rimanere nella propria casa, e nel proprio ambiente, nella propria scuola, accanto al proprio banco di lavoro, nella propria famiglia e testimoniare in modo efficace la propria fede.

Oggi desidero estendere questo invito ai giovani di dieci anni dopo: non perdete mai la fierezza di essere cristiani, di poter entrare in amicizia con Cristo, di cercare quello che Lui cercava, di comportarvi come Lui si comportava. Gesù deve diventare il centro della vostra vita. E' Lui che vi aiuterà ad essere "sale e fermento" della vostra Terra.

5. Maria, di cui il Concilio plenario svoltosi proprio a Capua più di sedici secoli or sono riaffermava la perpetua verginità, vi renda docili alla parola del Signore, vi trasformi in operai umili, credibili ed efficaci del Vangelo e vi sostenga nei vostri buoni propositi.

A Lei ed ai Santi che hanno impreziosito il cammino di fede del vostro popolo vi affido tutti e in particolare i piccoli, i poveri e gli ammalati. Sostenuti da tali potenti intercessori, dirigetevi, carissimi, senza paura verso le mete alte della santità che il Signore vi propone perché vi ama!

6. Rivolgo ora un cordiale saluto ai partecipanti al Convegno sulla figura di Armida Barelli, che sono qui convenuti insieme con Monsignor Francesco Lambiasi e con la dottoressa Paola Bignardi, rispettivamente Assistente Generale e Presidente Nazionale dell'Azione Cattolica.

177 A distanza di mezzo secolo, risalta con crescente attualità la statura di colei che veniva chiamata "Sorella Maggiore" della Gioventù Femminile di Azione Cattolica. Quale infaticabile discepola di Cristo, Armida Barelli dispiegò un'intensa attività apostolica, segnata da singolare intuizione delle mutate esigenze dei tempi. Rispondendo con genialità femminile agli auspici e alle direttive sul laicato dei miei predecessori Benedetto XV, Pio XI e Pio XII, essa raccolse oltre un milione di giovani donne e ragazze nel Movimento cattolico italiano. Dette poi un apporto determinante alla nascita dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, come pure alla fondazione delle Missionarie dell'Opera della Regalità.

La sorgente di questo suo multiforme e fecondo apostolato era la preghiera, e specialmente un'ardente pietà eucaristica, che trovava la sua risorsa più concreta ed efficace nella devozione al Cuore di Gesù e nell'adorazione del SS.mo Sacramento. Carissimi, seguite con fedeltà la via tracciata da questa donna forte e intrepida, imitando la sua tensione alla santità, il suo zelo missionario e il suo impegno civile e sociale per fermentare con il lievito del Vangelo i vasti campi della cultura, della politica, dell'economia e del tempo libero. Vi sostenga il Cuore Immacolato di Maria, che oggi commemoriamo.

Con questi voti, a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II


AL VERTICE MONDIALE SULL’ALIMENTAZIONE


PROMOSSO DALLA FAO (ROMA, 10 - 13 GIUGNO 2002)




Signor Presidente della Repubblica Italiana
ed Illustri Capi di Stato e di Governo,
Signor Segretario Generale dell'ONU
e Signor Direttore Generale della FAO,
Signore e Signori!

Sono lieto di porgere il mio deferente e cordiale saluto a ciascuno di Voi, Rappresentanti di quasi tutti i Paesi del mondo, riuniti a Roma a poco più di cinque anni dal Vertice Mondiale sull'Alimentazione del 1996.

Non potendo essere fra Voi in questa solenne circostanza, ho chiesto al Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato, di esprimerVi tutta la mia stima e la mia considerazione per l'arduo lavoro che dovete compiere, per assicurare a tutti il pane quotidiano.

Un particolare saluto vorrei rivolgere al Presidente della Repubblica Italiana e a tutti i Capi di Stato e di Governo convenuti a Roma per questo Vertice. Durante i miei viaggi pastorali nei vari Paesi del mondo, come negli incontri in Vaticano, ho già avuto modo di conoscere personalmente molti di loro: a tutti vada il mio deferente augurio di ogni bene, per loro e per le Nazioni che essi rappresentano.

178 Estendo, poi, tale saluto al Segretario Generale delle Nazioni Unite, come pure al Direttore Generale della FAO ed ai Responsabili degli altri Organismi internazionali presenti in questa riunione. La Santa Sede molto si attende dalla loro azione in favore del progresso materiale e spirituale dell'umanità.

All'attuale Vertice Mondiale sull'Alimentazione formulo il voto che possa avere il successo desiderato: lo attendono milioni di uomini e donne del mondo intero.

Il precedente Vertice del 1996 aveva già attestato che la fame e la malnutrizione non sono fenomeni soltanto naturali o strutturali di determinate aree geografiche, ma sono piuttosto come la risultante di una più complessa condizione di sottosviluppo, causata dall'inerzia o dall'egoismo degli uomini.

Se gli obiettivi del Vertice del 1996 non sono stati raggiunti, ciò può essere attribuito anche alla mancanza di una cultura della solidarietà e a relazioni internazionali improntate talora ad un pragmatismo privo di fondamento etico-morale. Preoccupanti sono, poi, alcune statistiche, secondo le quali, in questi ultimi anni, gli aiuti ai Paesi poveri appaiono diminuiti, e non aumentati.

Oggi più che mai si impone l'urgenza che, nei rapporti internazionali, la solidarietà diventi il criterio ispiratore di ogni forma di cooperazione, nella consapevolezza della destinazione universale dei beni che Dio creatore ci ha affidato.

Certo, molto ci si aspetta dai tecnici, che dovranno dire quando e come aumentare le risorse in agricoltura, come distribuire meglio i prodotti, come predisporre i vari programmi di sicurezza alimentare, come pensare a nuove tecnologie per aumentare i raccolti ed estendere gli allevamenti.

Nel Preambolo della Costituzione della FAO si proclamava già l'impegno di ciascun Paese ad aumentare il proprio livello di nutrizione, a migliorare le condizioni dell'attività agricola e delle popolazioni rurali, così da accrescere la produzione ed attivare un'efficace distribuzione degli alimenti in ogni parte del Pianeta.

Tali obiettivi comportano, però, una continua riconsiderazione del rapporto tra il diritto di essere liberato dalla povertà e il dovere dell'intera famiglia umana di venire concretamente in soccorso di quanti sono nel bisogno.

Da parte mia, sono lieto che il presente Vertice Mondiale sull'Alimentazione solleciti nuovamente le varie componenti della Comunità internazionale, Governi ed Istituzioni intergovernative, ad impegnarsi per garantire comunque il diritto alla nutrizione, quando il singolo Stato non è in grado di sopperirvi a motivo del proprio sottosviluppo e delle proprie condizioni di povertà. Tale impegno risulta quanto mai necessario e legittimo, dal momento che la povertà e la fame rischiano di compromettere alla radice l'ordinata convivenza di Popoli e Nazioni e costituiscono una minaccia concreta alla pace e alla sicurezza internazionale.

E' in questa prospettiva che si pone l'attuale Vertice Mondiale sull'Alimentazione, ribadendo il concetto di sicurezza alimentare e prevedendo uno sforzo di solidarietà capace di dimezzare, entro il 2015, il numero delle persone malnutrite e prive del necessario per vivere. E' una sfida grandiosa, in cui anche la Chiesa è impegnata in prima fila.

Per questo, la Chiesa cattolica, da sempre sollecita nel promuovere i diritti umani e lo sviluppo integrale dei Popoli, continuerà a sostenere quanti operano perché sia assicurato a tutti il cibo quotidiano. Essa è vicina per intima vocazione ai poveri della terra ed auspica il fattivo impegno di tutti perché presto venga risolto questo problema, che è uno dei più gravi dell'umanità.

179 Dio Onnipotente, ricco di misericordia, faccia scendere la Sua Benedizione sulle vostre Persone, sui vostri lavori sotto l'egida della FAO, e su quanti si impegnano per l'autentico progresso della famiglia umana.

Dal Vaticano, 10 Giugno 2002

IOANNES PAULUS II



FIRMA DELLA "DICHIARAZIONE DI VENEZIA

SALUTO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Lunedì, 10 giugno 2002




Santità,

sono lieto di inviarLe il mio saluto cordiale, che estendo volentieri alle personalità religiose e civili, ai congressisti, e a tutti coloro che sono radunati nella Sala degli Scrutini del Palazzo Ducale di Venezia per la seduta conclusiva del IV Simposio ecologico, promosso dal Patriarcato Ecumenico e dedicato al tema: Il Mare Adriatico: Mare a rischio - Unità di Intenti.

Questo collegamento, grazie al quale possiamo firmare congiuntamente la "Dichiarazione" finale del Simposio, dà voce a quell'unità di intenti che il tema stesso dell'evento ha evocato.

Il nostro incontro, anche se a distanza, ci permette di esprimere insieme la comune volontà di salvaguardare la creazione, di affiancare e sostenere ogni iniziativa che valga ad abbellire, sanare, preservare questa terra, che Dio ci ha donato affinché la custodiamo con saggezza e amore.

Il nostro incontro di oggi si colloca a breve distanza da quello di Assisi, dove in gennaio ho promosso una Giornata di Preghiera per la Pace nel Mondo. La Santità Vostra ha risposto allora all’appello ed ha avuto la cortesia di parteciparvi. Oggi, sono Io che ho il piacere di unirmi a Lei per questo atto significativo. Ritengo che questi nostri scambi siano veri e propri doni del Signore, il Quale ci indica così che lo spirito di collaborazione è capace di trovare espressioni nuove per dare solidità e concretezza a quella testimonianza di comunione che il mondo attende da noi.



FIRMA DELLA "DICHIARAZIONE DI VENEZIA"



DICHIARAZIONE CONGIUNTA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

E DEL PATRIARCA ECUMENICO

SUA SANTITÀ BARTOLOMEO I

Lunedì, 10 giugno 2002




Siamo qui riuniti oggi in spirito di pace, per il bene di tutti gli esseri umani e la protezione del creato. In questa epoca storica, all’inizio del terzo millennio, constatiamo con tristezza le sofferenze che un gran numero di persone patiscono ogni giorno a causa della violenza, della mancanza di risorse, della povertà e della malattia. Sono inoltre motivo di preoccupazione per noi quelle conseguenze negative che si riflettono sull’umanità e su tutto il creato, causate dalla degradazione di basilari risorse naturali come l’acqua, l’aria e la terra, e derivanti da un progresso economico e tecnologico incapace di riconoscere i suoi limiti e di tenerne conto.

Dio Onnipotente ha concepito un mondo di bellezza e d’armonia e Egli lo ha creato, facendo di ogni suo aspetto un’espressione della Sua libertà, della Sua saggezza e del Suo amore (cfr. Gen Gn 1,1-25).

180 Al centro del creato, Egli ha posto noi, gli esseri umani, con la nostra inalienabile dignità. Sebbene siano molte le caratteristiche che condividiamo con gli altri esseri viventi, Dio onnipotente con noi è andato oltre. Egli ci ha dato un’anima immortale, fonte di autocoscienza e di libertà, doti intellettuali che ci rendono a Sua immagine e somiglianza (cfr. Gen Gn 1,26-31 Gn 2,7). Contraddistinti da tale somiglianza, siamo stati posti da Dio nel mondo affinché collaborassimo con Lui nel realizzare sempre più pienamente il fine divino della creazione.

All’inizio della storia, l’uomo e la donna hanno peccato disobbedendo a Dio, rigettando il suo disegno sulla creazione. Una delle conseguenze di questo primo peccato è stata la distruzione dell’originaria armonia della creazione. Se esaminiamo attentamente la crisi sociale ed ambientale affrontata attualmente dalla comunità mondiale, dobbiamo concludere che continuiamo a tradire il mandato affidatoci da Dio: essere servitori, chiamati a collaborare con Lui, e che vegliano in santità e con saggezza sulla creazione.

Dio non ha abbandonato il mondo. Egli vuole che il suo disegno e la nostra speranza in esso si realizzino per mezzo della nostra collaborazione nel ristabilire la sua originaria armonia. Nel nostro tempo assistiamo alla crescita di una consapevolezza ecologica, che deve essere incoraggiata affinché essa si attui in programmi ed iniziative pratiche. Da una consapevolezza della relazione tra Dio ed il genere umano deriva un senso più profondo dell’importanza della relazione tra il genere umano e l’ambiente naturale, cioè la creazione di Dio, che Dio ha affidato al genere umano affinché esso possa custodirla con saggezza ed amore (cfr. Gen Gn 1,28).

Il rispetto della creazione deriva dal rispetto per la vita e la dignità umana. Soltanto se riconosciamo che il mondo è creato da Dio possiamo discernere un ordine morale oggettivo entro il quale articolare un codice di condotta ambientale. In questa prospettiva, i cristiani e tutti gli altri credenti hanno una funzione specifica nel proclamare i valori morali e nell’educare le persone ad una consapevolezza ecologica, la quale non è altro che la responsabilità assunta nei confronti di se stessi, nei confronti degli altri e nei confronti della creazione.

Occorre un atto di pentimento da parte nostra, ed il rinnovato tentativo di considerare noi stessi, di considerarci l’un l’altro, e di considerare il mondo che ci circonda, nella prospettiva del disegno divino sulla creazione. Il problema non è meramente economico e tecnologico; esso è di ordine morale e spirituale. Si può trovare una soluzione, al livello economico e tecnologico, soltanto se nell’intimo del nostro cuore si verificherà un cambiamento quanto più possibile radicale, che potrà indurci a cambiare il nostro stile di vita, ed i nostri insostenibili modelli di consumo e produzione. Una genuina conversione in Cristo ci permetterà di cambiare i nostri modi di pensare e di agire.

In primo luogo dobbiamo riacquistare l’umiltà, riconoscere i limiti delle nostre forze e, ciò che è più importante, i limiti della nostra conoscenza e della nostra capacità di giudizio. Abbiamo preso decisioni, intrapreso azioni ed attribuito valori, che ci stanno discostando da come dovrebbe essere il mondo, ci stanno allontanando dal disegno di Dio sulla creazione, da tutto ciò che è essenziale per la salute del pianeta e della comunità umana. Occorre un modo nuovo di affrontare le cose ed una nuova cultura, che si basino sulla centralità della persona umana nel creato, e che si ispirino ad un comportamento etico nei confronti dell’ambiente che si fondi sulla nostra triplice relazione a Dio, a noi stessi e alla creazione. Una tale etica incoraggia l’interdipendenza e sottolinea i principi della solidarietà universale, della giustizia sociale e della responsabilità, in vista di promuovere una vera cultura della vita.

In secondo luogo, dobbiamo ammettere con franchezza che l’umanità ha diritto a qualcosa di più di ciò che vediamo intorno a noi. Noi, ed ancora di più i nostri figli e le future generazioni, hanno diritto ad un mondo migliore, un mondo esente dal degrado, dalla violenza, dallo spargimento di sangue, un mondo di generosità e di amore.

In terzo luogo, consapevoli del valore della preghiera, dobbiamo implorare da Dio Creatore che egli illumini tutte le genti, ovunque esse siano, affinché esse sentano il dovere di rispettare e salvaguardare con cura la creazione.

Invitiamo dunque, tutti gli uomini e tutte le donne di buona volontà a riflettere sull’importanza dei seguenti obiettivi etici:

1. Pensare ai bambini del mondo quando riflettiamo sulle nostre scelte e le valutiamo prima di agire.

2. Essere disposti a studiare i veri valori basati sulla legge naturale che costituisce il fondamento di ogni cultura umana.

181 3. Adoperare pienamente ed in modo costruttivo scienza e tecnologia, riconoscendo nel contempo che le acquisizioni della scienza vanno sempre valutate alla luce della centralità della persona umana, del bene comune e dello scopo profondo della creazione. La scienza può aiutarci a correggere gli errori del passato, nell’intento di accrescere il benessere spirituale e materiale delle generazioni presenti e future. L’amore per i nostri figli ci mostrerà la strada da seguire in futuro.

4. Essere umili circa l’idea del possesso, e aperti alle domande che vengono rivolte al nostro senso di solidarietà. La nostra condizione mortale e la debolezza dei nostri giudizi ci ammoniscono a non intraprendere azioni irreversibili nei confronti di ciò che scegliamo di considerare come nostra proprietà durante il nostro breve transito su questa terra. Non ci è stato dato un potere illimitato sulla creazione; noi siamo soltanto persone che sono a servizio di una eredità comune.

5. Riconoscere la diversità delle situazioni e delle responsabilità nell’opera che tende a migliorare l’ambiente del mondo. Non ci aspettiamo che ogni persona ed ogni istituzione assumano un identico fardello. Ciascuno ha una funzione da svolgere, ma nel rispetto delle esigenze di giustizia e di carità, le società più floride debbono sopportare i pesi più grandi, e ad esse si richiede un sacrificio più grande di quello che possono fare i poveri. Le religioni, i governi, e le istituzioni affrontano situazioni molto diverse tra loro; tuttavia, sulla base del principio della sussidiarietà, tutti loro possono assumere alcuni dei compiti, vale a dire una parte dello sforzo condiviso.

6. Promuovere un approccio pacifico per quanto riguarda il disaccordo esistente su come convenga vivere su questa terra, come condividerla, come usarla, ciò che è necessario cambiare, e ciò che deve restare immutato. Non desideriamo eludere le controversie relative all’ambiente, poiché crediamo nella capacità della ragione umana e nella via del dialogo per raggiungere un accordo. Ci impegniamo a rispettare i punti di vista di tutti coloro che non sono d’accordo con noi, e a ricercare nel contempo delle soluzioni attraverso un scambio sincero, e senza fare ricorso all’oppressione o alla violenza.

Non è troppo tardi. Il mondo di Dio ha un incredibile potere di guarigione. Nell’arco di una sola generazione, potremmo imprimere alla terra il giusto orientamento per il futuro dei nostri figli. Esprimiamo l’auspicio che sia la nostra generazione, quella di oggi, a farlo, con l’aiuto e con la benedizione di Dio.

Roma - Venezia, 10 giugno 2002


AI VESCOVI DELLA CONFERENZA


EPISCOPALE DEL VENEZUELA


IN VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"


Martedì, 11 giugno 2002




Cari Fratelli nell'Episcopato,

1. Al termine del mio primo viaggio nella vostra patria, mi sono congedato con la speranza che "la Chiesa in Venezuela darà vera testimonianza della presenza di Gesù Cristo e possa affrontare con coraggio le sfide del millennio che si avvicina" (Discorso di congedo, 29 gennaio 1985). Ora, quando il nuovo millennio è iniziato e le sfide non si sono fatte attendere, talvolta ardue e impreviste, vi accolgo con affetto in occasione di questa visita ad limina per continuare a incoraggiare il vostro ministero di Pastori, guide e maestri del Popolo di Dio che è pellegrino in questa amata Nazione.

Ringrazio cordialmente Monsignor Baltazar Porras, Arcivescovo di Mérida e Presidente della Conferenza Episcopale per le cordiali parole che mi ha rivolto, con le quali ha espresso la vostra ferma volontà di una piena comunione con il Successore di Pietro, che ha ricevuto la missione di confermare i suoi fratelli nella fede (cfr Lc 22,32) ed è "il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell'unità della fede e della comunione" (Lumen gentium LG 18). Conosco bene gli aneliti e le preoccupazioni del vostro ministero apostolico, che avete esposto nelle relazioni quinquennali e di cui avete potuto parlare nei diversi incontri con i responsabili dei Dicasteri della Curia Romana.

Sapete che nel ministero della Chiesa "se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui" (1Co 12,26) e per questo, nel vostro impegno generoso, potete sentire la forza che nasce dalla comunione con tutta la Chiesa, così come la vicinanza e la sollecitudine di chi pasce il Popolo di Dio come un amoris officium (cfr s. Agostino, In Io. Ev., 123, 5).


GP2 Discorsi 2002 174